Per una manciata di secondi si guardano tutti e quattro – lui, Eijun,
Mei e la persona con quest’ultimo e che Kazuya non ha idea di chi sia – e
sembra un film comico: negli occhi azzurri di Mei c’è un’accusa così palese da
far supporre a Miyuki che persino il cartello della fermata dell’autobus abbia
capito cosa stia succedendo; lui vorrebbe avere la certezza di stare mantenendo
un’invidiabile poker face, ma ammette
di non fidarsi così tanto di se stesso da mettere la mano sul fuoco, ora come
ora. Quanto al ragazzo con Narumiya, sembra spaesato quanto basta a suggerire a
Kazuya di non doversene preoccupare troppo. Eijun invece, accanto a lui, si è
irrigidito quando il pianista è rientrato nel suo campo visivo; Miyuki lo avverte
chiaramente nella propria tasca, la mano di Sawamura che ha stretto più forte
la sua di riflesso. Quasi non ha bisogno di guardare il ragazzo al proprio
fianco per sapere che sta spostando lo sguardo tra lui e Mei come se si
aspettasse di veder esplodere una bomba o qualcosa del genere.
«Mei-san, è tutto a posto?» è la domanda che rompe il
silenzio, posta dal giovane vicino a Narumiya. Miyuki capisce dal suo sguardo
come sappia già da solo la risposta ma abbia preferito quel modo di mettere la
cosa invece di un più diretto – e catastrofico? – “che sta succedendo?”.
La cosa più destabilizzante per Kazuya, in quel momento, non è l’espressione
che si fa strada sul viso di Mei, ma riconoscerla, interpretarla con
un’esattezza pressoché totale e sapere di averne pieno merito; Narumiya non è
mai stato trasparente come Eijun, né ermetico come lui. Mei è sempre stato la
via di mezzo perché spaccato a metà, due persone in una, due identità così
distinte da rendere tutto irreale. Kazuya ha conosciuto il Mei semplice, quello
dagli atteggiamenti infantili e l’ego troppo grande, bisognoso di attenzioni ma
non di protezioni, impossibile da definire sensibile credendoci davvero; eppure
ha conosciuto anche il Mei complesso, il pianista che in una sola nota musicale
ha sempre saputo raccontare tutto se stesso, senza risparmiare nulla,
mettendosi tra le mani del suo pubblico, a nudo come nessuna persona potrebbe
davvero avere mai il coraggio di fare. Mei è sempre stato dicotomico, nella sua
complessità che agli occhi di Kazuya lo ha reso semplice da comprendere dopo
anni di conoscenza e un discreto tempo di relazione – e perciò ha pensato che
l’assenza di un rapporto li avrebbe resi sconosciuti l’uno all’altro, estranei
privi del desiderio di sfiorarsi di nuovo anche solo con lo sguardo. Invece ora
gli occhi azzurri di Mei lo squadrano, e per un momento il ragazzo e il
pianista sono unici nel loro conflitto: Miyuki non fatica a riconoscere
l’arroganza di chi si è sempre creduto dalla parte della ragione, l’irritazione
per non avere mai ottenuto delle scuse che lo soddisfacessero, l’incredulità di
quando si capisce di non essere unici e insostituibili come si credeva e
insieme a quella lo sconquasso della mediocrità.
Mei è, infine, la dimostrazione vivente di come non sia facile lasciarsi alle
spalle gli altri e cancellarli dalla propria esistenza come se non ne avessero
mai fatto parte; è uno schiaffo morale.
Miyuki pensava di essere molto meglio – nel peggio – di così.
Narumiya ha detto con lo sguardo più di quanto potesse dire con le parole, ma
non si priva certo di queste ultime, non sarebbe da lui; alterna lo sguardo tra
Kazuya e Eijun, tra loro e la mano che sprofonda nella tasca della giacca di
Miyuki, e li guarda entrambi con qualcosa che somiglia alla pietà: «Buona fortuna,
ne avrai bisogno.» è quello che pronuncia ed è rivolto a Sawamura, non a
Kazuya. Se lo richiama, Miyuki, non è per dargli quelle scuse che ha
pronunciato già una volta e che è evidente non siano state abbastanza; c’è un
monito nel suo sguardo prima ancora di dare voce a delle parole, ma Mei non gli
dà modo di pronunciarle.
«Non ci provare neanche.» quasi lo ringhia «So già quanto tu possa essere codardo, non ci sperare che stia qui ad
ascoltarti mentre fai la voce grossa, Kazuya.» gliele vomita addosso, le
parole, e Miyuki sente anche quelle che non dice.
Spero tu possa pentirtene.
Lo lascia andare via, senza dirgli nulla, perché fuggire nel silenzio è più
facile; nella sua tasca, la sua mano è fredda, appena sudata, e stringe quella
di Eijun senza nemmeno accorgersene.
Il tragitto verso il suo appartamento è silenzioso, e dal momento che c’è Eijun
con lui, la cosa risulta innaturale; non da parte di Kazuya, quello no, per
quanto di solito tra loro non aleggi quasi mai un’atmosfera fatta di quel tipo
di quiete che pesa sulle spalle degli altri, fatta di pensieri inespressi in
mancanza di un modo giusto di dargli voce o della voglia di farlo. Sawamura
riempie le loro conversazioni più di lui, ma Miyuki non è mai stato il tipo che
non riesce a spiccicare parola – se lo è, il motivo alla base della sua
mancanza di partecipazione è la poca simpatia verso il soggetto di fronte a
lui, e non è quello il caso. Suppone che l’assenza di domande sia il modo di
Eijun di mostrare una certa sensibilità nei suoi confronti e, in fondo, gliene
è grato.
Di contro la sua mente non è piena di congetture e di pensieri, non è un
accavallarsi confuso di considerazioni sulle parole di Mei; è una tabula rasa,
il classico esempio di come si ottenga il nulla totale tanto più ci si sforza
di ragionare su qualcosa controvoglia. È un conflitto d’interessi tra la
consapevolezza di dover mettere ordine agli avvenimenti e il non avere alcuna
intenzione di farlo per così tanti motivi da non voler nemmeno iniziare ad
analizzare il primo. Così ad animare il loro ritorno è il rumore del motore
dell’autobus che avanza lungo la strada, il raro suono del campanello che
preannuncia una fermata prenotata da qualcuno dei pochi passeggeri presenti
oltre loro, dalla cadenza regolare dei loro passi sulle scale che li guidano
fino alla porta del suo appartamento e, infine, dal tintinnio delle chiavi prima
che una di esse venga infilata nella serratura per aprire ed entrare,
riparandosi dal freddo e dal resto del mondo.
Eijun entra come se non fosse sicuro di poterlo fare, a eccezione del fatto che
Miyuki lo anticipa e non si richiude la porta alle spalle, in un tacito invito
a varcare la soglia. Kazuya si concede pochi istanti di calma nel ripetere la
piccola routine di gesti a cui si è
abituato quando rientra: mettere le chiavi nella toppa dopo aver richiuso la
porta o chiudersi dentro se non ha più bisogno di uscire, posandole poi sul
mobiletto all’ingresso; liberarsi del cappotto, delle scarpe e indossare le
pantofole lì nel genkan per poi
entrare davvero e accendere la luce. È automatico per lui dirigersi nella
stanza dove ha parlato con Eijun l’ultima volta, così come sono meccanici i
gesti con cui mette il bollitore sul fornello una volta riempito con l’acqua,
accendendo il gas e aspettando che lo avvisi quando l’acqua bollirà. Il lato
negativo dei gesti fatti senza quasi pensare è che non fanno mai parte di
azioni che impiegano un quantitativo di tempo molto ampio; ne consegue il
trovarsi imbambolato davanti ai fornelli senza sapere bene cosa fare.
Per sua fortuna, vivere da solo comporta avere molti gesti abitudinari; per sua
sfortuna, ora non è solo.
«Stai bene?» è la domanda con cui Sawamura rompe quella loro fase di stallo, e
Miyuki abbozza un sorriso senza troppa convinzione perché è una domanda così da lui eppure lo stupisce comunque.
Eijun sembra persino dimentico dell’ultima conversazione che hanno avuto in
casa sua, e quando si volta a guardarlo Kazuya trova sul suo viso
preoccupazione anziché qualche tipo di accusa; gliene è grato, e al tempo
stesso lo innervosisce, in una piccola parte di lui. La mette a tacere, perché
non è ancora messo così male da perdere di vista la razionalità e si concede
uno scrollare le spalle, quasi a minimizzare l’accaduto. In verità non c’è
stato niente di inaspettato nell’atteggiamento di Mei.
«Te l’ho detto,» pronuncia, poggiandosi contro il piccolo piano da lavoro
vicino ai fornelli, incrociando le braccia al petto «io e Mei non ci siamo
lasciati bene.» ribadisce, come se non ci fosse altro da dire perché tutto il
resto è ovvio. Legge negli occhi di Eijun come di ovvio non ci sia molto.
Sospira. Alla fine immagina di doversi arrendere.
«Hai visto Mei suonare, giusto?» domanda e non fatica a scorgere
nell’espressione perplessa dell’altro il tacito dubbio su come la cosa abbia
rilevanza nel discorso che stanno affrontando; Sawamura però annuisce, forse
più d’istinto che non per comprensione: «Non nasconde molto di sé quando suona:
è orgoglioso, arrogante, sa quali sono le sue capacità e la falsa modestia non
fa parte del suo carattere. Riversa nel pianoforte tutto quello che ha da
mostrare al mondo, tutto quello di cui va fiero, la perfezione che vuole
raggiungere e che sa di raggiungere.
Lavora più di chiunque altro, o come tutti gli altri del suo ambiente, non
saprei dirlo. Rimane il fatto che gli piace primeggiare, gli è sempre piaciuto.
Questo è un bene.» ammette, perché non ha dubbi su quanto sia importante
nell’ambito di una perpetua competizione «Ma fuori dal pianoforte, non è così
facile. Non gli basta allenarsi per ore e ore fino a sputare sangue sui tasti.
Fuori il suo carattere snerva la maggior parte delle persone che lo conoscono
abbastanza da farsi almeno un’idea superficiale. Ha lati positivi, ma non è
facile avere la pazienza per arrivare al punto in cui li mostra.» ammette con
un mezzo sorriso che non ha molto di affettuoso, ma tanto di derisione, un po’
per sé e un po’ per Narumiya.
Ha sempre pensato di essere durato con lui a lungo perché sono simili. Il che,
forse, è anche quello che li ha fregati alla fine – o forse no, Kazuya non ha
voluto davvero pensarci e non vorrebbe farlo nemmeno ora. Guarda Eijun, preso
dalle sue parole, lì a pendere dalle sue labbra.
«Mei ha sempre amato pavoneggiarsi ed essere al centro dell’attenzione
femminile, a scuola. Ma anche di quella maschile, per lui essere idolatrato non
aveva limiti nel genere di chi gli rivolgeva quel tipo di sentimento. Non è mai
stato un mistero per nessuno che lo conoscesse un minimo, come non si facesse
problemi a ricevere avances dall’uno
o l’altro sesso; il che non significava che gli andasse bene chiunque,
tutt’altro. Il bell’aspetto gli valeva una popolarità immeritata, considerando
il suo pessimo carattere, ma alla fine qualcuno se ne accorgeva in tempo per
risparmiarsi un rifiuto non sempre cortese.» spiega brevemente. Aveva
dell’assurdo ritrovarsi a parlare del Narumiya conosciuto qualche anno addietro
quando fino a un paio di ore prima non aveva preso in considerazione di
parlarne neanche alla lontana per ancora parecchio tempo.
«E tu com’eri?» chiede Eijun, spezzando il suo silenzio prima di quanto Miyuki
avesse messo in conto. C’è uno sbuffo divertito, ma vuoto; è più autoironia,
forse.
«Come adesso, più o meno. Kuramochi potrebbe confermare.» assicura «Non mi
interessava molto Mei in quell’ottica. Avevo ricevuto qualche dichiarazione dai
ragazzi ma non mi aveva mai toccato granché, in positivo o in negativo. Tra me
e Mei era più un… beh. Mei non accetta mai un “no”
come risposta. Era divertente continuare a rifilargliene ed essere uno dei
pochi a non cedere al fascino di Narumiya, qualunque fosse quello che gli altri
vedevano in lui.» pronuncia, il fischio del bollitore che gli arriva alle
orecchie distraendolo, quasi dimentico di averlo messo sul fuoco. Si volta per
spegnere il fornello e apre la credenza, tirandone fuori due tazze e iniziando
a occuparsi della miscela e di versare l’acqua con gli stessi gesti meccanici
di prima. Decide di continuare comunque a parlare – non crede molto nella
durata del proprio coraggio.
«A un certo punto siamo finiti insieme. Non dirò che sia stato casuale, ma non
immaginare il tipo di dichiarazione dopo anni di sentimenti ritenuti a senso
unico. Abbiamo iniziato a uscire insieme, e andava bene; a me non dispiaceva
assistere alle esibizioni di Mei, a lui non seccava troppo venire a vedere le
mie partite quando poteva. È veramente una storia senza molti colpi di scena.»
ironizza, assicurandosi di aver chiuso l’anta della credenza, di aver riposto
gli infusi inutilizzati, di aver riempito abbastanza entrambe le tazze per portarle
al tavolino basso. Ne posa una davanti a Eijun, concentrato più sulle sue mani
che sul suo viso e tanto gli basta per capire lo stato d’animo altrui o
intuirlo almeno in parte: i pugni stretti gli comunicano ansia, attesa per il
resto della storia, nervosismo per il non sapere dove tutto andrà a parare.
Miyuki vorrebbe saperlo.
Sawamura non parla subito, sciogliendo la stretta delle proprie mani per
poterle avvolgere intorno alla tazza e bearsi del calore che il liquido all’interno
conferisce alla ceramica. Mugugna qualcosa che a Miyuki sembra più un tentativo
di ordinare i pensieri prima di dargli voce, ma non lo incalza e si chiede
intanto come dovrebbe continuare il racconto. Non è sicuro di voler dare a
Eijun i dettagli di una relazione, perché significherebbe raccontare più di un
anno di cose andate bene; non vuole farlo per due motivi: è restio alla
condivisione di dettagli della sua vita se può evitarli, e soprattutto, un anno
e mezzo di relazione presumibilmente felice non cancella la fine disastrosa.
Sospetta sarebbe inutile mostrare il bello che tanto non è durato, come
l’incontro di quella sera dovrebbe aver reso chiaro persino a Eijun.
L’altro non gli fa domande, e Kazuya capisce di non poter sperare in quelle per
scegliere come proseguire. Perciò decide che un anno e mezzo si può saltare.
Non è così importante.
«Alla fine» riprende come se avesse invece spiegato ogni più piccolo dettaglio
all’altro parlando per ore «in una relazione è normale arrivare al sesso. Ci
abbiamo provato. Non è andata bene.» lo dice con tono asciutto, più brusco di
quanto vorrebbe – sa che non è colpa di Eijun, come non era colpa di Mei e
gliel’ha detto. Avrebbe voluto sentirsi dire che non era nemmeno colpa sua.
«Quindi l’ho lasciato.» aggiunge, quasi impersonale, come se non lo
riguardasse. Alza lo sguardo su Sawamura, e vede nei suoi occhi qualcosa a metà
tra la presa di coscienza e il timore, e Miyuki riderebbe in altri contesti.
«Perché… non potevate fare sesso?» mormora Eijun, in
un’incertezza che non fa parte di lui. Kazuya non lo biasima per il suo non
riuscire a comprendere al volo cosa ci sia dietro a quella che sembra una
motivazione assurda; in altre occasioni ha sentito altri dire la propria
sull’argomento, credere che basti aspettare e la voglia prima o poi salterà
fuori. Ne sa abbastanza da sapere che non è così.
«Perché voleva qualcosa che non avrei mai potuto dargli e che non saprò dare
mai a nessuno. Nemmeno a te.» aggiunge schietto, duro, forse anche crudele. C’è
un’atmosfera tesa fra loro, dove sorseggiare tè non sembra contemplato come
azione per fingere che tutto sia a posto mentre si prende tempo; Eijun ha gli
occhi fissi sul liquido scuro e tace, forse in cerca delle parole giuste, ma la
sua espressione rende chiaro come il peso di quanto detto da Kazuya sia
caracollato anche sulle sue spalle. È una cosa che Miyuki si augurava di non
vedere più: la persona impegnata a fare del suo meglio per stare con lui
cercare le parole giuste per qualcosa che gli è difficile inquadrare e capire,
tanto da finire con il sentirsi in colpa.
Ammette con se stesso di non aspettarsi di sentire il richiamo di Eijun, quel «Miyuki?»
pronunciato con fare interrogativo che invece riempie la stanza. Alza lo guardo
su di lui prima ancora di processare la cosa nella propria testa e quello che
si trova davanti è uno sguardo deciso e sincero; lo destabilizza, a dire il
vero. Si aspettava qualcosa di diverso.
«Io non vorrei qualcosa che tu non vuoi.» lo dice con una semplicità spiazzante
e al tempo stesso con la serietà di chi conosce il peso delle parole che
pronuncia «Voglio dire, potrei volerlo.» ammette e Miyuki scorge in lui il
tentativo di mettere da parte ogni imbarazzo che l’argomento sesso, un qualcosa
di intimo di cui in condizioni normali non parlerebbero in quel modo, gli
suscita «Ma se tu non lo volessi a tua volta… è una
cosa che si fa in due. Insomma, è come una relazione e basta. Non è una cosa a
cui puoi costringere gli altri.» cerca di spiegarsi e Miyuki capisce davvero
cosa intende – è una cosa che chiunque al mondo dovrebbe capire ma che troppe
volte, anche in altri contesti, sfugge con una facilità incredibile.
Vorrebbe credergli, vorrebbe trovare meno difficoltà ad affidarsi alle sue
parole, vorrebbe non fargli il torto di insinuare il dubbio tra i sentimenti di
Eijun chiedendosi se sarebbe davvero così andando avanti, o se sia davvero
conscio del peso di quanto sta pronunciando o, ancora, dicendosi che forse è
stato così pure per Mei e invece sono arrivati al punto in cui si incontrano
per strada e cercano uno di scappare e l’altro di riversare niente più della
delusione e del disprezzo su un’altra persona. Vorrebbe vantarsi della
razionalità che gli è propria nella maggior parte degli ambiti della sua vita.
«Mh.» è il suo massimo, e non inizia neanche ad
avvicinarsi a quanto potrebbe dirgli se solo le cose fossero diverse.
Vorrebbe spiegargli che pur trattandosi di una cosa da fare in due, lui e Mei hanno fatto il grande errore di ragionare
come se fossero sempre stati soli, l’uno preservando il proprio orgoglio e i
propri sentimenti, l’altro la propria sicurezza emotiva; è così che ci si
lascia in maniera orribile, così che si chiudono per sempre rapporti forse
salvabili.
Mentre lo guarda, Miyuki per la prima volta non riesce a inquadrare con chiarezza
cosa lo spaventi di più: la quasi assoluta certezza che Eijun abbia sempre più
il potere di ferirlo, o la consapevolezza – per nulla sana – che se mai
succedesse, l’unico modo per proteggere ancora una volta se stesso sarebbe
annientare lui.
Abbozza un sorriso, non visto nel suo nasconderlo dietro la tazza di tè: è
abbastanza sicuro che Kuramochi lo ucciderebbe, nell’eventualità.
A Furuya piace l’inverno, e gradisce in particolare l’idea di mettersi sotto il
kotatsu, anche se quella di
sistemarsi lì per studiare in passato si è sempre rivelata pessima,
considerando che il calore ha sempre comportato per lui lo stabilire un nuovo
record di velocità nel prendere sonno. Se non altro ora come ora per loro gli
esami sono conclusi e il grosso dello studio può essere messo da parte.
Lì sistemato nel salotto di casa Kominato, la parte inferiore del corpo già a
bearsi del calore, gli arrivano all’orecchio le voci di Haruichi ed Eijun dalla
cucina; in genere non approfitta dell’ospitalità altrui in quel modo, di solito
c’è un via vai tra le stanze in modo da portare in breve tutto ciò di cui hanno
bisogno, iniziando dal tè e finendo con stuzzichini di vario genere. In questo
caso non c’è l’impiccio dei libri da sistemare, e per quanto loro tre in
qualche modo si siano ritrovati a formare un trio dal loro primo anno, Satoru
ha sempre trovato facile delineare i loro rapporti. Non è un mistero per
nessuno il fatto che Haruichi e Eijun siano migliori amici, né lui si è mai
sentito escluso per questo. Hanno relazioni diverse tra loro, e d’altronde
troverebbe molto difficile accudire Eijun come una mamma mancata, cosa che
spesso a Kominato risulta naturale come respirare. Ci vuole una pazienza che
non possiede, un’inclinazione che non gli è propria e forse una sensibilità che
non è certo di voler ammettere di possedere.
In ogni caso, se anche fosse il migliore amico di Eijun, per un kotatsu lo tradirebbe.
I due si affacciano sulla soglia con le mani impegnate: Haruichi porta con sé
un vassoio con sopra l’occorrente per servire un tè caldo di cui si intravede
solo il vapore a fare capolino dal beccuccio della teiera; dietro di lui Eijun
è occupato a portare con sé un quantitativo di biscotti che Furuya suppone
fosse originariamente in una confezione promozionale da un chilo. Entrambi si
inginocchiano per posare il tutto sulla superficie in legno, e Haruichi perde
un poco più di tempo a versare la bevanda per tutti e tre.
Eijun è silenzioso, e non lo è mai, perciò capire che qualcosa non va è fin
troppo facile. Furuya non vanterà una grande dialettica, ma un buono spirito di
osservazione sì, ed è abbastanza sicuro di riconoscere nella poca loquacità di
Sawamura e nel modo in cui tiene gli occhi bassi la presenza di qualcosa che
gli dà da pensare. Non azzarda a dire “lo
turba”, perché non è sicuro sia proprio quello il sentimento predominante.
In ogni caso, non è a lui che tocca incalzarlo.
Haruichi riempie il loro silenzio con domande o commenti di natura semplice,
perché è tipico di lui mettere a proprio agio gli altri lasciando che scelgano
da soli il momento in cui parlare o se vogliono farlo; forse quella sua
capacità innata è persino stata coltivata da quando è diventato capitano della
squadra, sebbene oramai il tempo per il club scolastico sia agli sgoccioli e il
nuovo capitano sia già stato designato. Alterna lo sguardo da lui a Eijun, con
la scusa di portare una mano ad appropriarsi di un biscotto, non troppo
distante dal suo pari ruolo. L’altro sta replicando a una domanda di Kominato
che lui si è invece perso per strada, quando si blocca a metà della frase, un
biscotto a mezz’aria e l’espressione contrita. Furuya riconosce il segno, nel
linguaggio del corpo di Sawamura, che preannuncia l’equivalente della rottura
di una diga; un attimo dopo, la voce di Eijun esprime una sola domanda: «Non
avrei dovuto chiedere cos’è successo?»
Tocca a Satoru aggrottare le sopracciglia senza capire, scambiare uno sguardo
perplesso con Haruichi, e lasciare a quest’ultimo il compito di decifrare
quell’uscita che non si collega affatto al discorso affrontato fino a un
momento prima – a meno che Eijun non stia disquisendo sul fatto di aver chiesto
qualcosa a una marca di ramen
precotto.
«Di che parli, Eijun?» è la legittima domanda a cui dà voce Haruichi, e Furuya
si limita a mordere un biscotto e a guardarli. Osserva Eijun, più che Kominato,
e cerca di estrapolare dalla sua espressione quanto può prima che lui parli.
Sawamura non è una persona riservata, perciò già il fatto che ponderi tanto
prima di rispondere anziché lanciarsi in un’invettiva contro qualunque cosa lo
disturbi è strano; Satoru ha imparato ad apprezzare in silenzio il fatto che
l’altro riesca a essere tanto trasparente nei suoi sentimenti, probabilmente
perché lui non è in grado di farlo nemmeno in minima parte se non per ciò che
concerne il baseball. È determinato, certo, e ambizioso nell’ambito sportivo ma
tutto ciò che esula da quest’ultimo gli è difficile da esprimere e non solo per
il bisogno di trovare le parole giuste per farlo. Certo, preferirebbe ancora un
Sawamura in grado di regolare il tono della propria voce, ma quella è un’altra
questione.
«Eijun» il richiamo di Haruichi risveglia anche lo stesso Furuya dai propri
pensieri «è successo qualcosa con Miyuki-san?» domanda a bruciapelo, con quella
schiettezza cortese ma decisa che è parte di lui. Satoru sa che nel loro trio
Haruichi è sempre stato considerato il più incline all’osservazione, ma in
verità è abbastanza certo che pur se in modi diversi quella qualità sia propria
di entrambi; l’unica differenza è il modo in cui Kominato la mette in pratica,
ossia riuscendo a dare una mano senza risultare impiccione o spesso senza che
nemmeno ci si accorga dell’aiuto che fornisce, quasi come un’eterna comparsa
messa vicino a un brillante protagonista che ruba la scena. Per quanto riguarda
lui, Satoru preferisce osservare e fare tesoro della maggior parte delle cose
che vede, risparmiandosi spesso domande a cui non ha davvero voglia di dare
voce o la cui risposta potrebbe non essere il modo migliore per finire la
giornata. Conosce meglio di molti altri il bisogno di mantenere i propri
segreti e, ancor più di quello, di far sì che gli altri non sospettino nemmeno
la presenza degli stessi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di cose di
poco conto, comunque. Però è facile riconoscere lo stesso bisogno nello sguardo
di Eijun e nel suo modo di indugiare senza guardare Haruichi.
Alla fine lo vede annuire.
«È complicato.» inizia Sawamura e quello desta l’attenzione di Satoru «E sono
cose private di Miyuki…» ammette, il che fornisce più
spiegazioni di quante ne servano in realtà. Furuya non finirà mai di stupirsi
in merito a quanto Eijun diventi bravo a mantenere i segreti degli altri,
quando a guardarlo nella quotidianità si sarebbe legittimati a credere che non
sia capace neanche di tenere per sé le cose più imbarazzanti della sua vita.
Non lo ha mai pensato con cattiveria, Satoru, solo che insomma: Eijun è così
chiaro nei suoi sentimenti da risultare per nulla credibile quando mente e troppo
nervoso quando cerca – senza risultato – di nasconderti qualcosa; non è proprio
la prima persona a cui Satoru penserebbe se dovesse affidare a qualcuno
un’informazione da non divulgare per un motivo o per l’altro. Tende a
dimenticare quanto Eijun sia testardo e attaccato al concetto stesso di
amicizia, per cui ogni parola di troppo sulle questioni private di un’altra
persona è per lui il tradimento peggiore che si potrebbe rivolgere a qualcuno,
con ogni probabilità.
Encomiabile, ma anche di una stupidità infantile e buffa.
«È stato insieme a Narumiya.» si lascia scappare alla fine, con un sospiro così
grande che a Furuya sembra quasi di vederlo afflosciarsi su se stesso. Haruichi
di suo non sembra sorpreso, più rassegnato di fronte alla dimostrazione di avere
ragione in merito a qualcosa di già intuito o fiutato. Sebbene Satoru non abbia
idea di come potesse aver indovinato la relazione di una persona che non
conosce con una che conosce a malapena perché all’università con suo fratello
maggiore, intuisce come l’altro si fosse augurato di avere torto o che almeno
la verità non arrivasse alle orecchie di Eijun. Non dice nulla, né fa gesti
particolari, in un tacito incoraggiamento a continuare rivolto all’amico;
Sawamura non ha bisogno di altro: «Pensavo andasse bene chiedere. Insomma, gli
avevo raccontato di aver visto con te la sua esibizione e lui non aveva detto
niente. Pensavo che magari fosse perché non tutti parlano dei propri ex a
quelli con cui stanno.» ammette.
Furuya non si sente di rendere noto ad alta voce il suo pensiero, ossia che per
il poco tempo passato a osservare Miyuki Kazuya l’altro non gli sia sembrato il
tipo da avere un’accortezza simile e che, se deve indovinare un motivo per cui
potrebbe nascondere la passata relazione con qualcuno è per riservatezza nella
migliore delle ipotesi. Decide di non voler indagare sulla peggiore.
«Ma poi abbiamo discusso, e ci siamo trovati al ristorante dove lavora Youichi-san, e mentre tornavamo a casa abbiamo incontrato Narumiya…» continua a raccontare Eijun, il viso sempre più
contrito mentre gli occhi ambrati scrutano la parte in legno del kotatsu come se dovesse farci dei fori
da parte a parte. Se non sembrasse così impensierito dalla situazione, Furuya
troverebbe quasi divertente il modo in cui l’altro affretta le sue spiegazioni
rimanendo sul vago quando, per un motivo o per l’altro, non è in grado di
fornire dettagli. Haruichi invece si sistema meglio, seduto al suo fianco – e
dal lato opposto a quello dove sta Satoru – lasciando trapelare dal linguaggio
del proprio corpo come non abbia intenzione di forzare Eijun ad aggiungere
niente più di quanto sia già disposto a dire e al tempo stesso sia pronto ad
ascoltare, di qualunque cosa si tratti.
Satoru non assume posizioni particolari, perché ha imparato come Eijun non ne
abbia bisogno: l’altro ricerca la sicurezza in Haruichi, non in lui; in parte è
come se desse per scontato il suo silenzio, in un modo buono e che una volta
compreso ha fatto sentire Furuya persino lusingato in un certo senso. Non se lo
sono mai detti a parole, e suppone non se lo diranno mai, ma immagina che abbia
sempre significato fiducia.
«Eijun, se non puoi parlarne è giusto tu non lo faccia.» pronuncia Haruichi, il
tono morbido e una mano che va a compiere con delicatezza il gesto di posarsi
sulla schiena dell’amico, passandola su e giù come si farebbe con un bambino
per fargli passare la paura. Quel fare così semplice e affettuoso ha il potere
di cambiare lo sguardo di Eijun – Furuya lo vede prendere più coraggio, tornare
deciso e poi scuotere la testa: «Hanno avuto dei problemi tra loro.» dice, e
per quanto possa sembrare un’affermazione scontata parlando di due persone che
si sono lasciate, sia Satoru che Haruichi comprendono come quello sia il modo
di Sawamura di fargli capire che non dirà niente più di quello in merito.
Rispettano entrambi la cosa, e lo dimostrano non facendo alcuna domanda. È così
ovvio quanto quello metta Eijun a proprio agio da far chiedere a Furuya se lui
sia diventato improvvisamente empatico o se abbia solo imparato a conoscere
Sawamura più di quanto ammetterebbero entrambi. C’è un imbarazzo di fondo nel
sapersi conscio che si tratti della seconda opzione.
«E non lo so, penso… è un tipo di cosa che potrebbe
succedere anche con me. Oppure penso “quindi a parte questo problema, andava
tutto bene?”, e se quel problema non ci fosse più…
insomma. Miyuki potrebbe—»
«Eijun,» lo interrompe Haruichi «non posso vantare una grande conoscenza di
Miyuki-san. Ma se posso darti un parere, non penso tu debba preoccuparti di una
eventualità del genere. Ora vuole stare con te, e questo…
problema, di cui parli, non si è ancora presentato. Potrete preoccuparvene
insieme, se succederà, e nel frattempo dovresti
solamente impegnarti perché non accada.» conclude, il suo punto di vista chiaro
e rassicurante. In effetti non è da Sawamura fasciarsi la testa prima del
tempo, e dal canto suo Satoru non pensa di dover davvero aggiungere qualcosa a
quanto detto da Haruichi.
La quotidianità di Furuya, d’altronde, non è mai stata costellata di molte
presenze a lui coetanee; finché ha vissuto in Hokkaido, la compagnia preferita
è sempre stata quella di suo nonno, silenzioso e austero nella sua gentilezza,
simile a quei fiori che contro ogni aspettativa sbocciavano proprio in
concomitanza con lo scioglimento delle neve. Agli occhi degli estranei suo
nonno poteva sembrare scostante e freddo, incapace di gesti d’affetto, ma
Satoru si è sempre sentito amato e protetto; di contro, sono sempre stati così
simili da andare d’accordo in maniera perfetta e naturale.
È stato incredibile arrivare lì a Tokyo e ritrovarsi nella squadra Eijun, la
cui indole è accostabile all’immagine del sole e dell’estate, una luce
accecante e un calore quasi insopportabile – e quando Satoru ha vissuto per la
prima volta la calura dell’estate di quella città ha pensato il paragone fosse
ancora più calzante. Il confronto con Sawamura è sempre stato inevitabile, come
succede già tra compagni di classe e non fa che peggiorare quando si è compagni
di squadra, pari ruolo, e si finisce persino a fare gruppo. Anche se in modo
poco convenzionale, visto che al loro primo anno forse nessuno dei due lo
voleva né lo riteneva possibile.
Molte sconfitte e due infortuni dopo – uno per parte – le cose vanno meglio,
sono più naturali. È ancora abbastanza sicuro che chiunque li veda per la prima
volta insieme non penserebbe mai a loro come amici, e forse tra loro manca
ancora quel qualcosa che gli permetta di esserlo nel modo in cui lo sono Eijun
e Haruichi; ma è molto, molto più di quanto Satoru abbia mai avuto. Gli sta
bene essere lì in silenzio, gli va bene che Sawamura non si aspetti da lui un
conforto simile a quello offerto da Kominato, è persino grato che non si aspetti da lui qualcosa più di quanto lui potrebbe
dare perché sentirebbe addosso ancora una volta il fastidioso senso di
inadeguatezza che il baseball lo ha aiutato a lasciar scivolare via, relegato
in un angolo della sua testa e dimenticato per la maggior parte del tempo.
Gli va bene che Eijun non parli con lui di tutti i suoi segreti. Sa meglio di
molti altri quanto pesino quelli altrui.
«Lo so.» pronuncia Sawamura, rivolgendosi ad Haruichi più che a lui «Non è che
poi mi pesi evitare di finire nella stessa situazione. Insomma, è a posto. Anche
se io dovessi… ecco, comunque, vorrei solo che non
fosse così complicato farglielo capire.» sbotta, il principio di un broncio sul
suo viso.
Satoru non sa perché gli venga spontaneo aprire bocca, specie perché Eijun non
ha detto nulla di così terribile; quando lo fa – gli occhi sulla tazza di tè
che non ha ancora toccato – ha il tono di sempre, l’inflessione di sempre,
eppure c’è un’urgenza che è tutta nella sua testa e gli fa avvertire quella
punta di disagio lì in mezzo al petto: «“Se tu dovessi”, qualunque cosa sia»
pronuncia, rubando le parole dello stesso Eijun «allora dovresti.» ed è conscio che suoni senza senso, ma quando alza lo
sguardo sull’altro e gli occhi di Eijun instaurano un contatto visivo, lo vede
sussultare. Non sa immaginare che espressione abbia assunto contro la propria
volontà, ma persino Haruichi sembra
in qualche modo sorpreso, anche se con più discrezione.
«Non so cos’abbia Miyuki-san.» riprende, sull’onda di una partecipazione
sentita «Ma di certe cose si parla. Non si fa finta di niente. Altrimenti che
senso ha?» domanda, e il suo suona come l’interrogativo innocente di chi non
sa, di chi non conosce la portata della situazione su cui sta mettendo bocca.
Eijun sembra ancora troppo stupito per dirgli di farsi i fatti suoi – cosa che
Satoru ha la sensazione non direbbe comunque, perché se non avesse voluto
condividere la cosa non gliene avrebbe parlato fin dall’inizio – e continua a
guardarlo per una manciata di secondi prima di chiudere la bocca e annuire,
confuso.
Satoru abbassa gli occhi, torna a guardare la tazza e la prende tra le mani.
Si sente strano, fuori dal suo ruolo di ascoltatore passivo come di una larva
dalla propria crisalide prima che fosse il tempo giusto per uscirne.
Avverte invece con estrema chiarezza la punta di disagio che si espande
silenziosa e letale dentro di lui; si sente ipocrita, ecco cosa.
Miyuki non si aspetta mai la maggior parte di quel che Eijun fa, stupendolo
volta dopo volta come se fosse la cosa più facile da fare. Certo, vederlo
uscire dal proprio appartamento qualche giorno prima a seguito dell’incontro con
Mei è stato diverso della volta ancora precedente, i presupposti e i toni lo
sono stati, e per questo Kazuya aveva dato per scontata l’assenza di una sorta
di vendetta fatta di silenzi o simili.
Da quello a ritrovarsi il messaggio di Eijun che è ancora lì, illuminato sullo
schermo del suo cellulare quasi a farsi beffa della sua persona, ne passa. Le
parole sono chiare, e per quanto Miyuki vorrebbe avere la scusa buona per
sottolineare nella sua risposta come Eijun sia incapace di scrivere senza
sbagliare ideogrammi – anche se l’opzione di burlarsi di lui per il suo
scrivere in hiragana
parole il cui kanji
evidentemente gli sfugge sembra un’alternativa di tutto rispetto – non può. Non
per un’improvvisa coscienza, ma più perché c’è ancora una buona dose di incredulità
che non permette al suo cervello di processare appieno quanto letto.
Inspira, mentre digita la propria risposta e non sa se odiarsi e no per ciò che
scrive e poi invia, né sa cosa aspettarsi; qualcosa in lui sembra preda di
un’innaturale vena di ottimismo, e al tempo stesso gli urla dietro quanto sia
una pessima idea.
L’avviso di messaggio inviato con successo distrugge ogni possibilità di
ripensamento.
“Nel week-end i miei tornano a Nagano.
Ti va di restare a dormire?”
“Ok”