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Autore: nikita82roma    04/05/2016    2 recensioni
Ziva è a Tel Aviv, Tony a Washington con il resto della squadra.
Sono passati 3 anni da quando lei decise di rimanere in Israele, ma un evento inatteso sconvolge le loro vite e le loro decisioni: Tony viene rapito e portato a Tel Aviv e solo Ziva che ormai non fa più parte nè dell'NCIS nè del Mossad viene contattata.
Comincia così un percorso difficile per capire la verità sulle reali motivazioni e su quello che questo vorrà dire per il futuro privato dei protagonisti ed anche di tutta la squadra dell'NCIS.
Tony e Ziva si ritroveranno uno davanti all'altra e ricominciare da dove erano rimasti non sarà facile nonostante i sentimenti reciproci non si siano mai sopiti.
"Tra due giorni sono 3 anni, o forse dovrei dire domani, dato che è già mattina. 1096 giorni, 1096 notti. E mi chiedo ancora perché. "
Storia ad alto contenuto TIVA :)
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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 … Amazing Grace! How sweet the sound.
That saved a wretch like me!
I once was lost, but now I am found.
Was blind but now I see …

 

Le note di “Amazing Grace” cominciarono a risuonare in giardino. Qualcuno rimase stupito della scelta di quel brano, cristiano, in un matrimonio laico, ancora di più chi sapeva che lo avevo scelto io. Ma per me era stata la scelta perfetta, perché la mia “Grazia”, colui che mi aveva salvato, era lì davanti a me e lo stavo per sposare. Era lui che mi aveva condotto in salvo fino a lì, a quel giorno, attraversando pericoli, le fatiche e le insidie, aprendomi gli occhi alla vita, facendomi ritrovare quella me stessa che non conoscevo più, dando sollievo alle mie paure e speranza nel futuro.

Arrivammo davanti a Tony, ci guardavamo con gli occhi che brillavano sorridendo come due bambini, imbarazzati e felici. Avevamo gli occhi di tutti addosso, come normale che fosse in quell’occasione, ma forse per la prima volta, non mi importava nulla, non me ne stavo nemmeno accorgendo.
- Pivello, mi raccomando, tratta bene la mia ragazza eh!
- Agli ordini Capo, non ti preoccupare.
Mi diede un altro bacio sulla fronte e prese in braccio Nathan prima di mettersi a sedere in prima fila vicino a Senior con la sua ultima fiamma.
Tony mi prese la mano e ci voltammo verso il celebrante. Ai nostri lati McGee e Abby, i compagni di sempre, che ci erano vicini anche in questa nostra ultima “missione”.

- Se vuoi sei ancora in tempo per ripensarci eh!
- Tony… - Lo incenerii con lo sguardo e mi bastò pronunciare il suo nome
- Scusa… - Si lasciò sfuggire un ghigno, felice di aver provocato quella reazione

Feci un respiro profondo, mi voltai a guardarlo nuovamente. Istintivamente allungai la mia mano verso di lui, che non la vide, ma lo percepì e fece lo stesso, prendendola e stringendola, lasciando che le nostre dita si incrociassero e bastò questo per darmi la tranquillità necessaria. Quello che percepii, in quella stretta prolungata e disperata, era che Tony non mi aveva preso la mano per farmi coraggio e rassicurarmi, ma che era lui quello che mi stava cercando per avere un supporto in quel momento. Lo guardai nuovamente ed il suo sorriso gioioso di poco prima ora era teso. Alzai le nostre mani congiunte e diedi un bacio sul dorso della sua, il tutto sotto lo sguardo dell’officiante che sorridendo aspettava che fossimo pronti. Ne aveva sposate tante di coppie, sapeva che ognuna aveva i suoi tempi, il bisogno di qualche minuto in più solo per loro. E noi ce lo stavamo prendendo.

Ascoltammo le formule di rito quasi distrattamente, lanciandoci qualche occhiata complice di tanto in tanto. La funzione fu breve, l’officiante, infine,  ci invitò a leggere le promesse che avevamo scritto di nostro pugno, cominciando da Tony. Teneva il suo foglietto in mano, ma sembrava averle imparate a memoria perché per tutto il tempo non abbassò quasi mai lo sguardo dai miei occhi, o forse stava dicendo tutt’altro rispetto a quello che aveva scritto, ma non mi importava.

- Ziva David sei la persona più difficile che ho mai conosciuto. Sei stata la mia sfida, dal primo giorno che ti ho vista, quando non riuscivo a pedinarti senza farmi scoprire. Più non riuscivo a conquistarti, più ti volevo, perché io ti ho sempre voluta e quando ormai mi ero arreso all’idea che il destino giocava contro di noi, è stato il destino a riportarmi letteralmente da te. Io non so quando mi sono innamorato di te, ma ricordo mille momenti in cui so che già ti amavo, molto prima di dirtelo. Per noi non c’è mai stato nulla di facile, di scontato o normale. Abbiamo sempre dovuto correre e rincorrerci, come se non arrivavamo mai in tempo allo stesso appuntamento. Però quando ci siamo trovati ho capito che tutto quello che avevo fatto aveva trovato il suo significato. Noi insieme possiamo fare il nostro mondo più bello, possiamo fare cose bellissime e nostro figlio è la prova di quanto il nostro amore era forte quando nemmeno noi lo sapevamo. E se per arrivare a te mi dicessero di rifare tutto da capo, io rifarei tutto per essere qui oggi. Non c’è sofferenza, non c’è fatica e non c’è paura che non sia valsa la pena di averla vissuta. Non c’è posto al mondo nel quale non ti verrei a cercare e riprendere per essere oggi davanti a te a prometterti che per te ci sarò per sempre.

Prese la fede che gli aveva passato McGee, gli diede un bacio e la fece scivolare lungo il mio dito, fino a quando si congiunse con l’anello di fidanzamento.
- Ziva, Tocca a te. - Disse il celebrante. Non avevo scritto nulla, perché nei giorni precedenti non ero riuscita a mettere nero su bianco nessun pensiero degno di quel momento. Avevo provato più volte a scrivere qualcosa in qualsiasi lingua ma niente. Guardai Tony negli occhi e lasciai che le parole uscissero spontanee.

- Ho vissuto due vite. Una prima ed una dopo di te. Tu con la tua amicizia, la tua sincera fedeltà, la tua fiducia totale in me, il tuo amore hai saputo cambiarmi, mi hai fatto scoprire una parte di me che credevo non esistesse, almeno non più. Tu hai visto la parte peggiore di me e l’hai amata. Mi hai amata quando non lo avrebbe fatto nessuno, quando non lo avrei fatto nemmeno io. Hai sfidato la sorte per me, ti sei messo in gioco più di quanto nessuna persona sana di mente avrebbe fatto. E lo hai fatto per me. Mi hai salvato la vita tante volte, ma non quando eravamo in missione, ogni volta che ci sei stato nonostante tutto, soprattutto nonostante me. Mi hai dato fiducia quando ero sola. Hai perdonato i miei sbagli prima che potessi farlo io stessa. Tra le tue braccia mi hai fatto sentire una bambina protetta quando piangevo, un’amica quando ridevamo insieme, una donna quando mi amavi per quella che ero, senza chiedermi nulla. Mi hai donato la speranza quando la mia vita mi sembrava finita, mi hai fatto capire cosa vuol dire essere amati senza secondi fini e cosa è una famiglia e poi… poi mi hai donato Nathan… Tutto quello di bello che ho nella vita comincia e finisce con te e voglio che sia così per sempre.

In quel momento potevamo essere in mezzo mille persone o noi due da soli al mondo: l’unica cosa che riuscivo a vedere erano i suoi occhi commossi, come erano anche i miei. Abby mi passò la fede, toccandomi un paio di volte sul braccio prima che mi rendessi conto di cosa dovevo fare. Solo ora che l’avevo in mano, vidi per la prima volta le fedi che aveva scelto per noi, non ci avevo fatto caso nemmeno quando mi aveva messo la mia. All’esterno erano semplici, bianche, di platino, piatte. La cosa che mi stupì fu l’interno, dove c’era un diamante, invisibile da fuori, e in nostri nomi incisi. Diedi anche io un bacio all’anello e tremando riuscii a infilarglielo. Lui sorrise vedendo quella incertezza che non era dettata da ripensamento ma solo da emozione.

Il celebrante ci dichiarò marito e moglie e Abby fece partire un’esplosione di petali che cadde come una pioggia su di noi. 

- Ti Amo Ziva.
- Ti Amo Tony.
- Manca ancora una cosa…

Si avvicinò fino a quando non appoggiò la sua fronte sulla mia. Sorrideva, gioioso. Mi sussurrò nuovamente “Ti Amo” muovendo solo le lebbra mentre le univa alle mie. Non volevo chiudere gli occhi, lo volevo guardare. Volevo vedere in lui il riflesso del mio stesso sentimento. Quando sentii la morbidezza delle sue labbra, però, chiusi gli occhi sopraffatta in quel momento dalle emozioni e nella mia mente come tanti flash rividi il nostro passato e riuscii a sentire in un solo momento tutte le sensazioni di tutti i nostri baci, da quelli più teneri a quelli disperati e passionali, le cui immagini di alternavano davanti ai miei occhi chiusi, così reali che non sembravano solo proiezioni. Eravamo arrivati fino a lì ed era incredibile.
Riaprii gli occhi solo quando avvertii la mancanza del sue labbra. Eravamo sempre fermi, immobili fronte contro fronte, a sorriderci, a guardarci come se volevamo convincerci a vicenda che era vero.

———————

Ero nella mia bolla, isolato dal mondo, dove eravamo solo io e lei. Il resto scorreva intorno e lo vedevo sfocato perché avevo occhi solo per lei, lo sentivo ovattato, perché tutto quello che volevo sentire erano solo le nostre risate emozionate.
Credo di aver capito in quel momento cosa volesse dire esattamente isolarsi dal mondo per qualche minuto. Non c’era niente intorno a me che mi desse motivo per staccare tutti i miei sensi da lei e da noi. 
Poi qualcosa sbattè contro la mia gamba, la bolla si ruppe, il vociare di sottofondo tornò rumore principale, i volti dei nostri amici intorno si fecero definiti, abbassai lo sguardo e trovai l’unico motivo valido per farmi tornare alla realtà: Nathan appena Gibbs lo aveva rimesso a terra finita la cerimonia era corso verso di noi, voleva far parte del momento ed era giusto che fosse così. Lo presi in braccio e lo baciammo entrambi, era felice anche lui, anche se probabilmente non capiva bene cosa stava accadendo quel giorno. 
Avevamo provato nei giorni precedenti a spiegarglielo ma lui prestava poca attenzione, perché tutti quei discorsi complicati non lo interessavano. Le sue preoccupazioni maggiori erano che se c’era il giardino poteva giocare con la palla e la risposta negativa lo mise di malumore, se c’erano la pizza e le patatine da mangiare e anche qui fu deluso, l’unica cosa che gli fece piacere fu capire che quel giorno era per fare in modo che mamma e papà stessero insieme per sempre. Questo gli era piaciuto, alla condizione però, che dovevamo tenerlo con noi, sempre. Quindi venne la seconda parte complicata, dirgli che per pochi giorni sarebbe stato solo. Ci avevano dato tutti la disponibilità a tenerlo con loro, ma Nathan come sempre, cercò solo una persona: Gibbs. Ci fece promettere tante volte che saremmo tornati presto, che non sarebbe stato tanto solo come l’altra volta e Ziva fu più volte sul punto di annullare tutto o di portarlo con noi. Però poi si convinse e Nathan sembrò felice delle nuove avventure da fare con Gibbs e tutti gli altri che non lo avrebbero lasciato solo un secondo. Ziva mi disse che era felice che Nathan avesse ripreso questo lato così aperto nei confronti degli altri da me, perché lei non era così ed io ero contento che più conoscevo mio figlio, più trovavo delle similitudini tra noi, quando all’inizio tranne che per gli occhi, sembrava fossimo due perfetti estranei.

Il matrimonio fu una cosa molto intima, solo gli amici più cari e mio padre con la sua compagna, ma a me in quel momento sembrava comunque che eravamo in troppi. Allontanai un paio di volte anche in malo modo il fotografo che ci girava intorno e mi chiesi perché lo avevamo voluto, ma faceva parte del “pacchetto” dell’hotel ed eravamo rimasti d’accordo che non doveva farci fare foto posate e non doveva stare troppo intorno. Ero felice ed inquieto. Mi sembravano sempre troppe mani da stringere, baci da dare e persone da salutare. Rimpiansi di non aver fatto un matrimonio sulla spiaggia solo noi due, in bermuda e costume, sarebbe andato bene ugualmente. Poi guardavo Ziva ed era felice, rideva, tanto. Non me lo sarei mai immaginato per una che odiava essere al centro dell’attenzione e mostrare i suoi sentimenti. La tenni sempre vicino a me, mentre nello stesso giardino della cerimonia consumavamo l’aperitivo, cingendola con un braccio, per non farla allontanare. Mi scoprii sposato e molto più possessivo. Mi sembrava tutto superfluo, tutto inutile. Come se dopo quello che ci eravamo detti, poco prima, quando ci scambiavamo gli anelli, tutto questo era superfluo. Stavo entrando in un mood di malumore che rischiava di rovinare quello che doveva essere solo un giorno bellissimo.
Ziva forse se ne accorse e mi trascinò letteralmente in disparte rispetto a tutti gli altri che continuavano a chiacchierare e bere allegramente, non accorgendosi nemmeno della nostra lontananza.
- Va tutto bene? - Mi chiese accarezzandomi il viso
- Certo, va tutto benissimo - Mentii poco convinto
- Cos’è quella faccia allora?
- Non lo so. Vorrei stare solo con te, adesso. Ho bisogno di te. - Dissi tutto d’un fiato e non capivo nemmeno io cos’era quell’urgenza, cosa era cambiato rispetto a prima. Era mia moglie, ma era sempre lei, come il giorno prima, come sarebbe stata per tutti i giorni futuri.
Sorrise alle mie parole, per nulla imbarazzata. Strinse le sue braccia intorno al mio collo e mi baciò appassionatamente, un lungo bacio che diede ossigeno alla mia mente e mi tranquillizzò.
- Va meglio ora? - Mi disse quando ci staccammo per riprendere fiato
- Molto meglio. - Fui sincero.
- Allora che ne dici se possiamo divertirci un po’ adesso? Poi ti prometto che staremo insieme soli, quanto vorrai. - Mi prese per mano e mi riportò dagli altri, che nel frattempo si erano spostati nella sala interna dove ci sarebbe stato il ricevimento vero e proprio.

La sala era addobbata con composizioni di fiori bianchi di vario tipo, dai piccoli centrotavola, alle composizioni più grandi ai piedi delle colonne, fino a dei piccoli richiami sulle tende color avorio che attutivano la luce delle vetrate che davano sull’esterno. In fondo il buffet era già pronto e c’era già chi si stava avvicinando, molto più affollato l’angolo bar, i tavoli erano disposti ai lati lasciando al centro un ampio spazio vuoto. Appena entrammo sembrò che improvvisamente tutti si fossero accorti della nostra presenza perché si fermarono guardando nella nostra direzione. Mi resi conto dopo che tutta la sala fu invasa da una dolce melodia: il trio musicale che avrebbe allietato il nostro ricevimento aveva cominciato a suonare non appena eravamo entrati. Rimasi immobile qualche secondo per ascoltare e sorrisi.
- Te la ricordi? - Mi chiese Ziva 
- Mi concedi questo ballo? - Le risposi
Era la stessa musica che era nel mio stereo il giorno che arrivammo a Washington, quello struggente tema d’amore di Morricone. Come quel giorno appoggiò la testa sulla mia spalla ed io la strinsi a me. Mi sembrò durare troppo poco, ma a fine ballo ci sedemmo per qualche minuto. Andai a prendere due calici di champagne da bere e presi due piatti di un po’ di tutto dal buffet. Nathan arrivò di corsa a sedersi con noi, aveva già abbandonato metà del suo vestito non si sa a chi rimanendo solo con la camicia tutta tirata fuori dai pantaloni, dopo un po’ di coccole dalla mamma sparì di nuovo tra gli invitati e Ziva fu felice che era nostro figlio ad essere più al centro dell’attenzione di noi. Mi stupii quando cercandolo con lo sguardo, lo trovai, con mio grande stupore, in braccio a mio padre, anche Ziva seguì il mio sguardo e quando lo vide mi strinse la mano facendomi un segno di assenso con la testa. Sapevo che non voleva dire nulla, che mio padre non era cambiato per aver preso in braccio mio figlio, che probabilmente sarebbe sparito per farsi rivedere se andava bene tra qualche mese, però Nathan non lo sapeva e contava solo quello.
La musica ricominciò e percepii una presenza in piedi alle nostre spalle, mi voltai ed era Gibbs.
- Posso ballare con tua moglie? - Mi chiese sorridendo
- Certamente! - E sorrisi anche io a sentirla chiamare così, ancora stupito che fosse vero. Quando si alzo, si chinò su di me, mi diede un bacio sulla guancia e mi sussurrò di andare da mio padre, le diedi ascolto e lo feci.
Appena Nathan mi vide davanti a lui, scese dalle ginocchia di Senior per farsi prendere in braccio da me, lo sollevai, gli diedi un bacio e poi lo misi giù, lui si volatilizzò andando a cercare qualcun altro con cui interagire.
- Come ti senti Junior? - Esclamò mio padre con un tono di voce più alto del normale
- Bene papà, felice.
- Sono contento per te.
- Vedo che con Nathan… - non finii la frase perché in realtà non sapevo bene cosa dire
- Junior, spero non ti dispiaccia. È un bambino adorabile. 
- No, papà, va bene così. Mi fa piacere, veramente. Se qualche volta ti va di venire a trovarlo, farà piacere anche a lui… e anche a noi.
- Grazie Junior.
- Di niente papà.

Attraversai la sala e insieme a Ziva e Gibbs che ballavano c’erano anche altre coppie e sorrisi nel vedere Abby ballare un lento, credevo nemmeno conoscesse musica diversa da quella che sparava in laboratorio. Mi avvicinai al pianista e gli chiesi se poteva suonare una canzone, si consultò con la cantante e mi disse che andava bene. Presi un martini all’angolo bar ed aspettai che finisse quel ballo.
Quando le note cambiarono e le coppie si allontanarono, presi Ziva per un braccio mentre andava a sedersi e la portai di nuovo al centro della pista, le note jazz riempirono la sala.
- Balla con me - le dissi - suonano la nostra canzone, tesorino
- Tony… - il suo volto si aprì in un sorriso che ricambiai, sapevo che aveva capito
- Fa come se stessimo insieme - le sussurrai prima che appoggiasse la testa sulla mia spalla.
- Va bene, farò finta che siamo marito e moglie…
- Non troppo finta però… mi sembra che prima sia successo qualcosa, tra me e te… 
- Sì… qualcosa…
Poi non parlammo più, ballammo abbracciati molto più stretti di allora, molto più vicini. Marito e moglie, molto di più.

———————

Ballai quel giorno. Tanto. Più di quanto potessi immaginare. Non fu tutto come avevo sempre immaginato, perché non si riescono ad immaginare le emozioni e le sensazioni che si erano succedute vorticosamente. L’ansia, la commozione, la felicità, la leggerezza.
A metà pomeriggio, quando ormai anche il ricevimento andava verso la conclusione, non riuscivo a sentire la stanchezza di essere sveglia dalla mattina presto dopo una notte quasi insonne, di essere stata tutto il giorno su tacchi altissimi a ballare e camminare da una parte all’altra della sala per parlare e ringraziare gli amici che erano presenti e rincorrere Nathan che scappava in continuazione. Riuscì anche a farmi spaventare, quando all’improvviso non era più nella sala per il ricevimento e nessuno lo aveva visto, fino a quando non uscimmo fuori e lo trovammo a giocare a pallone con Gael e Ayman che vedendoci tutti arrivare fuori in allerta, con Gibbs, McGee, Bishop e Tony già pronti in modalità squadra, si scusarono imbarazzati per non averci avvisato della loro sfida nel prato.
Dopo il falso allarme tornarono tutti dentro per l’ultimo atto della giornata, il taglio della torta al quale Nathan pretese di partecipare e quindi lo facemmo tutti e tre insieme e i miei due uomini, o forse sarebbe stato meglio dire i miei due bambini, cominciarono a giocare e sporcarsi a vicenda con la panna. Lanciai il mio bouquet a malincuore, aveva un significato troppo bello per me, ma dicevano che dovevo rispettare la tradizione e così lo feci, ma almeno volevo scegliere io chi lo avesse, e così lo lanciai ad Abby che mi guardò con un occhiata stupita e desiderosa di farmela pagare, ma quando l’andai a salutare, prima che lasciassero la festa, la abbracciai forte e le spiegai che non volevo che si sposasse, ma solo che tenesse lei una cosa che per me era molto cara. La sua reazione fu la solita reazione di Abby, esagerata, con tanto di pianto ininterrotto sulla mia spalla, al quale si sottrasse solo dopo numerose insistenze da parte di uno Stevy imbarazzato.
La cosa più difficile, però, fu salutare Nathan. Avevo fatto in modo di non pensarci per tutto il giorno, però in quel momento vederlo davanti a me, con il suo viso triste, lui da una parte e noi dall’altra della porta era più complicato di quanto immaginassi. Gli promisi mille volte che lo avrei chiamato sempre, che lui se voleva poteva farci chiamare quando voleva, che saremmo tornati presto. Poi Tony ruppe quel momento, prese in braccio Nathan, si allontanò da noi e si mise a parlare con lui fitto fitto. Non capivo cosa si dicessero, ma vedevo Nathan che annuiva serio e convinto. Quando tornarono era sereno, mi piegai per farmi abbracciare da lui che mi strinse forte e poi tornò vicino a Gibbs impettito ed orgoglioso non so bene di cosa. Anche Gibbs ci salutò, prima Tony, raccomandandogli di comportarsi bene e dandogli un sonoro scappellotto facendo sorridere tutti, poi salutò me e fu un saluto molto sentito, poco da Gibbs. Mi abbracciò, poi mi prese il volto tra le sue mani guardandomi negli occhi per qualche istante nel quale mi prese totalmente impreparata ad una simile reazione ed infine sussurrandomi all’orecchio che sarebbe andato tutto bene e che non avrei dovuto più preoccuparmi. Mi diede un bacio sulla guancia, prese Nathan per mano e si allontanò.

Eravamo rimasti solo io e Tony infine. Mi ero seduta nella scalinata esterna dell’hotel che dava sul giardino dove qualche ora prima ci eravamo sposati. I camerieri si alternavano veloci per portare via ciò che era rimasto della nostra festa, sistemare, pulire, spostare sedie e tavoli. Tony arrivò poco dopo con due calici di champagne si sedette vicino a me. Me ne porse uno, facemmo un brindisi silenzioso tra noi. Tony si sciolse il papillon, sbottonò un paio di bottoni della camicia, e cominciò a giochicchiarci. Appoggiai il mio bicchiere sullo scalino vicino al suo e poi gli presi le mani bloccando quella tortura all’indumento. Lo lasciò cadere ed incastrò le sue dita con le mie. Rimanemmo lì un po’ mano nella mano senza dirci nulla, guardando dritti davanti a noi verso quel giardino e quel punto dove poche ore prima ci eravamo scambiati le nostre promesse.

Avremmo passato lì quella notte e poi la mattina dopo saremmo partiti per la nostra luna di miele. Anche la nostra suite all’ultimo piano dell’edificio non troppo alto, si affacciava sul giardino. Riuscii a far desistere Tony dalla sua idea di portarmi in braccio dentro camera, nonostante la sua insistenza e la sua delusione per fare quel gesto tanto tradizionale. Ma glielo avevo detto: viviamo insieme da mesi, era inutile. 

In camera mi tolsi il vestito e fu una sensazione forte, tanto quanto lo era stato la mattina metterlo. Lo appoggiai sul letto ed indossai una vestaglia, poi rimasi un po’ ad osservarlo, mentre Tony era in bagno a darsi una rinfrescata: sembrava più provato di me dalla giornata. Accarezzavo la stoffa morbida e cercavo di rivivere nella mia mente ogni momento di quella giornata. Andai sulla terrazza e guardai il sole che stava lentamente calando dietro gli alberi del giardino appoggiata alla balausta. Stavo bene. Ero pervasa da un senso di beatitudine come raramente avevo provato. Cominciavo solo a sentirmi un po’ stanca, forse per il calo di adrenalina che avevo mentre mi rilassavo. Avvertii la presenza di Tony, fermo vicino alla finestra, senza uscire fuori. Lui cercava sempre di fare piano per sorprendermi, per guardarmi senza che me ne accorgessi, ma io sentivo sempre quando era vicino a me, quando mi guardava. Lui diceva che erano i miei sensi da ninja, io invece ero convinta che erano le vibrazioni che lui mi trasmetteva. Feci finta di nulla ed aspettai che si decidesse a raggiungermi, una leggera folata di vento mi mosse i capelli sciolti ed in quel momento lo sentii mentre mi baciava tra i capelli e mi solleticava con il suo respiro profondo. Fece scorrere le sue mani sulle mie braccia, provocandomi una strana sensazione sfregando la stoffa leggera della vestaglia di seta sulla pelle. Avrei preferito sentire le sue mani, subito. Poi mi abbracciò, cingendomi con le braccia come in una morsa e chiudendole davanti a me. Mi accorsi che si era cambiato, le sue braccia erano nude, aveva una tshirt nera e sentii vicino alle mie gambe la stoffa ruvida dei jeans. Ci rimasi un po’ male, che bisogno aveva di mettersi i jeans se eravamo io e lui da soli in camera? Abbassai lo sguardo e intrecciai le dita con le sue. Sorrisi quando sentii il rumore delle fedi tintinnare nel contatto. Era una cosa nuova, Tony non portava mai anelli, di nessun tipo.

- Cosa c’è di tanto bello da guardare qua fuori, oltre te? - Mi chiese rompendo quel silenzio tutto nostro
- Un posto speciale - risposi sorvolando sul suo commento da picchi di curva glicemica.
- Sì, quel gazebo è molto bello. Vuoi andare a cena? - La sua richiesta mi colse impreparata. Andare a cena? In mezzo alla gente? No, volevo solo rimanere lì, con lui, fino al giorno dopo quando saremmo andati in aeroporto.
- Per questo ti sei vestito? - Risposi facendo trasparire un po’ di delusione in più dalla mia voce di quello che mi aspettavo
- Come sai che sono vestito?
- Ho sentito i tuoi jeans sulle mie gambe.
- Ninja come devo fare io con te? Comunque mi pare di capire che non vuoi uscire a cena.
- No. - Gli risposi decisa
- D’accordo. - Ridacchiò vicino al mio orecchio facendomi solletico
- Tanto per capire, hai intenzione di passare in totale solitudine tutti i prossimi giorni, oppure pensi che potremmo anche andare incontro ad un po’ di civiltà.
- Totale solitudine - era una risposta che non ammetteva repliche, però il suo silenzio mi turbò. Mi voltai a guardarlo negli occhi. - È un problema? - La mia voce era più incerta. Lui mi fissò e poi rise, di gusto. Gli diedi un pugno sul petto, perché si stava palesemente prendendo gioco di me. Lui bloccò il mio polso e baciò la mia mano, ancora serrata.
- Essere rapito da mia moglie durante la nostra luna di miele ed essere suo ostaggio? No, non è un problema, posso resistere.
Mi tirò verso di lui e mi abbracciò. Mi appoggiai al suo petto rilassandomi qualche istante mentre lui mi massaggiava piano la schiena.
- Se abbiamo fame, c’è il servizio in camera h24 - gli dissi
- Tu hai fame? - Mi chiese prendendomi per mano e portandomi dentro
- Sì, ma non c’è bisogno di chiamare il servizio in camera per quello - gli risposi mordendomi il labbro inferiore per provocarlo

Si sedette in fondo al letto e mi lasciò in piedi davanti a lui. Scostò i bordi della vestaglia, accarezzandomi i fianchi con entrambe le mani aperte a coprire più superficie di pelle possibile. Io giocavo con i suoi capelli mentre lui si accostava per darmi un bacio proprio sotto il reggiseno di pizzo bianco che ancora indossavo. Lentamente sciolse il nodo della vestaglia, facendola scivolare sui lati, sposandola per ancora più visibilità sul mio corpo. Le sue mani percorrevano il mio corpo sotto il leggero indumento fino alla schiena e mi spinse a fare ancora un passo verso di lui che ora lasciava una scia di baci languidi sul mio ventre, mentre continuava  ad accarezzarmi. Ogni volta che percepivo tra le sue mani calde e morbide, il punto più freddo e rigido della fede che mi lambiva la pelle, un brivido più intenso percorreva il mio corpo. Alzò lo sguardo e vidi nei suoi occhi il mio stesso desiderio ma anche una calma e serenità che non avevo mai visto in Tony in quelle circostanze, come se ora fosse veramente, pienamente, consapevole che eravamo insieme e lo saremmo rimasti. Le sue mani arrivarono fino alle mie spalle e delicatamente fece scivolare via la vestaglia che svolazzò fino ad adagiarsi ai miei piedi. Giocava con le dita sulla mia pelle, seguendo linee immaginarie presenti solo nella sua mente, con movimenti lenti e ondulati, salendo e scendendo lungo le braccia ed i fianchi. Era una dolce tortura che speravo potesse terminare presto perché non faceva altro che stimolare i miei sensi che già erano sufficientemente all’erta. Ma non sembrava dell’idea di smettere a breve. Si prendeva tutto il suo tempo, alternava carezze e baci ed io ero in piedi davanti a lui seduto completamente in balia di quello che voleva fare e benché lo volessi, subito, disperatamente, lasciai che giocasse con me e mi feci trasportare nel suo gioco.
Attesi, pazientemente, che slacciasse reggiseno e lo fece con una lentezza calcolata. Mossi appena le braccia per farlo cadere davanti a me e quindi riprese la sua lenta tortura dei miei sensi, con carezze, baci e delicati morsi sui miei sensi ed io stringevo i capelli tra le mie mani ogni volta che una fitta di piacere più intenso arrivava dritta al mio stomaco. Ma Tony non si scomponeva, continuava tra un sorriso dolce e l’altro a portare avanti quello che si era prefisso e a dirla tutta ero un po’ dispiaciuta del fatto che lui non provasse la stessa urgenza che avevo io avere lui, totalmente. Dopo un tempo che a me sembrò infinitamente lungo, anche se non sapevo nemmeno quanto tempo fosse passato da quando eravamo lì, ma che invece per lui era evidentemente quello giusto, le sue mani divennero più audaci e sfiorando appena i miei slip capì quanto lo stavo desiderando e li fece scivolare lungo le mie gambe. Poi si alzò ed ora mi guardava dall’alto verso il basso ed anche il suo sguardo sembrava diverso, la dolcezza aveva lasciato il posto al desiderio e le sue iridi erano diventate di un verde più scuro ed intenso. Prese la mia mano e se la portò sui jeans, come se avesse letto i miei pensieri di poco prima, per farmi sentire che mi voleva, tanto quanto lo volevo io. Mi prese in braccio e mi adagiò sul letto baciandomi con passione, mordendomi le labbra fino quasi a farmi male, poi cominciò a sbottonarsi i jeans e rimasi senza parole quando vidi che sotto non aveva i boxer. Mi sorrise malizioso ed io sperai in quel momento che l’idea di andare a cena in quel modo fosse stata solamente una boutade, ma avremmo avuto modo per riparlarne in seguito. Si mise sopra il mio corpo, senza ormai nulla a separarci. Mi prese il viso tra le mani e riprese a baciarmi mentre il circondavo il suo collo con le mie braccia, ma il momento di giocare ed attendere era finito, chiuse gli occhi ed entrò in me, all’improvviso ed io strinsi le mani sulle sue spalle così forte da lasciarli il segno con le unghie. Era mio marito, potevo lasciargli tutti i segni che volevo, questo pensai. Mi lasciai scappare un gemito più forte, lui riaprì gli occhi per vedere il desiderio sul mio volto e sul suo apparve subito un sorriso soddisfatto della reazione che avevo avuto. Mi domandavo come era possibile che riuscisse ancora a farmi questo effetto ogni volta ed adesso, forse, ancora di più. Il fatto di saperlo mio di fatto, mi provocava mentalmente delle sensazioni ancora più intense ed io mi sentivo sua, ancora di più e non credevo fosse possibile. Ma lo ero ed ero soprattutto felice di esserlo. Rimase fermo dentro di me, fino a quando non vide il mio viso rilassarsi, poi fu solo spazio per sospiri sempre più intensi, gemiti e parole che morivano in gola prima di riuscire a venire al mondo.

Eravamo appoggiati alla spalliera del letto, con un sorriso stampato in volto come due bambini. Ormai era notte, ma non sapevamo da quanto tempo, perché la nostra percezione delle ore era totalmente svanita da quando eravamo entrati in quella stanza. Ero appoggiata al petto di Tony e lui mi cingeva la spalla con il suo braccio mentre le nostre mani sinistre si accarezzano tra di loro, divertendoci a far sbattere le fedi, giocando come due bambini. Guardavo la sua mano con quel cerchietto metallico e non mi sembrava vero, soprattutto non mi sembrava vero che potesse farmi quell’effetto, ero sposata, ero sua moglie e quando lo dicevo sentivo le farfalle nello stomaco.
 Avevo sempre considerato il matrimonio una cosa bella e giusta, per suggellare il nostro rapporto, per essere una coppia stabile anche pensando al nostro futuro, al nostro lavoro ai pericoli che corriamo, al fatto che non saremmo più stati degli estranei si ci accadeva qualcosa, per nostro figlio, anzi per i nostri figli come mi correggeva sempre Tony, perché lui era figlio unico e non voleva che Nathan si trovasse da solo, in futuro, senza un fratello con cui sostenersi a vicenda. A me non dispiaceva l’idea di un altro figlio, però non la ritenevo una esigenza primaria, probabilmente se Tony non avesse avuto questo grande desiderio di avere un altro figlio nemmeno ci avrei pensato. Non avevamo però programmato niente, avevamo lasciato tutto in mano al destino. Se succederà e quando succederà. Tony ne era certo, sarebbe accaduto a breve, visti i nostri precedenti e c’era rimasto un po’ male, quando dopo che a Barcellona avevo deciso che potevamo provarci, il mese dopo gli dissi che non avevo nessun ritardo, anzi era tutto puntualissimo. Si sentì come mortificato per non essere riuscito nella sua impresa e mi fece tanta tenerezza anche se mi veniva da ridere a spiegargli che non è che sia matematico rimanere subito incinta anche se i nostri precedenti dicevano quasi il contrario.
- A che pensi? 
- Che è bello essere tua moglie.
- Anche per me è bello essere tuo marito. Ti piacciono le fedi?
- Tantissimo. E a te è piaciuta la cerimonia?
- Perfetta. Lo sai perché ho scelto queste fedi?
- No - lo vedevo che fremeva per raccontarmelo, per spiegarmi la sua scelta che forse avevo capito, ma mi faceva piacere che lo dicesse lui.
-  Sono come vorrei che fosse il nostro matrimonio. Normale all’esterno, per chi ci vede. Però poi è dentro la nostra famiglia che ci sono le cose più preziose, quelle che solo noi sappiamo, che solo noi conosciamo, che solo noi possiamo vedere. Il nostro amore è una cosa solo nostra che rimarrà sempre tra noi e solo noi sappiamo quanto è speciale, quando abbiamo lottato per farlo nascere e tenerlo vivo, non abbiamo bisogno di ostentarlo, è solo nostro. Per questo il diamante è all’interno. Siamo noi, come ci conosciamo noi.
- Ti amo. Te lo dico sempre troppo poco, ma ti amo tantissimo. - Gli dissi arrampicandomi su di lui cominciando a baciarlo.
- Mi piace questa versione di Ziva sposata, mi piace molto. Se lo sapevo ti sposavo prima.
- Scemo! - Protestai rimettendomi comoda sul suo petto e prendendo di nuovo la sua mano tra le mie, giocando con le sue dita.
- Comunque mi è piaciuta molto la cerimonia, soprattutto la scelta della musica. Mi ha sorpreso, molto.
- Sei tu la mia “Amazing Grace” che mi ha salvato, mi ha fatto rinascere e vedere il mondo con occhi diversi. E non ti commuovere! - Dissi mentre sentivo che stava per farlo.
- Vuoi l’esclusiva di chi si deve commuovere?
- Sì, la voglio. - Sembravamo due bambini che si fanno i dispetti - Senti tu dopo tutto questo tempo ti ricordavi la canzone sulla quale abbiamo ballato a Berlino?
- Certo che me la ricordavo, ed anche tu, visto che lo hai capito subito! - Colpita ed affondata - Però per me era più facile, è un classico, è molto conosciuta.
- Quindi non mi darai la soddisfazione di dirmi che te la ricordi perché a Berlino eri pazzo di me. - Lo provocai
- Assolutamente no, perché non è vero. Non ero pazzo di te a Berlino, lo ero già da molto prima e dovresti saperlo.
Mi morsi la guancia per non parlare. Ogni volta che finivamo per toccare gli argomenti del passato erano sempre ricordi dolci e amari, per quello che avevamo vissuto ma sempre con quel velo di rimpianto per quello che non avevamo fatto. Ripensando a quel periodo, a come lui mi era stato vicino dopo la morte di mio padre, seguendomi in tutto contro ogni logica ed assecondando ogni mio istinto, mostrandosi comprensivo verso ogni mio sbalzo d’umore rimanendomi sempre vicino senza mai impormi la sua presenza, ogni volta mi accorgevo quanto, invece, io ero stata egoista e a volte anche crudele nei suoi confronti, nonostante quello che provavo per lui senza volerlo ammettere innanzi tutto a me stessa.
- Ti devo dire anche io una cosa su quella sera. Io quella sera ho capito che eri tu.
- Ero io cosa?
- Eri tu la persona con la quale avrei ballato che meritava il mio amore.
- Grazie, ma che vuol dire? È una sorta di profezia? - Mi chiese confuso da quel discorso che in effetti aveva poco senso così.
- No! - Risi - nessuna profezia, non eri scritto nelle stelle! Prima che mio padre se ne andasse di casa mi fece ballare con lui e mi disse che un giorno avrei ballato con un uomo che avrebbe meritato il mio amore. Mentre ballavamo mi tornarono in mente le parole di mio padre e capii che eri tu.
- Uhm… penso che se lo avesse saputo quando mi aveva tra le mani a Tel Aviv, non mi avrebbe più fatto nemmeno camminare - Ridemmo entrambi ed era bello riuscire con lui a ridere di una cosa che sarebbe potuta essere dannatamente reale.
- Probabile- Ma credo che gli stavi così antipatico proprio perché lo aveva capito. - Mi strinsi ancora di più a lui. - Ordiniamo la cena?
- Ogni desiderio di mia moglie è un ordine. Però il dolce lo vengo a prendere da te.

 

NOTE: Questo è l’ultimo capitolo di una certa consistenza. I prossimi due saranno solamente due brevi capitoli conclusivi tra cui il prossimo ve lo annuncio, sarà del tutto diverso da tutti gli altri fino ad ora, perchè sarà tutto esclusivamente dal punto di vista di Gibbs e leggendolo capirete perchè!

Spero di averci messo dentro tutto quello che vi aspettavate dal questo capitolo sul matrimonio. Ho cercato di non essere troppo descrittiva ma di lasciare spazio ai loro pensieri e sentimenti: un po' di romanticismo con le loro promesse, qualche spunto amarcord sia dei miei vecchi capitoli che delle puntate, un po' di family con gli aneddoti su Nathan, (e spero che qualcuno sia felice del timido riavvicinamento tra Tony e Senior), un momento un po' hot (è pur sempre la prima notte di nozze) e poi un po' di gioco tra di loro. 
spero che alla fine di questo lungo viaggio abbiate conosciuto meglio i “miei” Tony e Ziva e che vi sia piaciuto come ho scelto di farli “crescere”. Questo è il capitolo numero 50 (mamma mia!) e mi sembrava giusto che fosse un bell’omaggio a loro stessi e al loro giorno.
Ma non vi preoccupate, ci sarà ancora un po’ di tempo per salutarli.

Nel frattempo vi “avviso” (che sembra quasi una minaccia) che ho deciso che proverò a dare un seguito a questa storia, con qualche idea che mi è venuta in questi giorni, ma ancora devo strutturare il tutto, però penso che ci rivedremo e spero presto.

   
 
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