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Autore: Francine    01/05/2016    4 recensioni
Al Santuario vige la legge marziale. Saori Kido ha inviato una lettera al Sacerdote, annunciandogli il suo arrivo. Mentre due Gold Saint - due amici - discutono tra loro su quale sia la migliore strategia da adottare contro i traditori che stanno arrivando, il Grande Tempio di Athena si prepara a vivere quello che sarà il suo giorno più lungo.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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7.
 




«Sei… stato tu?»
«Sono stato io.»
La voce di Camus è appena un soffio che si perde nell’aria immobile. Pesante. Il sole splende, ma c’è una luce irreale che grava sul Santuario. Come se dovesse venire a piovere.
Speriamo, pensa Milo, uno sguardo distratto sulle Case sottostanti. Sì, la pioggia ci starebbe bene. Come una doccia extralarge che lavi via questa giornata scellerata, che è ancora lontana dalla fine. E che si spera abbia finito gli assi nella manica.
Le chiappe sui gradini che conducono alla Settima Casa ed il diadema tra le mani, lo Scorpione resta in ascolto. L’Acquario ha bisogno di calma. Di non sentire troppa pressione addosso. Si sta confessando, e quando si fa penitenza non si guarda negli occhi chi ci ascolta, altrimenti non ci si sente liberi di vuotare il sacco. O di far uscire tutta la merda che abbiamo dentro, per dirla con Camus.
Così, gli occhi di Milo indugiano ovunque – i rocchi, il marmo che buca bianchissimo il panorama, quelle nubi gonfie e livide di pioggia che si stanno avvicinando – tranne che sul viso dell’Acquario.
«L’ho inviato io come spia a Tokyo.»
«E il Sacerdote?»
«Era d’accordo.»
Quindi, il Sacerdote sapeva. Lui sapeva. Io, no. «E te lo sei tenuto per te…»
Camus porta i suoi occhi sul compagno.
«Avevo degli ordini.»
«Certo. Immagino…»
«La cosa doveva restare segreta. Soltanto i maestri di quei ragazzini ne erano informati.»
«E siccome io non sono un maestro…»
«Piantala!», e Camus scatta all’impiedi. «È questo il problema? Che ti ho tenuto nascosto, anzi. No. Che non ti ho detto un segreto?»
«Avresti potuto dirmelo. Ti avrei aiutato. Una volta all’anno, eri qui. O sbaglio?»
«Sì, ma…»
«E avresti potuto dirmi, magari da mio zio, che qualcosa non quadrava. Così, tra una chiacchiera e l’altra.»
«Il Sacerdote mi ha imposto la Sigé.» Pausa. «Sai che significa?»
«Sono greco. Lo so che significa sigé
«E che significa?»
«Silenzio.» Pausa.
«No. Nel mio caso. Pardon. Nel nostro caso, significa acqua in bocca.»
«E questo, secondo te, dovrebbe addolcirmi la pillola?»
«Non c’è niente da addolcire. È una medicina che fa schifo, punto e basta.»
Milo scuote la testa. «Immagino…»
«No, tu non immagini nemmeno che significa doversi tenere dentro questa merda.»
La voce di Camus è ghiaccio che fende le orecchie di Milo e punta dritta al cervello. Lo Scorpione si volta verso il compagno, e lo sguardo che riempie gli occhi azzurri – e cupissimi – dell’altro è d’acciaio liquido.
«Tu non sai quante volte mi sarebbe piaciuto parlarne con qualcuno. Con te. Anche io ho dei dubbi, sai? E mi avrebbe fatto piacere avere un consiglio. Un parere. Ma non ho potuto. Ho dovuto starmene zitto e buono. E sai perché? Perché qualcuno sta macchinando Dio solo sa cosa. Dall’interno. Ecco perché. E se questo qualcuno avesse intuito che il Sacerdote sapeva. Che noi sapevamo… avremmo perso il fattore sorpresa.»
Milo si prende la testa tra le mani.
«Avresti potuto fidarti di me.»
«Cazzo, Milo. Avevo le mani legate, lo capisci, o no?»
«Se avevi le mani legate come dici, allora perché stai vuotando il sacco adesso
La voce strascicata dello Scorpione è bassa e pericolosa, e Camus sa di stare camminando su uno strato di ghiaccio sottile, sottilissimo. E sa che, se dovesse guardare in basso, vedrebbe un abisso senza luce, abisso in cui Milo lo spingerebbe senza tanti complimenti. E resterebbe a guardarlo annaspare.
«Perché mi è costato tanto, questo silenzio. Troppo.»
«Comodo, adesso...»
«Pensavo fossi mio amico.»
«Lo pensavo anch’io. Pensavo fossimo pari. Invece, no. Io sono trasparente. Tu, no. E non venirmi a dire che si tratta della sigé, ché lo sai anche tu che non è così. Tu sai tutto di me. Dalle cazzate alle cose serie. Io cosa so di te? Un beneamato cazzo!»
«Che c’è da sapere?»
«Chi è che vai a trovare ogni anno, prima di rientrare al Santuario per fare rapporto, ad esempio. Che c’è, non puoi dirmi nemmeno quello? È coperto dalla sigé anche questo?»
«Sì.»
«E come ti sbagli?!» 
Tacciono.
Milo stringe le mani fino a far sbiancare le nocche. Camus è seduto a meno di un braccio da lui, ma è come se fosse distante anni luce, chiuso nel suo silenzio. Maledizione!, pensa Milo stringendo il pugno destro con la mano sinistra. Maledizione, maledizione, maledizione!
«Per quello che può valere… Mi dispiace.» E con un gesto fluido, Camus si alza, gira sui tacchi e fa per imboccare il colonnato dell’Ottava Casa e lasciarsi tutto alle spalle – un amico, un allievo ed una conversazione spiacevole – come se non fosse successo nulla.
Non credo proprio, pensa Milo. Che senza alzarsi, ribatte: «Non abbiamo finito.».
Camus si ferma, quattro passi indietro, il bianco del Tempio dello Scorpione ad occupare l’intero campo visivo. Tace. C’è un’amicizia in bilico su un filo di ragnatela. Un filo di ragnatela ghiacciato. E basta poco – un attimo di fiato – perché si spezzi e si porti tutto quanto appresso. Degno coronamento di questa giornata di merda, pensa Camus.
«Avvicinati.» Non è una richiesta. E Camus esegue. «Adesso tu ti siedi. E mi racconti tutto. Per filo e per segno.»
«Milo…»
«Non ci provare», e l’indice destro di Milo si ferma a mezz’aria, gli occhi dello Scorpione che fissano qualcosa all’orizzonte. «Hai già infranto la Sigé. Siamo nei casini, lo so io e lo sai tu. È morto un nostro compagno, per quanto stronzo fosse.» Pausa. «Il gioco s’è fatto pesante. Quindi, adesso, vuoti il sacco. Fino in fondo. Così vediamo cosa bolle in pentola.»
«Il Sommo Sion?»
«Con lui parleremo stasera», ribatte Milo, scoccandogli uno sguardo che non ammette repliche. «Ci sono un po’ di cose che non tornano nemmeno a me. Due teste pensano meglio di una, no?»
E poi succede una cosa strana. Camus si affloscia. Come un pallone che ha impattato contro un ramo appuntito. O una mongolfiera a cui hanno spento il fuoco. Lascia ricadere la testa verso il busto, si accoscia e si porta una mano davanti al viso.
«Questa vita è una merda. Colossale.»
Poi l’Acquario si siede, le chiappe sul marmo dei gradini e le sopracciglia aggrottate.
«È… strano
«Cosa?»
«Quel ragazzino. Hyoga.»
«Definisci strano
Un respiro profondo, il viso a rimirare il cielo, la mascella stretta – serrata. Poi Camus rilascia l’aria e dice: «Mi è parso strano che fosse stato inviato in Siberia.» Pausa. «Sai come funziona, no?»
No, si dice Milo. Fosse stato per lui, se ne sarebbe rimasto felice e beato a Plaka, a rincorrere lucertole e gatti sotto i limoni della taverna. E poi, in un giorno qualunque – di quelli che sembrano messi lì soltanto per riempire il calendario – Athena è entrata nella sua vita, in punta di piedi, attraverso Aristoteles. E tutto è cambiato.
«No. Come funziona?»
Camus sorride, poi dice: «Il cosmo è qualcosa che non puoi nascondere. Anche se non lo sai governare, lui c’è. Si sente. E i Diaconi servono principalmente a riferire al Santuario la presenza di nuovi cosmi. Poi il Santuario invia qualcuno a verificare. Non si sa mai. E solo dopo si parla di addestramento.»
«Ma?»
«Ma nel caso di Hyoga, il Santuario non si è mosso. Il Santuario nemmeno sapeva chi fosse. Hyoga è arrivato in Siberia da solo.»
«Da solo?» Milo aggrotta le sopracciglia. «Com’è possibile?»
«Non lo so. Quando ho avvisato Atene che il ragazzino era arrivato e che avevo iniziato ad addestrarlo, mi hanno risposto che loro non ne sapevano nulla.»
 «Stai scherzando?»
«Mais bien sûr que non!» Pausa. «No che non scherzo. E credimi, ricevere una lettera dal Sommo Sion in persona, e non dal suo ufficio, è stato ancora più strano.»
«E?» Perché c’è un «E?» che galleggia nel grande mare dei sottintesi. E Milo sa – e Milo sente – che non sarà l’ultimo. Tutt’altro.
«Mi sono fatto raccontare la sua storia. Per capire
Tu che parli con qualcuno? Di tua sponte? «E?»
«E mi ha raccontato che è stato inviato a conquistare l’armatura del Cigno. Da un certo Kido. Capisci? Qualcuno si è preso la briga di dare un’infarinatura generale a quel ragazzino per poi spedirlo da me. Nemmeno fossi una scuola privata!»
«E il Sacerdote che ha detto?»
«Di tenerlo d’occhio. Intanto avrebbe svolto delle indagini.»
«Ti ci vedo...»
«Sono un pantruchard. Un parigino. Sai qual è il nostro motto?» La testa di Milo va da destra a sinistra un paio di volte. «Fluctuat nec mergitur. È sballottata dalle onde, ma non affonda.»
«Chi?»
«Ma niente. C'è una nave, sullo stemma della città.»
«Ah.»  
«Comunque. Sono stato al gioco. E intanto lo massacravo di allenamenti. Tanto ero sicuro che Isaac avrebbe conquistato l'armatura. E invece...» Pausa. «Sai che è uscito fuori?»
«Che Hyoga non era il solo.»
«Esatto. Questo Kido aveva inviato dei ragazzini ai quattro angoli della Terra allo scopo di farne dei Santi.»
«Che sono poi gli stessi che Saori Kido ha radunato per quella pagliacciata televisiva.»
«Precisamente.» Pausa. «Tu lo sapevi…?», e gli occhi di Camus si assottigliano a due mezzelune.
«Ci sono arrivato. La gente mormora», ribatte Milo, le mani nelle mani. «Questo posto è un covo di pettegole. E anche se scansi certe storie, le Attendenti te le scodellano assieme alla cena. Si dice che. Ho sentito che. Pare. Qualcosa ascolto. Hai visto mai?»
«Ma hai dovuto farmi vuotare il sacco lo stesso...»
«Certo che sì. Ma adesso non svicolare. Stavamo parlando di altro.»
«Giusto. E?»
«Uno di loro stato addestrato qui. Pegaso. SeiqualcosaDall’Aquila. Marin. L’amica di Aiolia.»
«E il Leone…»
«È andato a Tokyo. Per sistemare la faccenda con le sue mani, diceva lui. E questo è il risultato.» Milo sbuffa. «Mi ha scippato la missione sotto il naso e non ha concluso un cazzo! E poi non è un tipo tutte chiacchiere e distintivo?»
«E il Sacerdote, come l’ha presa?»
«Non ne ho la più pallida idea», ribatte Milo. «Sono tornato due giorni fa dall’isola di Andromeda. Non lo so. Ma dalla faccia che aveva ieri sera, dev’essersi preso una di quelle strigliate come Dio comanda…» Questo spiegherebbe anche perché mi abbia mandato ad eliminare Cefeo, sull’Isola di Andromeda. Tutti i nodi vengono al pettine, no?
Camus aggrotta le sopracciglia.
Strigliata? Nossignore, quella non era la faccia di chi si è preso una cazziata come si deve. Quella era la faccia di qualcuno che stava male…
«Sei…», sicuro?, vorrebbe chiedere a Milo, ma qualcosa lo blocca. Una colonna di luce si alza dalla Casa del Leone. Ampia. Luminosissima. Sfavillante di energia come solo Aiolia sa essere. E poi un silenzio assordante riprende possesso della Scalinata del Santuario. «A… Aiolia?»
Camus suda freddo. Milo trattiene il fiato.
«È… è vivo», dice poi lo Scorpione, riprendendo a respirare.




 
   
 
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