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Autore: Tormenta    05/05/2016    9 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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29.
Imperfetto
 
 
 
        A Harry servirono un paio di settimane abbondanti per abituarsi a vivere a Grimmauld Place; a vivere da solo, stabilmente, a tempo indeterminato. La cosa in principio gli trasmise un vago senso d’abbandono, che però successivamente scemò con dolcezza sino a lasciarlo svuotato dalle paure, e pronto a cominciare quel nuovo capitolo della vita che gli si poneva davanti.
 
 

        Scrisse una lettera a Draco Malfoy quand’ormai erano già trascorsi più di venti giorni dalla partenza da Hogwarts. Non che non avesse pensato di farlo prima, beninteso; solo, aveva esitato. Se qualcuno gli avesse domandato la ragione, non sarebbe riuscito a limitarsi a darne una singola: s’era trattato di tutt’insieme di cose. Equilibri da ritrovare dopo l’arrivo in stazione a Londra, una familiarità da stabilire tra nuove vecchie mura, sentimenti da lasciar decantare. Forse persino la curiosità di scoprire se Malfoy avrebbe avuto il coraggio di scrivergli per primo – e no, non l’aveva avuto.
        Insomma, diede il via alla loro corrispondenza, e lo fece con un messaggio stringato.
        Esibendo una smorfia sbilenca che nessuno poté vedere, aprì il messaggio scusandosi, perché Vuoi dirmi di nuovo che ci ho messo un’eternità? Ed È vero, è così. Mi spiace. Continuando a far scorrere la penna sulla carta, poi, tornò serio. Riempì poche righe con commenti su quella che era diventata la sua casa, concedendosi anche d’appuntare che, nonostante tutto, la scuola un po’ gli mancava. Concluse con un sinceramente interessato Come stai?, si firmò con caratteri disordinati, ed inoltrò la missiva frettolosamente, sentendo il bisogno di recuperare il tempo perduto, come se il mettere nero su bianco quelle parole avesse abbattuto la diga dietro cui aveva per un po’ trattenuto le emozioni.
        Ricevette presto una risposta – tanto presto, che quasi di primo acchito stentò a crederci.
        Facendo scorrere gli occhi sull’elegante calligrafia di Draco, sul suo Sì, Potter, ci hai di nuovo messo un’eternità. Ma in effetti non mi aspettavo altro, si concesse un sorriso. Poi lesse che Sto bene, anche se ho avuto giorni migliori, e la sua espressione acquistò un’appena percettibile nota d’amarezza.
        Buttò giù una replica quanto prima poté. E dopo quella, ce ne furono altre; tra le sillabe, s’affacciarono timide alcune confessioni – per esempio, Malfoy rivelò d’odiare il maniero. Non dovette nemmeno spiegare il perché.
        Il Possiamo incontrarci? di Harry, nel momento in cui venne scritto, non poté che risultare l’invito più naturale del mondo.
 
 

        Scelsero di vedersi a Diagon Alley. Una mossa, la loro, alquanto illogica da qualsiasi punto di vista la si studiasse, considerato che né l’uno, né l’altro desiderava rendere i propri affari più pubblici di quanto già non fossero. Ma tant’è – si diedero appuntamento nei pressi d’una delle vetrine del negozio di articoli di Quidditch, in un angolino che d’appartato non aveva molto.
        Per sopperire ad una tale allarmante mancanza di privacy, entrambi uscirono di casa con un piano ben stampato in mente. Ben poco Malfoy poteva sapere di come si sarebbero sviluppate le cose, e di certo non s’aspettava che l’idea da lui messa a punto venisse completamente ignorata (non ebbe neanche l’occasione d’esporla), per essere ingiustamente surclassata dalla proposta o, per meglio dire, dalla mezza imposizione di Potter.
        «Andiamo nella Londra babbana» gli disse sottovoce una volta che furono vicini, con gli occhi pieni d’aspettativa e una smorfia gioiosa sulle labbra.
        «Cosa
        «Sarà bello. Forza».
        Draco non ebbe neanche il tempo di ribattere, che, tirato per un braccio, si trovò a correr dietro ad un ex Grifondoro coi capelli spettinati ed un’orrenda maglia addosso. Lo seguì lungo la strada di Diagon Alley, stando ben attento a stringersi nell’ampio mantello scuro e a tener la testa bassa – ringraziò Merlino che non troppe persone fossero in giro, e sperò di passare il più possibile inosservato.
        Si rilassò un pochino e smise di nascondersi solo quando sbucarono dietro al Paiolo Magico. In quel frangente, ebbe l’occasione d’aprir bocca, e la colse al volo.
        «Non possiamo andare― da un’altra parte?»
        «Qui non è male».
        «È che―» mi sento fuori posto. Ma appesantito da ricordi che minacciavano di travolgerlo, non finì la frase: preferì sciogliersi un rumoroso sospiro.
        Non protestò oltre, e Harry l’apprezzò. Poteva immaginare, lui, quali fossero le incertezze di Malfoy; capiva d’aver azzardato un po’ a trascinarlo lì senza preavviso. Ma per certi versi, s’era sentito in dovere di farlo: non voleva che quello fosse un terreno minato tra di loro. Ci sarebbe rimasto parecchio male, se avesse dovuto ascoltare qualche tediosa lamentela del tipo I babbani qui, i babbani là – Draco poteva comportarsi meglio di così, lo sapeva.
        «Da queste parti nessuno ci riconoscerà» mormorò, riprendendo a camminare ed esortandolo con un cenno a seguirlo ancora.
        Dopo qualche istante di tentennamento iniziale, procedettero fianco a fianco avventurandosi su Charing Cross Road.
        Guardando di sottecchi Malfoy, Potter si ritrovò ad accennare un sorriso tra sé e sé. La parte di lui che ancora covava una qual certa nostalgia tremò, scossa da un sospiro adorante – perché quei capelli chiari e quel viso affilato lo portavano indietro, al pari delle ramanzine di Hermione e delle risate di Ron. Pur non sapendo discriminare se fosse stupido o meno, fu brevemente tentato dall’idea d’abbracciarlo; su due piedi, così. Nel traffico d’una città che l’altro scrutava cautamente, al cospetto di volti sconosciuti, senza vergogna. Non fece nulla del genere, però, principalmente perché Draco, con aria turbata, borbottò qualche asciutta parola.
        «Mi fissano. Non lo sopporto».
        Harry impiegò un attimo a capire che si stava riferendo ai passanti. «Uh, credo sia per come sei vestito».
        «Sì, l’avevo intuito». Con l’orgoglio in ebollizione, irrigidì la postura, mostrandosi nonostante tutto fiero di quegli abiti lucidi chiaramente incantati, la cui stoffa lo proteggeva dal caldo estivo.
        Loro lo giudicavano. Non tollerava l’idea che se ne sentissero in diritto. Provò il deplorevole desiderio d’insultarli, ma la stessa pesantezza di poco prima, quella proveniente dal passato, gli frenò sia la lingua, sia il pensiero.
        «Se ti togliessi almeno il mantello, forse non ti guarderebbero così».
        Draco roteò gli occhi, piccato, bofonchiando un «Okay» stiracchiato, per poi seguire il consiglio che gli era stato dato: sciolse il nodo e liberò i bottoni che gli fermavano il mantello sulle spalle, poi lo fece scivolare e lo ripiegò con cura in modo da poterlo reggere con un braccio. «Che roba».
        Cogliendo le tracce dell’alone di negatività che andava delineandosi attorno alla sua testa bionda, Potter si sentì in dovere di cambiar argomento. Si schiarì distrattamente la voce, «Dove preferiresti andare?»
        «Non qui. Ma visto che ormai ci siamo – non ho preferenze».
        «Che ne dici di Hyde Park?» Rifletté per un attimo, concentrandosi e cercando di riportare alla memoria le principali strade della città, «È un po’ distante, ma ne vale la pena».
        Ancora imbronciato, Malfoy assentì.
 
 

        Procedettero rigorosamente a piedi, perché per quanto coraggioso fosse, Harry non s’azzardò a trascinare Draco Malfoy ai binari della metropolitana.
        Certo, però, sarebbe stata una scena comica: un rampollo Purosangue ed il suo ingombrante ego stipati in un minuscolo vano insieme a decine di sconosciuti. Alla sola idea, gli sfuggì un lieve risolino.
        «C’è qualcosa che ti diverte, Potter?»
        «Uhm― no, niente».
 
 

        Passo dopo passo, sfilando accanto ai palazzi e tra la folla, Draco s’ammorbidì sempre più, pur senza mai riuscire ad accantonare del tutto il senso d’estraneità – un senso, quello, dovuto non tanto all’ambiente che lo circondava, quanto alla moralità che gli stagnava dentro. Per tenerlo sotto controllo, si rivelò efficace il concentrarsi su quel mondo che non gli era mai stato concesso di conoscere, e al quale, a dirla tutta, non aveva mai avuto l’ardire d’interessarsi.
        Le sue modeste occhiate si fecero curiose. C’erano tanti dettagli che non gli erano chiari; ad esempio, come facessero le persone a gestire le auto, quali codici ne regolassero il transito. C’erano poi tanti odori nell’aria, per la maggior parte tutt’altro che familiari, che gli pizzicavano impudentemente il naso in modo a tratti spiacevole, e rumori che non seppe ben identificare.
        Preferì non domandare spiegazioni a Harry. Aveva una dignità da difendere, lui, e poco ma sicuro non avrebbe fatto la figura del marmocchio che non comprende le meccaniche di ciò che ha attorno. Non così presto, almeno – un domani, chissà.
 
 

        Avevano già marciato per una manciata di minuti, quando Potter, stanco del silenzio (che in realtà non era vero e proprio silenzio, considerato il brusio in cui erano immersi), parlò. «Quando ti ho spedito la prima lettera― tu hai risposto subito». Mise su una smorfia compiaciuta, «Mi hai stupito».
        «Perché?»
        «Credevo che ti saresti fatto attendere».
        «Ti sei fatto attendere tu – per tre settimane. Non tutti sono disposti a perder tempo facendo inutilmente i preziosi».
        «Detto da te, suona strano».
        «Cosa vorrebbe dire detto da me
        Vagamente in difficoltà, Harry scosse appena il capo. «Ero convinto che fossi il tipo di persona che― ehm, si fa desiderare, in questo tipo di cose. Non so, forse perché ci sono voluti mesi per darti un, beh, bacio vero».
        Malfoy inarcò un sopracciglio. «Sai com’è, metterti la lingua in bocca non era esattamente uno dei miei propositi per l’anno nuovo».
        «Se la metti così, non era neanche uno dei miei».
        «Ecco. Allora, nonostante le tue ridotte capacità cognitive, puoi capire».
        «Però―»
        «Non c’è alcun però. Fidati, Potter: tu non hai idea di come io mi comporti in queste situazioni».
        «Hm. Forse hai ragione, non ce l’ho». E inconsciamente, con gli occhi spalmati sul viso dell’altro, inarcò gli angoli delle labbra insù.
        Quando Draco se ne accorse, gli rivolse un’occhiata interrogativa. «A cosa devo questa faccia?»
        «Niente. È solo che― voglio scoprirlo. Come sei, dico».
        Il cuore di Malfoy accelerò sensibilmente e il volto gli si intiepidì. Dovette distogliere lo sguardo da quello di Harry, perché Morgana, che razza d’effetto mi fa. Per un istante, si sentì una ragazzina.
 
 

        «A tua madre cos’hai detto? Di oggi, del fatto che sei uscito».
        «Non preoccuparti di questo».
        Apparentemente senza motivo, dopo un secondo speso a tacere, Harry rise tra sé e sé.
        «Cosa c’è, adesso?»
        «Pensavo― aspetta che lo venga a sapere tuo padre!» Ingenuamente divertito, affondò i denti in una guancia. «Pessima battuta, lo so».
        Quanto pessima, di preciso, lo colse quand’era già troppo tardi: Draco s’incupì e lo fulminò, stretto da una morsa che lo spinse a serrare i pugni. Scherzare a quel modo tirando in ballo vecchie parole legate ad un uomo tutt’altro che innocente, allontanato dalla famiglia ed incarcerato, era una delle mosse peggiori che si potessero fare.
        «Scusa» sussurrò mesto Potter, accortosi della gaffe «non avrei dovuto parlare di lui. Mi spiace».
        Malfoy, però, l’ignorò. Strozzato da un rospo amaro, si chiuse in se stesso e si barricò dietro un impenetrabile muso duro. Percepì intensificarsi il desiderio d’abbandonare quel dannato mondo babbano, d’isolarsi per un po’, di scappare, ma continuò comunque a camminare, forte d’una testardaggine che non seppe bene inquadrare.
 
 

        Quando misero piede negli ampi giardini, tra loro l’atmosfera non s’era ancora distesa: Harry continuava a dibattersi impotente di fronte all’impulso di fare ammenda, e Draco restava in silenzio.
        «Allora? È un bel posto» sussurrò incerto il primo, nel tentativo di riattizzare il dialogo.
        «Sì» soffiò l’altro, conciso. Non era più troppo turbato, tuttavia trovava difficile tornare ad aprirsi.
        Avanzarono ancora un po’ senza aggiungere ulteriori parole, tra il verde e le persone a passeggio, sinché Potter non mise finalmente a fuoco quanto tempo stessero sprecando, e si stancò. «Ho detto che mi dispiace. Prima».
        «Ti avevo sentito».
        «Dunque― lasciamo perdere?»
        «È meglio, sì». Si vide rivolgere un vago cenno che significava chiaramente “forza, dì qualcosa”, e deglutì e sospirò. Poi, spinse fuori dalle labbra: «Ora vivi nella vecchia casa dei Black, quindi».
        Quella semplice affermazione casuale bastò a rincuorare Harry, che annuì rasserenandosi. «Già» rispose e, anche se s’erano già detti diverse cose a riguardo nelle lettere, fu ben felice di raccontare di come si trovava, e di come s’era ambientato.
 
 

        Si sedettero su una panchina. A mano a mano che le chiacchiere tornavano ad essere fluide, si sciolsero nelle spalle, mettendosi comodi.
        «…e frequenterò il corso per diventare Auror».
        «L’intero Mondo Magico non si aspetta altro da te, Potter».
        «È soprattutto quello che io mi aspetto da me. E tu, invece, cosa― cosa farai?»
        Malfoy, con aria di superiorità, esibì un’elegante smorfia disinteressata. «Cose. Per ora non definite».
        «Perché non l’Auror anche tu?» Non riuscì proprio a trattenersi dal chiederlo.
        «Scherzi?» Lo guardò storto, corrucciando la fronte davanti alla serietà di cui dava sfoggio. «Solo perché vuoi farlo tu non significa che sia la vocazione di tutti. Non è proprio la mia strada».
        «Io ti ci vedo».
        «Devo ricordarti quanto la tua vista sia difettosa?»
        Al che, risero, perdendosi a scrutare brevemente la gente di passaggio. Harry, col sorriso ancora stampato sulla faccia, realizzò quanto fosse assurdo essere nel bel mezzo di Hyde Park in compagnia di Draco Malfoy, a ridere amichevolmente mentre decine e decine di babbani sfilavano sotto i loro occhi. Una parte di lui stentò a credere che si trattasse della realtà – ma lo era. Eccome. Ripetendosi ciò, afferrò un interessante concetto.
        «Noi― stiamo uscendo insieme. Letteralmente» asserì, catturando subito l’attenzione dell’altro.
        Quello, intuendo l’evoluzione del discorso, non poté evitare che il proprio battito accelerasse lievemente. «Così sembra» mormorò.
        «Quindi siamo― hm» s’agitò appena, «una specie di coppia? Ufficialmente?» Si trattava d’una prospettiva stravagante, ma a giudicare dal rimestio che gli solleticò lo stomaco, l’idea non gli dispiaceva affatto.
        Draco intrecciò le dita delle mani, mordendosi una guancia e abbassando il capo; di nuovo, si sentì una scolaretta imbranata, ma si sforzò per mantenere un certo decoro. «Se insisti, possiamo provare» bisbigliò, coi palmi che pizzicavano. «Senza impegno. Vediamo come va».
        Potter fu assalito dalla voglia di tirarlo più vicino. Per la seconda volta, però, Malfoy gli mise inconsapevolmente i bastoni tra le ruote parlando.
        «Offrimi qualcosa» buttò lì per scacciare l’imbarazzo – e il suo non era un suggerimento, quanto piuttosto un pacato ordine. Ordine che Harry, su di giri, non si rifiutò d’eseguire.
 
 

        Lo condusse fuori dai giardini, nuovamente sulla strada. Iniziarono così a dar la caccia ad un locale adeguato, imboccando svolte senza una meta precisa – potevano anche perdersi, in fondo, perché in ogni caso poi ci sarebbero state le bacchette a riportarli a casa.
        Imbattutisi in un piccolo caffè dall’aria spartana ma accogliente, Potter insistette per entrare. Neanche a dirlo, l’altro storse il naso, ben poco colpito da quella scelta.
        «Hai veramente un pessimo gusto» commentò dopo che ebbero preso posto ad un tavolino. «Insomma, hai avuto una relazione con una Weasley, quindi in realtà già lo sapevo, ma con questo― sei ufficialmente un caso disperato».
        Harry, insinuante, fece scattare verso l’alto le sopracciglia. «A quanto pare ora mi sto interessando a te, perciò magari non dovresti criticare tanto i miei gusti».
        Draco schioccò la lingua e assottigliò gli occhi, riflettendo. «Hm. È un insulto o un complimento?»
        «Devo ancora decidere». S’impegnò per celare il sorriso che premeva per fiorirgli sulle labbra, ma fu tutto inutile.
        Optò per una semplice tazza di caffè, mentre Malfoy si fece servire del the nero accompagnato da qualche biscotto secco. Aveva già la tazzina tra le dita e se la stava portando alle labbra, quando disse, lupesco: «Sul serio, però, Potter. La Weasley».
        Perplesso, Harry fu tentato dal mettersi sulla difensiva. «Non osare cominciare a parlar male di lei» l’avvertì, tutto sommato bonario.
        «Non ne parlo male». Sorseggiò aggraziatamente il the, lo sguardo incatenato al suo. «Solo, mi domando: cosa ci trovavi in lei? È così sciatta».
        «Non è sciatta. Ma― vuoi veramente parlare di Ginny?»
        Fece spallucce, «Non ho paura dei confronti. O della concorrenza, per quel che vale – cioè, io sono io, e lei è― beh, lei».
        «Per fortuna non dovevi parlarne male» mugugnò sommessamente l’altro, gli occhi puntati sul caffè. «Comunque: non l’hai provata, non puoi giudicare». Non appena, ascoltandosi, colse la sporca accezione delle parole usate, accartocciò l’espressione. «No, aspetta― mi è uscita male» s’affrettò a borbottare, ma era troppo tardi: dietro la tazzina, sul volto di Draco s’era già aperto un enorme sogghigno.
        «Oh. Ora mi è tutto molto più chiaro».
        «No, lei― lei non è così. Dimentica quello che ho detto, ho sbagliato». Tremò, pensando che se Molly Weasley fosse stata nei paraggi, sarebbe già stato trasformato in poltiglia. E non tramite un incantesimo.
        «Rilassati, non ti giudico». Sorseggiò ancora del the, divertito. «D’altronde, ci si arrangia con ciò che si ha. E non tutti possono avere me».
        Harry non doveva sorridere. Ma lo fece lo stesso, perché sebbene non fosse stato con Ginny per quello, e non volesse che Malfoy si facesse strane idee sulla ragazza, che non tutti potessero avere lui era vero. Perché adesso ce l’ho io. E a pensare questo, come poteva non sorridere come un beota?
        Con un cenno d’imbarazzo spruzzato sulle guance, cercò di nascondersi bevendo del caffè. «A parte gli scherzi» bofonchiò, i polpastrelli che giocavano col manico della tazza «non parlare male dei miei amici. O non dureremo un mese». Aveva sì detto a parte gli scherzi, ma comunque si pose in modo tutt’altro che serio.
        Draco non mancò di notarlo, tant’è che, rosicchiando un biscotto, ribatté, sempre ironizzando: «In tal caso – puoi scommetterci la cicatrice, che non dureremo un mese».
 
 

        Una volta che entrambi ebbero finito di bere, continuarono ad occupare il tavolino a cui erano seduti malgrado il locale si stesse pian piano affollando. Si scambiarono lunghe occhiate sulle note di leggere ciarle; fu piacevole, almeno sinché Malfoy non prese ad alludere, attraverso un’evidente gestualità, ad un indefinito qualcosa che mandò Harry in confusione.
        «Dovremmo andare» suggerì l’ex Serpeverde, come indicandogli la direzione da seguire.
        «Se vuoi, va bene».
        Evidentemente, una semplice spintarella non bastava. D’accordo, allora – sarebbe stato più esplicito. «Vivi in casa Black».
        Potter aggrottò la fronte, perché di quello avevano già ampiamente discusso. «Uh―»
        «Non credi che dovresti invitarmi ad entrare?»
        «Oh». Finalmente capì, e fu scosso da un brivido. «Sì, ehm― ».
        Per la gioia dei nuovi avventori, alla buon’ora lasciarono libere le sedie.
 
 

        Celati dall’ombra d’un vicolo, si smaterializzarono a Grimmauld Place. E una volta che furono al sicuro tra quelle mura, bastò poco: una serie di parole appena bisbigliate, mani che si tendevano e che afferravano, l’addossarsi alla parete del corridoio, un paio di ghigni ammiccanti, e poi ci furono solo baci.
        Prima di quel momento, Harry non avrebbe mai creduto di poter ritenere umane una tale foga ed una tale impellenza. Eppure eccole lì, a stuzzicarlo e a massaggiargli i nervi, a guidargli le dita mentre le immergeva tra ciocche di capelli biondi e stringeva costosi vestiti su misura bramando di poter toccare di più. Con la testa svuotata, credette d’essere sul punto di perder la ragione. Draco, poi, non fece che aggravare costantemente la sua condizione, sfiorandogli il viso e il collo, affondandogli le unghie nei fianchi e premendolo sempre più contro il muro.
        Dopo un imprecisato lasso di tempo, si concessero di riprender fiato – lo fecero tenendo rispettivamente gli occhi fissi in quelli dell’altro, non tanto per volontà, quanto perché fu ciò che venne loro più spontaneo.
        Col cuore che rimbombava nelle orecchie, Potter tentò d’incollare i brandelli d’un pensiero relativo a quanto caldo avesse, ma non ebbe il tempo di portare a termine l’impresa; la bocca di Malfoy, infatti, tornò sulla sua, e ogni spettro di razionalità svanì senza lasciar traccia.
 
 

        Come riuscirono a separarsi, nessuno dei due sarebbe stato capace di descriverlo.
        «Bella casa. Dovevamo venirci prima» affermò Draco, pronto a togliere il disturbo.
        «Sì».
        «Vedi di non farmi aspettare altre tre settimane, adesso».
        «No―! Uh, sabato. Può andare?»
        Finse di rifletterci su. «Sì, può andare».
        Pochi secondi, un incantesimo ed un rumore di strappo più tardi, Harry era solo. Quasi, in principio, si sentì a metà.
 
 
* * *
 
 

        Malfoy conosceva posti del Mondo Magico che lui a stento aveva sentito nominare: piccoli villaggi fuori dal mondo, rinomati locali, zone d’interesse turistico; perlopiù luoghi d’un romantico che mai, mai avrebbe pensato di poter considerare associabili alla figura dell’algido Purosangue degli anni passati. Ed era soprattutto quello, il bello: scoprirlo, e lasciarsi scoprire.
        «Dove mi porti, oggi?»
        «Sorpresa».
 
 

        Non ne aveva mai abbastanza.
        «Ti va di uscire mercoledì?»
        «Perché, dopodomani sei occupato?»
        «Uhm, no. Volevo― volevo fare mercoledì e dopodomani. Ma se non vuoi, o non riesci―»
        «No. Va bene. Mercoledì ci sono».
        Harry non si rendeva affatto conto di quanto certe smorfie contente lo facessero apparire imbranato, e continuava a metterle su ignaro – come in quel caso – per la pura delizia di Draco. «Bene, perché ho pensato ad un posto che voglio farti vedere».
        «D’accordo. Ma non dimenticare che ho degli standard».
 
 

        Per quanto catturati da quel vortice di novità e d’esplorazione, non scordarono di rivolgere la propria attenzione a ciò che era stato. I loro trascorsi non erano l’argomento che preferivano trattare, ma non potevano ignorarli e, di tanto in tanto, oltre ai battibecchi, ne veniva fuori persino qualcosa di buono.
        «Posso vederlo?» domandò Potter un giorno, mentre, rintanati a Grimmauld Place, per la precisione spalmati su un sofà che lui stesso aveva da poco piazzato in casa, si proteggevano dalla pioggia che aveva improvvisamente preso a scrosciare.
        «Hm?»
        «Ho detto― posso vederlo?» ripeté, lanciando un rapido sguardo al suo braccio sinistro.
        Scettico e travolto da un’ondata di gelo, Malfoy avvolse d’istinto la mano destra attorno all’avambraccio che, sotto alla stoffa dell’elegante camicia, era e sarebbe sempre stato marchiato. Esitò a reagire in altre maniere: per un po’ restò in silenzio, col capo chino, ponderando tra sé e sé.
        Parevano esser trascorsi secoli, quando finalmente risollevò la testa. Non disse nulla, ma deglutì e, con studiata lentezza, fece scivolare i polpastrelli sino al polso. Spinse fuori dall’asola il piccolo bottone che teneva uniti i lembi di tessuto, e una volta che quelli furono liberi, li fece scorrere, mettendo a nudo la pelle.
        Non volle guardare la macchia nera che lo deturpava. Lasciò, però, che Harry gli prendesse la mano, che gli giostrasse il braccio, che osservasse ciò che desiderava. Percependo la punta delle sue dita su di sé, fu attraversato da un fremito.
        Attese senza emettere alcun suono. Più i secondi passavano, più gli pareva che l’altro lo stesse accarezzando; d’un tratto, dunque, incuriosito, seppur con incertezza, raccolse il coraggio necessario a spostare gli occhi laddove sapeva esserci il Marchio. Ma non ne vide che alcuni frammenti, poiché il palmo di Potter, strategicamente, ne copriva una buonissima parte. E forse era insensato, ma quella visione lo rassicurò e lo riscaldò indicibilmente; per non parlare del bacio che senza preavviso si ritrovò stampato sulle labbra, e del mormorato «Grazie» che l’accompagnò.
 
 

        A partire da occasioni del genere, risultava loro talmente semplice avvicinarsi ed intrecciarsi, continuare a baciarsi e stringersi, che a volte nemmeno si rendevano conto d’aver cominciato a pomiciare sfacciatamente come ragazzini della peggior specie. Non mancavano mai di capirlo i loro corpi, però, che senza chiedere il permesso li trascinavano incontro a quell’aspetto d’un rapporto che, quand’ancora erano ad Hogwarts e s’incontravano nelle stanze buie, avevano scelto d’affrontare senza fretta – il desiderio fisico. La voglia. Il sesso.
        Da lucidi, danzavano intorno all’argomento armati d’una disinibizione che andava consolidandosi; combattevano la paura di quella cosa tanto intima e tanto forte tastando il terreno a ritmo di scherzi ed allusioni.
        Ad esempio, era capitato che Draco sibilasse, con gran naturalezza: «Hai mai fatto un sogno erotico su di me?»
        Subito, Harry s’era irrigidito e aveva preso colore. «Ehm―»
        «Potter. Di’ la verità».
        Non l’aveva detta. Non aveva detto niente, in realtà, limitandosi ad alzare le spalle e ad ammiccare con aria colpevole.
        «Lo sapevo».
        Così come quella, tante altre conversazioni erano sfociate in risolini contenuti, in cuori appena accelerati e nelle occhiate d’intesa di chi sa esattamente dove vuole andare a parare.
        Quand’erano coinvolti, però, era diverso. Avere le mani dell’altro addosso, la sua bocca sulla propria, un gran formicolio nelle vene; essere travolti dalla sensazione d’andare a fuoco, di aver bisogno di qualcosa di più – erano tutti dettagli che rendevano parecchio arduo il procedere per gradi, e che facevano apparire sempre più appetitosa la prospettiva di fare un salto nel vuoto.
        Alla fine – era inevitabile – cedettero. E anche se era Harry l’impavido ex Grifondoro, fu Draco ad oltrepassare la linea.
        Azzardò mentre, vibrando e mugolando piano con la schiena poggiata al muro d’una stanza (poco importava quale) a Grimmauld Place, godeva dei morbidi baci che gli stavano solleticando il collo. I pantaloni s’erano fatti stretti già da un po’, e le carezze che Potter, con una mano assurdamente calda, elargiva sfiorandogli il basso ventre minacciavano di portarlo alla pazzia.
        «Fallo» soffiò supplicante, la voce arrochita. L’altro tentennò, respirando contro la sua pelle e causandogli scariche di brividi; non poté, quindi, che lasciarsi sfuggire un versetto lamentoso.
        In un lampo di nitidezza, Harry tornò indietro col pensiero. Fallo, aveva detto Malfoy pretendendo per la prima volta un bacio; Fallo, aveva bisbigliato quando gli aveva proposto di restare in contatto dopo la fine della scuola; Fallo, diceva ora che erano tanto vicini. La ricorrenza d’una misera parola non era certo il particolare più eclatante, in quel frangente, ma comunque gli regalò un sorriso e gli rubò un battito.
        Facendo finalmente scivolare la mano verso il basso, tenne le palpebre serrate e il viso bruciante nascosto contro la spalla di Draco.
        Un gemito soddisfatto rotolò fuori da labbra gonfie. Entrambi vacillarono: risuonò un istante di vuoto, tra animi languenti e vestiti di troppo; poi, ci fu spazio solo per la discesa in un mondo di pulsioni.
 
 

        Si scoprirono come ancora non s’erano scoperti – cioè, mettendosi letteralmente a nudo.
        Toccare diventò pericolosamente divertente. Guardare e soprattutto guardarsi, eccitante. Sperimentare, intrigante. Fidarsi l’uno dell’altro, inebriante.
 
 

        A tempo debito, Harry si scontrò col fatto che, contrariamente ad ogni sua previsione, Draco Malfoy era il tipo di persona che s’inginocchiava. Ma per descrivere quello, beh, non esistevano aggettivi adeguati.
 
 
* * *
 
 

        La prima volta che trascorsero un’intera notte insieme, fu quasi un incidente. Erano reduci da un bisticcio, perché «Non possiamo vederci, domenica. Gli Weasley mi hanno invitato a pranzo. E tecnicamente, hanno invitato anche te».
        «Cosa
        «Uh, non proprio te; la persona con cui sanno che sto uscendo».
        «Non voglio pranzare da loro. E se sapessero chi sono, loro non vorrebbero me».
        «Non― non dire così. Devo solo trovare il modo giusto per… metterli al corrente».
        «Non so se voglio che tu lo faccia».
        «Perché non dovrei? Sono praticamente la mia famiglia; è importante che sappiano di noi, che sappiano chi sei».
        «Più persone lo sapranno― ecco― hm. Esporsi è problematico, per me. Capisci?»
        «Sì, ma― tu capisci che per me, invece, è problematico tenerti segreto?»
        S’erano arrabbiati, erano volate lamentele e sbuffi, e poi, quando tutto sembrava destinato a terminare in malo modo, Harry se n’era uscito con un pungente «Hai paura? Perché non dovresti. Non ha senso averne, arrivati a questo punto di certo non ci lasceremo per quello che pensa la gente». Era la cosa più semplicistica ed edulcorata che potesse dire, e Draco, di norma, non si sarebbe lasciato imbambolare tanto facilmente – ma aveva comunque voluto concedersi la resa. Perché magari era vero, che aveva un po’ paura; era felice e temeva che qualcosa, anche solo il cambiamento più piccolo, potesse rovinare tutto.
        Aveva smesso di ribattere, e aveva lasciato che Potter l’avvicinasse, che lo toccasse, che lo baciasse piano. Per lunghi istanti s’era sentito orribilmente sdolcinato, schiacciato dall’imbarazzo, ma poi, fortunatamente, era subentrata una bollente presa allo stomaco che l’aveva distratto; i baci erano diventati più umidi, le dita più impavide, i vestiti meno necessari.
        S’erano spostati sul letto, e avevano fatto ciò che entrambi desideravano fare.
 
 

        Quasi un incidente, per l’appunto: quando Malfoy riaprì gli occhi, scosso da rumori ovattati, fuori era già buio. Impiegò un attimo a mettere a fuoco dove si trovava, che non era rientrato al maniero, e che – Morgana – Harry gli si stava accoccolando affianco.
        D’istinto scattò a sedere, guadagnandosi un mugugno di disapprovazione da parte dell’altro. «Che ore sono?» biascicò, stropicciandosi gli occhi per scacciare il pizzicore dovuto alla stanchezza.
        «È tardi» asserì conciso Potter, più sveglio di quanto non sembrasse. «Rimani».
        Forse fu perché Draco era davvero, davvero stanco – le ciglia pesavano come massi –, o perché, dacché s’era alzato scostando le coperte, il freddo l’aveva fastidiosamente punto sulle braccia nude e sul petto; fatto sta che, a seguito d’un momento d’esitazione, sospirando si lasciò ricadere sul materasso. Ritrovò il proprio tepore: mugolò sommessamente, e si rilassò.
        Harry, voltato su un fianco, gli poggiò una mano sulla pancia: nel silenzio, non s’alzò alcuna protesta.
 
 
* * *
 
 

        Al pranzo alla Tana, Potter si presentò da solo.
        «Oh, Harry caro. Ci avevo proprio sperato, questa volta» confessò Molly, accogliendolo in casa. «Ancora non vuoi farcelo conoscere?»
        «Lui è― timido».
 
 

        Trovare l’occasione adeguata per mettere in tavola il nome di Malfoy si rivelava puntualmente ben più complesso di quanto non immaginasse. E ogni volta, persuaso anche dalla convinzione che, almeno di primo acchito, non sarebbe stato preso sul serio, sceglieva di rimandare un pochino.
        Un giorno, poi, alla dissoluzione dei suoi dilemmi ci pensò il caso: tutt’una serie d’improbabili circostanze si verificarono, e un brusco rimedio pose fine al suo titubare.
        Era riuscito a trascinare Draco nel centro della Londra babbana. Lì, s’erano fermati davanti alla vetrina d’un negozio d’abbigliamento; ridacchiando, s’era perso ad ascoltare l’interminabile lista di commenti negativi che l’altro, evidentemente scherzando, aveva cominciato a dedicare a quella che a suo dire era una moda da sempliciotti.
        «Troppe, troppe paillettes. Sul serio c’è gente che si veste così?»
        «Non immagini quanta». Gli cinse la vita con un braccio, sorridendo, e per qualche secondo ancora fu tutto perfetto. Poi, una voce che entrambi ben conoscevano li colse impreparati, e l’idillio andò in frantumi.
        «Harry
        Ron Weasley, accompagnato da un’accigliata Hermione Granger, li scrutava come se avesse davanti due mostri. In particolare, scrutava l’ex Serpeverde, e la mano del suo migliore amico sul suo fianco.
        «Ron» salutò Potter, agitato, dopo aver inutilmente cercato aiuto negli occhi sgranati della ragazza.
        «Lui è―?» continuò Weasley, esterrefatto.
        L’altro non rispose. Tuttavia, percependo Draco irrigidirsi oltre misura, lo strinse di più a sé come a volerlo calmare.
        Non capiva cosa ci facessero lì Ron e Hermione. A giudicare dal gran numero di buste che l’amico reggeva, forse s’erano concessi dello shopping, oppure stavano anticipando le compere natalizie. Non che fosse un dettaglio rilevante, in realtà.
        «Lui è― Malfoy» sillabò ancora il ragazzo, apparentemente indeciso tra il diventare più rosso dei propri capelli e lo sbiancare per lo shock.
        Draco, sentendosi addosso una rapida occhiata di Harry, strinse i denti e «Sì, sono io» confermò. «Noto con piacere che sei arguto come al solito, Weasley».
 
 

        Le parole non si sprecarono, in quella conversazione. Poi, però, una volta che Potter e Malfoy furono rientrati a Grimmauld Place, copiose imprecazioni e grugniti lagnosi riverberarono tra i muri.
        «Merlino. Mi terrà il muso per mesi. E c’ero così vicino― gliel’avrei detto! Dannazione, sapevo di doverlo fare prima, di doverlo fare subito! Invece, ho aspettato. E adesso― cazzo».
        «Smetti di borbottare, non serve a nulla».
        «Cosa dovrei fare? L’hai visto, stava per esplodere. A dir la verità, mi stupisce che non sia svenuto, o qualcosa del genere».
        Volendo esorcizzare la propria ansia e quella dell’altro, Draco fece l’impossibile per restare saldo. «Anche se non è svenuto, sono convinto che gli abbiamo comunque fatto perdere come minimo quindici anni di vita».
        «Questo è sicuro. Che casino».
        «Poteva andare peggio». Non era mai stato un tipo particolarmente positivo, ma gli venne naturale tentare d’esserlo. Per Harry. «Poteva, che so, comparire durante un bacio. Così sì che l’avremmo fatto svenire».
        Per alcuni istanti, Potter parve combattuto. Poi, chissà come, trovò la forza di metter su una microscopica smorfia divertita.
 
 

        «Ora che lo sanno― sarai il mio più uno ai pranzi alla Tana?»
        «Io… là dentro? Che Morgana me ne scampi». E pur dicendo così, si mostrò meno schifato del solito. Un dettaglio, quello, che di certo non passò inosservato.
 
 
* * *
 
 

        Il tempo, zigzagando tra piccoli scandali familiari e conseguenti scosse di assestamento, trascorse in sordina.
 
 

        «Stavo pensando― vorrei cercare una casa. Un’altra, insomma».
        Perplesso e preso a dir poco in contropiede, Draco inarcò un sopracciglio. «Per?»
        «Trasferirmi».
        Corrugò la fronte. «Cos’ha la tua attuale casa che non va?»
        «Uh― è grande, per dirne una; enorme per una persona sola. E non importa quante cose sposto e aggiungo, non smette di sembrarmi vuota».
        «Quindi il problema è che hai troppo spazio?» Gli dedicò un’occhiata scettica.
        «No. Cioè, non solo». Con aria concentrata, Harry rifletté brevemente a capo chino. «Dentro ci sono un sacco di ricordi. Del periodo della guerra, di persone… che non ci sono più. Mi fa piacere riviverli, a volte, ma―» sospirò «sono ingombranti, e convincerci quotidianamente sta diventando pesante».
        «Non― non me ne hai mai parlato. Perché?»
        «All’inizio credevo che col tempo la sensazione sarebbe passata. Poi, non so, non volevo che ti preoccupassi; in fondo non puoi farci niente».
        «Non trovi che sarebbe comunque stato più carino farmelo sapere, piuttosto che uscirtene all’improvviso con un voglio trasferirmi
        «Hm― hai ragione. Mi spiace».
 
 

        Molto probabilmente, fu anche per via di quel conflittuale primo approccio alla questione che Draco sviluppò un’avversione abbastanza palese alla faccenda della casa nuova. Detestò il perdere ore tra gli annunci immobiliari di Potter, il suo informarsi presso la banca e la tediosa collaborazione di Arthur Weasley; tutto ciò, sebbene capisse alla perfezione l’orrore che era il sentirsi soffocati dai ricordi imprigionati tra le mura domestiche.
        Il punto era che per lui Grimmauld Place era diventato un rifugio, un posto sicuro. Ci si era affezionato, senza contare che era la storica dimora della famiglia Black e lui era un Black per metà. L’idea di abbandonare la proprietà alla polvere lo metteva a disagio, e ancor di più lo turbava il non aver voce in capitolo – dopotutto, se Harry desiderava trasferirsi, era suo diritto farlo. Ed era anche la scelta più saggia, se lì stava male; egoisticamente, però, una parte di lui avrebbe voluto poterlo trattenere.
 
 

        «L’ho trovata: la casa giusta».
        Nel momento in cui Potter gli rivolse quelle parole, eccitato come un bambino e con una più che evidente soddisfazione dipinta sul volto, Malfoy proprio non se la sentì di stroncarlo. «Sono― felice per te» biascicò, e il sorriso che l’altro gli rivolse lo ripagò dello sforzo.
        «Vedrai, ti piacerà».
        Ma già dalle fotografie che poté vedere, Draco storse il naso.
        Si trattava d’una di quelle casette modeste, un po’ pacchiane, con un semplice giardino ed una microscopica veranda ad introdurre l’ingresso. Insomma, nulla di sensazionale all’esterno. E nemmeno all’interno, scoprì, perché le stanze erano poche e piccole, e qua e là spuntavano sospetti marchingegni babbani di cui non era affatto certo di conoscere (o di voler conoscere, per quel che poteva valere) l’impiego.
        Però― c’era Harry. Harry che andava fierissimo di quelle quattro mura, che faceva il possibile per renderle accoglienti. Harry che riutilizzava alcuni dei migliori mobili che Grimmauld Place poteva offrire per convincerlo che, nonostante le impressioni iniziali, quel posto sarebbe potuto diventare bello. Harry che prima ancora di trasferirsi definitivamente lo baciava sul letto nuovo, sul sofà ancora avvolto nella plastica e contro le pareti. Harry che, durante il trasloco, con impacciata tranquillità, proponeva: «Se ti va― quando capita, potresti lasciare qui un po’ delle tue cose. Sai, per aiutarmi a riempire i cassetti».
        Quella volta, il suo cuore incespicò per un attimo, lasciandolo insieme terrorizzato e compiaciuto. Inutile dire che bastò un battito di ciglia perché cominciasse, con un pizzico di perdonabile ritardo e un sogghigno insinuante sulle labbra, a cogliere anche lui le spaventosamente intriganti potenzialità dell’ambiente.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Vado fierissima della semplicità del titolo di questo capitolo. E: feels gratuiti per tutti, perché sì (?). …Comunque, mi auguro che l’atteggiamento di Draco nella Londra babbana sia abbastanza contestualizzato e, ovviamente, che il ritmo dello sviluppo del rapporto tra lui e Harry sia perlomeno buono, soprattutto per quel che riguarda le dosi di romanticismo. Non vorrei aver corso troppo.

È davvero un’enorme soddisfazione essere riuscita a portare questi due pasticcini sin qui, a partire da quel silenzio che li divideva nei primi capitoli. Vi ringrazio moltissimo per aver seguito le loro giravolte, e per aver lasciato che ve le raccontassi. c': Ci risentiamo presto per i saluti finali, con un breve epilogo. Baci,
T. ♪
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
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Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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