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Autore: Himenoshirotsuki    06/05/2016    3 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - Yule

 
 
C’erano miliardi di stelle quella notte, tutte così vicine da darle l’impressione che bastasse allungare la mano per afferrarne una. Frejie le osservava seduta su un tronco che fungeva da panca, con le gambe vicino al fuoco, i capelli che le ricadevano sul viso e le palpebre socchiuse. Angelika, come quasi tutti, si stava servendo di una razione abbondante di cinghiale, parlottando con Manto, mentre faceva la fila. Anche lei avrebbe dovuto mettere qualcosa sotto i denti, ma aveva in bocca il sapore acido della bile e l'idea di buttare giù anche solo un boccone le faceva venire il voltastomaco. Si strinse nel mantello e si concentrò nuovamente, nella speranza di percepire la vibrazione familiare del cristallo di Alan, ma ancora una volta udì soltanto lo scoppiettare delle fiamme sui ceppi di abete e il chiacchiericcio delle donne. Si passò una mano sul viso e si impose di rilassare le spalle. Si disse che non poteva fare granché, che sarebbe bastato aspettare che fosse Alan stesso a contattarla, ma il sogno di Angelika non le dava pace. Più tentava di distrarsi, più la sua mente tornava lì, alla visione dello Slayer sconosciuto, alla facilità con cui si era liberato dell’Eferia. Angelika le aveva riferito di averlo sentito ridere la seconda volta che le era apparso in sogno, quando aveva puntato il fucile addosso ad Alan. Quasi le sembrava di avere davanti agli occhi la scena.
Una cacciatrice druida le si accostò e le porse una coscia di cinghiale, chiedendole in una lingua comune stentata se non avesse fame. La maga rifiutò cortesemente e la giovane, dopo una breve esitazione, si allontanò, tornando a poggiare il piatto ai piedi della Wilm’nìs, che sedeva assieme all’Hilm’nèr vicino al secondo focolare, quello dove si stava cucinando il cervo. La donna non aveva smesso di spiarla da quando erano usciti dalla capanna. Frejie non avrebbe saputo se la stesse tenendo d’occhio per accertarsi che non facesse niente di male o perché era a conoscenza del suo turbamento interiore. Ad essere proprio sincera, non gliene importava poi molto.
Quella notte si festeggiava Yule e nella periferia del villaggio, seguendo un’immaginaria spirale, erano stati allestiti vari falò pieni di legna secca, pigne e foglie aromatiche, mentre nella piazzola centrale tre fuochi erano già stati accesi. Se non avesse avuto il cuore così pesante, forse si sarebbe addirittura potuta godere quello spettacolo.
Si alzò e raggiunse il tavolo dove c’erano le anfore piene di cent’erbe e idromele. L’uomo che la servì, un elfo dalla carnagione pallida e i corti capelli rossi che lasciavano scoperte le orecchie a punta, non le domandò nemmeno quale né quanto ne volesse. Prese un tozzo bicchiere di terracotta e lo riempì fino all’orlo. Frejie ringraziò con un forse troppo breve e frettoloso gesto del capo e poi si appoggiò ai rami intrecciati di una capanna, osservando i druidi danzare attorno al fuoco, incuranti del freddo, con le fiamme che serpeggiavano sui loro corpi flessuosi in sinuose ombre nere, il fumo che lambiva le loro figure come un mantello di tulle e lino cinerei. Com’era usanza, tutti portavano una corona di vischio sul capo. Gliene avevano offerta una, ma, a differenza di Angelika, non l’aveva accettata. Era una festa che non significava nulla per lei, riteneva fosse più rispettoso ammetterlo apertamente piuttosto che fingere di avere fede.
Un soffio di vento freddo le gonfiò il mantello, provocandole un brivido freddo che la riscosse dai suoi pensieri. Bevve un altro goccio di cent’erbe e, non percependo più lo sguardo della Wilm’nìs addosso, si azzardò a cercarla con gli occhi. Era seduta su una semplice coperta di lana pesante, con i piedi scalzi e il seno coperto solo dalle collane. Con le palpebre appena abbassate si stava godendo le carezze dell’Hilm’nèr, che le sfiorava la pelle con i polpastrelli delle dita, mentre le mani scorrevano sulla pelle nuda delle cosce, dei fianchi e delle braccia, le iridi nere incandescenti e piene di desiderio incatenate a quelle verdi di lei. Nelle comunità dei druidi, solo loro e altri pochi potevano avere il privilegio di mettere al mondo dei figli. La tradizione voleva che la Madre mettesse al mondo almeno un bambino ogni due anni dal momento in cui gli spiriti la sceglievano per diventare Wilm’nìs, età che si aggirava attorno ai tredici, quattordici anni. Era un rito che Frejie aveva sempre considerato barbaro, alla stregua dei matrimoni combinati, eppure, a vederli ora, non avrebbe mai detto che i due fossero stati costretti. Lo intuiva dalle occhiate che si scambiavano, dai loro gesti, dai baci delicati che si donavano avvicenda: non c’era nessun obbligo a tenerli legati, era una loro scelta.
- Cosa guardi, asing? -
Riconobbe immediatamente la voce di Kiol, ma decise di non voltarsi, limitandosi ad abbassare lo sguardo sul bicchiere e a buttare giù in un colpo solo l’ultimo sorso di cent’erbe. Non lo aveva nemmeno sentito avvicinarsi.
- Mi limito ad osservare. -
- Se stai osservando, significa che c’è qualcosa che attira il tuo interesse. -
Il Padre e la Madre si alzarono in piedi e due ragazze vestite con due tuniche di cotone pesante accorsero per consegnar loro due torce. Fu allora che un lungo corteo, guidato da un elfo e una nana dalle trecce bionde, fece il suo ingresso nel villaggio. Gli uomini e le donne che lo componevano avanzavano a testa alta, nella destra tenevano una fiaccola, mentre l’altra era distesa lungo il fianco, così vicina a quella del compagno, quasi da toccarla. L’Hilm’nèr e la Wilm’nìs accolsero i due giovani con un lieve inchino, poi i capi del corteo alzarono le fiaccole e cominciarono a recitare una preghiera, dapprima in un mormorio sommesso, poi in un crescendo che divenne un canto, a cui tutti si unirono in un coro armonioso e tonante allo stesso tempo. Il vento si alzò, sferzò le fiamme, ma al posto di spegnerle le ingrossò, innalzando il loro chiarore verso il cielo, quasi a voler rivaleggiare con le stelle.
Frejie osservava rapita lo spettacolo, gli occhi fissi su quelle figure che camminavano per il villaggio accendendo i piccoli focolari vicino alle capanne, che subito inghiottivano le ombre, emanando un chiarore dorato, una luce che inondava ogni cosa e si espandeva sempre più.
Frejie indietreggiò e, senza rendersene conto, finì contro il petto di Kiol. Fece per ritrarsi, ma le mani dell'altro la bloccarono per le spalle, forti, salde.
- Lasciami, muda. -
- Perché dovrei? - sbuffò, le spostò delicatamente una ciocca dal collo e la fece voltare.
Il giovane cacciatore indossava gli stessi vestiti di quel pomeriggio, ma le pitture di guerra erano sparite, lasciando solo la runa di Ur dipinta sulla guancia destra. Le iridi verdi erano appena celate dietro le ciglia lunghe e le trecce rosse gli ricadevano disordinatamente sul petto. Odorava di muschio, di menta, di fumo e di desiderio. Fu soprattutto l’ultimo profumo che Frejie percepì distintamente.
- Stai scambiando Yule per Beltane. Io sono una straniera, i giovani cervi come te dovrebbero cercarsi una compagna tra la comunità, non di certo una maga che ripartirà tra poche ore. -
- Sei tu che stai confondendo il cielo con il mare. Io posso avere chi voglio, non ho nessun obbligo nei confronti di nessuna donna, non finché lo Wyrd non mi avrà scelto come prossimo Hilm’nèr e, anche in quel caso, il mio dovere sarà disgiunto dal piacere. - le sussurrò in un orecchio, poi scese con le mani lungo le spalle, accarezzandole i fianchi.
Frejie puntò le proprie contro il suo petto e inaspettatamente, forse perché si era accorto della sua esitazione, Kiol la lasciò all’istante. Sorpresa da quella reazione e irritata dal sorrisetto che gli arricciava gli angoli della bocca, la maga si scostò e distolse lo sguardo.
Rimasero un istante in silenzio, entrambi fermi a contemplare il corteo che si stava disperdendo per unirsi alle danze attorno al focolare. Il Padre e la Madre ballavano vicini al fuoco, muovendo le mani per invitarlo a danzare allo stesso ritmo, mentre esso lambiva le loro dita senza bruciarle.
Angelika e Manto dormivano già, l'uno accanto all'altra, a ridosso di un tronco, avvolti in una coperta che qualcuno si era premurato di metter loro addosso.
- Ti ha mandato la Wilm’nìs? - domandò con finta disinvoltura.
- Sono venuto di mia spontanea volontà. Ho visto una giovane donna tutta sola e ho pensato di venirle a fare compagnia. -
- Chi ti dice che volessi la tua compagnia? -
- Diciamo che ho un sesto senso per certe cose. - ghignò.
- Allora è un pessimo sesto senso, perché io non ho mai desiderato stare con te. -
- Sei sempre così diretta con gli uomini, asing? -
- Solo con quelli che mi sorprendono alle spalle e continuano a chiamarmi “straniera”. -
Lui sorrise e a Frejie parve di vedere un baluginio strano in fondo ai suoi occhi.
- Chiedo perdono, ma dopo tutti i tentativi di intrusione che abbiamo subito non riesco più a fidarmi di nessuno, nemmeno dell’amica di una mia compagna. - sospirò con aria cupa e le accarezzò le ciocche sparse sulle spalle con espressione seria.
Frejie non si sottrasse al contatto. Il suo corpo, così dannatamente vicino al suo, la scaldò attraverso il tessuto della tunica aderente e percepì la tensione azzerarsi. Senza accorgersene si rilassò e abbassò la guardia, forse per la prima volta da quando era giunta al villaggio.
- Nemmeno tu sei originario di queste parti. - considerò.
Kiol inclinò la testa e schioccò la lingua, ma in quell’atteggiamento non c’era irritazione, solo semplice sorpresa.
- Come hai fatto ad accorgertene? -
- Hai un lieve accento fanishtico e la pelle fin troppo abbronzata per essere nato a New England. Quindi non hai il diritto di chiamarmi straniera. - gli si accostò lentamente, spinta da un improvviso desiderio di calore, e lasciò che lui l'abbracciasse con un movimento lento e cauto.
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma le parole le rimasero impigliate in gola. Alzò la testa e incrociò il suo sguardo, avvinta da quelle iridi verdi, dal bagliore sanguigno che esse emanavano, come se all'interno bruciasse un fuoco più vivo di quello che abbrustoliva la legna dei falò. C’era qualcosa di strano in quel ragazzo, ma più cercava di fuggire, più il suo corpo opponeva resistenza.
- È Yule, Frejie. - Kiol le alzò il viso, sussurrandole quelle parole a un soffio dalle labbra, - Si dice che il potere degli spiriti sia più potente, che persino chi non crede può incontrare e conoscere il suo Wyrd. -
Frejie ridacchiò: - Credi troppo, Kiol. -
- Forse, ma ci sono delle cose che sono indipendenti dalla nostra volontà e trascendono la nostra capacità di comprensione. –
Le stesse parole della Wilm’nìs, lo stesso sguardo, la stessa fermezza.
Con un sorriso enigmatico, la prese per mano, risalì il braccio fino alla spilla del mantello e la slacciò, facendolo cadere a terra in un leggero fruscio, - Quando incontriamo il nostro Wyrd non possiamo più sfuggirgli, Velia. -
Sentendosi chiamare così, col suo vero nome, Frejie sussultò e capì che quello con cui stava parlando non era Kiol, ma qualcosa di antico e potente. Lui le sorrise e le schiuse le labbra delicatamente con il pollice.
- Non posso… - mormorò con un filo di voce.
Il cacciatore le sciolse i capelli e disegnò il contornò delle orecchie, del collo, della collana d’ossidiana, scatenandole dei piacevoli brividi su tutta la pelle.
- Sono il tuo Wyrd, Velia, e stasera è Yule. - ripeté sorridendo, come se avesse a che fare con una bambina testarda.
Non c’era cattiveria nelle sue parole, né biasimo o sussiego nei suoi occhi, ma solo desiderio. Un desiderio che la stava pervadendo pian piano dai punti che lui sfiorava, per poi esploderle tra le cosce.
Camminarono fino alla capanna della Wilm’nìs e dell’Hilm’nèr e il cacciatore la trascinò all’interno senza alcun ripensamento. Niente faceva pensare che quello che stava per accadere fosse stato orchestrato dalla Madre, a dispetto dei timori di Frejie. L’incenso aveva smesso di bruciare da molto, ma il suo profumo di calamo aromatico permeava ancora l’aria e, assieme al fumo intessuto delle scintille dei bracieri, sembrava fagocitare ogni suono proveniente dall’esterno.
Frejie spostò lo sguardo dal letto di pellicce a Kiol. Non assomigliava in nulla ad Alan, eppure non riusciva ad allontanarsi né a sentirsi in colpa. Si lasciò cadere supina sul giaciglio e lasciò che Kiol le gattonasse sopra, che la baciasse, che le accarezzasse le cosce salendo sempre più in alto. Si spogliarono lentamente, slacciando ogni singola fibbia con delicatezza e senza mai interrompere il contatto visivo. Quando furono entrambi nudi, lui appoggiò la bocca sul suo seno e leccò un capezzolo turgido finché non la sentì gemere e respirare affannosamente. Aveva le mani grandi, callose, ruvide e screpolate, ma il suo tocco era gentile, attento.
- Non pensare, Velia. -
- Non ho più quel nome… -
- Il tuo nome sarà per sempre questo. -
Affondò due dita in lei e le morse il collo come per rimproverarla. Frejie ansimò, conficcò le unghie nella sua schiena e soffocò un ansito sulla sua spalla, mentre lui le lasciava una scia di baci lungo il petto, l’addome, il ventre.
Da fuori si levò un canto armonioso, pronunciato in una lingua sconosciuta e familiare al medesimo tempo, che si perse nel fumo purpureo della capanna assieme ai gemiti della maga. Gemiti che si trasformarono in accorate preghiere quando Kiol sfiorò con la lingua ruvida le sue carni bagnate.
 
Regina del Sole, Regina della Luna
Regina dei corni, Regina dei fuochi
Portaci il Figlio della Promessa.
È la Grande Madre che Lo crea
È il Signore della Vita che è nato di nuovo!

L'oscurità e la tristezza vengono messe da parte
quando il Sole si leva di nuovo!

 
Seguirono altri baci, altre carezze, altri sussurri e morsi impazienti. Frejie gli cinse il bacino con le gambe e avvicinò i loro corpi fino a farli scontrare. Penetrò in lei con studiata lentezza, quasi volesse farle sentire ogni singolo centimetro di pelle, e si prese le sue labbra in un respiro strozzato. Quando cominciò a muoversi, la maga riversò la testa all’indietro, gli occhi socchiusi e il viso già distorto nell’estasi del piacere. Lo implorò di non fermarsi.

Sole dorato, delle colline e dei campi,
illumina la Terra, illumina i cieli,
illumina le acque, accendi i fuochi!

Questo è il compleanno del Sole,
io che son morto, oggi son di nuovo vivo.
Il Sole bambino, il Re nato in inverno!

 
Come faceva a capire le parole di quel canto? Aveva una conoscenza approssimativa della lingua dei druidi, eppure capiva tutto. Avrebbe voluto delle risposte, ma la ragione l'abbandonò completamente all'ennesima spinta. Gemette di nuovo e spostò la testa, consentendo a Kiol di morderla ancora, di tuffarsi nei suoi capelli scompigliati e marchiarla con un'altra doppia mezzaluna frastagliata poco sotto la mandibola, dove chiunque avrebbe potuto vederla. Il giovane percorse con i polpastrelli ogni curva del suo corpo e Frejie si ritrovò a guardarlo come aveva guardato Alan in quei frangenti, quando ancora erano una cosa sola e lei si era illusa di poter sostituire Eluaise. Affogò in quegli occhi di un verde troppo chiaro per essere quelle dello Slayer, aspettando che il dolore le azzannasse il cuore, ma ricevette solo altro piacere, che, come la marea, spazzò via tutto, passato, presente, futuro. C'erano solo loro due in quella capanna ammantata dal profumo di calamo aromatico.
 
Io sono il richiamo al di là dei confini della terra,
Io posso cambiare forma come un dio,
Perché io sono l’Agrifoglio e la Quercia,
Perché io sono l’oblio, il Caos e la rinascita,
Perché io sono il Vecchio e il Bambino
che nasce dal ventre della morte.
 
Frejie sussultò sotto i colpi furiosi dell'altro, dettati dalla brama di un predatore che ha tra le zanne la sua vittima. I loro bacini combaciavano perfettamente, in un modo semplice e assurdamente preciso. Lo sentì tremare e poi liberarsi dentro di lei in un ringhio sommesso. I loro cuori battevano all’unisono, quasi sfiorandosi attraverso la sottile pelle del petto. Rimasero a lungo in silenzio, ascoltando i rispettivi respiri, entrambi con le palpebre abbassate e la mente altrove.
Si addormentarono cullati dai rumori lontani della festa e dal calore dei loro corpi avvinghiati.
 
Stava volando. Sotto di lei l’oceano sfrecciava con le onde che mugghiavano sotto le sferzate del vento. Un movimento alla sua destra attirò la sua attenzione e si stupì quando vide un corvo bianco dalle ali immense.
- Chi sei? -
Il corvo gracchiò e sbatté più forte le ali per prendere quota.
- Non ti serve sapere chi io sia, non saresti in grado di capirlo. - rispose nella sua mente, con una voce che, in qualche modo, le ricordava quella dell’Hilm’nèr.
Frejie lo affiancò e scosse la testa bagnata, lasciando che il vento impetuoso le asciugasse le penne.
- Cosa vuoi da me? -
- Abbassa gli occhi e capirai. -
Frejie obbedì e si accorse che sotto di lei non c’era più il mare, ma una lucida scacchiera con i quadretti neri e bianchi scheggiati, usurati dal tempo. Tra di essi si innalzavano le montagne, scorrevano fiumi e camminavano uomini e donne che da quell’altezza apparivano come formiche dai colori sgargianti.
Il ruggito di un tuono esplose sopra di loro nel momento stesso in cui un fulmine squarciò il cielo coperto da nubi temporalesche. Una lunga fila di sagome indistinte e dai volti fumosi li circondò e cominciarono a vorticare in cerchio. La fissavano con occhi vuoti, sussurrando parole che non capiva in un coro incomprensibile e inquietante. Una di loro la stava guardando con un ghigno sardonico e Frejie dovette soffocare un grido quando riconobbe sua madre.
- Velia… -
Il corvo gracchiò e cominciò a volare a spirale attorno a lei, squarciando quel muro di spiriti con il suo poderoso battito d’ali. All’inizio Frejie perse una corrente e scese di quota, ma il vento creato dai rapidissimi movimenti circolari del corvo la sostenne in aria quel che bastava per trascinarla proprio nel mezzo, dove poteva volare in tutta tranquillità. Era come essere nell’occhio del ciclone, con i visi dei morti che sfumavano appena provavano a penetrare la barriera che si era creata.
- Guarda il mondo, imprimitelo nella memoria affinché tu sappia a chi consegnare i suoi fili. -
La maga tornò a guardare in basso e sentì le viscere contrarsi. Vide una lunga spiaggia lambita dal mare, arrossato dal sangue dei corpi trasportati dalle onde. Una donna si strappava i capelli e si straziava il volto, urlando verso il cielo, lo sguardo fisso sul cadavere di un giovane uomo in divisa militare. All’orizzonte, sulla cima dell’albero maestro delle navi e delle aeronavi che punteggiavano le acque e il cielo, sventolava la bandiera di New England.
Vide le alte torri del castello dell’Ancyara ridotte a tozzi moncherini bruciati e le sue imponenti mura divorate delle fiamme. Sulla balconata che aggettava sulla città c’era un uomo senza più la corona che chiedeva pietà a dei soldati con lo stemma delle due rose sul pettorale delle armature, l'espressione disperata e il mantello regale macchiato di sangue non suo. Lo trascinarono in piazza e lo fecero inginocchiare davanti al ceppo, il boia vicino a lui che ghignava con l’ascia già sollevata.
Vide Letodus, con le sue infinite spiagge e i suoi antichi castelli, avvolta da un miasma nero e denso, irrespirabile, simile ai fumi delle prime fabbriche. I suoi abitanti si nascondevano nei vicoli e si fondevano con le lunghe ombre delle cattedrali, mentre degli uomini con una maschera senza volto sciamavano ovunque, le spade seghettate che catturavano la luce della luna e delle stelle.
Vide Narmalyana, dove un uomo vecchio era seduto su uno scranno di pietra e calpestava i fedeli prostrati ai suoi piedi, avanzando con le mani protese verso un oroboro dorato che si mordeva la coda. Non appena lo sfiorò, esso fremette, rizzò le squame e si contorse, finché dalla sua testa non uscirono un ragazzo con un buco sanguinante nel petto e un uomo dagli occhi bianchi e incavati. Entrambi percepirono la presenza di Frejie e guardarono in alto, verso di lei, scrutandola con i loro occhi saggi.
Vide Alan, il volto scavato dalla stanchezza, camminare avanti e indietro su un dirigibile, mentre due ragazze correvano verso di lui senza però riuscire ad afferrarlo. Attorno al cacciatore si affollavano le ombre sinistre dei morti. Una in particolare attirò la sua attenzione: una donna dal viso coperto da un velo sgualcito e un bellissimo abito di seta nera, con tulle e merletti ad ornarne il bordo sdrucito. Gli accarezzava il braccio con movimenti lenti, sensuali e, ogni volta che lo toccava, la pelle di Alan si faceva sempre più livida. Frejie tentò di urlargli di allontanarsi, ma all'improvviso un’esplosione assordante coprì ogni suono e il dirigibile cominciò a precipitare.
- No! Alan! - provò ad uscire dal vortice, ma non aveva abbastanza forza per oltrepassare la barriera di vento.
- Non remare contro le correnti del Sogno, Velia. -
La voce del corvo bianco placò il battito impazzito del suo cuore. Poi questi virò e così fece lei, seguendo la corrente ascensionale che la portava verso sud, verso i deserti del Primo Continente e la sabbia che turbinava sulle dune dorate, stridendo contro le alte mura di pietra nera di Irdumiswed. Un rombo riecheggiò nell’aria afosa e un’aeronave sfrecciò sopra l’antica città, piegando le palme e alzando un vento di polvere al suo passaggio. Gli uomini dell’equipaggio riposavano sotto il sole cocente, mentre una donna dagli occhi neri come l’inchiostro e il portamento fiero di una leonessa stava al timone. Alle sue spalle, seduto su un barile, c’era un ragazzo. La sua testa ciondolava sul torace e delle raffiche gli scompigliavano le ciocche rosse e bianche. Tra le mani stringeva una spada fregiata di rune macchiata di sangue. Frejie li vide andare incontro a una tempesta, venti impetuosi e lampi accecanti squarciavano il cielo nero, ma nessuno a parte quel ragazzo sembrava vedere la minaccia che si avvicinava.
Spinta da una volontà non sua, Frejie puntò gli occhi al di là del Mar Shun, verso Asselle, la città d’oro, e oltre, fino a Rumiyya al-hin, la Città delle Città, dove i draghi volavano inquieti sopra i giardini in fiore dell’imperatrice. Vide la donna più potente, l’ultima dell’antica stirpe, camminare nelle sue stanze, con la Tar- raguni che l’osservava seduta sul trono di giada, mentre nelle ombre lunghe delle colonne si nascondevano figure armate con pugnali e spade di carta ingiallita. Un attimo dopo il marmo del pavimento si tinse di rosso e il sangue allagò tutta la sontuosa corte, rovesciandosi sui muri del palazzo come una liquida rete scarlatta.
Infine spostò nuovamente lo sguardo su New England, sulla scacchiera distrutta, e vide Eluaise precipitare verso il suolo assieme ad Alan. Nessuno dei due urlava o si dibatteva, eppure Frejie sapeva che entrambi erano vivi perché si tenevano stretti nella caduta, mentre l’ombra indistinta di un essere simile a un pipistrello li seguiva in picchiata, le fauci spalancate e gli artigli protesi nel tentativo di afferrarli. Al suolo, in mezzo ai ruderi delle città, una folla di umani dalle fattezze mostruose che sfoggiavano il simbolo di Shamar sul petto e un'orda di mostri si combattevano con inaudita ferocia.
Quando Alan ed Eluaise si schiantarono, Frejie gridò terrorizzata e sentì il sapore salato delle lacrime bagnarle le labbra.
- Ora sai a chi devi consegnare le redini del mondo. - sussurrò il corvo bianco.
- No, non lo so… -
- Sì che lo sai, lo hai visto. -
- Alan? Devo consegnare le redini del mondo ad Alan? -
Il corvo si fermò proprio sopra la sua testa, per poi planare di fianco a lei.
- Ormai il sole è sorto, la notte degli spiriti è passata. -
- No, aspetta, ho ancora delle domande da farti! -
- Le risposte alle tue domande sono in ciò che hai visto. Addio, Velia. - si congedò e sbatté forte le ali svanendo nella nebbia.
Il sole fece capolino da oltre le nubi, le squarciò rischiarando l’oscurità con la sua luce bianca e Frejie si sentì sempre più pesante, finché non fu più in grado di volare. Poi cadde nel vuoto.
 
Quando si svegliò era mattina inoltrata. Kiol dormiva ancora accanto a lei, con il viso appoggiato sulla sua spalla. Cercando di non svegliarlo, la maga scivolò fuori dall’abbraccio caldo delle coperte – qualcuno doveva essere entrato nella capanna durante la notte, perché prima non c’erano – e cominciò a rivestirsi. Fuori il villaggio era ancora silenzioso, segno che i festeggiamenti erano andati avanti anche dopo che lei…
Si morse le labbra, strinse la cintura attorno alla vita e si affrettò ad uscire dalla capanna. Non voleva parlare con nessuno, tanto meno incontrare la Wilm’nìs, anche se forse era l’unica che avrebbe potuto spiegarle cosa era davvero accaduto.
Come se fosse stata evocata, la Madre le si fece incontro, uscendo da una delle capanne alla sua sinistra. Stavolta indossava una lunga tunica bianca e un mantello blu. Avanzò con passo deciso, porgendole il suo mantello e la spilla dorata con un sorriso. Avrebbe voluto girare i tacchi e andarsene, ma la spilla era importante, così Frejie lo prese e lo indossò, tenendo ostinatamente lo sguardo rivolto da un’altra parte.
- Sei agitata. -
- Ho solo avuto una notte movimentata. -
Il sorriso sulle labbra della donna si addolcì: - Il Corvo bianco è venuto a farti visita, vero? -
La maga si irrigidì: - Quel sogno non aveva senso. -
- Non era un sogno, lo sai bene. Era troppo realistico. -
- Molte volte ho sognato cose che ho pensato fossero vere, ma poi si sono rivelate solo paure e proiezioni della mia coscienza. Io non sono un Oracolo come Angelika o come te, non posso vedere, non posso navigare nelle acque del Sogno. -
- A Yule le regole del mondo si sovvertono. Se gli Spiriti hanno scelto di comunicare con te è perché sanno che sei la persona più adatta a conoscere il loro messaggio. Attraverso l’unione di corpo e anima, tu e il giovane cervo siete stati resi partecipi dello Wyrd del mondo. Non rifiutare la verità solo per scetticismo. -
- Perché Kiol avrebbe dovuto vedere con me? -
- Perché è il principio stesso della visione, che arriva attraverso l’estasi del piacere carnale. Certi fardelli sono più facili da portare se si è in due a conoscere. -
- Non mi importa. - la voce le uscì più dura di quello che pensava, - Io ho solo visto delle cose che non comprendo, cose che potrebbero accadere o che potrebbero già essere accadute. Devo consegnare le redini del mondo a qualcuno, ma non so a chi, perché tutte le persone che ho visto morivano. No, Wilm’nìs, io non conosco la verità e quel sogno mi ha confusa ancora di più. -
- Ne sei sicura? Oppure è il tuo orgoglio da maga a impedirti di comprendere i segni? -
Frejie girò la testa e serrò le labbra.
- Non fare così. Sei venuta qui per avere delle risposte e ti è stata offerta la possibilità di cambiare lo svolgersi degli eventi. Ma devi mettere da parte l’orgoglio e superare i limiti che ti sei imposta. Non ha senso appellarsi ai nostri principi quando ci trema la terra sotto i piedi, men che meno ora che c’è in gioco qualcosa più grande di te. -
- Hai detto che alcune cose non si possono cambiare. -
- Non ho mai detto che non ci si possa provare. -
- Non sono una donna che si butta in imprese impossibili. -
- È impossibile solo ciò che tu ritieni tale. -
- Mi stai forse dicendo che potrei impedire la morte di Alan? - domandò, lottando contro il tremito della voce, - Mi stai dicendo che posso salvarli tutti? Questo significherebbe che il destino non esiste e il tuo Wyrd diventa una parola priva di senso. -
La Wilm’nìs le strinse le mani e le baciò la fronte senza rispondere, accarezzandole amorevolmente i capelli ancora scompigliati.
In quel momento, Frejie udì una porta aprirsi alle sue spalle. Quando si girò, si trovò faccia a faccia con Angelika. Indossava una sottoveste in taffetà sotto la tunica di cotone a maniche a sbuffo, coi bordi in ciniglia. Sulle spalle aveva già il mantello da viaggio, chiuso all’altezza del cuore da una spilla realizzata con rami e fibre grezze intrecciate. Aveva un’espressione serena, anche se Frejie aveva notato da subito un leggero rossore attorno agli occhi.
- Ti senti bene, Angelika? -
La ragazza annuì, tirando su col naso: - Sì, entrata solo una mosca nell’occhio. -
- Doveva essere una mosca molto grande se ti ha fatta piangere così. - sospirò e spostò di nuovo la sua attenzione sulla Wilm’nìs, - Noi partiamo ora. -
- Dirò ad Anevia di sellarvi i cavalli. -
- Grazie dell’ospitalità e di tutto quello che avete fatto. -
- Sì, grazie… grazie davvero. - la salutò Angelika.
La Madre le rivolse un sorriso caloroso e allungò la mano, lasciando entrambe interdette. Angelika serrò subito la presa, il volto disteso in un’espressione piena di riconoscenza. Dopo un minuto di cordialità e balbettii di ringraziamento, fece un passo indietro. Ma quando le dita della Madre e quelle di Frejie si sfiorarono, la Wilm’nìs si incupì e impallidì. In quegli occhi verde giada la maga scorse il gelo la paura.
- Cos’hai visto? -
- Non ho visto. Ho sentito. - rispose con tono amaro, - La Dama Nera. È nascosta nella tua ombra, makuta. -
Frejie deglutì e strinse i pugni. Angelika le si affiancò e l'abbracciò tremando.
- Non voglio che… -
- Non dirlo nemmeno. - l'ammonì, poi sorrise incoraggiante, - Non morirò finché non ti avrò resa la maga più potente di tutta New England. -
La ragazza si asciugò una lacrima e annuì con convinzione. Frejie si voltò e camminò verso Anevia, che fino ad allora era rimasta ferma a poca distanza in attesa che il colloquio terminasse.
Per tutta la traversata della foresta nessuno parlò, nemmeno Angelika, che di solito non riusciva mai a stare zitta. Forse anche lei era turbata. Più volte la maga la sorprese a fissare il vuoto mentre si mordicchiava nervosamente le labbra. Una volta arrivate a casa, le avrebbe chiesto se avesse sognato anche lei quella notte.
Frejie stava annegando nei pensieri, che però le sfuggivano prima di prendere forma, scombussolandola e tormentandola. Non si sentiva in colpa per non aver salutato Kiol, non ne aveva motivo, però non riusciva a non riflettere su quello che aveva visto assieme a lui. Si chiedeva perché gli Spiriti, o qualsiasi entità si fosse impossessata del suo corpo, avessero deciso di rendere il cacciatore partecipe del sogno. La spiegazione della Wilm’nìs le sembrava troppo semplice.
Gli addii furono brevi da entrambe le parti. Frejie non aveva niente da dire ad Anevia e la sua ex allieva non sembrava volerla trattenere. Però l’abbraccio che si scambiarono, seppur quasi frettoloso, valeva più delle parole. Prima che la maga girasse il cavallo, la druida era già sparita, veloce e silenziosa così com’era arrivata.
Sulla via del ritorno dovettero fare una breve deviazione: una frana, probabilmente causata dalle continue piogge che durante quel rigido inverno avevano reso il terreno ancora più instabile e fangoso, aveva bloccato il sentiero diretto verso Westmoth. Frejie ponderò l’idea di usare la magia, ma la scartò. D’altronde, anche se prima e dopo la partenza aveva preso dei provvedimenti per rendersi irrintracciabile, era pur vero che qualsiasi Slayer capace di usare la magia avrebbe captato il suo portale da centinaia di miglia. Con un sospiro irritato si rassegnò a proseguire su una strada dissestata, che passava attraverso i vari paesini della contea. Si tennero lontane dalle strade principali, spostandosi sempre per quelle secondarie o, se era possibile, su quelle di campagna, piccoli sentieri che si perdevano nel verde dei prati. Incontrarono ben poche persone sul loro cammino, per lo più contadini che tornavano dai lavori nei campi e a malapena avevano la forza di alzare la testa.
Giunsero in prossimità di un vecchio ponte sul calar della sera e, quando gli zoccoli risuonarono sulle travi marce e ammuffite, Frejie non riuscì a trattenere un’imprecazione.
- Mai una volta che lo riparino decentemente! Angelika, aumenta il passo. Meno ci mettiamo ad attraversare, prima arriviamo a casa. -
Ma la sua allieva rimase dietro di lei, all’inizio del ponte, con lo sguardo fisso sulle proprie mani.
- Angelika? -
- Maestra, il filo… il filo trema… -
- Per carità, Angelika, ti ho già detto che ne parleremo dopo! Ora andiamo, prima che… -
Le parole furono coperte da uno sparo. Quello che in seguito accadde, fu così veloce che Frejie a malapena riuscì a ricordarlo. Il cavallo che si impennava, l’esplosione della barriera magica sprigionata dalla spilla, Angelika che urlava, il tonfo e la densità vischiosa del sangue che le imbrattava i capelli. Infine una presa salda e l’intenso e penetrante profumo di muschio di un corpo caldo.
  
  
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