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Autore: Shichan    02/05/2016    1 recensioni
Miyuki sa meglio di chiunque altro che a volte è più facile annientare gli altri che soffocare se stessi, eppure ora guarda Eijun e pensa sarebbe comodo conoscere un modo per non dover fare né l'una né l'altra cosa.
Mei è pieno del suo talento, passa le dita sul pianoforte come se le passasse sul proprio corpo, perché lo strumento non è un tramite ma espressione pura di sé.
Satoru è stato così abituato alla figura che vedeva nello specchio, da trovare insopportabile il pensiero di poter essere qualcosa di diverso - o di volerlo diventare: finge meglio di quanto lui stesso creda, tranne che con Haruichi.
Per tutti e tre, respirare non è mai stato così difficile.
[MiSawa, FuruHaru, MiyuMei (passata); tematiche delicate, consigliata la lettura delle note al primo capitolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Eijun Sawamura, Kazuya Miyuki, Mei Narumiya, Satoru Furuya
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Per una manciata di secondi si guardano tutti e quattro – lui, Eijun, Mei e la persona con quest’ultimo e che Kazuya non ha idea di chi sia – e sembra un film comico: negli occhi azzurri di Mei c’è un’accusa così palese da far supporre a Miyuki che persino il cartello della fermata dell’autobus abbia capito cosa stia succedendo; lui vorrebbe avere la certezza di stare mantenendo un’invidiabile poker face, ma ammette di non fidarsi così tanto di se stesso da mettere la mano sul fuoco, ora come ora. Quanto al ragazzo con Narumiya, sembra spaesato quanto basta a suggerire a Kazuya di non doversene preoccupare troppo. Eijun invece, accanto a lui, si è irrigidito quando il pianista è rientrato nel suo campo visivo; Miyuki lo avverte chiaramente nella propria tasca, la mano di Sawamura che ha stretto più forte la sua di riflesso. Quasi non ha bisogno di guardare il ragazzo al proprio fianco per sapere che sta spostando lo sguardo tra lui e Mei come se si aspettasse di veder esplodere una bomba o qualcosa del genere.
«Mei-san, è tutto a posto?» è la domanda che rompe il silenzio, posta dal giovane vicino a Narumiya. Miyuki capisce dal suo sguardo come sappia già da solo la risposta ma abbia preferito quel modo di mettere la cosa invece di un più diretto – e catastrofico? – “che sta succedendo?”.
La cosa più destabilizzante per Kazuya, in quel momento, non è l’espressione che si fa strada sul viso di Mei, ma riconoscerla, interpretarla con un’esattezza pressoché totale e sapere di averne pieno merito; Narumiya non è mai stato trasparente come Eijun, né ermetico come lui. Mei è sempre stato la via di mezzo perché spaccato a metà, due persone in una, due identità così distinte da rendere tutto irreale. Kazuya ha conosciuto il Mei semplice, quello dagli atteggiamenti infantili e l’ego troppo grande, bisognoso di attenzioni ma non di protezioni, impossibile da definire sensibile credendoci davvero; eppure ha conosciuto anche il Mei complesso, il pianista che in una sola nota musicale ha sempre saputo raccontare tutto se stesso, senza risparmiare nulla, mettendosi tra le mani del suo pubblico, a nudo come nessuna persona potrebbe davvero avere mai il coraggio di fare. Mei è sempre stato dicotomico, nella sua complessità che agli occhi di Kazuya lo ha reso semplice da comprendere dopo anni di conoscenza e un discreto tempo di relazione – e perciò ha pensato che l’assenza di un rapporto li avrebbe resi sconosciuti l’uno all’altro, estranei privi del desiderio di sfiorarsi di nuovo anche solo con lo sguardo. Invece ora gli occhi azzurri di Mei lo squadrano, e per un momento il ragazzo e il pianista sono unici nel loro conflitto: Miyuki non fatica a riconoscere l’arroganza di chi si è sempre creduto dalla parte della ragione, l’irritazione per non avere mai ottenuto delle scuse che lo soddisfacessero, l’incredulità di quando si capisce di non essere unici e insostituibili come si credeva e insieme a quella lo sconquasso della mediocrità.
Mei è, infine, la dimostrazione vivente di come non sia facile lasciarsi alle spalle gli altri e cancellarli dalla propria esistenza come se non ne avessero mai fatto parte; è uno schiaffo morale.
Miyuki pensava di essere molto meglio – nel peggio – di così.
Narumiya ha detto con lo sguardo più di quanto potesse dire con le parole, ma non si priva certo di queste ultime, non sarebbe da lui; alterna lo sguardo tra Kazuya e Eijun, tra loro e la mano che sprofonda nella tasca della giacca di Miyuki, e li guarda entrambi con qualcosa che somiglia alla pietà: «Buona fortuna, ne avrai bisogno.» è quello che pronuncia ed è rivolto a Sawamura, non a Kazuya. Se lo richiama, Miyuki, non è per dargli quelle scuse che ha pronunciato già una volta e che è evidente non siano state abbastanza; c’è un monito nel suo sguardo prima ancora di dare voce a delle parole, ma Mei non gli dà modo di pronunciarle.
«Non ci provare neanche.» quasi lo ringhia «So già quanto tu possa essere codardo, non ci sperare che stia qui ad ascoltarti mentre fai la voce grossa, Kazuya.» gliele vomita addosso, le parole, e Miyuki sente anche quelle che non dice.
Spero tu possa pentirtene.
Lo lascia andare via, senza dirgli nulla, perché fuggire nel silenzio è più facile; nella sua tasca, la sua mano è fredda, appena sudata, e stringe quella di Eijun senza nemmeno accorgersene.


Il tragitto verso il suo appartamento è silenzioso, e dal momento che c’è Eijun con lui, la cosa risulta innaturale; non da parte di Kazuya, quello no, per quanto di solito tra loro non aleggi quasi mai un’atmosfera fatta di quel tipo di quiete che pesa sulle spalle degli altri, fatta di pensieri inespressi in mancanza di un modo giusto di dargli voce o della voglia di farlo. Sawamura riempie le loro conversazioni più di lui, ma Miyuki non è mai stato il tipo che non riesce a spiccicare parola – se lo è, il motivo alla base della sua mancanza di partecipazione è la poca simpatia verso il soggetto di fronte a lui, e non è quello il caso. Suppone che l’assenza di domande sia il modo di Eijun di mostrare una certa sensibilità nei suoi confronti e, in fondo, gliene è grato.
Di contro la sua mente non è piena di congetture e di pensieri, non è un accavallarsi confuso di considerazioni sulle parole di Mei; è una tabula rasa, il classico esempio di come si ottenga il nulla totale tanto più ci si sforza di ragionare su qualcosa controvoglia. È un conflitto d’interessi tra la consapevolezza di dover mettere ordine agli avvenimenti e il non avere alcuna intenzione di farlo per così tanti motivi da non voler nemmeno iniziare ad analizzare il primo. Così ad animare il loro ritorno è il rumore del motore dell’autobus che avanza lungo la strada, il raro suono del campanello che preannuncia una fermata prenotata da qualcuno dei pochi passeggeri presenti oltre loro, dalla cadenza regolare dei loro passi sulle scale che li guidano fino alla porta del suo appartamento e, infine, dal tintinnio delle chiavi prima che una di esse venga infilata nella serratura per aprire ed entrare, riparandosi dal freddo e dal resto del mondo.
Eijun entra come se non fosse sicuro di poterlo fare, a eccezione del fatto che Miyuki lo anticipa e non si richiude la porta alle spalle, in un tacito invito a varcare la soglia. Kazuya si concede pochi istanti di calma nel ripetere la piccola routine di gesti a cui si è abituato quando rientra: mettere le chiavi nella toppa dopo aver richiuso la porta o chiudersi dentro se non ha più bisogno di uscire, posandole poi sul mobiletto all’ingresso; liberarsi del cappotto, delle scarpe e indossare le pantofole lì nel genkan per poi entrare davvero e accendere la luce. È automatico per lui dirigersi nella stanza dove ha parlato con Eijun l’ultima volta, così come sono meccanici i gesti con cui mette il bollitore sul fornello una volta riempito con l’acqua, accendendo il gas e aspettando che lo avvisi quando l’acqua bollirà. Il lato negativo dei gesti fatti senza quasi pensare è che non fanno mai parte di azioni che impiegano un quantitativo di tempo molto ampio; ne consegue il trovarsi imbambolato davanti ai fornelli senza sapere bene cosa fare.
Per sua fortuna, vivere da solo comporta avere molti gesti abitudinari; per sua sfortuna, ora non è solo.
«Stai bene?» è la domanda con cui Sawamura rompe quella loro fase di stallo, e Miyuki abbozza un sorriso senza troppa convinzione perché è una domanda così da lui eppure lo stupisce comunque. Eijun sembra persino dimentico dell’ultima conversazione che hanno avuto in casa sua, e quando si volta a guardarlo Kazuya trova sul suo viso preoccupazione anziché qualche tipo di accusa; gliene è grato, e al tempo stesso lo innervosisce, in una piccola parte di lui. La mette a tacere, perché non è ancora messo così male da perdere di vista la razionalità e si concede uno scrollare le spalle, quasi a minimizzare l’accaduto. In verità non c’è stato niente di inaspettato nell’atteggiamento di Mei.
«Te l’ho detto,» pronuncia, poggiandosi contro il piccolo piano da lavoro vicino ai fornelli, incrociando le braccia al petto «io e Mei non ci siamo lasciati bene.» ribadisce, come se non ci fosse altro da dire perché tutto il resto è ovvio. Legge negli occhi di Eijun come di ovvio non ci sia molto.
Sospira. Alla fine immagina di doversi arrendere.
«Hai visto Mei suonare, giusto?» domanda e non fatica a scorgere nell’espressione perplessa dell’altro il tacito dubbio su come la cosa abbia rilevanza nel discorso che stanno affrontando; Sawamura però annuisce, forse più d’istinto che non per comprensione: «Non nasconde molto di sé quando suona: è orgoglioso, arrogante, sa quali sono le sue capacità e la falsa modestia non fa parte del suo carattere. Riversa nel pianoforte tutto quello che ha da mostrare al mondo, tutto quello di cui va fiero, la perfezione che vuole raggiungere e che sa di raggiungere. Lavora più di chiunque altro, o come tutti gli altri del suo ambiente, non saprei dirlo. Rimane il fatto che gli piace primeggiare, gli è sempre piaciuto. Questo è un bene.» ammette, perché non ha dubbi su quanto sia importante nell’ambito di una perpetua competizione «Ma fuori dal pianoforte, non è così facile. Non gli basta allenarsi per ore e ore fino a sputare sangue sui tasti. Fuori il suo carattere snerva la maggior parte delle persone che lo conoscono abbastanza da farsi almeno un’idea superficiale. Ha lati positivi, ma non è facile avere la pazienza per arrivare al punto in cui li mostra.» ammette con un mezzo sorriso che non ha molto di affettuoso, ma tanto di derisione, un po’ per sé e un po’ per Narumiya.
Ha sempre pensato di essere durato con lui a lungo perché sono simili. Il che, forse, è anche quello che li ha fregati alla fine – o forse no, Kazuya non ha voluto davvero pensarci e non vorrebbe farlo nemmeno ora. Guarda Eijun, preso dalle sue parole, lì a pendere dalle sue labbra.
«Mei ha sempre amato pavoneggiarsi ed essere al centro dell’attenzione femminile, a scuola. Ma anche di quella maschile, per lui essere idolatrato non aveva limiti nel genere di chi gli rivolgeva quel tipo di sentimento. Non è mai stato un mistero per nessuno che lo conoscesse un minimo, come non si facesse problemi a ricevere avances dall’uno o l’altro sesso; il che non significava che gli andasse bene chiunque, tutt’altro. Il bell’aspetto gli valeva una popolarità immeritata, considerando il suo pessimo carattere, ma alla fine qualcuno se ne accorgeva in tempo per risparmiarsi un rifiuto non sempre cortese.» spiega brevemente. Aveva dell’assurdo ritrovarsi a parlare del Narumiya conosciuto qualche anno addietro quando fino a un paio di ore prima non aveva preso in considerazione di parlarne neanche alla lontana per ancora parecchio tempo.
«E tu com’eri?» chiede Eijun, spezzando il suo silenzio prima di quanto Miyuki avesse messo in conto. C’è uno sbuffo divertito, ma vuoto; è più autoironia, forse.
«Come adesso, più o meno. Kuramochi potrebbe confermare.» assicura «Non mi interessava molto Mei in quell’ottica. Avevo ricevuto qualche dichiarazione dai ragazzi ma non mi aveva mai toccato granché, in positivo o in negativo. Tra me e Mei era più un… beh. Mei non accetta mai un “no” come risposta. Era divertente continuare a rifilargliene ed essere uno dei pochi a non cedere al fascino di Narumiya, qualunque fosse quello che gli altri vedevano in lui.» pronuncia, il fischio del bollitore che gli arriva alle orecchie distraendolo, quasi dimentico di averlo messo sul fuoco. Si volta per spegnere il fornello e apre la credenza, tirandone fuori due tazze e iniziando a occuparsi della miscela e di versare l’acqua con gli stessi gesti meccanici di prima. Decide di continuare comunque a parlare – non crede molto nella durata del proprio coraggio.
«A un certo punto siamo finiti insieme. Non dirò che sia stato casuale, ma non immaginare il tipo di dichiarazione dopo anni di sentimenti ritenuti a senso unico. Abbiamo iniziato a uscire insieme, e andava bene; a me non dispiaceva assistere alle esibizioni di Mei, a lui non seccava troppo venire a vedere le mie partite quando poteva. È veramente una storia senza molti colpi di scena.» ironizza, assicurandosi di aver chiuso l’anta della credenza, di aver riposto gli infusi inutilizzati, di aver riempito abbastanza entrambe le tazze per portarle al tavolino basso. Ne posa una davanti a Eijun, concentrato più sulle sue mani che sul suo viso e tanto gli basta per capire lo stato d’animo altrui o intuirlo almeno in parte: i pugni stretti gli comunicano ansia, attesa per il resto della storia, nervosismo per il non sapere dove tutto andrà a parare.
Miyuki vorrebbe saperlo.
Sawamura non parla subito, sciogliendo la stretta delle proprie mani per poterle avvolgere intorno alla tazza e bearsi del calore che il liquido all’interno conferisce alla ceramica. Mugugna qualcosa che a Miyuki sembra più un tentativo di ordinare i pensieri prima di dargli voce, ma non lo incalza e si chiede intanto come dovrebbe continuare il racconto. Non è sicuro di voler dare a Eijun i dettagli di una relazione, perché significherebbe raccontare più di un anno di cose andate bene; non vuole farlo per due motivi: è restio alla condivisione di dettagli della sua vita se può evitarli, e soprattutto, un anno e mezzo di relazione presumibilmente felice non cancella la fine disastrosa. Sospetta sarebbe inutile mostrare il bello che tanto non è durato, come l’incontro di quella sera dovrebbe aver reso chiaro persino a Eijun.
L’altro non gli fa domande, e Kazuya capisce di non poter sperare in quelle per scegliere come proseguire. Perciò decide che un anno e mezzo si può saltare. Non è così importante.
«Alla fine» riprende come se avesse invece spiegato ogni più piccolo dettaglio all’altro parlando per ore «in una relazione è normale arrivare al sesso. Ci abbiamo provato. Non è andata bene.» lo dice con tono asciutto, più brusco di quanto vorrebbe – sa che non è colpa di Eijun, come non era colpa di Mei e gliel’ha detto. Avrebbe voluto sentirsi dire che non era nemmeno colpa sua.
«Quindi l’ho lasciato.» aggiunge, quasi impersonale, come se non lo riguardasse. Alza lo sguardo su Sawamura, e vede nei suoi occhi qualcosa a metà tra la presa di coscienza e il timore, e Miyuki riderebbe in altri contesti.
«Perché… non potevate fare sesso?» mormora Eijun, in un’incertezza che non fa parte di lui. Kazuya non lo biasima per il suo non riuscire a comprendere al volo cosa ci sia dietro a quella che sembra una motivazione assurda; in altre occasioni ha sentito altri dire la propria sull’argomento, credere che basti aspettare e la voglia prima o poi salterà fuori. Ne sa abbastanza da sapere che non è così.
«Perché voleva qualcosa che non avrei mai potuto dargli e che non saprò dare mai a nessuno. Nemmeno a te.» aggiunge schietto, duro, forse anche crudele. C’è un’atmosfera tesa fra loro, dove sorseggiare tè non sembra contemplato come azione per fingere che tutto sia a posto mentre si prende tempo; Eijun ha gli occhi fissi sul liquido scuro e tace, forse in cerca delle parole giuste, ma la sua espressione rende chiaro come il peso di quanto detto da Kazuya sia caracollato anche sulle sue spalle. È una cosa che Miyuki si augurava di non vedere più: la persona impegnata a fare del suo meglio per stare con lui cercare le parole giuste per qualcosa che gli è difficile inquadrare e capire, tanto da finire con il sentirsi in colpa.
Ammette con se stesso di non aspettarsi di sentire il richiamo di Eijun, quel «Miyuki?» pronunciato con fare interrogativo che invece riempie la stanza. Alza lo guardo su di lui prima ancora di processare la cosa nella propria testa e quello che si trova davanti è uno sguardo deciso e sincero; lo destabilizza, a dire il vero. Si aspettava qualcosa di diverso.
«Io non vorrei qualcosa che tu non vuoi.» lo dice con una semplicità spiazzante e al tempo stesso con la serietà di chi conosce il peso delle parole che pronuncia «Voglio dire, potrei volerlo.» ammette e Miyuki scorge in lui il tentativo di mettere da parte ogni imbarazzo che l’argomento sesso, un qualcosa di intimo di cui in condizioni normali non parlerebbero in quel modo, gli suscita «Ma se tu non lo volessi a tua volta… è una cosa che si fa in due. Insomma, è come una relazione e basta. Non è una cosa a cui puoi costringere gli altri.» cerca di spiegarsi e Miyuki capisce davvero cosa intende – è una cosa che chiunque al mondo dovrebbe capire ma che troppe volte, anche in altri contesti, sfugge con una facilità incredibile.
Vorrebbe credergli, vorrebbe trovare meno difficoltà ad affidarsi alle sue parole, vorrebbe non fargli il torto di insinuare il dubbio tra i sentimenti di Eijun chiedendosi se sarebbe davvero così andando avanti, o se sia davvero conscio del peso di quanto sta pronunciando o, ancora, dicendosi che forse è stato così pure per Mei e invece sono arrivati al punto in cui si incontrano per strada e cercano uno di scappare e l’altro di riversare niente più della delusione e del disprezzo su un’altra persona. Vorrebbe vantarsi della razionalità che gli è propria nella maggior parte degli ambiti della sua vita.
«Mh.» è il suo massimo, e non inizia neanche ad avvicinarsi a quanto potrebbe dirgli se solo le cose fossero diverse.
Vorrebbe spiegargli che pur trattandosi di una cosa da fare in due, lui e Mei hanno fatto il grande errore di ragionare come se fossero sempre stati soli, l’uno preservando il proprio orgoglio e i propri sentimenti, l’altro la propria sicurezza emotiva; è così che ci si lascia in maniera orribile, così che si chiudono per sempre rapporti forse salvabili.
Mentre lo guarda, Miyuki per la prima volta non riesce a inquadrare con chiarezza cosa lo spaventi di più: la quasi assoluta certezza che Eijun abbia sempre più il potere di ferirlo, o la consapevolezza – per nulla sana – che se mai succedesse, l’unico modo per proteggere ancora una volta se stesso sarebbe annientare lui.
Abbozza un sorriso, non visto nel suo nasconderlo dietro la tazza di tè: è abbastanza sicuro che Kuramochi lo ucciderebbe, nell’eventualità.


A Furuya piace l’inverno, e gradisce in particolare l’idea di mettersi sotto il kotatsu, anche se quella di sistemarsi lì per studiare in passato si è sempre rivelata pessima, considerando che il calore ha sempre comportato per lui lo stabilire un nuovo record di velocità nel prendere sonno. Se non altro ora come ora per loro gli esami sono conclusi e il grosso dello studio può essere messo da parte.
Lì sistemato nel salotto di casa Kominato, la parte inferiore del corpo già a bearsi del calore, gli arrivano all’orecchio le voci di Haruichi ed Eijun dalla cucina; in genere non approfitta dell’ospitalità altrui in quel modo, di solito c’è un via vai tra le stanze in modo da portare in breve tutto ciò di cui hanno bisogno, iniziando dal tè e finendo con stuzzichini di vario genere. In questo caso non c’è l’impiccio dei libri da sistemare, e per quanto loro tre in qualche modo si siano ritrovati a formare un trio dal loro primo anno, Satoru ha sempre trovato facile delineare i loro rapporti. Non è un mistero per nessuno il fatto che Haruichi e Eijun siano migliori amici, né lui si è mai sentito escluso per questo. Hanno relazioni diverse tra loro, e d’altronde troverebbe molto difficile accudire Eijun come una mamma mancata, cosa che spesso a Kominato risulta naturale come respirare. Ci vuole una pazienza che non possiede, un’inclinazione che non gli è propria e forse una sensibilità che non è certo di voler ammettere di possedere.
In ogni caso, se anche fosse il migliore amico di Eijun, per un kotatsu lo tradirebbe.
I due si affacciano sulla soglia con le mani impegnate: Haruichi porta con sé un vassoio con sopra l’occorrente per servire un tè caldo di cui si intravede solo il vapore a fare capolino dal beccuccio della teiera; dietro di lui Eijun è occupato a portare con sé un quantitativo di biscotti che Furuya suppone fosse originariamente in una confezione promozionale da un chilo. Entrambi si inginocchiano per posare il tutto sulla superficie in legno, e Haruichi perde un poco più di tempo a versare la bevanda per tutti e tre.
Eijun è silenzioso, e non lo è mai, perciò capire che qualcosa non va è fin troppo facile. Furuya non vanterà una grande dialettica, ma un buono spirito di osservazione sì, ed è abbastanza sicuro di riconoscere nella poca loquacità di Sawamura e nel modo in cui tiene gli occhi bassi la presenza di qualcosa che gli dà da pensare. Non azzarda a dire “lo turba”, perché non è sicuro sia proprio quello il sentimento predominante. In ogni caso, non è a lui che tocca incalzarlo.
Haruichi riempie il loro silenzio con domande o commenti di natura semplice, perché è tipico di lui mettere a proprio agio gli altri lasciando che scelgano da soli il momento in cui parlare o se vogliono farlo; forse quella sua capacità innata è persino stata coltivata da quando è diventato capitano della squadra, sebbene oramai il tempo per il club scolastico sia agli sgoccioli e il nuovo capitano sia già stato designato. Alterna lo sguardo da lui a Eijun, con la scusa di portare una mano ad appropriarsi di un biscotto, non troppo distante dal suo pari ruolo. L’altro sta replicando a una domanda di Kominato che lui si è invece perso per strada, quando si blocca a metà della frase, un biscotto a mezz’aria e l’espressione contrita. Furuya riconosce il segno, nel linguaggio del corpo di Sawamura, che preannuncia l’equivalente della rottura di una diga; un attimo dopo, la voce di Eijun esprime una sola domanda: «Non avrei dovuto chiedere cos’è successo?»
Tocca a Satoru aggrottare le sopracciglia senza capire, scambiare uno sguardo perplesso con Haruichi, e lasciare a quest’ultimo il compito di decifrare quell’uscita che non si collega affatto al discorso affrontato fino a un momento prima – a meno che Eijun non stia disquisendo sul fatto di aver chiesto qualcosa a una marca di ramen precotto.
«Di che parli, Eijun?» è la legittima domanda a cui dà voce Haruichi, e Furuya si limita a mordere un biscotto e a guardarli. Osserva Eijun, più che Kominato, e cerca di estrapolare dalla sua espressione quanto può prima che lui parli. Sawamura non è una persona riservata, perciò già il fatto che ponderi tanto prima di rispondere anziché lanciarsi in un’invettiva contro qualunque cosa lo disturbi è strano; Satoru ha imparato ad apprezzare in silenzio il fatto che l’altro riesca a essere tanto trasparente nei suoi sentimenti, probabilmente perché lui non è in grado di farlo nemmeno in minima parte se non per ciò che concerne il baseball. È determinato, certo, e ambizioso nell’ambito sportivo ma tutto ciò che esula da quest’ultimo gli è difficile da esprimere e non solo per il bisogno di trovare le parole giuste per farlo. Certo, preferirebbe ancora un Sawamura in grado di regolare il tono della propria voce, ma quella è un’altra questione.
«Eijun» il richiamo di Haruichi risveglia anche lo stesso Furuya dai propri pensieri «è successo qualcosa con Miyuki-san?» domanda a bruciapelo, con quella schiettezza cortese ma decisa che è parte di lui. Satoru sa che nel loro trio Haruichi è sempre stato considerato il più incline all’osservazione, ma in verità è abbastanza certo che pur se in modi diversi quella qualità sia propria di entrambi; l’unica differenza è il modo in cui Kominato la mette in pratica, ossia riuscendo a dare una mano senza risultare impiccione o spesso senza che nemmeno ci si accorga dell’aiuto che fornisce, quasi come un’eterna comparsa messa vicino a un brillante protagonista che ruba la scena. Per quanto riguarda lui, Satoru preferisce osservare e fare tesoro della maggior parte delle cose che vede, risparmiandosi spesso domande a cui non ha davvero voglia di dare voce o la cui risposta potrebbe non essere il modo migliore per finire la giornata. Conosce meglio di molti altri il bisogno di mantenere i propri segreti e, ancor più di quello, di far sì che gli altri non sospettino nemmeno la presenza degli stessi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di cose di poco conto, comunque. Però è facile riconoscere lo stesso bisogno nello sguardo di Eijun e nel suo modo di indugiare senza guardare Haruichi.
Alla fine lo vede annuire.
«È complicato.» inizia Sawamura e quello desta l’attenzione di Satoru «E sono cose private di Miyuki…» ammette, il che fornisce più spiegazioni di quante ne servano in realtà. Furuya non finirà mai di stupirsi in merito a quanto Eijun diventi bravo a mantenere i segreti degli altri, quando a guardarlo nella quotidianità si sarebbe legittimati a credere che non sia capace neanche di tenere per sé le cose più imbarazzanti della sua vita. Non lo ha mai pensato con cattiveria, Satoru, solo che insomma: Eijun è così chiaro nei suoi sentimenti da risultare per nulla credibile quando mente e troppo nervoso quando cerca – senza risultato – di nasconderti qualcosa; non è proprio la prima persona a cui Satoru penserebbe se dovesse affidare a qualcuno un’informazione da non divulgare per un motivo o per l’altro. Tende a dimenticare quanto Eijun sia testardo e attaccato al concetto stesso di amicizia, per cui ogni parola di troppo sulle questioni private di un’altra persona è per lui il tradimento peggiore che si potrebbe rivolgere a qualcuno, con ogni probabilità.
Encomiabile, ma anche di una stupidità infantile e buffa.
«È stato insieme a Narumiya.» si lascia scappare alla fine, con un sospiro così grande che a Furuya sembra quasi di vederlo afflosciarsi su se stesso. Haruichi di suo non sembra sorpreso, più rassegnato di fronte alla dimostrazione di avere ragione in merito a qualcosa di già intuito o fiutato. Sebbene Satoru non abbia idea di come potesse aver indovinato la relazione di una persona che non conosce con una che conosce a malapena perché all’università con suo fratello maggiore, intuisce come l’altro si fosse augurato di avere torto o che almeno la verità non arrivasse alle orecchie di Eijun. Non dice nulla, né fa gesti particolari, in un tacito incoraggiamento a continuare rivolto all’amico; Sawamura non ha bisogno di altro: «Pensavo andasse bene chiedere. Insomma, gli avevo raccontato di aver visto con te la sua esibizione e lui non aveva detto niente. Pensavo che magari fosse perché non tutti parlano dei propri ex a quelli con cui stanno.» ammette.
Furuya non si sente di rendere noto ad alta voce il suo pensiero, ossia che per il poco tempo passato a osservare Miyuki Kazuya l’altro non gli sia sembrato il tipo da avere un’accortezza simile e che, se deve indovinare un motivo per cui potrebbe nascondere la passata relazione con qualcuno è per riservatezza nella migliore delle ipotesi. Decide di non voler indagare sulla peggiore.
«Ma poi abbiamo discusso, e ci siamo trovati al ristorante dove lavora Youichi-san, e mentre tornavamo a casa abbiamo incontrato Narumiya…» continua a raccontare Eijun, il viso sempre più contrito mentre gli occhi ambrati scrutano la parte in legno del kotatsu come se dovesse farci dei fori da parte a parte. Se non sembrasse così impensierito dalla situazione, Furuya troverebbe quasi divertente il modo in cui l’altro affretta le sue spiegazioni rimanendo sul vago quando, per un motivo o per l’altro, non è in grado di fornire dettagli. Haruichi invece si sistema meglio, seduto al suo fianco – e dal lato opposto a quello dove sta Satoru – lasciando trapelare dal linguaggio del proprio corpo come non abbia intenzione di forzare Eijun ad aggiungere niente più di quanto sia già disposto a dire e al tempo stesso sia pronto ad ascoltare, di qualunque cosa si tratti.
Satoru non assume posizioni particolari, perché ha imparato come Eijun non ne abbia bisogno: l’altro ricerca la sicurezza in Haruichi, non in lui; in parte è come se desse per scontato il suo silenzio, in un modo buono e che una volta compreso ha fatto sentire Furuya persino lusingato in un certo senso. Non se lo sono mai detti a parole, e suppone non se lo diranno mai, ma immagina che abbia sempre significato fiducia.
«Eijun, se non puoi parlarne è giusto tu non lo faccia.» pronuncia Haruichi, il tono morbido e una mano che va a compiere con delicatezza il gesto di posarsi sulla schiena dell’amico, passandola su e giù come si farebbe con un bambino per fargli passare la paura. Quel fare così semplice e affettuoso ha il potere di cambiare lo sguardo di Eijun – Furuya lo vede prendere più coraggio, tornare deciso e poi scuotere la testa: «Hanno avuto dei problemi tra loro.» dice, e per quanto possa sembrare un’affermazione scontata parlando di due persone che si sono lasciate, sia Satoru che Haruichi comprendono come quello sia il modo di Sawamura di fargli capire che non dirà niente più di quello in merito. Rispettano entrambi la cosa, e lo dimostrano non facendo alcuna domanda. È così ovvio quanto quello metta Eijun a proprio agio da far chiedere a Furuya se lui sia diventato improvvisamente empatico o se abbia solo imparato a conoscere Sawamura più di quanto ammetterebbero entrambi. C’è un imbarazzo di fondo nel sapersi conscio che si tratti della seconda opzione.
«E non lo so, penso… è un tipo di cosa che potrebbe succedere anche con me. Oppure penso “quindi a parte questo problema, andava tutto bene?”, e se quel problema non ci fosse più… insomma. Miyuki potrebbe—»
«Eijun,» lo interrompe Haruichi «non posso vantare una grande conoscenza di Miyuki-san. Ma se posso darti un parere, non penso tu debba preoccuparti di una eventualità del genere. Ora vuole stare con te, e questo… problema, di cui parli, non si è ancora presentato. Potrete preoccuparvene insieme, se succederà, e nel frattempo dovresti solamente impegnarti perché non accada.» conclude, il suo punto di vista chiaro e rassicurante. In effetti non è da Sawamura fasciarsi la testa prima del tempo, e dal canto suo Satoru non pensa di dover davvero aggiungere qualcosa a quanto detto da Haruichi.
La quotidianità di Furuya, d’altronde, non è mai stata costellata di molte presenze a lui coetanee; finché ha vissuto in Hokkaido, la compagnia preferita è sempre stata quella di suo nonno, silenzioso e austero nella sua gentilezza, simile a quei fiori che contro ogni aspettativa sbocciavano proprio in concomitanza con lo scioglimento delle neve. Agli occhi degli estranei suo nonno poteva sembrare scostante e freddo, incapace di gesti d’affetto, ma Satoru si è sempre sentito amato e protetto; di contro, sono sempre stati così simili da andare d’accordo in maniera perfetta e naturale.
È stato incredibile arrivare lì a Tokyo e ritrovarsi nella squadra Eijun, la cui indole è accostabile all’immagine del sole e dell’estate, una luce accecante e un calore quasi insopportabile – e quando Satoru ha vissuto per la prima volta la calura dell’estate di quella città ha pensato il paragone fosse ancora più calzante. Il confronto con Sawamura è sempre stato inevitabile, come succede già tra compagni di classe e non fa che peggiorare quando si è compagni di squadra, pari ruolo, e si finisce persino a fare gruppo. Anche se in modo poco convenzionale, visto che al loro primo anno forse nessuno dei due lo voleva né lo riteneva possibile.
Molte sconfitte e due infortuni dopo – uno per parte – le cose vanno meglio, sono più naturali. È ancora abbastanza sicuro che chiunque li veda per la prima volta insieme non penserebbe mai a loro come amici, e forse tra loro manca ancora quel qualcosa che gli permetta di esserlo nel modo in cui lo sono Eijun e Haruichi; ma è molto, molto più di quanto Satoru abbia mai avuto. Gli sta bene essere lì in silenzio, gli va bene che Sawamura non si aspetti da lui un conforto simile a quello offerto da Kominato, è persino grato che non si aspetti da lui qualcosa più di quanto lui potrebbe dare perché sentirebbe addosso ancora una volta il fastidioso senso di inadeguatezza che il baseball lo ha aiutato a lasciar scivolare via, relegato in un angolo della sua testa e dimenticato per la maggior parte del tempo.
Gli va bene che Eijun non parli con lui di tutti i suoi segreti. Sa meglio di molti altri quanto pesino quelli altrui.
«Lo so.» pronuncia Sawamura, rivolgendosi ad Haruichi più che a lui «Non è che poi mi pesi evitare di finire nella stessa situazione. Insomma, è a posto. Anche se io dovessi… ecco, comunque, vorrei solo che non fosse così complicato farglielo capire.» sbotta, il principio di un broncio sul suo viso.
Satoru non sa perché gli venga spontaneo aprire bocca, specie perché Eijun non ha detto nulla di così terribile; quando lo fa – gli occhi sulla tazza di tè che non ha ancora toccato – ha il tono di sempre, l’inflessione di sempre, eppure c’è un’urgenza che è tutta nella sua testa e gli fa avvertire quella punta di disagio lì in mezzo al petto: «“Se tu dovessi”, qualunque cosa sia» pronuncia, rubando le parole dello stesso Eijun «allora dovresti.» ed è conscio che suoni senza senso, ma quando alza lo sguardo sull’altro e gli occhi di Eijun instaurano un contatto visivo, lo vede sussultare. Non sa immaginare che espressione abbia assunto contro la propria volontà, ma persino  Haruichi sembra in qualche modo sorpreso, anche se con più discrezione.
«Non so cos’abbia Miyuki-san.» riprende, sull’onda di una partecipazione sentita «Ma di certe cose si parla. Non si fa finta di niente. Altrimenti che senso ha?» domanda, e il suo suona come l’interrogativo innocente di chi non sa, di chi non conosce la portata della situazione su cui sta mettendo bocca. Eijun sembra ancora troppo stupito per dirgli di farsi i fatti suoi – cosa che Satoru ha la sensazione non direbbe comunque, perché se non avesse voluto condividere la cosa non gliene avrebbe parlato fin dall’inizio – e continua a guardarlo per una manciata di secondi prima di chiudere la bocca e annuire, confuso.
Satoru abbassa gli occhi, torna a guardare la tazza e la prende tra le mani.
Si sente strano, fuori dal suo ruolo di ascoltatore passivo come di una larva dalla propria crisalide prima che fosse il tempo giusto per uscirne.
Avverte invece con estrema chiarezza la punta di disagio che si espande silenziosa e letale dentro di lui; si sente ipocrita, ecco cosa.


Miyuki non si aspetta mai la maggior parte di quel che Eijun fa, stupendolo volta dopo volta come se fosse la cosa più facile da fare. Certo, vederlo uscire dal proprio appartamento qualche giorno prima a seguito dell’incontro con Mei è stato diverso della volta ancora precedente, i presupposti e i toni lo sono stati, e per questo Kazuya aveva dato per scontata l’assenza di una sorta di vendetta fatta di silenzi o simili.
Da quello a ritrovarsi il messaggio di Eijun che è ancora lì, illuminato sullo schermo del suo cellulare quasi a farsi beffa della sua persona, ne passa. Le parole sono chiare, e per quanto Miyuki vorrebbe avere la scusa buona per sottolineare nella sua risposta come Eijun sia incapace di scrivere senza sbagliare ideogrammi – anche se l’opzione di burlarsi di lui per il suo scrivere in hiragana parole il cui kanji evidentemente gli sfugge sembra un’alternativa di tutto rispetto – non può. Non per un’improvvisa coscienza, ma più perché c’è ancora una buona dose di incredulità che non permette al suo cervello di processare appieno quanto letto.
Inspira, mentre digita la propria risposta e non sa se odiarsi e no per ciò che scrive e poi invia, né sa cosa aspettarsi; qualcosa in lui sembra preda di un’innaturale vena di ottimismo, e al tempo stesso gli urla dietro quanto sia una pessima idea.
L’avviso di messaggio inviato con successo distrugge ogni possibilità di ripensamento.


“Nel week-end i miei tornano a Nagano.
Ti va di restare a dormire?”

“Ok”

   
 
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