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Autore: KH4    02/05/2016    4 recensioni
16 Flash shot racchiuse in una sola e unica one-shot per il compleanno di Dreamangel24.
Coppia: Negative/Positiveshipping principalmente (accenni velati alla Sharkbaitshipping).
Avvertimenti: Gender Bender – OOC (il secondo per ogni evenienza).
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bekuta/Vector, Nasch, Yuma/Yuma
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Note:
Salute a tutti quanti voi! E’ da molto che non pubblico e questo mio ritorno è principalmente per una ricorrenza accaduta qualche giorno fa: il compleanno di DreamAngel24! Ancora tanti auguri, carissima! Questa Long One Shot è composta da frammenti di Negativeshipping (o Positive, in tutta sincerità non riesco più a fare la differenza), con giusto un microscopico accenno alla Sharkbaitshipping. La trama – se così si può chiamare - mi è venuta in mente grazie a un paio di disegni della festeggiata, ma non riuscendo a scrivere una mini long, ho trovato un metodo alternativo: quelle che leggerete sono mini-mini one shot, dei pensieri, se vogliamo definirle così e che spero piacciano alla mittente! Sinceramente avrei voluto concludere meglio, o in un'altra maniera, ma quando capita che hai tanti propositi si finisce solo per perdere tempo: concentrarmi sull’ispirazione datami dai disegni è stato un modo efficiente per concludere l’opera, ma chissà che in avanti non scriva qualche altra mia teoria. Buona lettura a tutti (e spero che non ci siano errori)!

 
 
Soul’s Drops
 
Sorriso / Vector.
Fu sua madre – la Grande Regina – a farli incontrare. Nessuna onorificenza, nessuno inchino o inutili ossequi. Solo un sorriso che Vector si era sempre limitato a sbirciare con l’inconscio desiderio di dipanare una distanza di consistenza in realtà astratta quanto il suo respiro di bambino imbarazzato.
“Ciao! Io sono Yuna!”
 
Essenza / Yuna.
Non possedeva molti ricordi su chi fosse o da quale terra provenisse, ma la danza pareva smorzare quei costanti vuoti nebbiosi sostituendoli con una grazia misteriosamente insita dentro di lei, e al tempo stesso ironica per come riuscisse a isolarne l’irrimediabile goffaggine.
 
Promessa / Vector.
“Oltre l’oceano ci sono un sacco di terre sconosciute!”
Le notti stellate erano le migliori per sgattaiolare fuori dalle mura del castello e udire l’adagiarsi delle onde sulla spiaggia. Dell’enorme distesa d’acqua nera si distingueva giusto la sottile striscia che divideva il cielo blu notte, l’orizzonte dove erano nascosti reami più grandi del suo e meraviglie da cui erano state ricamate centinaia di leggende. Yuna lo ascoltava cercando di immaginarsi quel mondo così vasto e infinito che Vector gli descriveva come se fosse riuscito a vederlo con i propri occhi, covando una curiosità mista a delusione per il non riuscire a figurare nella propria mente uno solo dei paesaggi descritti.
“Mi piacerebbe moltissimo poterne vedere qualcuna…”, confessò involontariamente, assorta nei suoi pensieri.
“Ti ci porto io!” Vector scattò in piedi, deciso “Ovunque!”
“Sul serio?”
“Certo! Quando saremo grandi andremo insieme!”
 
Calore / Yuna.
Se chiudeva gli occhi e tentava di visualizzare i volti dei suoi familiari, tutto ciò che otteneva era un manipolo di sagome indistinte nel pieno di una fitta nebbia. Allora, la mano correva a chiudersi languidamente in un pugno appena accennato, e il vuoto provocato dalla mancanza di quell’affetto, che invece lei sapeva donare anche in dosi eccessive, acquisiva la forma di un fiammella luminescente capace di alleviare le sofferenze d’animo. Il tuo è un potere speciale, Sweetheart, le rammentava la voce di Tou-san, forte e rassicurante. Darà voce alla tua anima e ti proteggerà da coloro che vorranno rubartela.
 
Tempra / Vector.
L’epidermide scoperta riluceva di un rosso che, il solo tocco dei polpastrelli, ne scatenava un pizzicante bruciore. Dove vecchie ferite si erano cicatrizzate, altre ne erano comparse fra gli ansimi e gli arti indolenziti dei costanti allenamenti. Con la nuda pietra a tergergli il sudore della schiena e la frangia chiara ad appiccicarsi alla sua fronte, Vector lasciò scivolare i propri occhi su se stesso, sporco e urtato. La strada per far diventare realtà i suoi propositi di pace e prosperità sarebbe dovuta passare anche attraverso il suo corpo, oltre che alle sue parole. E al momento, il primo non era altro che un seme acerbo bisognoso di maggiore dedizione.
 
Desiderio / Yuna.
I minuti si protraevano su note mute, intarsiate su un silenzio dove il fuoco crepitava acciambellato sulle fiaccole. Danzava da quelle che parevano essere ore, ma non aveva alcuna intenzione di smettere.
Il principe osservava il suo librarsi in aria, accompagnato dai fiori di ibisco che ne affinavano il capo scuro, l’imprimersi di ciascun suo volteggio in una sala di grandezze più modeste rispetto a quelle dove egli discuteva di politica o riceveva gli alleati; il sapere i suoi occhi su di lei ne cristallizzava lo scorrere del tempo per incastrarlo in un ritmo più lento. Avrebbe potuto chiederle qualunque cosa, qualsiasi, ma ogni volta, quand’erano soli, la sua richiesta rimaneva sempre la stessa:
“Danzeresti per me?”
 
Dovere / Vector.
“Mio padre non è più in grado di gestire il regno.”
Le parole si erano sollevate consapevoli in un giorno qualunque, nel pieno della tiepida primavera che impreziosiva il giardino reale con il profumo del glicine a penzolare dai ruvidi rami e i candidi iris a prendere il sole, tetre e inevitabili per come l’intrecciarsi degli eventi si era susseguito.
Da anni il Grande Re, suo padre e Signore, aveva trasformato la semplice brama di potere in un’abnegazione degradante anche per il suo stesso popolo. L’evanescenza della fiducia, resa ombra di una gloria anch’essa divenuta spettro del passato, si era languidamente estesa sino a piantare solide radici che ora toccava a lui recidere prima che queste dessero fiori di malaugurata disfatta.
“Andrà tutto bene: sono sicura che riuscirai a mettere le cose a posto.”
La mano di Yuna appoggiata al suo palmo gli diede la sicurezza necessaria a credere in se stesso e in quei cambiamenti che avrebbe apportato per restituire la felicità al suo regno.
 
Palpito / Yuna.
Era un sentimento inusuale, il suo, dispiegato come i petali delle ninfe che oscillavano lungo la superficie cristallina della fonte. Sbagliato e forse semplicemente frutto dei troppi pensieri aizzati; almeno, così le era apparso nello preciso momento in cui aveva preso atto che il suo legame con Vector, agli occhi del padre, poteva rilucere di intenzioni diverse dal suo semplice essergli amica.
Non era una sciocca: conosceva perfettamente i limiti della sua posizione e mai si era data pena che ciò potesse essere, in qualche modo, forma di disturbo. Eppure, nell’osservarlo tutt’ora allenarsi, nel raccogliere e unire i momenti trascorsi, gli sguardi, le parole, non poté fare a meno di percepirli differenti dalle numerose memorie infantili. Che fosse solo suggestione per ciò che le era stato detto?
“Yuna!”
Il braccio di Vector si levò in alto per salutarla e, quasi a volergli impedire di uscire, la ragazza si affrettò ad appoggiare la mano all’altezza del cuore, rosso come il leggero velo che ne colorì le guance. No, quel palpito non era mera suggestione.
 
Confronto / Vector.
Poseidon diede il benvenuto a lui e alla sua nave ostentando la propria magnificenza senza alcun segno di voluta malizia; i discendenti del Dio Mare si erano tramandati il dominio delle acque e la promessa di tutelarle non mancando di preservare al tempo stesso l’antico sfarzo. Percorrendo la scricchiolante passerella di legno, Vector si ritrovò a dover ammettere che i pettegolezzi proliferati a macchia d’olio sino ai suoi confini avevano un più che solido fondo di verità: l’appellativo Perla dei Mari si intonava perfettamente alla ricchezza decantata, anche in un posto caotico come il porto, ma non per questo il suo regno valeva di meno.
 
Intreccio / Nash.
Gli occhi di ambedue ebbero solo qualche istante per osservarsi, prima che lei ruotasse su se stessa per evitare di travolgerlo e correre via.
“Chiedo scusa!”
Nash rimase a guardare la minuta figurina svanire fra le ombre bluastre che irradiavano uno dei tanti giardini interni del palazzo, pensando di essersi sbagliato, che i suoi occhi blu marino si fossero lasciati ingannare. Eppure quel vermiglio scintillante apparsogli tanto improvvisamente si era già scolpito nella sua mente in ogni singolo e specifico dettaglio.
 
Incrinatura /Vector.
Il rituale che coinvolgeva le sue dita, impegnate a scorrere fra i lunghi capelli corvini per sistemare meglio il brillante ibisco che indossava come ornamento, costituiva un minuscolo tassello che, unito a tanti altri, creava una corolla di immagini perfezionata e arricchita di dettagli aggiunti man mano che il dilungarsi del principe, nell’osservare la propria danzatrice, si intensificava per merito di ogni istante libero. Che si trattasse di un qualcosa di concreto o di un solo attimo rapito dal caso, il numero delle volte in cui l’occhio si era voltato per cercare Yuna superava di gran lunga la quantità minima affinché l’insieme fosse classificabile come un atto puramente inconscio.
“Sono patetici, non trovi?”
Inizialmente non seppe cosa fosse, quella sensazione che ne occluse il respiro, raschiandogli la gola, ma nell’opprimergli il torace quando il vociare dei nobili, ospiti come lui al Grande Consiglio degli Alleati presso il Regno di Poseidon, si lasciò coinvolgere dalla danza della ragazza, con sibili indecorosi, un sentimento mai provato aprì una piccola breccia nel suo animo, indurendogli le iridi color ametista.
 
Sogno Volteggiante / Nash.
Seduto fra realtà e fantasia, calma e agitazione, Nash ebbe l’impressione di riprendere fra le dita un tempo fossilizzato, forgiato sull’onda di una tenera età che le molteplici responsabilità tendevano a far apparire lontane e sbiadite.
Con il volto stillante una giovinezza eccessiva per un carattere freddo e di indifferente apparenza d’innanzi alle spirali infiammate che volteggiavano fluenti, il suo costante inseguire la fluidità della danzatrice si concentrava sul carpirne il viso nascosto dietro il velo rosato, gli occhi di liquido rubino che avevano imposto a ogni alito presente – compreso il suo - un silenzio marmoreo. Rammentò improvvisamente il quotidiano sgattaiolare nella biblioteca da bambino; fra i tomi sfogliati, uno piccolo e logoro ne aveva consumato avidamente i polpastrelli, narrando di una terra ricolma di frutti ardenti che Nash aveva vivamente sperato fossero reali.
I fiori di Fuoco. Si supponeva che la loro esistenza fosse illusoria per il semplice fatto che nessuno era mai riuscito a catturarne uno o ad attirarlo al di fuori del proprio nido. Le Lande Rosse elargivano temperature inconcepibili alla allora conosciuta anatomia umana, senza contare che inestinguibili incendi ne acciambellavano la morfologia identica a una grossa ninfa galleggiante, dai petali a forma di appuntiti scogli neri; le presunte incarnazioni di quello spirito iracondo parevano trascorrere gran parte degli anni all’interno di solide crisalidi e soltanto quand’erano in grado di forgiare con le proprie forze le medesime fiamme da cui erano nate potevano avventurarsi all’esterno, ma per la loro stessa natura restia, neppure ci provavano a sfiorare quel mondo colmo di chissà quali impronunciabili pericoli.
Il cuore palpitò con l’onirica ambizione a grattare furiosamente man mano che l’assorbire dei secondi si dilungava impietoso; se fosse dipeso da lui, non avrebbe esitato ad alzarsi dal trono, ma quell’insolita ansia che cavalcava sotto l’armatura non derivava dalla smania di porre fine a una boriosità protrattasi oltre il limite consentito.
Era il sogno che diveniva realtà.
 
Gesto / Yuna.
Le pallide labbra, rimaste per tutto il tempo piegate in una perfetta linea retta, sfiorarono delicate il palmo della sua mano. Il sovrapporsi di quel gesto diede voce a una delicatezza inconsueta, dalla forte presa che fece sussultare Yuna più dello stare lì, immobile, osservata e giudicata da tutte le persone rispettosamente accostate ai bordi di un confine illusorio che lasciava il centro della sala libero. Gli occhi che, alla fine della sua danza, le avevano chiesto la mano, porgendogliene a sua volta una, e ora con il resto del corpo inchinato d’innanzi a lei, erano pregni di un colore freddo; la loro stessa profondità ne scardinava la consueta naturalezza e fu la mancanza di screziature che più contribuì a intensificare la sua paralisi. Quel blu intenso, che si discostava dall’azzurro frastagliato dalla bianca spuma, per una ragione misteriosa, proiettò la fantasia verso un buio cullato da ovattato gorgoglio di bolle.
Sussultò ancora, confusa, a quel bisbiglio inspiegabilmente grato.
“Grazie.”
 
Spezzato / Vector.
L’allargarsi della sottile venatura dove, placidamente, la scheggia era riuscita a creare spazio sufficiente per incastrarsi irreversibilmente, ne inondò i polmoni di una liquida mistura rovente dal sapore feroce, soffocandolo di fastidi amplificatisi sino a maturare in emozioni rancorose.
Con la mente irradiata dal dolore, in mezzo ai suoi ultimi strascichi di umana coscienza, si eresse un eco carnoso.
“Prenditi tutto!”
 
Il grido che non si sente / Yuna.
“Resterai come me, vero?”
Al dì là del consueto susseguirsi di un tempo soppesato, la richiesta mal celava una paura puerile, cullata dall’incalzante sospetto che potesse concretizzarsi. Qualora le fosse stato chiesto di descrivere un’atrocità provata sulla propria pelle, Yuna non avrebbe neppure saputo dove trarre la forza necessaria per dipingere tanta insensatezza: perdere una parte essenziale di sé e osservarne il plasmarsi per mezzo di una follia inorganica spingeva qualsiasi suo tentativo verso un’accettazione di gradualità sempre più massiccia.
“Sempre.”
Così gli rispondeva e così avrebbe sempre fatto, oltre le comuni possibilità concesse, semplicemente per non volerlo perdere, credere che il degrado del suo spirito fra fiotti vermigli e corpi vuoti fosse frutto di una libera scelta, e ancor meno abbandonarlo a sé stesso. Ma la cosa che più la feriva, era sapere che la sua voce non sarebbe mai stata abbastanza caparbia per riportarlo indietro.
 
Colpa / Vector.
Se chiudeva gli occhi, lo faceva con il tacito intento di non lasciarsi cogliere dal sonno. Benché l’accomodante penombra scarlatta di Barian ne stordisse l’udito con le lontane scariche a schiantarsi fra gli acuminati anfratti del pianeta, l’umore incapricciato dell’Imperatore tendeva a insorgere condizionato da un qualcosa che si estendeva a intermittenza nella sua mente e la lingua melliflua di Don Thousand non ne era la causa – non del tutto -. Il plasmarsi dell’inspiegabile nostalgia, il cui divertimento si concentrava nel coglierlo sempre quando poteva essere giudicato dagli scomodi compagni, si fondava su ricordi altrettanto irrazionali, con flash di abbagliante luce stroboscopica che ne affacciava la mente, seppur per brevi istanti, a un dove e a un quando che, regolarmente, lo sollecitavano ad alzare le mani.
Il sangue sgorgava dal pallore senza che le dita chiuse a pugno ne arrestassero il colare, trascinando con sé un raccapricciante tremore, affilato quel tanto che bastava da farlo sentire un infimo essere umano e indurlo a credere che qualcosa avesse preso forma fra la propria pelle.
Solo allora schiudeva il palmo e, tutte le volte, vi trovava un fiore di ibisco dai petali strappati. Cosa aveva fatto?
 
 
 
  
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