Lo
sguardo di Riley continuava a seguire i capi di vestiario che venivano spinti
dall’acqua nel cestello della lavatrice in una spirale continua. Stava
aspettando che il lavaggio terminasse, così da recuperare gli indumenti puliti;
gli abiti colorati, la nota effervescente del suo guardaroba.
La
lavanderia comune del condominio era un luogo privo di interesse, per questo
gli occhi di Riley non si staccavano dai vestiti che roteavano nella lavatrice,
il muro di mattoni alle spalle di quest’ultima era decisamente più noioso. Vittima
dell’attesa la mente della ragazza prese a vagare e come le succedeva da troppi
giorni, ormai, Riley si ritrovò a pensare a Jack per l’ennesima volta.
Il
ragazzo mancava dal suo appartamento da più di quindici giorni. L’ultima volta
che Riley lo aveva sentito uscire di casa era stato il lunedì di quasi tre
settimane prima e poi non aveva più dato alcun segno della sua presenza. Quello
stesso week end Jack non si era visto, così come quello successivo e la ragazza
era ormai sicura che anche quel giorno – il sabato che anticipava il terzo week
end dopo la scomparsa del ragazzo – di lui non ci sarebbe stata alcuna traccia.
Una
simile assenza da parte di Jack era strana e la cosa agitava non poco la
ragazza. Capitava che lui sparisse, di tanto in tanto, ma mai per periodi così
lunghi. Più i giorni passavano più Riley temeva il peggio e non riusciva a
darsi pace. Avrebbe voluto cercarlo, ma non aveva idea da che parte cominciare.
Aveva addirittura pensato di raggiungere la casa della famiglia Miller e
chiedere loro se Jack si trovasse là e, in caso contrario, se sapessero dove
fosse andato a cacciarsi. Non lo aveva mai fatto perché le era mancata la forza
per imporsi una simile missione, perché ancora non aveva pensato a cosa dire se
si fosse trovata faccia a faccia con Jack. Dopo quel pacchetto di marshmallow
abbandonato davanti al suo ingresso di casa non aveva più avuto segnali da
parte del ragazzo. Se quello era un ramoscello d’ulivo offerto per la loro
riappacificazione, lei lo aveva accettato, ma non era riuscita ad andare oltre.
Sentiva che, alla vista di Jack, le sarebbero mancate le parole, l’intuizione
per articolare la frase giusta e la forza per non lasciarsi abbandonare ai
ricordi e cadere così preda del rimorso.
A
distanza di quattro settimane da quella fatidica notte, però, era certa che le
cose in lei erano cambiate e che possedeva nuovamente la forza necessaria per
ricostruire poco a poco il suo legame con Jack. Tuttavia del ragazzo non vi era
più traccia e questo era il nuovo problema affiorato a fermare tutto proprio quando
lei si sentiva pronta a cominciare.
La
lavatrice smise di vibrare con forza, terminando di scaricare l’acqua dopo la
centrifuga, il bucato era pronto. Riley inspirò il profumo di lavanda che tanto
le piaceva del suo detersivo e iniziò a prendere gli abiti puliti e a
ammonticchiarli nel cesto per poter così risalire in casa con il bucato fatto. Salì
i due piani di scale con calma, la mente che ripercorreva le strofe di una
canzone e arrivò all’appartamento 24. Estrasse le chiavi dalla tasca della
felpa, scostò i capelli che, sciolti, si ostinavano a ricaderle sul viso e
infilò la chiave nella serratura. Prima di farla scattare sentì dei rumori
provenire dalle scale e si voltò istintivamente a guardare di chi si trattava.
Dalla rampa, nascosta dietro la parete, comparve Jack.
Il
cesto del bucato per poco non cadde dalle mani di Riley appena vide il ragazzo.
Jack teneva gli occhi bassi, intento a cercare nel mazzo di chiavi quella che gli
avrebbe permesso di aprire la porta di casa. Si accorse di sfuggita della
presenza di qualcuno nel corridoio, proprio davanti a lui e come sollevò lo
sguardo vide Riley che lo stava osservando. Le labbra gli si incurvarono in un
sorriso e tutto il suo volto si distese.
«Riley,
ciao» disse, apparendo davvero felice di avere la ragazza davanti a sé.
Lei
era immobile a scrutare attentamente il ragazzo, come per accertarsi che fosse
veramente lui e non qualcuno con le sue sembianze. Lo trovò dimagrito, cosa che
risultava sospetta. Jack era già piuttosto magro, ma il suo viso era più
scavato di quanto lei ricordasse. Tuttavia le fu inevitabile trovarlo perfetto,
come era da sempre. I capelli corvini erano leggermente più lunghi e sempre
perfettamente scompigliati sopra la sua testa. Il suo sorriso era il migliore
che lei potesse sperare di vedere e gli occhi grigio-azzurri continuavano a
essere il coronamento di un viso impeccabile.
«Ciao»
rispose infine. Rimase sorpresa dalla sua voce, che le parve incerta. Non
sapeva esattamente come sentirsi, ma le fu innegabile essere sollevata e felice
del fatto di avere nuovamente Jack davanti agli occhi.
Il
ragazzo rimase a guardarla, il sorriso in volto, senza dire nulla. Continuava a
tenere la mano con le chiavi sollevata, ma il mazzo aveva perso ogni interesse.
Riley abbassò un momento gli occhi sulla cesta con i vestiti puliti, il suo
sguardò vagò da lì alla sua porta d’ingresso.
«Vuoi
venire a bere qualcosa?» chiese all’improvviso.
Un
lampo di luce attraversò rapido gli occhi di Jack. Quest’ultimo si esibì in un
nuovo sorriso, molto più amabile del precedente. Prima che potesse rispondere,
però, Riley riprese la parola: «Posso offrirti un caffè. O un thè. Ho anche
della cioccolata calda, se preferisci.»
«Un
caffè andrà benissimo, grazie.»
Fu il
turno di Riley di sorridere a Jack. Aprì la porta di casa e fece strada al
giovane, che seguì il piacevole profumo di lavanda fin dentro l’appartamento. Nella
casa di Riley nulla era cambiato e a Jack fece uno strano effetto rientrarvi
dopo un mese. Non si accomodò come era abituato a fare, aspettò che fosse lei a
dargli il permesso di farlo. Riley scomparve un momento nella sua camera e
ritornò quasi subito nel soggiorno con angolo cottura. Raggiunse i fornelli,
voltandosi verso Jack. «Siediti pure.»
Il
ragazzo si sistemò a un lato del tavolo, tamburellando leggermente sulla sua
superficie con le dita. Si sfilò la giacca e si tirò su le maniche del
maglione. Il caffè era già pronto. Riley lo fece scaldare per bene e ne riempì
due tazze, porgendo la propria a Jack. Si sedette al lato opposto rispetto a
quello in cui si trovava lui e lo guardò da dietro il fumo argentato che saliva
dalla sua tazza.
«Era
da un po’ che non ti vedevo» ammise.
Jack
si strinse nelle spalle, una leggera smorfia in viso. «Sono dovuto rimanere per
qualche giorno dai miei. Niente di che, solo questioni famigliari.»
«Ho
capito. Beh, mi… mi fa piacere rivederti.»
«Anche
a me. Volevo giusto passare a salutarti appena rientravo.»
A
Jack non sfuggì il sussulto leggero che Riley compì appena lui smise di parlare.
C’era ancora della tensione fra loro ed era abbastanza sicuro di sapere perché.
Probabilmente Riley era convinta che lui si sentisse a disagio avendola davanti
dopo aver scoperto che lei lo amava. Tuttavia per Jack la cosa era quasi priva
di importanza. Avrebbe fatto il possibile per riavere la sua amica e ci avrebbe
provato anche con la consapevolezza di quel sentimento troppo forte che non era
in grado di ricambiare. Ciò che complicava le cose era il senso di
inadeguatezza che quasi certamente provava Riley e che la faceva sentire in
imbarazzo come non era mai stata davanti a lui. C’era tanto su cui lavorare e
la parte più grossa del compito spettava proprio a lui.
«Cos’hai
fatto di bello nell’ultimo periodo?»
Jack
provò a tastare il terreno, per vedere quanto Riley avesse ancora voglia di
parlare di sé. La ragazza fece un gesto vago con la mano. «Niente di che a
essere onesti. Lavoro, film, Playstation. Questa è stata la mia routine.»
Si
sentiva stupida ad ammettere una cosa del genere, ma in fondo si trattava della
realtà. Fatta eccezione per qualche sporadica visita da parte di Elizabeth, a
Riley era tornata voglia di ricomparire in mezzo alle persone solo negli ultimi
giorni. Jack bevve un sorso di caffè, annuendo.
«Ho
visto che tua madre sta andando piuttosto bene nei sondaggi» riprese poi la
ragazza.
«Sì»
fu la risposta, una leggera risata ad anticiparla. «Siamo tutto molto felici
per lei, ovviamente. Anche se è ancora presto per cantare vittoria. Siamo a
malapena a metà della campagna elettorale. Ci sono diversi stati che non è
ancora riuscita a conquistare.»
Il
giovane parlava della campagna elettorale della madre con disinvoltura, ormai
troppo abituato ai rapporti fra la sua famiglia e la politica. Suo padre era stato
Presidente degli Stati Uniti due mandati prima e sua madre, che stava
concorrendo per quella carica alle prossime elezioni, era l’attuale Segretario
di Stato del governo. Anche suo fratello Connor avrebbe sicuramente seguito le
orme dei genitori. L’unico a cui di politica importava il minimo necessario era
proprio lui. A lui sarebbe bastato riuscire a portare a termine il suo progetto
per sentirsi realizzato, ovvero aprire, finalmente, il night club che aveva
sempre desiderato possedere. Una casa dei vizi – come suo padre lo aveva definito
– per cui non possedeva il denaro proprio perché i vizi di cui era prigioniero
gli portavano via i soldi a ogni fine settimana. Una situazione difficile la
sua che in pochi, davvero in pochi, conoscevano.
Come
se gli avesse letto nella mente, Riley domandò: «Il night invece, come
procede?»
Jack
si strinse nelle spalle, allontanando un momento lo sguardo chiaro dalla
ragazza. Inspirò a fondo prima di parlare: «Ah, a rilento, purtroppo. Non ho
ancora trovato un finanziamento. Vorrei evitare di indebitarmi con una banca.»
«I
tuoi genitori non sono disposti ad aiutarti?»
Scosse
la testa: «No. Mia madre mi ha detto che se mio padre fosse stato d’accordo mi
avrebbe dato i soldi. Ma, com’era prevedibile, mio padre non vuole
assolutamente che io apra il night.»
Pareva
essere più irritato che dispiaciuto per la cosa.
«Comunque
sia non mi arrendo. Da qualche parte ci sarà senz’altro qualcuno disposto a
mettersi in gioco con me.»
Sorrise,
con apparente sicurezza. Tuttavia Riley riuscì a notare la leggera incertezza che
trapelava ugualmente da quel gesto. Conosceva ormai troppo bene Jack e sapeva
che la paura di non riuscire a realizzare il proposito per il quale aveva perso
il sonno tante volte lo tormentava. Quel night club, che rimaneva solo un
progetto ambizioso e studiato fino ai minimi dettagli, restava una delle cose
che avrebbe permesso a Jack di dare un senso effettivo alla propria vita.
«Le
idee chiare le hai. Secondo me è solo questione di tempo.»
Riley
tentò di rincuorarlo così, con parole in cui credeva. Jack rispose sorridendole
e bevve un nuovo sorso del suo caffè, ormai prossimo a essere ultimato. Gli fece
piacere vedere che la ragazza avesse ancora voglia di spendere parole di
fiducia nei suoi confronti. Anche se sottile e fragilissimo c’era pur sempre
qualcosa che continuava a unirli. Era fondamentale evitare di compiere gesti
che avrebbero potuto rovinare tutto una seconda volta.
Prima
che Jack potesse ringraziare per quell’iniezione di fiducia il suo telefonino
squillò. Sospirò, cercando fra le tasche della sua giacca il cellulare, che
continuava ostinatamente a suonare. Quando lo ebbe finalmente trovato le sue
labbra si tirarono in una smorfia. Passò una mano fra i capelli scuri e lanciò
un’occhiata a Riley. «Scusami» le disse, apparendo davvero dispiaciuto. «È una
di quelle chiamate che non posso ignorare. E mi ha anche ricordato che ho un
impegno.»
Si
alzò in piedi, infilandosi in fretta la giacca. Il telefono, intanto, non ne
voleva sapere di zittirsi. «Grazie per il caffè. Ci vediamo presto.»
Riley
replicò al saluto con un gesto della mano e un sorriso appena abbozzato. Jack aspettò
quel cenno prima di regalare un nuovo sorriso alla ragazza e uscire dal suo
appartamento, rispondendo finalmente al cellulare.
Lei
rimase a sedere al tavolo, finendo il suo caffè, gli occhi sempre puntati sulla
porta chiusa. Jack aveva riportato il suo profumo in casa della ragazza. La
cosa portò una sorprendente ventata di speranza in Riley. Il ragazzo si era
comportato con lei come aveva sempre fatto e questo non poteva che farle
augurare che, con il tempo, le cose fra loro si sarebbero aggiustate.
Tuttavia
nel ragazzo c’era qualcosa che non andava. Il modo in cui lui aveva parlato del
night e dall’occhiata che aveva lanciato al cellulare appena letto il nome
sulla schermata, le avevano permesso di intuire che non era tutto così sotto
controllo come il tono usato da Jack voleva lasciar supporre. Con molta
probabilità qualcosa lo tormentava, oppure qualcosa gli era accaduto e
continuava a perseguitare il giovane a distanza di giorni.