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Autore: Ramosa12    02/05/2016    5 recensioni
[Nuova Versione][AU]
Percy Jackson è il capo della più pericolosa banda criminale di New York.
Annabeth Chase è la solita ragazza che tutti definirebbero "perfetta".
Ma non è così.
Niente Dei,niente semidei.
Solo loro due con una vita perfetta o almeno così credono.
[Percabeth]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Jason/Piper, Nico/Will, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo 3
 
Periferia di New York,
May 17, 2015.
 

Annabeth si sedette sulla panchina della fermata dell’autobus, stringendo lo spillo dei suoi tacchi in un pugno.
Si massaggiò la pianta del piede destro, che le procurava non poche fitte a causa della corsa a piedi nudi che aveva appena fatto.

Ancora con il fiatone, appoggiò le scarpe accanto a sé e si strofinò le braccia infreddolite dal vento che soffiava stranamente freddo in quella sera di metà maggio.
“Ma perché ci sono andata?” si domandò mordendosi il labbro inferiore rischiando di farlo sanguinare.
Quella mattina, Luke aveva deciso di organizzare una festa in una delle sue tante ville sparse per New York, scegliendo quella più in periferia. 
Nonostante questo, aveva deciso di andarci, era comunque il suo fidanzato.
Aveva indossato uno dei suoi più belli abiti neri, si era truccata più del solito e aveva accompagnato il tutto con dei tacchi dal cinturino nero e con i boccoli che le ricadevano ordinatamente sulle sue spalle abbronzate.
I problemi erano giunti quando Luke l’aveva condotta in una delle sue tante stanze, al piano superiore della casa, trascinandola per un braccio.
Rabbrividì pensandoci.
Per fortuna era riuscita a fermare la cosa prima che diventasse altro.
Era scappata letteralmente dalle braccia di Luke, lasciando il ragazzo sul letto che chiamava furente il suo nome.

Per sua sfortuna, con il cellulare scarico e senza auto, si era dovuta mettere alla ricerca di una fermata dell’autobus che la riportasse a Manhattan.
Si morse l’interno della guancia, giocherellando con l’anello argentato che era in bella mostra sul suo anulare, e osservandosi il piedi scalzi sentiva leggermente a disagio.
Aveva di certo fatto una delle sue peggiori figure, non solo con Luke ma anche con le sue amiche, le aveva lasciate lì, senza pensarci due volte.
L’indomani avrebbe dovuto sicuramente prestare una delle sue più sentite scuse e trovare le parole più adatte per giustificare il suo comportamento, poco rispettoso nei loro confronti.
Sospirò sconfortata, rimettendosi l’anello al dito, e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Che figura che hai fatto, Annie, davvero, la potevi evitare” le disse una vocina nella sua testa che la ragazza provò ad ignorare, ma senza risultati.
Non aveva tutti i torti, era lei la stupida che si era comportata in quel modo.
Eppure la trovava, secondo il suo punto di vista, una reazione … giusta.
Senza scusanti, ovviamente, ma era stata istintiva, per proteggersi.
Non era pronta per quello, e non era pronta a viverlo così.
La sua prima volta sarebbe dovuta essere speciale, magica.
E in una fredda stanza dietro la cui porta una moltitudine di ragazzi era intenta a dare una delle feste, che sicuramente sarebbe passata alla storia.
Luke l’avrebbe compresa, pensò, l’avrebbe ascoltata e capita.
Anche se il ragazzo non aveva tutti i torti. Erano da tanto insieme, ed oltre a baci o abbracci affettuosi, non c’era mai stato altro tra di loro, e ovviamente un ragazzo come lui voleva passare ovviamente al un livello successivo.
Un livello a cui lei non aveva mai pensato più di tanto.
“Un altro mese, Annie, un altro mese, e potrai vivere la tua vita in santa pace” pensò sorridendo leggermente.
Era la frase che più la faceva sentire meglio nell’ultimo periodo.
La speranza e la voglia di ricominciare da zero la rendevano al dir poco felice.


La luce del lampione, la quale illuminava la fermata a cui si era seduta, iniziava a diventare sempre più fioca, segno che tra un po’ avrebbe emesso luce per l’ultima volta.
Osservò l’orologio che aveva al suo polso, le due lancette dorate segnavano precisamente l’una di notte.
Oh, i suoi l’avrebbero sicuro scuoiata viva, il suo coprifuoco per le occasioni del genere scadeva esattamente tra un’ora e lei era troppo lontana dal centro della città.
Contemplò per un secondo le stelle coperte da leggeri nuvoloni grigi.
Era così assorta nei suoi pensieri che quando udì delle urla e un rumore metallico che cadeva sul suolo, rischiò un infarto dallo spavento.
Saltò in piedi e, con lo spillo di una scarpa come arma, si avvicinò al vicolo oscuro alle sue spalle.

Strinse forte l’oggetto nelle sue mani, mordendosi il labbro inferiore spaventata.
“Non potevo restare lì, ferma?” pensò camminando a piedi nudi sulla strada sporca.
Si nascose dietro la scala di sicurezza dei due palazzi che delineavano il confine del vicolo e, sporgendo la leggermente la testa bionda, cercò di individuare una delle due figure che erano intende a picchiare un povero ragazzo steso a terra che nascondeva la sua nuca tra le braccia, nel tentativo di proteggere la scatola cranica da urti troppo forti.
Annabeth sussultò dalla paura, rischiando quasi di urlare.
Sentiva improvvisamente il vento ancora più forte di prima, che le face aumentare la pelle d’oca sulle sue braccia scoperte e il cuore iniziò ad accelerare il suo battito.
Percepiva il sangue pompare nelle vene ancora più velocemente.
Il suo fiato aveva iniziato ad accelerare, e sedendosi sui gradini della scala di ferro arrugginita tentò di calmarsi, portandosi una mano al petto e facendo respiri profondi.

“Forza, Annie, respira, sei solo finita in una zona di spaccio, che sarà mai, su” provò a pensare più ironicamente possibile a cose positive, ma questo non fece altro che accentuare la sua paura.
-E tu chi saresti?- domandò una voce tagliente .
Annabeth aprì gli occhi, sussultando non appena sentite quelle parole, e con gli occhi sgranati guardò il ragazzo minuto che le era davanti.
Era sicuramente della sua età, forse addirittura più piccolo.
Le due ossidiane, che altro non erano i suoi occhi, risplendevano nel pallore del suo volto e i capelli tagliati corti, ricordavano un colore molto simile alla pece.
-In verità..sono finita qui per puro caso- cercò di rispondere Annabeth tentando miseramente di non balbettare come una stupida – me ne stavo giusto andando- completando con un sorriso innocente.

“Da quando sono così  brava a mentire?” si domandò, ma subito si diede la risposta.
Aveva passato due anni a comportarsi falsamente e ovviamente, ormai, ci aveva preso una sorte di “abitudine”.
-Mi dispiace, biondina, ma devo portarti dal capo- disse il ragazzo afferrandola per un braccio e trascinandola nella direzione dei due ragazzi intenti a sfregiare il corpo di quel poverino.

Annabeth aveva seriamente paura.
Non aveva mai provato una simile emozione, un simile terrore.
Era sempre vissuta al sicuro e al riparo, con un fratello maggiore che la proteggeva sempre e due fratellini più piccoli che tentavano disperatamente di essere le sue guardie del corpo.
Ma in quella situazione, non si era mai sentita più sola.
Non conosceva nessuno e nessuno avrebbe potuto tirarla fuori.
Era semplicemente sola e indifesa.
C’erano soltanto lei, quei quattro ragazzi, di cui il corpo di uno di loro era inerte, in quel vicolo sudicio.
Pregò che non fosse nessuno di pericoloso, come ad esempio un pluriomicida.
Sentiva nei telegiornali, che nell’ ultimo periodo, molti criminali avevano destato terrore nei cuori degli newyorchesi.
Affondò le unghie nella carne del suo palmo, cercando di infondersi coraggio.
Provò a respirare, ma l’aria che vi era nei suoi polmoni non sembrava voler uscire.
-Capo- chiamò il ragazzo che le teneva stretto il braccio nella mano pallida.
-Che vuoi, Nico?- sbuffò il ragazzo più alto girandosi nella loro direzione.
Annabeth  quasi non ebbe un sussulto.
Conosceva quegli occhi.
Erano gli stessi che aveva visto in quell’auto qualche giorno fa.
Quello davanti a sé era Percy Jackson.
E la cosa la fece preoccupare ancora di più.
-Annabeth?- domandò l’altro ragazzo, Jason Grace.
Annabeth tentò di parlare ma sembrava che la lingua le fosse incollata al palato e non intendeva muoversi da lì.
-Che ci fai qui?- chiese ancora Jason, guardando torvo Nico, che subito le tolse la mano dal suo braccio.
-Jason…- finalmente la sua bocca riuscì a formulare una frase guardando imbarazzata il ragazzo dai capelli biondi –Ero con Thalia ad una festa, ma mi sono persa-
Cercò di sorridergli, ma la cosa non gli uscì tanto bene.
Vedere Jason sicuramente l’aveva tranquillizzata, conosceva quel ragazzo sin da quando era una bambina.
Avevano passato pomeriggi interi, lui, lei e Thalia, giocando e rincorrendosi per tutta la villa di Zeus Grace.
- Dov’è la tua auto, te l’hanno rubata? Questa zona non è molto sicura- disse anche lui sorridendole ed avvinandosi.
-Mi è venuto a prendere Luke, quindi è a casa- gli rispose Annabeth – anzi, dovrei proprio rientrare, è stato un piacere incontrarvi ma ora devo proprio andare-
Jason lanciò uno sguardo nella direzione di Percy che roteò gli occhi, rigirandosi nella direzione del ragazzo steso a terra e scroccandosi le dita.
Il biondo capì subito le intenzioni del capo, e afferrando il braccio di Annabeth la trascinò fuori dal vicolo di forza.
-E’ meglio che certe scene non le vedi- le disse dopo facendola sedere sulla panchina dell’autobus.
Un urlo squarciò il cielo notturno di New York.
Un urlo sofferente, dolorante e che invocava pietà.
Annabeth non riuscì a sopportare quel rumore.
Tentò di stringersi le orecchie per ovattare quel rumore e stringendo gli occhi.
Non importava se poteva sembrare una bambina agli occhi di Jason, voleva solo correre da quel Percy Jackson.
Jason le accarezzò i capelli, non appena notò le lacrime nere, per colpa del trucco, che scendevano dal volto della ragazza.
-Fermalo, Jas- provò a dire la ragazza guardandolo con gli occhi lucidi.
-Non posso, Annie, non posso-

 

***
 

Quando Percy Jackson uscì dal vicolo, con le mani nelle tasche dei jeans scuri strappati, Annabeth alzò la testa osservando il ragazzo con gli occhi ancora lucidi.
Jason le era stato accanto, abbracciandola di tanto in tanto.
Fece per alzarsi in piedi, ma il ragazzo la fermò.
-Non fare nulla di sconsiderato, Annabeth, per piacere- le disse rifacendola sedere e raggiungendo Percy.
-Perce, allora?-
-E’ancora vivo, tranquillo mamma orsa, Nico mi ha fermato- roteò ancora una volta gli occhi verde mare parlandogli con un tono molto annoiato.

-Percy, senti non è che potresti dare un passaggio ad Annabeth? Io tra un po’ devo andare a recuperare mia sorella- 
-Perché dovrei, scusa?- Percy guardò la ragazza accigliando poi le sopracciglia.
-E’ sola, non sa dov’è e vuole tornare a casa..-gli spiegò lui –lo farei io ma Thalia mi ha chiamato e devo correre da lei-
Percy sbuffò odiando profondamente il suo migliore amico.
Da quando faceva il tassista samaritano e aiutava tutti?
-Tu, bionda, muoviti, voglio tornarmene a casa prima che il sole sorga- esclamò dopo.
Annabeth si sentì confusa.
-Tranquilla, ti riporto a casa tua, non ci tengo a portarti da me- continuò dopo, capendo i pensieri della ragazza.
La ragazza si alzò dalla sua panchina, e stringendo lo spillo dei suoi tacchi, si avvicinò alla jeep del ragazzo.
-Come posso fidarmi di te, dopo quello che hai fatto a quel ragazzo?- le uscì dalle labbra, e Annabeth si pentì subito dopo di averlo detto.
-E’ mio amico, Annabeth, se ti fidi di me ti fiderai anche di lui- si affrettò a rispondere Jason, cercando di non far agitare troppo Percy.
Chissà come aveva accettato di accompagnarla a casa. Prima di salire sull’auto, la bionda gli lanciò uno sguardo di gratitudine, abbracciandolo.

-Grazie mille, Jason, stasera mi hai salvata- gli sussurrò nell’orecchio.

-Questo e altro per le amiche di mia sorella- le sorrise lui– Sappi che però sei in debito con me, ti devo chiedere un favore un giorno di questi,ma ora non è il momento- le disse poi indicando con lo sguardo Percy che sbuffava rumorosamente nell’auto e stringendo il volante.

Annabeth rise leggermente – Quando vuoi, ci si vede- salutò un’ultima volta il ragazzo e, aprendo la portiera della macchina, si sedette accanto a quel ragazzo che tanto aveva odiato quella sera.

-Bionda, mi devi dire dove abiti, se no sarò costretto a portarti da me- ironizzò il ragazzo, inserendo la chiave e accendendo i motori della sua auto.
La ragazza, sospirò, spiegandogli precisamente il punto dove era situata la casa, poi Percy pigiò sull’ acceleratore, guidando alla volta di Manhattan.

Il viaggio fu abbastanza tranquillo e imbarazzante.
Nessuno dei due aveva proferito parola, Percy guardava la strada davanti a sé e Annabeth guardava fuori dal finestrino la sua amata New York.
Solo un leggero sottofondo dei Muse accompagnava i pensieri dei due ragazzi.

-I will chasing a starlight- canticchiò distrattamente Annabeth.
-Conosci i Muse?- domandò Percy stanco di quel silenzio.
-Chi non li conosce?- rise lei, come se quella domanda fosse una delle più stupida del mondo.
-Già- concordò lui  alzando leggermente il volume dello stereo – Questa è una delle mie canzoni preferite-
Era la canzone sua e di Rachel.
Avevano passato pomeriggi a cantarla e a ballarla, finendo sempre col cadere sul pavimento ridendo come due pazzi.
Ricordava le spazzole usate come microfoni o i salti di Rachel.
Sorrise  a quel ricordo.
Sembrava essere passata una vita.
-Ti facevo più da Psycho, non da Starlight- commentò lei continuando a guardare le luci della città fuori dal finestrino.
-Solo perché sono un malvivente, non vuol dire che ascolto solo quelle canzoni- strinse i denti Percy.
-Non pensavo questo- tentò Annabeth guardando il profilo del suo volto.
-Oh, eccome che l’hai pensato, bionda- disse lui –So che la domanda che ti preme di più è “perché hai picchiato quel povero ragazzo? Che ti ha fatto quel poverino da essere ridotto in quello stato?”. Voi donne siete cosi fottutamente uguali.-
Aveva ragione.
Annabeth nei suoi pensieri, in quel viaggio, si era chiesta così tante volte perché Percy Jackson si comportasse in quel modo, sapeva che nascondeva qualcosa di più profondo, ma questo non giustificava il suo comportamento.
Nessuno meritava di essere trattato come il ragazzo che aveva picchiato.
-Beh, non è la verità?- fece lei stringendo i pugni.
-Si, e se lo vuoi sapere se lo meritava-
-Quindi ora vale la regola “Se tu mi fai del male, o qualsiasi torto, io ti picchio a sangue” ?- ironizzò Annabeth guardandolo di bieco.
-Bionda, svegliati, il mondo va così da secoli. Tutte le guerre che abbiamo combattuto noi uomini è per colpa di questo-
-Questa non è una risposta sensata, Jackson, se facessimo tutti così, non ci sarebbe più un equilibrio. Tu vuoi far soffrire le persone per quello che ti fanno? Prova a prendertela prima con te stesso però- quel fiume di parole le uscì senza un minimo senso dalle sue labbra.
Pensandoci avrebbe potuto dire qualcosa di più sensato, da poter lasciare a bocca aperta Percy, ma non ci badò molto.

Non valeva ne valeva la pena.
-Parli come se mi conoscessi, mocciosa, ma tu che ne sai. Secondo te, Jason non mi ha già parlato di te? Sei nata in una bella casa e cresciuta con una famiglia unita. Non hai mai avuto alcun genere di problema, finanziario o altro- ribatté Percy spegnendo l’auto sotto il palazzo di Annabeth –Basta guardare dove abiti- continuò dopo sporgendosi fuori dal finestrino.
-Non fare il solito discorso da ragazzo sofferente, Jackson. “Io soffro perciò faccio tutto questo”, sei tu che prendi le decisioni, e sei sempre tu a decidere se quella cosa può farti del male o no. Quel ragazzo di stasera non ti aveva fatto nulla di così terribile da essere trattato così. Sei tu che ha ingrandito la situazione, facendolo passare per una persona malvagia e senza cuore. Ma la verità è che sei tu quella persona. Non sono gli altri a creare i nostri fantasmi e paure, li creiamo noi senza saperlo- disse la ragazza slacciandosi la cintura e aprendo la portiera.

Percy se ne stette zitto.
Era inutile controbattere, tanto ormai quella biondina tinta sarebbe uscita presto dalla sua auto e dalla sua vita.
Che importava ormai.
-E se lo vuoi sapere, il mio nome è Annabeth non bionda o mocciosa- concluse infine con superiorità sbattendo la porta dell’ auto.

-Come ti pare- esclamò burbero Percy, premendo il piede sull’ acceleratore.

 

Angolo Autrice:

Hello Everybody!Prima di iniziare il mio solito ed inutile monologo ci tenevo a ringraziarvi!
Grazie mille, davvero.
Questa volta sono stata molto puntuale, più o meno un mese dall'ultimo aggiornamento.
Ho cercato di scrivere questo capitolo prima dell'inizio di maggio, perché come sapete tutti maggio è un mese abbastanza turbolento e quindi non volevo lasciarvi due mesi senza nulla, anche se questo capitolo non mi soddisfa molto.
Anyway, eccoci qui.
Piaciuto il loro incontro?
Ho cercato di evitare i "Oh i suoi occhi, magnifici, basta io lascio Luke", ma ho cercato di descrivere una situazione più odiosa.
Annabeth indossa la sua veste di superiorità in certi punti e Percy è il solito duro.
Voglio evitare categoricamente, l'amore a prima vista, che invece leggo ovunque.
Non amo descrivere l'amore in quel senso.
E' un sentimento che va coltivato nel tempo, e uno sguardo non ti può far provare certe emozioni.
L'unico punto un po' incerto era l'amicizia tra Jason e Annabeth, mi sembrava troppo espansiva, esagerata.
Ma volevo dirvi che comunque Annabeth ne ha vissute di tutti i colori in questo capitolo, da Luke a Percy e poi comuque sono due amici di infanzia.
(Io avrei fatto anche di peggio al posto suo, but non siamo qui a parlare di me)
Ah, volevo dirvi, che ho deciso di creare un gruppo facebook, così da fangirlare sempre insieme, aggiornarvi sugli aggiornamenti (?).
Devo ancora crearlo ma presto posterò il link nella mia bio di efp.
Spero che la notizia vi faccia piacere!
Detto ciò, vi saluta una Ram del tutto malata.
Bacii
    
mado ciao bellezza *-*


amore de mamma

 
  
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