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Autore: Ella Rogers    01/05/2016    5 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Tra ricordi e diffidenze
 
Si appoggiò allo stipite della porta e rimase a guardarlo in silenzio.
Da poco uscito dalla doccia, Rogers era impegnato a rinfilarsi i pantaloni cargo, che si stringevano attorno alle caviglie e i polpacci e gli fasciavano il sedere in un modo tale da farla sogghignare compiaciuta.
Ma le labbra tornarono ben presto a formare una linea dura, non appena lo sguardo le scivolò lungo la sua schiena. Ematomi violacei si stagliavano crudelmente sulla pelle chiara del super soldato e bruciature aventi la forma di lunghe dita erano nitidamente impresse sulle braccia.
Lo ascoltò lamentarsi sommessamente, mentre tentava di indossare la maglia nera con movimenti cauti e lenti.
 
“Non mi permetterai di darti una sistemata, giusto?”
 
Steve sussultò appena, prima di voltarsi. Abbassò velocemente la maglietta, stringendo i denti per il gesto brusco. Ad Anthea, però, non sfuggirono le brutte contusioni che gli percorrevano l’addome scolpito.
L’oneiriana avrebbe potuto guarire le sue ferite, aiutarlo a recuperare più in fretta le forze, ma il super soldato non le avrebbe permesso di fare niente di tutto questo, perché lui sapeva in cosa consisteva quel particolare processo di guarigione.
Se Anthea lo avesse curato, avrebbe preso su di sé un dolore che non le apparteneva e Steve non era intenzionato ad accettare un tale compromesso.
 
“Sai che sono contrario. Non ti lascerò prendere il mio dolore” fu infatti l’incontestabile risposta del biondo.
E la ragazza sorrise, constatando che era rimasto il solito altruista testardo.
Rogers, intanto, si era seduto sul letto sfatto e stava infilando gli stivali marroni. Strette le stringhe, si rimise in piedi e puntellò le mani sui fianchi, prendendo un bel respiro profondo e cercando di scacciare i rimasugli di un sonno stracolmo di incubi e inquietudini.
 
Dalla finestra socchiusa della stanza da letto entrava una lieve brezza, assieme alla luce pallida del sole appena sveglio. Una piccola nuvoletta di vapore sgusciava dalla porta del bagno interno alla camera, prova del fatto che Steve era stato parecchio tempo sotto il getto d’acqua bollente della doccia.
Anthea non riuscì a sopportare un secondo di più il silenzio imbarazzante che si era venuto a creare, perciò si fece forza e cercò gli occhi limpidi del ragazzo, scoprendoli distanti più che mai.
 
“Potevi venire ad avvisarci di essere ancora vivo” gli disse, per rompere il ghiaccio.
Rogers, però, parve non cogliere la vena scherzosa nella voce dell’oneiriana e si rabbuiò di colpo, come se un brutto pensiero avesse appena messo le radici nel suo animo.
Effettivamente fu così. Anthea poté percepirlo, grazie al sottile legame che ancora esisteva tra loro. Legame che, tuttavia, Steve non pareva sentire affatto.
 
“Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per digerire gli eventi degli ultimi giorni.”
E avevo fottutamente paura di non trovare più né te né Bucky. Paura di venire a scoprire che ve ne foste andati’ fu il pensiero che Steve preferì tenere per sé.
Il terrore di rimanere solo gli era penetrato sotto la pelle e lo sentiva agitarsi nello stomaco.
Di riflesso, l’oneiriana divenne partecipe di quel timore che mai, prima di allora, era stato tanto intenso nel giovane Capitano.
In un soffio, frantumò la distanza tra i loro corpi e gli avvolse le braccia esili attorno al collo. Se lo tirò letteralmente addosso, con tanta forza da rischiare di far perdere l’equilibrio ad entrambi.
Steve si rilassò in quel caldo abbraccio, mentre la ragazza gli carezzava i capelli ancora umidi con dolcezza, solleticandogli l’incavo del collo con il respiro.
“Dio, Steve.”
Anthea poggiò la fronte sul petto del biondo e fece scivolare le mani sulle sue spalle larghe, stringendo forte il tessuto della maglia nera tra le dita.
 
Steve aveva chiuso gli occhi e si era quasi totalmente abbandonato contro di lei. Avrebbe voluto farle tante domande, dirle che era arrabbiato perché lo aveva lasciato senza alcun avviso, mandando a benedire la promessa del Per sempre.
‘Magari non adesso’ si disse.
In quel momento, voleva solo godersi il calore della ragazza. Gli era mancata così tanto, dopotutto. Si accorse che era diventata più alta, tanto che gli sarebbe bastato piegare il capo per sfiorarle il naso, mentre si guardavano negli occhi.
Non era più la ragazzina spaventata e straripante di insicurezza. La sua figura emanava una fermezza ed una sicurezza assurde, se si pensava a ciò che aveva dovuto subire ed affrontare in passato. Gli occhi magnetici dal colore inumano avevano assunto un taglio più deciso, più maturo. Erano grandi, gli occhi di Anthea, blu come gli abissi dell’oceano ed impreziositi da una brillante corona dorata che circondava la nera e lucida pupilla. I lineamenti del viso avevano quasi del tutto perduto i tratti della fanciullezza, mentre le forme del corpo erano divenute più armoniose ed erano messe in risalto da quello che doveva essere un abito proprio del suo popolo.
Anthea era cresciuta, era cambiata e Steve non riusciva a credere che fosse proprio lì.
Eppure, era conscio che non sarebbe stato in grado di comportarsi come se gli ultimi dieci mesi non fossero esistiti, come se lei non l’avesse tradito, lasciandolo senza degnarsi di rivolgergli una sola maledetta parola.
 
“Mi farai morire, presto o tardi. Lo sai questo?”
Anthea si era tirata indietro, ma le mani stringevano ancora le braccia del super soldato. Gli stava rivolgendo uno sguardo tra il severo e il rassegnato.
“Non farmi la predica.”
La ragazza fece spallucce, sorridendo appena.
“Non credo servirebbe, comunque. Sei un Idiota patentato, Rogers.”
“Rogers? Davvero? Ti ricordo che sono io quello arrabbiato” ribatté il super soldato, piccato.
Anthea abbassò il capo e pose fine al contatto tra loro, incrociando le braccia sotto i seni e cacciando fuori un sospiro contrito. Non era facile per lei ignorare la palpabile freddezza insita nel tono del biondo.
“Lo so.”
Ed alzò le mani in segno di resa, sconfitta.
“Finisci di darti una sistemata e cerca di non stressarti con troppe elucubrazioni mentali” aggiunse poi, con tono autoritario.
Steve la osservò dirigersi verso la porta. La lunghissima treccia oscillava ad ogni passo, carezzandole la base della schiena.
“È strano sentirti pronunciare il mio cognome. Mi hai sempre chiamato solo Steve.”
L’oneiriana, che si era bloccata nel sentirlo parlare, si voltò a guardarlo, con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto sghembo a piegarle le labbra.
“Ti ci abituerai, Capitano Rogers. Non riesci proprio a stare lontano dai guai, eh?”
“Sono loro che trovano me.”
“Hai già usato questa scusa.”
“Il giorno in cui sei andata via, lo so.”
Quell’ultima costatazione, Steve la fece con palese durezza e Anthea ne rimase spiazzata, anche se avrebbe dovuto aspettarsi di ricevere, presto o tardi, l’accusa di averlo abbandonato.
Il Capitano possedeva tutte le ragioni per avercela con lei, dopo quanto era accaduto dieci mesi prima.
Anthea si sentiva profondamente in colpa e sapeva che, inesorabilmente, Steve aveva eretto fra loro un sottile ma tangibile muro, perché lei aveva commesso il grave errore di tradire la sua fiducia.
 
Non riuscivano più a guardarsi negli occhi, senza avvertire un triste gelo insinuarsi subdolamente nei loro cuori.
 
“Ci sono un paio di cose che devo chiederti, Anthea” asserì asciutto Rogers, di colpo.
 
Ma non ci fu tempo per parlare ancora, perché James irruppe nella stanza e puntò gli occhi sul Capitano.
 
“Devi venire a vedere.”
 
Steve ebbe un momento di esitazione. Era dannatamente strano riavere Bucky. Lo aveva cercato per mezzo mondo e adesso era lì con lui. E ricordava.
Quanto avrebbe voluto abbracciarlo, sapere quali ricordi avesse recuperato e offrirgli tutto il supporto possibile. Peccato che fossero implicati in una situazione scandalosa e che lui stesso avesse disperatamente bisogno di una spalla a cui appoggiarsi.
 
In un teso e scomodo silenzio, scesero tutti e tre al piano terra e raggiunsero l’attico, costituito da un’intera parete di vetrate.
Steve si guardò intorno con fare curioso. Il design moderno e raffinato di quel posto entrava in netto contrasto con un evidente stato di abbandono, testimoniato dai veli di polvere che ricoprivano il parquet e la mobilia. Intercettò il suo scudo e lo zaino contenente l’uniforme da Capitan America abbandonati su una poltroncina in pelle marrone.
“Dove siamo?” chiese.
Barnes scosse appena il capo, mentre li guidava verso un televisore a schermo piatto acceso e sintonizzato su un notiziario.
“Non ha importanza, Steve. Concentrati su questo.”
 
Nonostante non avesse gradito molto la risposta dell’amico, Rogers fece come gli era stato detto e spostò l’attenzione sul notiziario.
Apprese che erano le cinque del mattino e che, da quasi nove ore, speciali task force dell’FBI e dello stesso esercito americano avevano preso d’assedio una palazzina nei pressi di Capitol Riverfront.
 
“Sembra che i Vendicatori non siano disposti ad arrendersi. Della prima squadra inviata nel palazzo non si hanno notizie e ciò non può essere interpretato se non come una dichiarazione di guerra da parte degli ex eroi, non intenzionati a consegnarsi alla giustizia …”
 
Rogers smise di ascoltare. Un’ardente rabbia gli infiammò il petto e, preso da un senso di disperazione, si mise le mani tra i capelli, serrando la mandibola con violenza.
‘È colpa tua. Solo tua. Tua.’
Scattò in direzione della poltroncina marrone, mentre si sfilava la maglia e la gettava sul pavimento. Cominciò a tirare fuori dallo zaino i pezzi della divisa, ignorando gli sguardi insistenti dell’oneiriana e del Soldato.
 
“Cosa vuoi fare?” sbottò Anthea, a un certo punto.
“Mi pare evidente” fu la sola glaciale risposta del biondo, che intanto si era liberato degli stivali ed aveva già indossato la parte superiore dell’uniforme.
La ragazza si strinse il ponte del naso tra il pollice e l’indice della mano destra, cacciando fuori un ringhio frustrato.
“Vuoi affrontare a viso aperto una decina di squadre armate, quindi?”
Tolti i pantaloni, il Capitano infilò la parte inferiore della divisa, dove c’era il piccolo foro lasciato dal proiettile con cui Rumlow gli aveva trapassato la gamba destra. Poi passò ai guanti senza dita.
“Accidenti, Steve. Mi stai ascoltando?”
Anthea coprì la distanza che li separava con tre ampie falcate e artigliò il biondo per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di sé.
“Non provare a fermarmi.”
Quasi faceva fatica a riconoscerlo. Non aveva mai visto tanto odio in quegli occhi limpidi. Dov’era finita la bellissima luce capace di scaldarle il cuore?
Lasciò andare il suo braccio e sospirò, annuendo appena.
“Sono con te, allora.”
 
“Preparo l’attrezzatura” asserì Barnes, guadagnandosi l’attenzione di entrambi.
 
Steve rimase per un attimo con il fiato sospeso e le parole faticarono a venire fuori. Era in balia di un’ondata inarrestabile di emozioni e non riusciva a gestirle. Quel che era accaduto nella base nascosta sotto il Triskelion lo aveva profondamente e irrimediabilmente segnato. Stava cercando di accantonare pensieri che continuavano a scavargli nell’animo, ferendolo con i loro artigli acuminati e gelidi come le acque di quell’oceano in cui avrebbe voluto rimanere sepolto. Lo consideravano un’Arma, non una persona. E l’avevano usato, senza che se ne rendesse conto.
Fin quando aveva seguito gli ordini, i piani alti, pur controllandolo attraverso lo SHIELD, gli avevano comunque lasciato una certa libertà.
Aveva combattuto cellule terroristiche, mercenari al servizio di uomini che non si facevano scrupoli ad uccidere per denaro e potere. Si era fatto in quattro per migliorarsi, sperando di sentirsi di nuovo utile e parte di un mondo che non gli apparteneva, ma a cui era stato costretto ad adeguarsi.
Poi aveva scelto di fare di testa propria, seguendo gli ideali per i quali Erskine gli aveva concesso il privilegio di possedere una forza fuori dal comune.
Non un soldato perfetto, ma un uomo giusto.
Lui aveva cercato di esserlo, un uomo giusto, fino in fondo. Eppure, adesso, era braccato alla stregua di sporca feccia, ritenuto un soggetto pericoloso e altamente instabile. Il Consiglio Mondiale di Sicurezza - di Sicurezza, perdio! - aveva fatto accordi con Teschio Rosso, per poter cancellare lui e tutti gli Avengers dalla lista dei suoi problemi.
Su quella lista c’era anche il Soldato d’Inverno. E avrebbero aggiunto Anthea, nel momento in cui l’avrebbero vista combattere al suo fianco. Ma se la ragazza aveva la possibilità di abbandonare la Terra, per Bucky non era lo stesso.
Il Soldato d’Inverno era già condannato alla pena di morte e non poteva permettersi di essere catturato. Era riuscito a rimanere invisibile agli occhi di tutti fino a poco tempo prima, eppure era uscito allo scoperto per sottrarlo ad un’esistenza fatta di buio ed obbedienza.
 
“Non ho un piano, Bucky. Andrò lì senza pensare alle conseguenze. Sei sicuro di volermi seguire?”
 
Barnes si passò una mano tra i capelli, riportando indietro alcuni lunghi ciuffi scuri. Sul suo viso nacque un’espressione che colpì Rogers nel profondo, perché in quel momento sembrava proprio il suo Bucky.
Il sorrisetto sbieco, un sopracciglio leggermente arcuato verso l’alto e lo sguardo tra il rassegnato e il divertito.
Quella era l’espressione ‘Hai fatto una cosa stupida, lo sai Steve?’, quella stessa espressione che aveva trovato ad attenderlo dopo ogni rissa persa, dopo ogni tentativo di arruolarsi sotto falso nome e, una volta diventato Capitan America, dopo ogni mossa azzardata sul campo di battaglia.
 
“E tu che avevi detto che tutta la stupidità me l’ero portata appresso io. Ti è rimasta appiccicata, Steve.”
 
Ulteriore colpo al cuore. Il sarcasmo di Bucky sapeva maledettamente di casa.
Steve non poté evitare di ridere e si portò una mano al viso, per coprire gli occhi umidi.
Dietro la postura rigida, l’espressione guardinga e la freddezza dello sguardo, James Buchanan Barnes esisteva ancora.
 
Bucky si fece più vicino e strinse tra le dita - quelle umane - la spalla sinistra del biondo, invitandolo a scoprire il viso e a guardarlo.
“Ti seguirò, perché non posso evitarlo. I miei ricordi sono ancora confusi e faccio fatica a distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è, ma so chi sei tu e cosa significhi per me. Fino alla fine, no?”
“Fino alla fine” ripeté il Capitano.
“Devi promettermi una cosa, Steve. Sono instabile e, alcune volte, è il Soldato d’Inverno a prendere il sopravvento. E lui ha una missione rimasta in sospeso. Quindi, sta’ attento. Non abbassare del tutto le tue difese quando sei con me. Ti chiedo solo questo.”
Rogers si limitò ad annuire. Nel sentire quella confessione, lo stomaco gli si era attorcigliato su sè stesso e la voglia di sterminare l’Hydra una volta per tutte si era fatta improvvisamente bruciante.
 
L’oneiriana non riusciva a staccare gli occhi dai due super soldati. Sembravano essere legati da un’antica e fortissima amicizia, nonostante James le avesse detto che aveva tentato di uccidere Capitan America. Avrebbe voluto sapere di più, capire cosa era accaduto tra di loro, ma non era quello il tempo di fare domande.
Una cosa era certa. Bucky era riuscito a sciogliere un po’ dell’odio insinuatosi negli occhi di Steve, permettendo a una scintilla di luce di fare capolino.
Osservò Rogers rinfilare gli stivali e stringere le cinghie di cuoio intorno alle spalle, prima di posizionare lo scudo dietro la schiena.
Barnes, intanto, era sparito su per le scale, per recuperare l’attrezzatura di cui aveva parlato.
 
“Anthea.”
La giovane incastonò le iridi buie in quelle più chiare di Steve, che ora sembrava combattuto ed incerto.
“Grazie per averci salvato ieri e mi dispiace di essere stato così duro con te prima” sputò fuori, tutto d’un fiato.
Anthea, sorpresa, fece un gesto di diniego con il capo e sorrise.
“Sono io che devo farmi perdonare. E non devi ringraziarmi.”
“Okay” fu l’unica cosa che il biondo riuscì a dire e si passò una mano tra i corti capelli biondi perennemente arruffati, esternando un certo nervosismo.
 
“Ti trovo bene, comunque.”
“Grazie, Steve.”
 
E il lieve rossore sulle guance del giovane super soldato fu sufficiente a provocarle le palpitazioni.
Il suo Steve non era sparito del tutto, allora.
 
 
                                                               *
 
 
“Sai davvero utilizzare tutte quelle armi?”
 
Steve occhieggiò al borsone nero abbandonato sui sedili posteriori, al fianco di Anthea.
 
“Mi hai visto in azione, no? Ho parecchi talenti, grazie all’Hydra. Tu invece? Ancora allergia per le armi da fuoco? O meglio, per qualsiasi arma non sia il tuo scudo?”
Il biondo fece spallucce e si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto.
“Io e il mio scudo ti abbiamo battuto, se non ricordo male.”
“Dillo alla tua faccia, Steve. Non credo sarebbe d’accordo” ribatté James, seriamente divertito.
 
Scherzare su quanto era accaduto durante i loro due violenti scontri era un buon modo per iniziare ad esorcizzare i demoni che inesorabilmente ne erano venuti fuori.
 
“Mi spiegate? Voglio capire” si intromise Anthea.
La giovane si sporse tra i sedili anteriori e attese spiegazioni che non arrivarono.
“Storia lunga” risposero i due all’unisono, facendola sbuffare sonoramente.
 
Alla guida di un’Audi SQ7 nera, rubata dalla casa dirimpetto a quella in cui si erano rifugiati per la notte - che Rogers ignorava ancora fosse di Pearce, dato che Barnes aveva preferito omettere questa informazione -, Steve stava percorrendo Rock Creek e Potomac Parkway, in direzione di Capitol Riverfront, che si trovava a circa venti minuti da Georgetown.
Erano quasi le sei del mattino e dal cielo plumbeo scendevano piccoli fiocchi di neve, i quali volteggiavano leggeri fino a posarsi sul sottile strato bianco che già ricopriva i terreni e le strade.
Meno di dieci minuti e sarebbero giunti sul posto.
Il Capitano lanciò una fuggevole occhiata allo specchietto retrovisore, per scorgere la figura esile dell’oneiriana, la quale era tornata al suo posto, dietro il sedile anteriore del passeggero, e aveva gli occhi puntati fuori dal finestrino, persa in chissà quali pensieri.
‘Ti trovo bene’ le aveva detto e si diede dello stupido per quell’uscita stupida, perché il suo cervello era andato stupidamente in loop, quando l’aveva guardata davvero, evitando di pensare al motivo per cui era arrabbiato con lei. E quell’uniforme, attillata quanto la tuta in pelle della Vedova, non lasciava molto all’immaginazione. Certo, non avrebbe dovuto soppesare certe cose, data la situazione per niente consona, ma diamine! era stato a letto con lei - e solo con lei - più di una volta e quei pensieri gli erano subdolamente entrati in testa, senza che potesse fare nulla per fermarli.
Stupido.
 
“Hanno evacuato e circondato il quartiere. Nessuno può entrare o uscire passando inosservato. E c’è un elicottero della televisione” snocciolò Barnes, richiamando alla mente le immagini e le informazioni ottenute dal notiziario.
“La tattica consiste nello sfondamento alla cieca, perciò passare inosservati non sarà un nostro problema.”
“Come vuoi tu, Rogers” fu il commento atono di Anthea, che intercettò lo sguardo del biondo attraverso lo specchietto e assottigliò gli occhi in un muto e minaccioso rimprovero.
 
Barnes sogghignò. La ragazza aveva un bel temperamento ed era palesemente legata a Steve da un qualcosa che andava oltre l’amicizia. Quel qualcosa lo aveva visto perfettamente quando le aveva parlato del destino che l’Hydra avrebbe riservato a Rogers, se non lo avessero strappato ai suoi viscidi tentacoli in tempo.
Gli occhi le si erano oscurati tanto da apparire abissali, senza fondo, e James aveva percepito l’aria tremare intorno a loro, come scossa da un potere oscuro e spaventoso.
Era stato un istante. Un intenso istante che gli era rimasto impresso nella mente.
 
 
 
“Ci siamo” annunciò Steve.
 
Quelle due parole posero fine a tutte le congetture mentali che avevano affollato le teste dei tre combattenti.
A cinquecento metri da loro c’era un posto di blocco, soprasseduto da otto uomini armati con indosso giubbotti antiproiettile e caschetti muniti di visiera trasparente.
C’erano due blindati fermi dietro di loro.
 
“Schermo i proiettili.”
 
Prima che i due super soldati afferrassero quelle parole, Anthea aveva già frantumato il finestrino e vi era sgusciata fuori, per raggiungere il tettuccio dell’auto.
Una volta comprese le intenzioni dell’oneiriana, Rogers affondò il piede sull’acceleratore, non preoccupandosi delle munizioni che i soldati avevano preso a scaricare addosso alla macchina. I proiettili, infatti, rimbalzavano su una specie di campo di forza e nessuno di essi riuscì a raggiungere il parabrezza.
“Siamo letteralmente in una botte di ferro con lei” convenne Bucky, mentre si allungava verso i sedili posteriori per afferrare il borsone e lo scudo del compagno.
Rogers, intanto, aveva superato il posto di blocco, aggirando i due blindati e il manipolo di uomini.
L’auto slittò appena sulla neve accumulatasi ai margini della strada, ma poi tornò in carreggiata.
 
“Ci vengono dietro” constatò il Capitano, tenendo d’occhio lo specchietto retrovisore.
 
Gli uomini del posto di blocco erano saltati sui loro veicoli e si erano lanciati all’inseguimento.
Il Soldato, armato di kalashnikov, scardinò lo sportello dell’auto e si sporse fuori.
 
“L’avevo presa in prestito l’auto.”
“Fanculo, Steve.”
 
James centrò le ruote anteriori della prima auto, che finì contro una ringhiera delimitante il giardino di un’abitazione. Erano nel mezzo di un centro abitato, perciò le strade erano strette e costeggiate da lunghe file di palazzine, che fortunatamente erano state evacuate.
Rogers sterzò parecchio bruscamente a sinistra e ci mancò poco che Bucky fosse sbalzato fuori dal veicolo.
 
“Steve!”
Il richiamo arrivò sia dal Soldato sia dall’oneiriana. Quest’ultima era ancora sul tettuccio dell’auto e non era caduta per miracolo.
“Scusate.”
Ma non passò molto, prima che il Capitano fu costretto ad eseguire un’altra manovra di fortuna. Altri due blindati, infatti, stavano venendo loro incontro, perciò non poté fare altro, se non svoltare a destra e passare su una sfortunata aiuola imbiancata dalla neve.
Questa volta, Barnes gli finì addosso e un tonfo sordo provenne dal tetto, la cui lamiera venne inevitabilmente ammaccata.
 
“Propongo di continuare a piedi” asserì il Soldato con convinzione, mentre tornava al suo posto.
“Proposta accettata. Reggiti.”
Rogers frenò a secco e i freni emisero stridii simili a grida ingiuriose.
Anthea venne catapultata in avanti, ma i riflessi pronti l’aiutarono ad atterrare in piedi.
Uno dei blindati finì per tamponare l’Audi ormai mezza distrutta e gli airbag salvaguardarono le teste dei due super soldati, i quali, dopo un attimo di smarrimento, impugnarono le armi e saltarono fuori dal veicolo, correndo verso la ragazza.
 
“Ricordami di non salire mai più in macchina, quando al volante ci sei tu, Steve.”
“Esagerato.”
“No, ha ragione” si intromise Anthea, che era venuta loro incontro.
 
Insieme si diressero verso la palazzina color mattone, sopra la quale stava volando l’elicottero, che pareva un condor pronto a gettarsi sulle sue prede.
I tre blindati sopravvissuti al tamponamento tagliarono loro la strada, costringendoli a fermarsi. Ne scesero una quindicina di uomini che imbracciavano fucili d’assalto.
“Steve Rogers lo vogliono vivo” gridò uno dei soldati.
 
“Grazie per l’informazione. Anthea, copri Bucky.”
Il Capitano scattò in avanti, prendendo alla sprovvista sia i nemici sia i compagni di quella squadra improvvisata ma funzionante.
I soldati furono sopraffatti dalla forza e la velocità del ragazzo a stelle e strisce, che approfittò fino in fondo dell’immunità che aveva a disposizione.
Non potevano ferirlo mortalmente, ergo non potevano fermarlo.
 
“Se non lo uccidono loro, lo farò io” fu il tagliente commento di Anthea.
“Conta pure su di me” rincarò il Soldato, prima di buttarsi nella mischia, conscio di avere le spalle coperte.
 
 
                                                          *
 
 
“Che diavolo sta succedendo là fuori?”
 
Sam non attese che qualcuno gli rispondesse. Scivolò verso la finestra e cautamente sporse la testa fuori.
La sua attenzione venne inesorabilmente catturata dal groviglio di uomini che si muovevano caoticamente, a circa cinquanta metri dalla casa sicura, ora trasformatasi in una prigione senza alcuna via d’uscita.
Era difficile capire cosa stesse effettivamente accadendo, dato che pareva essere in corso una di quelle risse da bar, dove tutti sono trasportati da un’inspiegabile euforia di spaccare qualcosa o qualcuno e, alla fine dei conti, non ci si ricorda nemmeno quale sia stata la scintilla che ha accesso la miccia esplosa in un caos liberatorio. Naturalmente, quelli erano ricordi del fronte e Sam poteva affermare di aver preso parte a un paio di quelle risse, per scaricare le tensioni e zittire i demoni della guerra. Servivano soprattutto a quello le scazzottate tra soldati, in fondo.
Assottigliò gli occhi e colori inconfondibili si impressero nella sua pupilla, seguiti poi dalla figura familiare di quel compagno di viaggio che avrebbe seguito ovunque.
“Non ci crederete mai.”
 
Wilson sobbalzò, quando si ritrovò la dannatamente silenziosa Vedova Nera alle spalle.
Anche Natasha spinse lo sguardo in direzione della battaglia in corso e al pararescue non sfuggì la calda scintilla che le illuminò le iridi smeraldine. Ma la scintilla si estinse velocemente, perché la rossa intercettò una presenza che avrebbe preferito non fosse presente. E come se quella sorpresa non bastasse, c’era una terzo soggetto che mai si sarebbe aspettata di vedere.
 
“Qualcuno si decide a parlare?” sbottò Clint, seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata ad una parete.
L’arciere era pallido. Sudore freddo gli imperlava la fronte e i denti battevano appena per il freddo. Molto probabilmente la ferita si era infettata e la febbre era stata un’inevitabile conseguenza.
Erano rinchiusi in quell’appartamento da dieci ore, ormai. Nessuno tra loro era riuscito a chiudere occhio, per il timore di un agguato improvviso. I nemici, però, si erano limitati ad attenderli fuori, consci dell’enorme rischio che avrebbero corso se avessero deciso di affrontarli direttamente.
Il piano delle task force era di sfiancarli. Senza riposo e senza viveri, nemmeno membri dei Vendicatori sarebbero stato in grado di sopravvivere a lungo. E il freddo non era di aiuto. Presto o tardi, sarebbero stati costretti ad uscire e ciò li avrebbe portati dritti nelle fauci del lupo.
 
“È Tony?” chiese Pepper, avvicinandosi alla finestra per sbirciare fuori.
“No. È Steve” riferì Natasha, ma nel suo tono c’era un velo di inquietudine e a Barton non sfuggì.
“Cosa c’è che non va, Nat? È ferito?”
 
“È con il Soldato d’Inverno.”
Era stato Sam ad annunciare quella notizia scottante e, nonostante la sua fiducia nei confronti del Soldato fosse scarsa - per non dire inesistente -, non poté non sorridere dinanzi all’ennesimo tiro mancino del destino.
Lui e Steve avevano girato mezzo mondo in cerca di James Barnes, senza mai riuscire a scorgerne nemmeno l’ombra. Ora, non sapeva esattamente cosa fosse accaduto, ma era certo che era stato James Barnes a trovare Steve, alla fine.
 
Con significa che è nostro alleato?”
La diffidenza nella voce dell’arciere era palpabile. Ma c’era Steve e Steve era una garanzia, perciò Barton avrebbe evitato di mettersi sulla difensiva prima del tempo.
 
“Così pare” convenne Sam.
Subito dopo, il pararescue strabuzzò gli occhi, incredulo.
“E quella chi diavolo è? Sembra essere dalla nostra.”
 
“La sua fidanzata” intervenne la Vedova, finalmente uscita dal gelido silenzio intessuto di dubbi e ricordi molesti.
 
Lei è qui?”
Adesso, Occhio di Falco aveva davvero rischiato di rimanerci secco.
‘Chi più ne ha più ne metta!’ ironizzò interiormente, chiedendosi se qualcosa - qualsiasi cosa - sarebbe riuscita a stupirlo ancora.
 
“La fidanzata di chi?”
 
“Ma come, Wilson? Rogers non te l’ha detto?”
 
E la smorfia divertita nata sul volto di Barton non aiutò certamente Sam a capire se lo stessero prendendo in giro o se, davvero, Capitan America avesse una fidanzata a sua totale insaputa - dannato Steve! Non l’avrebbe mica passata liscia.
 
“Dobbiamo approfittare del disordine e …”
A Natasha le parole morirono in bocca.
Non c’era più alcun dubbio.
Lo spettacolo raccapricciante a cui si ritrovò ad assistere era opera di Anthea, la ragazzina che quasi tre anni prima aveva salutato sul tetto della Tower e che aveva visto scoparire nella luce intensa del Bifrost, assieme a Thor e Loki.
 
“Che figata assurda! Ma dove l’ha trovata Steve una così?”
 
La domanda di Sam cadde nel silenzio.
Era una complicata storia lunga.
 
 
                                                          *
 
 
Avevano cambiato strategia.
Le armi da fuoco erano risultate inefficaci, dato che non potevano essere utilizzate su Capitan America e che nessun proiettile era riuscito a sfiorare, nemmeno di striscio, il Soldato d’Inverno o la sconosciuta dai poteri sovrannaturali.
I componenti delle task force avevano quindi optato per l’arma bianca. Il vero problema, però, non era rappresentato dalle lame di svariate forme e lunghezze, ma da alcuni bastoni neri, lunghi approssimativamente un metro e aventi come estremità due piccole corna argentee. Quelli erano taser perfettamente funzionali, se si voleva stordire l’avversario e, al tempo stesso, tenerlo a distanza di sicurezza.
 
Barnes si liberò del kalashnikov scarico e si maledì per aver lasciato il borsone con le armi nella macchina che Steve si era premurato di distruggere.
Era in momenti come quello che avere un braccio di metallo risultava parecchio utile.
I nemici parevano essersi moltiplicati. Uomini in nero arrivavano da tutte le direzioni, convergendo nel punto in cui si stava consumando la lotta.
 
“Dannazione!”
 
Il Soldato seguì la voce di Rogers e lo trovò pericolosamente incasinato. Alcuni soldati erano riusciti a disarmarlo dello scudo e due tra loro si erano impossessati delle sue braccia e tentavano di bloccargliele dietro la schiena. Un terzo era alle spalle del biondo e lo teneva stretto per la vita, impedendogli di ruotare il bacino.
“Tienilo! Tienilo!” sbraitava un altro uomo, mentre si avvicinava con in mano uno di quegli strani taser.
James cominciò a farsi strada in direzione dell’amico, anche se la netta inferiorità numerica non gli era d’aiuto.
La falla di quella missione azzardata - meglio definita come sfondamento alla cieca - non stava nell’essere solo tre contro più di una decina di squadre armate, ma nel non essere nelle condizioni di affrontare una situazione del genere. Nonostante le ore di sonno, Steve era visibilmente provato e le attuali condizioni fisiche non gli permettevano di combattere lucidamente. Bucky, invece, non dormiva da quando era arrivato a Washington e la stanchezza gli appesantiva i muscoli e gli annebbiava il cervello.
 
In quel caotico aggrovigliarsi di membra grondanti d’adrenalina, due parole sgusciarono via dalla cacofonia violenta della battaglia, riecheggiando come un’eco soffusa nelle orecchie dei combattenti.
“Adesso basta.”
Come risucchiati dalla forza di un magnete, i nemici furono strappati da terra e costretti a librarsi in aria, quasi fossero tanti aquiloni aventi fattezze umane.
L’oneiriana si compiacque del proprio operato. I suoi poteri psichici era cresciuti esponenzialmente da quando aveva lasciato la Terra, quasi tre anni prima. Gli anziani del suo popolo le avevano insegnato a controllare le più oscure abilità della mente e l’avevano aiutata ad affinarle.
La giovane sentiva il sangue scorrere nelle vene delle prede finite disgraziatamente sotto l’influsso del suo potere. Percepiva il palpitare dei loro cuori, l’aria attraversare le vie respiratorie e i muscoli tendersi intorno le ossa. Quegli uomini, ora, non erano altro che fragile creta nelle sue mani.
Un pensiero e avrebbe freddato i loro cuori. O spezzato le loro ossa. O impedito all’aria di raggiungere i polmoni.
 
Gli ennesimi rinforzi nemici si erano bloccati ad osservare quello spettacolo raccapricciante, rimanendo a debita distanza.
 
Era calato un surreale silenzio.
 
“Il tuo occhio. Sanguina.”
Steve, dopo aver recuperato lo scudo, si era avvicinato all’oneiriana e, istintivamente, aveva cercato i suoi occhi, per assicurarsi che fossero del colore giusto. Il blu c’era ancora, ma dall’occhio destro era scivolata fuori una lacrima di sangue, che le aveva rigato la candida guancia.
“Lo so. Non è niente” cercò di rassicurarlo lei, ma dovette essere poco convincente, perché Rogers storse appena il naso con disappunto.
 
 
“Steve!”
 
Il Capitano cercò la sorgente del richiamo improvviso. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Sam era affacciato alla finestra della palazzina color mattone e stava sbracciando in direzione del biondo, alla stregua di un naufrago rimasto bloccato su un’isola deserta e che, dopo giorni di estenuante attesa, avvista una nave all’orizzonte.
“Sam!”
Rogers si esibì in un amichevole saluto militare, portando la mano destra alla fronte.
“Chi è con te?” chiese poi, mettendo le mani a coppa intorno la bocca.
“Natasha, Clint e Pepper! Tony è andato alla Tower! Clint è ferito!” fu l’immediata replica del pararescue.
“È grave?”
“No! Ma la ferita si è infettata!”
 
“Volete continuare a gridare ancora per molto, Romeo e Giulietta?” si intromise la Romanoff a quel punto, affacciandosi alla finestra al fianco di Sam.
“È uno spettacolo per i duri d’orecchio. E Giulietto, prego” replicò Wilson, sempre con voce abbastanza alta, da permettere al Capitano di sentire.
 
“Io non faccio la corte a uno che si chiama Giulietto!”
 
A Steve arrivò uno scappellotto in testa da parte di Barnes, che lo aveva raggiunto già da qualche minuto, senza però riuscire a smettere di lanciare sguardi fugaci agli uomini sospesi sopra le loro teste.
 
 
Il frastuono di propulsori costrinse tutti a rivolgere lo sguardo verso il cielo plumbeo.
Era un jet.
 
“Avete l’ordine di sgombrare il campo. Tre minuti all’attivazione del super soldato.”
 
Alle parole provenienti da qualche altoparlante del velivolo, ogni singolo soldato nemico rinfoderò la propria arma e prese a correre lontano dalla casa sicura.
 
“Vi state dimenticando di loro.”
Dopo quel pungente commento, Anthea scaraventò i soldati intrappolati dal suo potere contro i colleghi in fuga, creando maggiore scompiglio.
 
Tre minuti dopo, un figura si lanciò dal portellone posteriore del jet, atterrando perfettamente in piedi, a una decina di metri da Steve e Bucky, e formando vistose crepe sull’asfalto nel punto dell’impatto.
Rogers si tese talmente tanto, da attirare su di sé lo sguardo allarmato del Soldato.
 
“È il mostro di ieri” sibilò Anthea, mentre raggiungeva i due super soldati.
 
“È un grosso problema” commentò freddamente il Capitano, posandosi istintivamente una mano sull’addome ridotto ancora parecchio male.
 
I problemi però non erano finiti. Sembravano susseguirsi con uno spaventoso effetto domino.
Teschio Rosso avanzò sul portellone ancora abbassato del jet, stretto in un elegante e lungo soprabito in pelle nera.
 
“Mio caro Steve Rogers, ascoltami bene, perché questo è l’ultimo avviso che ti concedo. Se ti arrendi e vieni con me, darò ai tuoi amici la possibilità di avere salva la vita. Ma se ti rifiuti di seguirmi docilmente, allora sguinzaglierò il mio super soldato e sappi che ha l’ordine di sterminare la tua insulsa combriccola e di spezzare ogni singolo osso che hai in corpo prima di riportarti da me.”
Schmidt sorrise e la sua attenzione rimase fissa sul giovane Capitano, in un chiaro segno di sfida.
 
Rogers percepì un senso di nausea invadergli lo stomaco. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole non vennero fuori, gli rimasero impigliate tra le corde vocali.
“Non pensarci nemmeno, Steve” lo ripresero all’unisono Bucky e Anthea, mentre Natasha gli gridava di non azzardarsi ad accettare quel subdolo compromesso.
“Sono così prevedibile?” ironizzò il biondo, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’oneiriana.
“Maledettamente prevedibile.”
 
“Non ho tutto il giorno, ragazzo” lo avvisò allora Teschio Rosso, spazientito.
 
“Io …”
 
 
 
Un fischio in lontananza.
Un rumore sordo. Esplosione.
 
Il jet precipitò.
I propulsori erano stati distrutti.
 
“È qui la festa?”
 
L’arrivo di Iron Man fu seguito da quello del Quinjet, manovrato dal fidato JARVIS.
 
Rogers riacciuffò la freddezza necessaria a prendere in mano la situazione. Si accorse che il Quinjet stava eseguendo la manovra di atterraggio e chiamò con forza Stark, ottenendo la sua attenzione.
“Fai rimanere in aria il jet! Apri solo il portellone!”
“Agli ordini, Cap!”
Mentre il portellone si spalancava, il Capitano appurò che l’Ultra Soldato non si sarebbe mosso, non senza un ordine diretto di Teschio Rosso, ora intrappolato nel velivolo che Iron Man aveva abbattuto. Ma non voleva comunque correre il rischio di perdere l’unica occasione di fuggire da lì. Far scendere il jet a terra era pericoloso e avrebbe significato sprecare tempo prezioso.
Dovevano allontanarsi da quel mostro viola e da Schmidt, il prima possibile.
“Anthea, porta tutti quelli che si trovano lì dentro nel jet.”
Rogers indicò alla ragazza la finestra dove Sam e Natasha erano ancora affacciati e fece un cenno con il capo in direzione di questi ultimi, come se in qualche modo bastasse per intendersi, senza usare ulteriori parole.
“Va bene, Steve.”
 
L’oneiriana scattò verso il palazzo color mattone e, una volta arrivata ai suoi piedi, si rivolse direttamente alla Vedova Nera.
“Saltate giù. Anche tutti insieme.”
 
“Sta scherzando vero?”
Sam fissò la Romanoff con gli occhi sgranati, incredulo, ma lei negò con capo.
“Non posso usare le mie ali?”
“Non fare la femminuccia. Salta e basta” furono le incoraggianti parole della rossa, che intanto aveva raggiunto Clint per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Sam - borbottando qualcosa riguardo il non essere una femminuccia - recuperò l’arco e la faretra di Barton, per poi caricarsi in spalla lo zaino contenente le sue amate ali meccaniche, mentre Pepper si occupava delle borse riempite la sera prima.
 
“Veniamo giù due alla volta” fu l’avviso che Natasha rivolse ad Anthea, prima di lanciarsi dalla finestra, stringendo a sé un Clint semicosciente.
Le due spie, sospinte dal potere dell’oneiriana, raggiunsero l’interno del jet senza difficoltà.
“Sembra divertente” commentò Sam, prima lanciarsi a sua volta, insieme a Pepper, la quale non mostrò alcun segno di paura o incertezza.
 
 
 
Mentre Anthea eseguiva egregiamente il suo compito, Tony atterrò al fianco di Rogers.
“Le domande sono rimandate a dopo, Stark” lo anticipò il biondo.
“E va bene, Capitan Scontroso.”
“Non la smetterai mai con questi stupidi nomignoli, eh?”
“Esatto” si limitò a rispondere Tony, ora troppo occupato a scannerizzare il Soldato d’Inverno, fermo a pochi passi da loro.
L’assassino. E il miglior amico di Steve.
Per fortuna, l’arrivo di Anthea sottrasse Stark da pensieri pericolosamente contorti.
 
Oh santa scienza! Ma quanto diamine sei cresciuta?”
“Anche per me è un piacere rivederti, Tony” fu il gentile saluto dell’oneiriana.
“Rogers, ma l’hai vista?”
Nonostante la voce metallica non rendesse propriamente le sfumature della voce, Steve percepì perfettamente la malizia insita in quella semplice domanda.
 
“Andiamo su.”
“Come vuoi, Capitan GlissoLeDomandeInsidiose America.”
Rogers sbuffò.
“Domande inopportune, Stark. E smettila con i nomignoli.”
“Giammai!”
 
Tony circondò con un braccio metallico la vita di Steve e schizzò verso l’alto, prendendo il ragazzo del tutto alla sprovvista, tanto che lasciò cadere il suo scudo.
 
“È peggio di quanto ricordassi” sussurrò Anthea tra sé e sé, prima di rivolgere a Bucky uno sguardo parecchio eloquente.
“Quando vuoi. Ormai ci ho fatto l’abitudine” asserì sicuro quello, mentre recuperava il cerchio in vibranio.
L’attimo dopo, la ragazza l’aveva spedito nel Quinjet e, senza esitazione, l’aveva raggiunto, spiccando con mostruosa facilità un salto di quasi dieci metri.
 
“Mettimi giù.”
“Stavo dando la precedenza alla ragazza. Rilassati, Rogers. E poi tu hai detto andiamo su.”
Stark si decise finalmente a raggiungere l’entrata del velivolo, ignorando l’occhiata di fuoco del biondo.
Peccato che l'Ultra Soldato lo costrinse a tornare bruscamente a terra.
Il mostro gli strappò letteralmente Steve dalle braccia, artigliando il ragazzo per una gamba.
 
“Tony!” chiamò il giovane super soldato, mentre veniva trascinato sul duro asfalto.
 
“Ti avevo avvertito, Capitano.”
La voce di Schmidt si levò irosa e fredda. Era riuscito a tirarsi fuori dal velivolo distrutto e il soprabito nero era bruciacchiato in più punti.
 
“Mi dispiace, ma noi adesso andiamo via e Steve viene con noi.”
Anthea, ridiscesa dal Quinjet, si scagliò contro l’Ultra Soldato e lo colpì in piena faccia con un pungo circondato da fiamme incandescenti. Il mostro mollò Rogers e si coprì il volto con le mani squamose, emettendo versi doloranti.
La giovane aiutò il biondo a tornare in piedi e lo spinse contro Iron Man.
“Tornate sopra.”
E Tony non se lo fece ripetere.
 
Anthea era già in procinto di seguirli, ma dovette bloccarsi.
 
“Non erano questi gli accordi, Heith.”
 
L’oneiriana si voltò, per incontrare lo sguardo infossato di Teschio Rosso.
“Come mi hai chiamata?”
“Con il tuo nome” replicò Schmidt.
“Hai sbagliato persona. Io non ti ho mai visto prima.”
 
L’Ultra Soldato, intanto, si era ripreso, ma Schmidt gli diede l’ordine di fermarsi.
Anthea offrì alla testa dell’Hydra un ultimo sguardo confuso. Poi raggiunse gli altri e Teschio Rosso non fece altro che osservarla sparire oltre il portellone del velivolo.
 
Il Quinjet partì veloce verso la linea dell’orizzonte.
 
 
 
“Dunque, è arrivato il momento di ricordarti chi sei, mia cara Heith.”
 
 
 
                                                 ***
 
 
 
“Devo costruire un jet più grande.”
 
Tony, privatosi dell’armatura, si guardò intorno, scorgendo solo sguardi parecchio avviliti e stanchi.
I membri dell’allargata comitiva erano tutti seduti sul pavimento, ognuno appoggiato con la schiena ad una porzione della parete metallica del velivolo.
Il Quinjet era in modalità invisibile. Nessun radar avrebbe potuto rilevarlo.
Ma non potevano di certo rimanere chiusi lì dentro per sempre.
 
“Che si fa, adesso?” si azzardò a chiedere l’inventore, sperando di non venire linciato, data l’atmosfera non molto distesa.
 
“So io dove andare” balbettò Clint e diede a Stark coordinate che li avrebbero portati al sicuro, lontano dal cuore della tempesta.
Nessuno fece domande riguardo la nuova destinazione.
 
“Perché ci hai messo tanto, Tony?”
All’interrogativo di Natasha, Stark si rabbuiò di colpo.
“Vi dirò tutto, ma non ora. Comunque, pare che la caduta del Triskelion abbia portato a galla la sporcizia, invece di seppellirla. O, almeno, è così che mi ha riferito l’ora libero senatore Stern e, per una volta, sono costretto a dargli ragione.”
 
“Oh, ma andiamo! Maledizione!” fu il disperato lamento di Steve.
 
“Tranquillo, Rogers. Non è colpa tua. Forse solo un pochino.”
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Come promesso, ecco il nuovo capitolo. Naturalmente, ci sarà un flashback che mostrerà cosa è accaduto a Tony, quando ha raggiunto la Tower.
Il senatore Stern era stato arrestato alla fine di “The Winter Soldier”, perché membro dell’Hydra, ma è ovvio che l’Hydra sia riuscita ad infiltrarsi nei piani alti, dato che i cattivi hanno piena libertà di azione.
Vi chiederete chi è Heith e cosa c’entra Anthea con Schmidt. E bene, sapremo tutto più in là. Dal prossimo capitolo inizieranno le spiegazioni, così cominceremo a mettere insieme i pezzi di questo puzzle complicato, come è giusto che sia.
Solo che, per il prossimo capitolo, ci sarà da aspettare. Forse riuscirò a pubblicarlo entro la fine Maggio. Mi dispiace immensamente di non poter fare nulla prima, ma la maturità chiama e sono costretta a dedicarmi alla preparazione per questo esame finale. Spero che capirete e che, nonostante ciò, continuerete a seguirmi.
Superato Giugno, mi farò perdonare, promesso.
 
Ora voglio ringraziarvi per il tempo che mi dedicate.
Grazie a:
Anny2001
DalamarF16
fredfredina
happyfun
Ragdoll_Cat
Ravinpanica
Siria_Ilias
TheMonstersAreHuman
Trafalgar Norah
winterlover97
Per aver inserito la storia nelle Preferite *.*
 
Grazie a:
Eclisse Lunare
Giulietta beccaccina
happyfun
Mary Grifondoro
mrslightwood
Ravinpanica
selenagomezlover99
shoppingismylife - la New Entry! Un abbraccio! J
 Siria_Ilias
StevenRogers
the little strange elf
winterlover97
_Abyss_
_Alesia_
Per aver inserito la storia tra le Seguite *.*
 
Grazie infinite a the little strange elf (Dovrai aspettare un po’, ma spero di trovarti ancora e ancora, nei prossimi capitoli ❤) e a Ravinpanica (Giuro che non vi abbandono! Finita la maturità, cercherò di dare il meglio per farmi perdonare l’attesa ❤) per le dolci recensioni. Spero che vi piaccia anche questo capitolo.
E Grazie a Ragdoll_Cat, per le consulenze logistiche e il sostegno ❤
 
Per ora è tutto!
Alla prossima e godetevi Civil War *.*
Un abbraccio grandissimo ❤
 
Ella
   
 
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