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Autore: FaithLess_EFP    02/05/2016    1 recensioni
Fin da bambina Ada aveva creduto di udire qualcosa di magico nel venticello che pigro soffia nei crepuscoli di fine settembre, quando l’estate non è così lontana come invece sembra il ricordo dell’afa e dell’arsura tipica di una città come Roma. Anche quella sera sul suo balcone, seduta con le gambe incrociate, respirava forte, cercando di godere della maggior quantità possibile di quella magia aeriforme.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una breve premessa mi sento di doverla fare. Non vuole essere una giustificazione, o forse sì, ma credo di dover dire che questa è la mia prima storia originale. Questo significa che vi sto chiedendo di essere buoni? No! Anzi, vi prego di scrivere quello che pensate. Soprattutto, vi prego di scrivere, di recensire; mi piace leggere le vostre recensioni, anche le più critiche, perché mi danno la possibilità di confrontarmi. Si scrive per passione e lo si fa in particolare per noi stessi, ma penso che se fosse solo per noi non pubblicheremmo le nostre storie. Il pubblicarle penso sia un invito al dialogo, il tentativo di comunicare qualcosa ed il modo che abbiamo per rispondere è recensire. Per cui, se leggete, scrivete qualcosa, anche solo due righe.

Grazie,
Buona lettura!
FaithLess



Solidi come il vento


Fin da bambina Ada aveva creduto di udire qualcosa di magico nel venticello che pigro soffia nei crepuscoli di fine settembre, quando l’estate non è così lontana come invece sembra il ricordo dell’afa e dell’arsura tipica di una città come Roma. Anche quella sera sul suo balcone, seduta con le gambe incrociate, respirava forte, cercando di godere della maggior quantità possibile di quella magia aeriforme.

I capelli sventolavano come una bandiera, quasi per sincerarsi con il mondo intero della incontestabile proprietà privata di quel piccolo mondo fatto di mattoni bianchi ed una vecchia ringhiera. La vista sui palazzoni della Garbatella, sembrava conciliare perfettamente con quello che un adolescente come lei avrebbe potuto tranquillamente definire estasi apatica. Il verde sparso era di tanto in tanto interrotto da prepotenti edifici rosso scuro e dal traffico tipico della capitale.

Ada guardava con occhi splendenti, neanche i rumori più acuti sembrava potessero disturbare la sua meditazione, simile a quella di un maestro zen. Tale solennità conciliava in realtà ben poco con il contenuto dei suoi pensieri, che se fossero stati analizzati da qualche adulto, dimentico del fascino strabiliante di quegli infuocati anni tra la fanciullezza e la maturità, li avrebbe certamente interpretati come leggeri voli instabili dovuti da sbalzi ormonali. Eppure la serietà con cui Ada vi approcciava meritava certamente una considerazione più ampia e ragguardevole.

Da diverso tempo la ragazza aveva iniziato ad immaginarsi osservata da alcuni bei ragazzi di qualche anno più grandi di lei, e aveva trovato stupore nella conferma di quanto fosse lei stessa a sperare che tale desiderio si avverasse. Nessun tipo di stupore le aveva invece suscitato il repentino cambio di opinione che aveva avuto sulle sue lentiggini. In realtà sul suo intero aspetto fisico, ma procediamo con ordine.

Nel giro di pochi mesi le efelidi, che prima le suscitavano indifferenza o al massimo compiacimento quando la mamma gliele accarezzava, adesso, le suscitavano orrore ed era assolutamente indignata dal fatto che sua madre non l’avesse avvertita della vergogna che portava in viso. Peggio, sua madre diceva di non capire cosa disgustasse tanto la ragazza in quelle graziose piccole puntine brune. Doveva essere pazza. Ada ne era certa, nessun ragazzo avrebbe mai potuto trovare attraenti quella costellazione di macchie che impeciava il suo, già complicato, viso. Sì, perché nella lista delle cose che ad Ada non piacevano di se stessa, le lentiggini erano sicuramente al primo posto ma di certo non erano sole.

Vi erano senza dubbio i suoi capelli rossastri, di un colore decisamente poco comune, il ché li rendeva nemici mortali della decenza. Doveva essere proprio una cattiveria, le sue compagne avevano tutte i capelli di colori normali e lei quel rosso scuro senza senso. Per non parlare della strana deformità che aveva colpito il suo corpo negli ultimi anni. Le gambe le erano divenute secche e spigolose, tranne che per la parte superiore. L’attaccatura delle cosce si era ingrossata ed aveva preso una consistenza morbida. Tale morbidezza creava nella sua sagoma un rigonfiamento strano all’altezza dei fianchi per poi restringersi nel bacino di colpo su un ventre pelle e ossa, ancora troppo vicino ad un aspetto bambinesco. Il seno era un argomento che destava un enorme preoccupazione alla ragazza. Ispezionava ogni giorno il seno di alcune sue compagne di classe scoprendovi linee ricurve, soffici piccole rotondità, che avevano qualcosa di rassomigliante ai frutti maturi sebbene apparissero notevolmente più morbidi.

Sembrava quindi che i suoi seni la schernissero con quell’aspetto spigoloso ed appuntito che ogni mattina veniva meticolosamente celato sotto spesse coppe rigide di minuscoli reggipetto a buon mercato. Era tra l’altro certa che le sporgenze oltre a crescere lentissimamente, non lo facessero nemmeno di comune accordo, la sua destra era manifestamente più piccola! Per non parlare dei vari difetti che era certa scorgere nel suo viso o la secchezza incredibile dei suoi piedi che purtroppo stonava con l’enormità di ciccia sulle sue mani.

Ada era quindi rassegnata alla mostruosità del suo corpo ed alle indecenze del suo viso che la rendevano certamente improponibile a qualsiasi bell’imbusto di qualsiasi luogo e tempo. Non aveva remore nel sentirsi e nel definirsi apertamente brutta. Quella parola aleggiava nei suoi pensieri come una condanna definitiva, la più grande delle pene. Sentiva un tribunale pronunciarsi contro di lei, per reati alla bellezza ed alla armonia, ogni qual volta le capitava di vedere una sua coetanea che civettava sicura con qualche giovanotto.

Su quel balcone però le sue pene si affievolivano, certa com’era di non essere scorta da anima viva, ed i suoi dilemmi riacquisivano una dimensione più intima, rendendola docile ed ammaliata.

La freschezza di quella serata particolare la rendeva così aggraziata, seppur come avrete di certo capito, ella attraversava l’età più difficile e meno armoniosa che la vita di una donna possa regalare. Francamente, quello che le appariva un fisico disastrato, non era altro che un bel corpo fresco, probabilmente non ancora ben bilanciato ed in cerca di una sua propria armonia. Cosa però difficile da scorgere dall’abbondanza di vestiti che ogni giorno lo coprivano. Abbondanza, sia di lunghezza, che di volumi.

Quella sera, data la riservatezza del luogo, a coprirla però vi era solamente una piccola casacchina nera di un cotone leggero che le fasciava delicato i novelli fianchi e le lasciava scorgere il minuto seno libero da ogni costrizione di biancheria intima. Le gambe erano quasi completamente scoperte, lasciando la candida pelle gioire al vento come sotto le carezze delicate di un amante segreto. Nei piedi vi erano infilati dei sandali con piccole stringhe nere, intrecciate sulle dita e dietro al tallone, dove finivano per allacciarsi con un piccola fibbia.

La sua mente fluttuava veloce tra le informazione che aveva recepito durante la sua giornata a scuola, dove era sicura di aver imparato che la compagna di banco, Marta, sarebbe uscita la sera stessa con un amico del cugino, che a quanto pare le faceva la corte da tempo e che per essere uno della loro età non era affatto male, o almeno così le aveva confessato Veronica in bagno, con una punta di invidia mal celata. Le era anche giunta la voce, sempre da Veronica e sempre nel bagno, che il suo amore, suo come di un’altra ventina abbondante di ragazzine, aveva scaricato da poco l’ennesima “decisamente troppo bruttina per lui”, così l’avevano chiamata nei giorni in cui era uscita con lui tutte le ragazze nel bagno tanto da aver cancellato il suo nome dalla memoria collettiva. La cosa importante della notizia era che Lui era di nuovo libero e quindi probabilmente in cerca in giro per la scuola. Questa possibilità doveva emozionarla notevolmente, tanto da strapparle un sospiro e da farle cambiare posizione.

Tolse le gambe dall’intreccio con cui vi era seduta e le distese lunghe come una sirena, tanto da non notare che un piccolo triangolino di stoffa bianca spuntava curioso tra le cosce in cerca di una, troppo spesso negata, visuale sul mondo.

Di lì a poco la ragazza avrebbe scorto il grazioso esemplare maschio che languido la spiava da una panchina. Tale lasso di tempo lo impiegheremo per indugiare sulle sue fattezze. Il ragazzo era senza dubbio giovanissimo. Si sarebbe potuto immaginare minorenne se non fosse per la divisa che lo strizzava, costringendolo in una postura innaturale. Non si è mai in grado di dire se le divise conferiscano quell’aria così seria e rigida per la serietà del ruolo che rappresentano o per un quantitativo eccessivo di amido presente nei tessuti. Di sicuro Biagio, questo era il nome del soldatino spione, avrebbe fatto un effetto molto più vivace e ribelle nei suoi abiti civili, che consistevano in jeans consumati e t-shirt monocromatiche non esattamente di primo pelo. Il suo viso in posa da discolo, intento a contemplare un chiaro e bellissimo frutto proibito, evidenziava il suo incarnato scuro che sembrava ricordare il sole delle spiagge meridionali che aveva frequentato tutta l'estate. Lontano da casa, dagli amici e dai privilegi di certe attenzioni femminili, che di certo le fanciulle del suo paesino erano solite regalargli. I suoi occhi, di un marrone scurissimo, sembravano sovente rimembrare gli amori, sinceri e di breve durata, consumati in improvvisati nidi in qualche stradina di campagna difficilmente identificabile con le grandi strade dell’ attuale città. Città che, agli occhi del giovane Biagio, era apparsa, sino a quel momento, decisamente inadatta all’amore sia per la frenesia caotica, che per la scarsità di silenzio che di norma agevolava, nel suo breve passato da latin lover, gli intimi sussurri.

La ragazza dai capelli rossi, assorta com’era mentre il vento la cullava, era però riuscita a risvegliare il profumo di casa, di mare mescolato con la brezza dolce della campagna. La chimera del suo corpo nudo e fremente sotto le sue grandi mani di ragazzone, gli sembravano l’unico pensiero possibile ed immaginabile, in un bisogno di calore umano quasi pungente che da mesi lo accompagnava. Strano è come si possono vedere le cose, o chi le vuol giudicare. Un bisogno d’amore può apparire tenero o squallido a seconda di come lo si spiega o lo si giustifica. Si può trovare un motivo od un nome al sogno di un adolescente, ma spesso lo si vuol solo confondere o infangare con le definizioni degli adulti, gente impaurita perché ha smesso di cercare il vento.

Fatto sta che Ada, sentendo per la prima volta il calore dei tanto sognati occhi puntati addosso, si girò per scorgere nella penombra il suo ammiratore. La prima cosa che la colpì fu l’austerità della divisa che mal si accostava allo sguardo novello del giovane. Il quale appena si accorse di essere stato colto sul fatto, celò tutto il suo imbarazzo in un sorriso malizioso e spavaldo che gli parve impressionare la fanciulla. Tanto da convincerlo ad aumentare la spavalderia fin a mandarle un bacio, simulato con le sue belle labbra carnose, osando addirittura un incerto occhiolino. I gesti del ragazzo apparvero ad Ada di uno sfrontato unico, allo stesso tempo, però, il suo cuore smise di battere per poi riprendere velocissimamente salendogli fin quasi in gola. Decise risoluta che avrebbe imitato le coetanee più civettuole ed esperte.

Assunse, quindi, lo sguardo più divertito e sicuro che il suo piccolo viso le concesse. I pensieri pian piano si fecero meno eterei tanto da scaraventarla, piuttosto piacevolmente, sul pavimento polveroso del suo balcone. In un istante, il suo istinto di adolescente le suggerì comportamenti audaci e sicuri, dimenticando completamente tutta l’inesperienza che di norma la tormentava.

Con fare deciso iniziò ad assumere pose curiose nel probabile tentativo di imitare le dive delle pubblicità e del cinema. Nel farlo però cercava di mantenere una sorta di ostentata indifferenza. Così la si vedeva scivolare le gambe su un fianco e tirarsi i capelli all’indietro mentre mellifluamente raccoglieva una rivista da terra fingendo profondo interesse in quelle che, in quel momento, le apparivano in realtà come parole alla rinfusa. Con gli occhi vispi, cercava intanto di spiare il suo soldatino spione, che come lei stessa sperava, non le riusciva più a staccare gli occhi di dosso. Tale attaccamento visivo suscitava in lei più che un aumento di orgoglio, piuttosto la certezza di poter fare tutto ciò che volesse, quasi una dichiarazione di sovranità se non sull’intero mondo di certo sull’esemplare di principe, senza cavallo ma con una scintillante divisa, oramai in estasi tra i rami di un piccolo alberello.

Tale sicurezza la spinse a ciò che mai aveva osato pensare, o meglio confessare: con un piccolo gioco di movimenti iniziò lentamente a scoprire per poi velocemente ricoprire piccole porzioni del suo corpo che la decenza le aveva insegnato a tener nascoste. Ad ogni parte che ella scopriva Biagio sorrideva e mandava baci per poi intristirsi, fingendo addirittura di piangere quand’ella si ricopriva. Il gioco rimase sempre in bilico tra la malizia di un piccolo scherzo innocente ed una promessa solenne di mutua considerazione.

La leggerezza di quell’incanto continuò, sotto lo sguardo distratto ed ignaro dell’intero quartiere, per un tempo indeterminato ed indeterminabile. Ada continuava ad assumere nuove posizioni, facendo scivolare le bretelle del vestitino lungo una spalla fin quasi a scoprire l’inizio del seno, oppure mostrando una coscia, o facendo aderire ulteriormente la stoffa sui suoi fianchi. Ora prendeva una posizione da diva, ed il momento dopo fingeva di fare altro, di essersi stufata del gioco, quand’ecco che di nuovo la spallina le scivola sulla spalla, strappando un sorriso festoso al povero Biagio.

Entrambi sembravano non esserne mai stanchi. Alimentati com’erano dalla speranza e dalla immaginazione, di chissà quale futuro prossimo focoso e bollente, o dolce e tenero, non cercavano affatto di rendere quel momento più tangibile, cercando magari di incontrarsi o anche semplicemente di parlarsi.

Una voce femminile ruppe l’incantesimo. Ada riconobbe subito la voce di sua madre che la richiamava in casa. Scattò in un balzo sull’attenti e, ricomponendo al meglio il vestitino, diede un’ultima occhiata al suo ammiratore, cercando di fissare il proprio volto nella memoria, come quando si sta per uscire da un bel sogno con la promessa di non dimenticarlo al risvegliò.

Biagio, dal canto suo, ebbe appena il tempo di realizzare che il suo stato di estasi stava per terminare, quando vide la splendida fanciulla infilarsi per la portafinestra e sparire. Le scappò un sospiro prima di sprofondare nella panchina, dalla quale si era alzato per vedere meglio. Rimase in attesa tutto il tempo che poté, prima del suo rientro in caserma, ma quella finestra non si aprì più. Così sconsolato si convinse che sarebbe tornato il giorno seguente o quello seguente ancora e così per sempre finché non fosse riuscito a conoscere la misteriosa ragazza. Di qui i suoi pensieri si fecero nebulosi e fantasiosi, di futuri viaggi e baci in tutto il corpo, e poi la fuga tra i cespugli, e i baci sulla spiaggia vicino casa sua. Il sogno si faceva irreale e lontano, allo stesso tempo gli regalava una gioia profonda nella libertà con cui poteva intessere trame per poi sfasciarle, e cambiarle e riviverle nuovamente il tutto con la spensieratezza che la inconscia certezza di non rivederla mai più, se non nei suoi sogni, riusciva ad offrirgli.


 


 


 


 

 
  
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