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Autore: perpetuum    07/05/2016    1 recensioni
PREMESSA: oltre che ad essere in una clamorosa revisione, ho perso alcune parti della storia, non so se riuscirò mai a terminarla, anche se mi ferisce perché questo racconto è la cosa quanto più vera di me. Desolata e amareggiata, V.
“ Il sole leggero le solletica la fronte, i capelli, le guance. Gli occhiali da sole le coprono gli occhi azzurri, ma è costretta a strizzarli comunque per impedire che la luce la accechi.
Il rumore di foglie secche calpestate la riscuote e inconsciamente si irrigidisce sulla difensiva. Lascia uscire le ultime nuvolette di fumo prima di schiacciare la sigaretta a terra.
«Dovremmo parlarne prima o poi.» le sembra un'eternità dall'ultima volta che ha sentito quella voce, che ha sentito lui. Si alza repentinamente cercando di evitare il suo sguardo. Non dice una parola, non ne ha o forse ne ha talmente tante da non riuscire a tirarne fuori una.
Si allontana silenziosa, lasciando Cristian sui gradini dell'albergo con le mani in tasca e un sospiro sulla bocca. "

~
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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-And I wish I was special

 

Ma io sono fiero

del mio sognare,

di questo mio

eterno incespicare”

 

 

 

 

I giorni scorrono con il loro lento ed inesorabile ritmo incessante, privando chiunque di una certa pausa di tranquillità, mentre Elyna decide di prendersela con la forza e di chiudersi nel suo spazio privato, nel suo giardino segreto, stanca, esausta, sfinita. Come biasimarla? Ultimamente la vita sembra aver deciso di prendersi gioco di lei, di metterla a dura prova testando i suoi limiti: la sfuriata con Kendra e Liam in ospedale le ha lasciato ancora i segni sulle guance, segni che ancora oggi non riesce a cancellare, non riuscendo a seppellire il sentimento di delusione fra le cose da lasciare indietro. D’altronde si parla dei suoi migliori amici, i fratelli che si scelgono, come reagire quando è un volto amico a stringere il coltello dalla parte del manico? Tu, quoque, Brutus, avrebbe detto Cesare, ed Elyna lo ha pensato, lo ha mormorato fra i sogni ogni notte.

A tutto occorre aggiungere – come un ingrediente speciale, la spezia finale, la ciliegina sulla torta – la discussione avuta con Cristian. Fin da subito si è stupita, seduta sulle scale con gli occhi sommersi di lacrime, non riusciva a credere di potersi sentire così annientata, così devastata dagli occhi bui di rabbia di Cristian, incredula nello scoprire che le importasse così tanto. Lei che per anni ha sempre e solo cercato di tenere fuori tutti, di allontanarli il più possibile dai suoi malumori, dagli abissi che porta con sé, per salvaguardarli, proteggerli quasi, prima ancora di proteggere se stessa. Ma non stavolta, non è riuscita a bloccare il passaggio e si è ritrovata a cedere, lasciando aperto uno spiraglio, non lo ha nemmeno percepito accadere, permettendo all’uragano di emozioni che risiede in Cristian Milton, di entrare, sbaragliando i confini, distruggendo i muri.

Eppure qualcuno, dopo anni, sembra non sia disposto a lasciarla perdere, a lasciarle i suoi spazi, voltando con menefreghismo la testa dall’altro lato: Angie, infatti, le ha scritto diverse volte in quei giorni chiedendole spiegazioni, implorandola di permetterle di farle compagnia, di lasciarsi avvicinare, insistendo anche quando Elyna, egoisticamente, rifiutava. Le dispiace, tutto quello che ha sempre desiderato è stato trovare qualcuno che sapesse starle accanto, senza sormontarla, senza sminuirla ogni volta, semplicemente passeggiando fianco a fianco. E non sa spiegarselo, ma nel momento in cui quel qualcuno le capita davanti agli occhi, non riesce a coglierlo, non riesce a tenerlo fra le dita senza che le scivoli via, come fumo di una sigaretta, come acqua di una fontana che non puoi stringere, inconsistente e immateriale.

E non è per orgoglio, o per averla vinta a tutti i costi, che non si è sentita di presentarsi alla partita di basket di Cristian, con semplice spavalderia, come niente fosse. Dopo tutto deve ancora smaltire il magone, la rabbia, il senso di colpa, deve pensare a come approcciarsi di nuovo a lui, ansiosa, titubante, temendo un suo probabile rifiuto. Non sa come avrebbe dovuto comportarsi: ignorare l’accaduto facendo finta di niente oppure tornare con il piede di guerra, disposta a non dargliela vinta? Confusa più che mai, è giunta alla conclusione che avrebbe cercato di evitarlo in tutti i modi possibili, almeno fino a quando non fosse stata costretta ad incontrarlo.

 

Con novembre che volge al termine, l’aria si fa sempre più fredda, la pioggia quel sabato pomeriggio scroscia impetuosa su di lei, avvolta dal suo giacchetto come in un’armatura.

Ha passato il venerdì sera nel caldo del suo letto, a guardare film, bevendo tisane profumate e rilassanti nella speranza di riuscire a non pensare a niente, nella speranza di non lasciarsi sopraffare, per la prima volta nella sua vita, dall’ansia e dal rimorso. Elyna è di fatto una persona che pensa in continuazione, troppo assiduamente, la sua mente è in perpetua lavorazione, e seppur possa non sembrare come un problema, lo diventa nel preciso istante in cui non riesce a porsi un freno, a dire “vediamo come va e basta”. Prima di dire o fare qualcosa, la sua mente scatta subito alle conseguenze, sfociando in una catena di possibili eventi dai più probabili ai meno, che non porta ad altro se non a farla cadere in una reta spessa e fitta di paranoie che le impediscono di riflettere lucidamente e persino di divertirsi un po’. E così si lascia sopraffare dal senso di oppressione, ritrovandosi a stare in silenzio in disparte con il timore di sbagliare, di dire qualcosa fuori luogo, mortificandosi spesso per qualcosa che non aveva fatto.

Questo è successo per anni fino a quando non ha conosciuto Liam: seppur in misura leggera è riuscito a farla sciogliere, infondendole un briciolo di sicurezza, insegnandole che non sempre una mano che accarezza ne nasconde un’altra che smembra, che non sempre si possa ridurre tutto sotto un unico genere, o cattivo, o buono. Le persone sono sfumature, un orda completa di colori, sapori, odori. Per anni Elyna ha guardato Liam con gli occhi trasognanti, come se al mondo solo lui fosse la sua luce e tutti gli altri fossero dei meri riempimenti... E non è forse questo il significato dell’essere innamorati: vedere solo l’altro? Non lo sa, non lo sa più ormai, ha cominciato a chiedersi quanto amore ci fosse in quel rapporto e quanto fosse solo un disperato aiuto, un conosciuto appiglio a cui tenersi, come su una landa di terra nota su cui poter riposare, sentendosi al sicuro, protetta. Ma cosa avrebbe trovato se fosse uscita da quei confini? Cosa avrebbe letto negli occhi di altri corpi, di altri sguardi? Cosa c’è di male se sta iniziando a voler scoprire se c'è altro, solo ora? Ha iniziato a dirsi che non c’è necessità di provare paura, di rimanere ancorata ad un solo cuore, ad una sola mano, col terrore dell’abbandono a stringerle la gola, a sussurrarle di non andarsene, di non lasciare quella terra.

Per un attimo si chiede cosa stia succedendo in lei, cosa stia cambiando: un tempo avrebbe lasciato che tutta la storia di Kendra e Liam le scivolasse addosso come la pioggia che cade sopra di lei, ma non riesce, non ci riesce più, non stavolta. E se fosse rimasta sola? E se non li avesse trovati, al suo ritorno?

Al diavolo, chi se ne importa.

Non posso amarmi anche per gli altri.

Non mi spaventa rimanere sola, no.

 

Trova riparo nell’atrio della biblioteca, appendendo il giacchetto all’attaccapanni e sistemando i capelli lunghi e mezzi bagnati ai lati del volto. Ha preferito rinchiudersi in biblioteca piuttosto che esser trascinata da Kendra in giro per negozi alla ricerca dell’abito da indossare al ballo che proprio no, non le va, non le sembra un argomento di cui parlare adesso. Si illude che posticipando il fatidico momento in cui dovrà sistemarsi, scegliere l’abito, l’acconciatura e le scarpe, tutta quanta la questione “reginetta” non sia reale.

Elyna non è mai stata ad un ballo e non le è mai importato andarci, che tutto quello non fosse che un segnale? Deve esserlo per forza, perché ultimamente niente sembra andare come ha sempre voluto lei, com’è sempre stato nella sua vita monotona, ma tranquilla, assolutamente tranquilla. Le novità la mettono a disagio da sempre, come un prurito sul corpo, piacevole grattandolo, ma pur sempre fastidioso. Timida e chiusa com’è, preferisce conoscere la situazione, le persone, i luoghi, i momenti, ed il ballo della scuola non è per niente un posto che conosce. E se avesse sbagliato, se fosse inciampata, se avesse preso una direzione errata? Ancora una volta si rende conto di quanto sia ridicola sentendosi con la paura della sua stessa ombra, ma al tempo stesso non riesce a biasimarsi: Cristian è stata una novità per lei e ha finito col mandare tutto all’aria. Non sa maneggiare le novità, non sa come districarsi in esse, rovina sempre tutto.

Passeggia assorta fra gli scaffali passando un dito sulle copertine, alla ricerca di qualcosa da leggere, qualsiasi cosa susciti in lei curiosità. Ed è in quel momento che la vede, nella penombra della sala, in un angolo di una poltrona, una figura seduta, il volto scuro a causa della mancanza di luce, ma così chiaro per lei, così trasparente. Eccola la curiosità, la scorge davanti a sé, così senza preavviso che è costretta a fermarsi sui suoi passi e riprendere fiato, il cuore dal battito accelerato le martella nello stomaco in subbuglio. Non si è aspettata di trovarlo lì, non ci ha nemmeno pensato per un attimo eppure non è la prima volta che lo incontra in biblioteca. Ha fatto tanti sforzi per evitarlo per tutta la settimana che alla fine si è imbattuta ugualmente in lui, quasi uno scherzo del destino, quasi qualcosa spingesse sempre verso la sua direzione. Una mera coincidenza – ma lei è sempre stata pronta non crederci – e niente le sembra un caso da quando l’ha conosciuto, tutto appare, invece, perfettamente combaciare, tutto sembra andare al suo posto. Come pezzetti di un puzzle che hai cominciato, ma mai finito, e quasi te ne sei stancato e lo lasci perdere, eppure è in quel momento che lo trovi, quando smetti di cercare, quando smetti di sperarci, ma mai di crederci, peschi il pezzo mancante, la parte complementare... ed unisci i bordi curvi a formare un’unica immagine ora nitida, ora chiara. È questo, Cristian, per lei? La parte che combacia, l’ultimo pezzo del puzzle? Come saperlo, come esserne consapevoli quando lo si vive. Di certo Elyna non se la sente di sbilanciarsi, non ancora, sebbene fosse già abbastanza oltre, sebbene avesse già le punte dei piedi puntellate al confine di un precipizio, attenta a non muovere un singolo muscolo con il rischio di cadere nel baratro.

Si porta le mani sulla bocca quasi per controllare di star ancora respirando, sentendosi la gola secca. Lo osserva silenziosamente, cercando di nascondersi nell’ombra degli scaffali, tentando di mescolarsi con il contorno dei libri e di risultare trasparente per continuare a guardarlo indisturbata, nel silenzio sovrano che pesa su lei, il suo cuore è l’unico suono che le sue orecchie percepiscono.

I suoi occhi azzurri, famelici, quasi quelli di un gatto nel buio della notte a cercare una preda, si posano sulla figura di Cristian, osservando le sue gambe lunghe accavallate, il movimento del piede destro rivestito da converse nere che oscilla lento su e giù, quasi a scandire un tempo che, invece, sembra dilatarsi vicino a lui. Un braccio appoggiato sul bracciolo sinistro, le dita bianche della mano a torcersi le labbra, concentrato, pensieroso, assorto nella lettura. Scorge gli occhi scuri, attenti, scorrere veloci sulle parole, sulle frasi di quel libro che tiene mollemente con una mano come fosse un fiore delicato, toccandolo con reverenziale rispetto.

Elyna non si è resa conto di essergli arrivata abbastanza vicino finché non si accorge di poter leggere chiaramente la scritta sulla copertina nera del libro: Al di là del bene e del male, recano i caratteri oro fini ed eleganti. Lo riconosce subito come l’opera di Nietzsche, illuminandosi nel volto di emozione e stupore: Cristian non ha mai frequentato i corsi di filosofia prima di allora, eppure sembra affascinato dalla materia, sorridendo nella lettura, ignaro di essere spiato da un paio di occhi che sembrano volersi cibare per sempre di quell’immagine. La grande finestra a vetri dietro di lui lascia entrare una fioca luce grigiastra di quel pomeriggio piovoso, la pioggia continua a ticchettare contro il vetro striandolo di lacrime. La figura nera di Cristian si staglia scompostamente in quella poltrona di pelle scura, vecchia e consumata dai tanti corpi che ha sostenuto, mentre si passa una mano fra i capelli, scompigliando il ciuffo e tornando a sorridere di nuovo. A guardarlo così, nei suoi momenti d’intimità, immerso nel suo mondo, si sente di star sbagliando qualcosa, di rubargli un po’ di sé, arrossendo sulle guance. Eppure non riesce a distogliere lo sguardo, curiosa, sentendosi il cuore in gola, ripescando con la memoria delle parole che aveva letto qualche tempo prima: “non la forza, ma la costanza di un alto sentimento fa gli uomini superiori”. E Cristian lo è, superiore? Qual è il suo alto sentimento: la musica, l’amore per essa? Allora, sì, senza dubbio, lo rende superiore agli altri.

«Le stesse passioni hanno nell’uomo e nella donna tempi diversi. Perciò l’uomo e la donna non cessano di fraintendersi.» Cristian chiude il libro con un leggero tonfo, mantenendo la sua posa scomposta, stavolta però alzando lo sguardo su di lei, trapassandola con prepotenza. Elyna deglutisce a fatica sentendosi scombussolata, come se fosse appena scesa da un lungo giro sulle montagne russe. Non è a caso, vero?

«Una sola lezione di filosofia e già appassionato di Nietzsche?» opta per un tono neutro, qualcosa di banale e semplice, ignorando la citazione che sa di frecciatina, allontanando lo sguardo da lui e dal suo sorriso malinconico, più per riuscire a concentrarsi che per evitare i suoi occhi castani, languidi, troppo ammalianti per esserle indifferenti.

«Non fraintendere la scuola con la cultura, ma cherie.» lo sente ridere sommessamente, posa il mento sulla mano, osservandola attentamente quasi stesse studiando un fenomeno della natura, facendola arrossire fino alle punte delle orecchie.

«Non confondere la simpatia con la maleducazione!» gli gira la frase contro, trovando la forza di alzare lo sguardo su di lui, evocando dentro i suoi occhi le frasi velenose che si erano sputati in faccia qualche giorno prima. Chissà perché, perché tutto tende sempre a prendere percorsi tortuosi quando ci sono in ballo i sentimenti. Cristian rimane immobile a fissarla, uno sguardo che ha un che di maledetto negli occhi scuri, le labbra piegate leggermente all’insù in un sorriso a tratti strafottente.

«Se c’è una persona maleducata, quella sei tu.» la punzecchia poi, quasi sfidandola ad esserlo. Elyna apre la bocca per ribattere qualcosa quando le fa segno di sedersi sulla poltrona vicina alla sua facendole perdere ogni accenno di sicurezza mostrata finora e lasciandosi abbandonare a se stessa.

«Oh, vaffanculo.» gli dice d’impulso, passandosi le dita fra i capelli nervosamente.

«Appunto.» le sorride inclinando leggermente la testa all’indietro per guardarla meglio. Elyna scuote la testa, mettendosi le mani nelle tasche, consapevole che se avesse aspettato delle scuse da parte sua non sarebbero mai arrivate. Lui è così, non ama chiedere scusa. Non sa come, ma sa di saperlo, di averlo capito. E così si ritrova a scusarsi lei, che di “perdonami” ne dice sempre un sacco, espliciti o inespressi, volontari o meno. Elyna è quel genere di persona che se le pestano un piede chiede scusa per averlo posato lì.

«Scusa per l’altro giorno, ho esagerato, non intendevo...» Cristian posa il libro sul piccolo tavolino vicino alla poltrona, la fronte corrugata in un’espressione confusa quando si alza sgranchendosi le gambe.

«Non devi scusarti.» dice poi, i suoi occhi la osservano un attimo prima di posarsi fuori dalla finestra, pensieroso. Non scusarti per la malvagità della vita, non è colpa tua. Non sentirti in dovere di scusarti per chi non lo fa. La voce di Liam le risuona nella testa guardando Cristian mettersi un morbido giacchetto di pelle nera, non riuscendo a staccargli gli occhi di dosso rischiando di risultare molesta.

«Allora, ti va di andare a mangiare qualcosa?» le chiede poi senza preavviso, specchiandosi rapidamente sul vetro della finestra, mentre si passa le dita sul ciuffo più per abitudine che per vanità, studiandosi il viso con sguardo critico, di chi cerca di mettersi sempre in discussione per tirar fuori il meglio di sé, anche in questo caso. Elyna lo osserva in silenzio, incrociando le braccia al petto, fingendo di guardare lo scaffale di romanzi gialli dietro di lui. Lo trova assolutamente bellissimo in quell’istante, ammettendolo a se stessa per la prima volta, come quando inizi a voler bene a qualcuno e a poco a poco acquista sempre più bellezza ai tuoi occhi, chiedendoti se sia sempre stata così, o se forse sei solo te che hai cambiato modo di guardare.

«Bell’addormentata nel bosco?!» si riscuote come da un sogno, sospirando quando incrocia i suoi occhi così vicini a lei da potercisi vedere dentro, piccola e stupita.

«La smetti di darmi questi orribili soprannomi?» parla sottovoce avvicinandosi a lui per farsi sentire, un sorriso divertito tradisce il suo finto risentimento. Cristian scuote la testa sorridendo, incamminandosi verso l’uscita della biblioteca con passo lento voltandosi poi verso di lei, controllando che lo stia seguendo.

«Dai, ma cherie ti è piaciuto...» ribatte enfatizzando il nomignolo, imitando alla perfezione la erre francese e facendola arrossire di nuovo, così imbarazzata da rischiare di inciampare sui suoi stessi piedi.

«Non è vero...» si irrigidisce percependolo così vicino a lei, cercando di negare l’innegabile ai suoi occhi, scuotendo la testa con vigore.

«Non mentire, Reyes! Sei anche arrossita, proprio qui...» il tono di Cristian non muta la sua sfumatura ironica, sorridendole sbarazzino, alla fioca luce della biblioteca i suoi occhi sembrano essere l’unica fonte d’illuminazione, piccole braci luccicanti. Si maledice per la sua dannatissima vergogna che le attanaglia la pancia come il cappio di un condannato a morte quando le sfiora la guancia con il dorso delle dita, fredde contro la sua pelle bollente di emozione. Si sente mancare il fiato, arrossendo ancora di più, se possibile. Temendo che lui possa accorgersene si ritrae subito, come se quel contatto la infastidisse, abbassando lo sguardo, cercando di tenersi il più lontano possibile da lui.

Cristian si volta di nuovo, dandole le spalle, con aria incurante, quasi quel gesto non fosse mai avvenuto, lasciando Elyna da sola con il suo rossore, da sola con il suo senso di vuoto, sentendosi cadere in un baratro buio ed oscuro, ma senza riuscire ad averne paura, attratta da quella profondità.

 

Hanno girovagato per le strade affollate di New York per qualche ora, fermandosi di tanto in tanto davanti a qualche vetrina, in una libreria o in un negozio di dischi. Su un primo momento Elyna si è sentita rigida e tesa vicino a Cristian, cercando di tenersi ad una certa distanza da lui in modo da non doversi nemmeno sfiorare per sbaglio, ansiosa ed emozionata, ma col passare dei minuti si è lasciata andare. Come quando ci si immerge in mare la prima volta, l’acqua gelida ti bagna le caviglie facendoti rabbrividire, non abituato a quella temperatura, alla consistenza dell’acqua che ti avvolge la pelle. Ma poi ti rilassi, mano a mano che le onde ti colpiscono, trattenendo il fiato prima di buttarsi di testa e rilasciando un sospiro di sollievo subito dopo, ritornando in superficie, adagiandosi sempre più in quel mare fresco ed accogliente.

Gli parla un po’ di sé, scoprendo di sentirsi meno nervosa se è lei a parlare, a portare avanti una conversazione, aprendo qualche cassettino di sé e mostrandogli il contenuto: un padre che non c’è, una madre spesso via per lavoro, l’affetto per Liam, l’amicizia con Kendra. Senza però scavare a fondo, sempre sulla difensiva, come un gatto randagio non si fida della mano che gli porge una carezza e fugge, rintanandosi fra le scatole di cartone, così lei, Elyna, si tira indietro ogni volta che sente di star per toccare la profondità.

«Non ho molti amici, in realtà, ci sono solo Kendra e Liam.» e adesso anche te, se me lo permetterai. Si stringe nelle spalle, accendendosi una sigaretta, fermandosi ad un semaforo rosso. Cristian la osserva con le braccia incrociate al petto, gli occhi castani si soffermano nei suoi cerulei, sembran volerle dirle qualcosa, ma non sa bene cosa.

«Non è sempre un male stare da soli.» le dice poi con tono neutro, quasi avesse avuto una lunga riflessione e quello fosse il suo verdetto finale.

«Be’, star da soli è un conto, essere soli è un’altro...» la nuvola di fumo che le esce dalla bocca è l’unica cosa che li divide mentre Cristian sospira appoggiandosi con la spalla ad un lampione.

«A volte si è soli anche in mezzo agli altri, no? Occorre scegliere bene la propria compagnia.» Elyna si sente percorrere da una scintilla di elettricità vedendolo così, indifeso forse, senza scudi. I suoi occhi scuri sono lontani, persi, vagano fra i ricordi forse, magari fantasticano cose che gli altri non riescono a cogliere. Eppure lei ci riesce, segue il filo dei suoi pensieri come una linea nera su un foglio bianco, indelebile e vivida. Quanta saggezza racchiude quel ragazzo che le sta accanto? Com’è possibile sentirsi così legata a lui pur conoscendo solo una piccola parte visibile, che concede agli altri di sé? Come un iceberg e forse di più, Cristian possiede una profondità di arcani al suo interno, una profondità di passioni che meritano di esser viste, almeno una volta, una volta nella vita.

«Io ho scelto la musica, so che non mi lascerà, almeno finché non lo farò io. E non credo di volerla abbandonare.» torna a sorriderle, tutto d’un tratto, sembra essersi alleggerito di quella pesantezza di poco prima. Anche Elyna sorride, sentendosi libera di poter parlare di tutto, anche di quei piccoli segreti che ama custodire solo con il suo cuscino la notte, un po’ timidamente, un po’ scioccamente. Il rumore di clacson ed il vociare di alcuni turisti sperduti la disturba dai suoi pensieri, infastidendola più del dovuto.

«Questo casino è una cosa che odio, assolutamente, di New York.» mormora nel preciso istante in cui il semaforo torna verde e la fiumana dei passanti si appresta ad attraversare.

«Guarda il lato positivo: puoi nasconderti meglio nella confusione.» lo sente dire, non stupendosi che come sempre sappia esattamente cosa ribattere.

«Non sembri un tipo che voglia nascondersi, sinceramente.» io voglio nascondermi, sempre, cerco di farlo ogni giorno, ma non da te. Non oggi.

«Quando suono lascio uscire me stesso e voglio che tutti mi guardino, mi ascoltino, recepiscano il mio messaggio. Ma qui fuori – indica il cielo con le dita in un gesto molto teatrale – preferisco non farmi notare, non da tutti.» lo guarda assorta passarsi una mano fra i capelli castani e voluminosi, sembra un artista bohémien con la luce giallastra dei lampioni che gli illuminano il volto ad intermittenza, avvolto in abiti scuri quasi a ricalcare le sue parole di volontaria dissociazione dagli altri. Se fosse nato nel diciannovesimo secolo, di certo sarebbe stato uno di loro: non avrebbe potuto, altrimenti, un artista come lui, vivere di musica costretto in una società che avvilisse la fantasia, oscurasse il genio creativo, riducendo tutta la volontà ad un vano senso di superficialità. Ed ancora oggi, cosa cambia? È davvero necessario scendere a compromessi pur di non rimanere soli? Quanto in basso si può andare prima di rendersi conto che se gli altri non sono pronti ad accoglierti, allora non vale la pena nemmeno provarci? Dobbiamo omologarci a degli archetipi per essere accettati dalla società, dai compagni di scuola? La risposta le giunge spontanea, nella sua testa la pronuncia Cristian, con dolcezza quasi, ed un pizzico di ironia. Occorre rompere gli schemi, uscire dalle regole, inventarcene di nuove, non limitare mai se stessi a ciò che si vede, ciò che si tocca. Non smettere di ispirarti, dipingi il tuo cammino sempre, ogni giorno, mai uguale rispetto a ieri.

«Ed io che ti credevo un narcisista.» scherza Elyna, osservandolo in tralice, quando sorride gli si formano due piccole fossette ai lati della bocca, rendendolo ancora più bello, fresco, vero.

«Lo siamo tutti, un po’, dentro di noi. Ma i narcisi non fanno per me.» passeggiano ora più vicini, le loro spalle si sfiorano ogni tanto, magari per stringerci e passare in mezzo alla folla, schivando le auto in sosta o bambini che corrono dietro le madri, ogni volta che succede Elyna si sente riscuotere da una febbricitante euforia. Si volta totalmente per guardarlo con sguardo interrogativo.

«Belladonna, già meglio.»

«Ma è velenosa...» mormora Elyna spalancando gli occhi con stupore e solo allora Cristian scoppia a ridere, divertito.

«Allora ti conviene stare attenta.» le dà un leggero buffetto sulla guancia, strizzandole un occhio, regalandole uno di quei sorrisi che sembrano spezzarle ogni barriera, che ogni volta le entrano nello stomaco e che potrebbero dividere a metà la terra, devastanti e prepotenti.

 

Sono quasi le otto di sera quando si fermano in un fast food per mettere qualcosa sotto i denti.

Elyna prende un burritos al pollo e mais, Cristian opta per un doppio hamburger e patate fritte. Si siedono ad un tavolo vicino alle vetrate, Elyna ama guardare fuori, perdersi sui colori al neon delle insegne, sulle facce giganti dei cartelloni pubblicitari, sulla grandezza dei grattacieli della grande mela.

Siedono silenziosi, uno davanti all’altra, solo un altro gruppetto di ragazzi sta mangiando ad un tavolo vicino al loro, urlando e chiacchierando a voce alta. La radio in sottofondo canta un leggero motivetto che le coccola le orecchie.

«I wanna take you somewhere so you know I care, but it’s so cold and I don’t know where...» sente Cristian seguire quelle parole, dondolando piano la testa, socchiude gli occhi lasciandosi cullare dalla musica di quella canzone. Elyna lo fissa incapace di continuare a mangiare il suo panino, incantandosi sentendolo cantare con una delicatezza armoniosa. Il mondo sembra fermarsi in quel fast food, mentre lui continua a canticchiare, un sorrisetto obliquo sul viso quando alza lo sguardo e lo punta su di lei, la distanza di pochi centimetri a separarli un paio di tubetti di salse e due birre.

«And I wanna kiss you, make you feel alright, I’m just so tired to share my nights...» i suoi occhi furbi sembrano sfidarla a non arrossire pronunciando quelle parole, e sebbene voglia non dargliela vinta, sente il calore sulle guance tradirla ancora una volta.

Si sente osservata ancora per qualche minuto, abbassando lo sguardo sul suo piatto, sentendosi nuda sotto i suoi occhi. Perché lui è in grado di leggerla, come un libro aperto, è in grado di vedere oltre ciò che mostra, ciò che lascia passare. Sente il disperato bisogno di dire qualcosa, di riempire quel silenzio che grava su di loro, su di lei, e che sembra schiacciarla ogni minuto che passa.

«Perché lo fai?» le sorge spontaneo chiederlo, quasi un dubbio che le fosse rimasto addosso da giorni. Cristian smette di canticchiare, alzando un sopracciglio.

«Perché lo faccio, cosa?»

«Cantare, suonare, entrambe.» Elyna sospira di sollievo, adesso che stanno chiacchierando può tornare a mangiare.

«Credo che non saprei fare altro.» lo sente rispondere deciso, giocando con un barattolo di sale, rotolandolo fra le dita.

«Cosa vorresti fare dopo scuola?» continua a chiedere pur cadendo nello scontato, solo per non rimanere in silenzio, per non tornare a perdersi dentro di lui.

«Il mio sogno è girovagare, contaminare il mondo con la mia musica... e lasciarmi contaminare da esso.» un bagliore di sincerità spiazzante colora i suoi occhi scuri, Elyna prova l’impulso di stringergli la mano posata comodamente suo tavolo, ma si trattiene, a stento prendendo la birra e sorseggiandola per dare un po’ di sollievo alla sua gola secca. La sua volontà così esposta le accarezza il cuore... e tu cosa sogni, sembra chiederle.

«Ehi, ti va di vedere un posto?» chiede improvvisamente lei, mossa da un coraggio ansioso con l’esigenza di uscire a prendere un po’ d’aria e rinfrescarsi la mente in tumulto. Cristian le sorride incuriosito, guardandola intensamente per lunghi secondi, prima di annuire.

E così i due ragazzi si precipitano fuori, di corsa, Elyna trascina per mano Cristian lungo le strade di New York, affollate come sempre, il freddo della notte le sferza in faccia, facendole arrossare il naso, ma lei sorride nel vento felice, allegra, spensierata. Vera, senza maschere, senza limiti.

Dopo qualche isolato si ferma di fronte ad un vecchio stabile, in passato doveva esser stato uno dei più bei teatri di New York, ma oggi ne resta solo lo scheletro impolverato. Elyna entra attraverso la porta divelta con passo sicuro, non lasciando mai la mano di Cristian, improvvisamente a suo agio in quell’ambiente, persino con le sue dita intrecciate a quelle del ragazzo in un gesto complice ed intimo. I cocci e i vetri rotti depositati sul pavimento scricchiolano sotto le sue amate Dr.Martens una volta entrati nel teatro. Si volta verso Cristian posando un dito sulle labbra facendogli segno di non fare troppo rumore, più per un reverenziale saluto che per altro.

Si fermano al centro del salone immerso nella penombra, da una piccola frattura del soffitto affrescato con angeli e nuvole rosa filtra un leggero raggio lunare, avvolgendoli delicatamente come quegli stessi veli che ricoprono le nudità degli angeli. Elyna alza il naso verso l’alto, un sorriso emozionato le incurva le labbra, sbirciando Cristian con la coda dell’occhio, rimasto accanto a lei in un rigoroso silenzio. Lo osserva, meravigliata di vederlo ammutolito per la prima volta, guardarsi intorno, posando i suoi occhi più scuri di quella notte scura su ogni dettaglio, ogni pezzo di arte che rimane vivente in quella quiete abbandonata.

Solo due file di poltrone in velluto giallo rimangono intatte, le altre file che un tempo riempivano la sala erano state divelte e portate via, sopra di loro gli archi dei palchetti appartati appaiono come bocce ricurve all’ingiù, intristiti forse, per esser stati privati della loro luce, della bellezza delle tinte dorate delle colonne e scarlatte delle tende, ora colori sbiaditi dal tempo, dalla muffa, dalla desolazione della solitudine. Eppure quel teatro si mostra pur sempre un’opera d’arte, un mausoleo di eleganza, una sublime dimostrazione che la bellezza vera muta, si rifà, si trasforma, ma non muore mai, non svanisce nell’oblio della dimenticanza.

Elyna posa gli occhi sulla scritta in rilievo che si erge sopra il tendone del palcoscenico, ha perso il conto delle volte in cui ha letto quelle lettere di bronzo, seppur non capendone il significato: “Chi vuol esser lieto sia: di doman non c’è certezza”. Solo dopo aver chiesto una traduzione alla professoressa di latino è riuscita ad assaporarne la vera essenza, ancor più affascinata, ancor più coinvolta da quelle parole che troneggiano sulla sala come un dio silenzioso e vigile sugli spettatori. Avrebbe tanto voluto tatuarsela, un giorno, come un simbolo, un monito per il suo futuro, che ogni giorno le appare sempre più instabile e mutevole, mai certo, ma non per questo indegno di esser vissuto al massimo. Avrebbe dovuto ricordarsi sempre di quella frase e che, malgrado il suo passato, malgrado le ferite interne che suo padre indelebilmente le ha lasciato, tutto sarebbe sempre destinato a variare, secondo leggi sconosciute, dettate dai sentimenti e dalle passioni. Avrebbe dovuto ridere di più, avrebbe dovuto godersi ogni attimo, ogni tocco, ogni sguardo con Cristian, a partire da quel momento...

«Il trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici.» lo sente dire riscossa dalla sua voce bassa e meditabonda. Nemmeno si stupisce nello scoprire che Cristian conosca quella poesia, piuttosto gli sorride un secondo, ma per Elyna quel secondo dura un’eternità, giurando di non aver mai visto nessuno emozionarsi così tanto per qualcosa di così puro e di vitale importanza come l’arte.

«Ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.» le fa strano sentirlo parlare in italiano, trovandolo in qualche modo buffo e terribilmente sexy al tempo stesso, fissandolo incredula, quasi pentendosi di averlo trascinato in un posto del genere, non riuscendo più a sentirsi padrona della situazione. Ma d’altronde, le sue difese sono sempre a zero vicino a lui.

«Cosa?» le esce debolmente dalle labbra, sistemandosi gli occhiali sul naso più per tenere le mani impegnate che per altro, non riuscendo a formulare una frase di senso compiuto.

«È un invito a far festa, godersi ogni momento, lasciando perdere i pensieri tristi. Lorenzo de’ Medici sapeva il fatto suo.» scrolla le spalle allegramente, fissando poi lo sguardo sul palcoscenico, spento ed oscuro, ma che ai suoi occhi deve apparire illuminato da frotte di stelle, le sue stelle, quelle nei suoi occhi.

«Bellissimo...» gli sente dire in un sussurro dopo poco, Elyna sorride fieramente, il petto colmo di gioia.

«È stato uno dei primi posti che ho scoperto quando mi sono trasferita. Mi ero persa, ancora disorientata, e da allora ci vengo spesso, quando voglio staccare la spina. Questo teatro sembra parlarmi a volte, quasi volesse insegnarmi qualcosa. » gli spiega con fermento, infilando le mani in tasca e stringendosi nelle spalle come fa ogni volta che si sente a disagio, pressata dalla situazione, agitata. Lo sente avvicinarsi, quasi non potesse farne a meno di sentirla vicino, ed il suo cuore continua a farle scherzi sotto il sottile strato di pelle, rischiando di lacerarle la carne se solo Cristian le sfiorasse una mano.

Alza i suoi azzurri lucidi in alto, verso il piccolo squarcio nel soffitto che lascia trapelare un debole raggio lunare, che va ad infrangersi sul grande lampadario in cristallo a fontana, creando soffici giochi di luce che si riflettono su tutta la sala, come schegge di vetro finissimo e chiaro. La volta a crociera affrescata con angeli dalle carni rosee e paffute, boccoli dorati e bruni, guance arrossate e sguardi divertiti, sembrano guardare i due ragazzi con curiosità, spiandoli quasi dall’alto del cielo e giocando su chi dei due cadrà prima nella rete dell’altro. Neppure l’oscurità, l’usura che ne ingiallisce i volti e le ali, nemmeno lo sbiadito passar del tempo riesce ad offuscarne lo splendore.

Elyna si muove con lentezza, staccandosi a fatica dal posto vicino a Cristian e muovendosi in direzione del palco, sicura che presto la seguirà anche lui.

Le assi di legno sotto i suoi piedi scricchiolano rimbombando nella sala, salendo da una piccola scaletta in mezzo, il tendone bordeaux, ora impolverato, nasconde più di metà palco alla vista.

«Abito a New York da sempre e non conoscevo l’esistenza di un posto così.» sembra un gatto silenzioso, avvolto dall’oscurità si confonde in essa senza emettere un suono, le passa vicino, camminando in tondo soppesando la grandezza del palco, gettando sguardi ad una platea fantasma.

Elyna si siede per terra, facendo penzolare la gambe nel vuoto, osservando Cristian canticchiare qualcosa sottovoce, con aria assente, sognatrice. D’improvviso sorride, immaginandolo in mezzo a quel palco, un faro ad illuminare un cerchio intorno a lui, il teatro colmo di spettatori assorti e presi da una sua esibizione. La musica di un piano, la sua voce che colora di blu l’aria, un blu elettrico, energetico, e tutti esplodono in un’acclamazione, lo scroscio di un applauso.

Si riscuote sobbalzando impercettibilmente quando Cristian si siede vicino a lei e urtando la sua borsa fa acciottolare le due birre che ha comprato prima in un market. Elyna le tira fuori, aprendole con l’accendino come le ha insegnato Liam, e gliene porge una, regalandogli un sorriso imbarazzato facendo cozzare i due colli in un brindisi tintinnoso ingigantito dall’eco della sala.

Rimangono per un po’ così, in silenzio, assorti nell’arte che si respira in quel luogo, incapaci di dire niente, timorosi di rovinare l’atmosfera, di sporcare con vane parole la sublimità che permane l’aria. Si osservano immobili, gli occhi di Cristian appaiono ancora più grandi così vicini, capaci di poter inghiottire tutto il mondo circostante con un solo sguardo.

«Cantiamo.» è proprio lui il primo a rompere il silenzio fra loro, passandosi un mano fra i capelli, sfidandola con il suo sorrisetto divertito.

«Cosa?» Cristian si alza con uno scatto, porgendole la mano per aiutarla, ignorando gli sguardi confusi di Elyna, correndo a posizionarsi in mezzo al palco, passando il suo sguardo ilare sulla vastità della sala, carico, elettrizzato.

«Andiamo, cantiamo qualcosa.» ripete ancora, saltellando quasi per riscaldarsi mentre Elyna non sa cosa fare, l’aria le si ferma come un grumo in gola, sentendosi improvvisamente in bilico, impreparata.

«No, ti prego, non so cantare...» il ragazzo scuote la testa, deciso a non darle retta, posando la birra vicino ai suoi piedi prima di trascinare Elyna accanto a sé, spalla contro spalla, fianco contro fianco. Allaccia i suoi occhi castani in quelli azzurri di lei, luminosi e brillanti, come stelle nella notte scura. Ecco cos’è tutta quella luce che sente su di sé, sono proprio loro, quei dannati occhi da cui si sente trafiggere, osservandola con dolcezza, una dolcezza che non crede possibile, non destinata a lei.

«When the night has come...» la sua voce riecheggia nel silenzio del teatro, vibrandole dentro più di ogni altra volta, sentendola così dentro, sentendola amplificarsi nelle ossa, nelle fibre, nel corpo. Non è mai stata così vicina a lui, così vicina non fisicamente, ma spiritualmente, potendo vedere la sua anima colorata esplodere attraverso la sua voce e trapassarle il cuore, lo stomaco, le gambe.

Elyna chiude gli occhi incapace di poter reggere quel contatto, non sopportando l’intensità di Cristian che le spezza ogni limite, ogni confine superato.

«And the land is dark...» Cristian continua a cantare con sicurezza, sorridendo, e quando le prende la mano quasi la costringe a guardarlo, facendola arrossire con vigore sulle guance, mettendosi davanti a lei, adesso, per poterla vedere meglio.

«And the moon is the only light we see...» alza la testa indicando la luna che sopra di loro padroneggia nella notte, un sorriso sbieco sulle labbra. Sente le mani di Cristian serrarsi sulle proprie, ancorandola a lui, sotto il suo canto leggero e basso. Elyna si ritrova a sorridere con un soffio, il cuore batte così forte da farle fischiare le orecchie, eppure la voce vibrante e delicata di Cristian la raggiunge come un vento selvaggio, spazzandole l’anima.

«No, I won’t be afraid, I won’t be afraid... just as long as you stand, stand by me...» le si avvicina di più, socchiudendo gli occhi assaporando ogni parola, il viso rilassato mezzo in ombra le appare quello di un fanciullo, bello, bellissimo, sentendo il bisogno pungente di accarezzarlo, di sfiorare gli zigomi alti, le guance leggermente incavate. E lo farebbe se Cristian non le tenesse le mani così strette, quasi tema che possa scappare se solo allentasse la presa.

I suoi occhi castani cercano quelli di Elyna trovandoli subito, leggendoci dentro un desiderio impellente di parlarle, di dedicarle quelle parole, solo per lei. E tutto sembra troppo perfetto, tutto sembra incastrarsi magicamente al proprio posto, tutto sembra scritto perché sia solo loro. Elyna sente le lacrime pungergli gli occhi, emozionata in una maniera sconosciuta, mai provata prima, il cuore che potrebbe aver smesso di battere da quanto veloce tamburella nel petto. Non può credere che sia tutto vero, non può credere che sia reale, che stia accadendo davvero. È solo uno dei miei sogni, una fantasia. Eppure Cristian è proprio davanti a lei ad una distanza minima, irreale, la sua voce è fra di loro, un soffio basso e vibrato che riecheggia nella sala. Il suo corpo è attraversato da brividi, quello che prova è reale, non fa parte di uno dei suoi tanti sogni, riesce a sentirlo, toccarlo, le loro mani sono strette l’una all’altra, i loro occhi sembrano fondersi in un solo nuovo colore. E quindi non le resta che crederci, credere che stia cantando per lei, che le stia sussurrando qualcosa che non riuscirebbe mai a dire se non attraverso la musica: non avrò paura, ma tu resta, resta con me. Stai con me. Non riesce nemmeno a sbattere gli occhi, fissi su di lui, sulle sue labbra quando si muovono per far uscire le parole, temendo che se solo li chiudesse per un attimo, Cristian potrebbe scomparire, tutto potrebbe non esserci più.

«And darling, darling, stand by me... oh, now, now, stand by me, stand by me...» la sua voce si alza di poco, incrinandosi leggermente dalla passione, dalla forza incontrollabile che sprigiona, senza nemmeno farlo apposta, ed Elyna si stupisce di sentire la propria voce accompagnarsi a quella di lui, più stonata, più flebile, timorosa, ma presente.

«Whenever you’re in trouble, won’t you stand by me?» i loro volti si fanno più vicini, a chiederselo davvero, rapiti, fronte contro fronte, coinvolti da quella canzone che sembra risucchiarli in un vortice di emozioni prepotenti, istintive. Intorno a loro tutto perde di consistenza, persino quel teatro, persino i loro stessi corpi sembrano d’intralcio per i loro occhi, per i loro cuori, che scalciano per liberarsi da quelle catene.

«Oh, stand by me...» continua a gridarlo Cristian, come una nenia, una preghiera silenziosa, ad una vicinanza così pericolosa che Elyna potrebbe sfiorargli le labbra con le proprie se solo alzasse un poco la testa.

Cristian si lascia dondolare dalla sua stessa voce, sussurrando alla fine della canzone, il suo respiro caldo le solletica le guance, ed Elyna vorrebbe solo poter scoppiare a piangere, solo lasciarsi andare alle lacrime che solo esse possono parlare, possono spiegare ciò che sente. Non sa quale forza maggiore riesca ad impedirle di farlo e il fatto che Cristian non le lasci le mani nemmeno un secondo, sebbene adesso le stia più lontano, non fa che peggiorare le cose. Si lascia osservare, ma rifugge il suo sguardo – i suoi occhi lucidi la tradirebbero altrimenti – nascondendosi dietro una maschera di timidezza, con la speranza di sbarrargli ogni suo passaggio, di non lasciarsi attraversare dai suoi passi sicuri ed attenti. Sperando di non lasciarsi scoprire.

«Siamo una coppia fantastica, dovremmo farlo più spesso!» il suo tono divertito la raggiunge ad anni luce di distanza, riuscendo solo ad annuire, ancora in preda alle palpitazioni, respirando a fondo cercando di recuperare la calma e la padronanza di sé. Devi tornare in te, non puoi avere quella faccia a pesce lesso, cazzo.

Lo vede andarsi a sedere su di una poltrona in sala, la gambe accavallate come suo solito, in una posa elegantemente scomposta, portandosi la birra alla bocca e bevendone grossi sorsi. Si sente svuotata ora che si trova di nuovo da sola, senza il corpo di Cristian vicino al suo, si chiede se mai riuscirà a tornare a respirare, guardare, parlare come prima di quel momento. È successo qualcosa, vero, fra di noi?

È come se un grosso macigno le fosse passato sopra, distruggendole le ossa, spezzandole la schiena. Vacilla a stare in piedi senza il suo supporto, ma non lo dà a vedere, sedendosi per terra, di nuovo, lontana da lui. Te ne sei accorto anche te?

Elyna lo ringrazia mentalmente per averle concesso un po’ di tregua, guardandolo di sbieco da sopra la sua birra, sentendosi ancora stretta a lui, potendo sentire ancora la sua voce riecheggiare dentro di lei, i sussurrati “stand by me”, i suoi occhi sognanti, persi fra le parole, fra le isole sparse nelle nuvole dei suoi sogni.

È tutto reale, è davvero tutto reale?

È solo un sogno?

Non sa rispondersi.

 

 

Prendono un taxi per tornare a casa, Elyna è esausta dopo la visita al teatro e desidera solo mettersi nel letto e dormire e far tacere i suoi stupidi pensieri. Avrebbe dovuto fare i conti con se stessa, prima o poi, esattamente come era successo con Liam anni indietro, ma non è quella la sera né il momento. Se c’è una cosa che odia sopra tutte è dover guardarsi allo specchio e dire “è vero, hai ragione tu” o più semplicemente ammettere la verità. Perché agli altri puoi sempre mentire, nasconderti dietro sorrisi e scherzi, non tutti sono capaci di leggere i tuoi occhi, l’unico luogo in cui la verità ristagna nell’attesa di esser tirata fuori, ma non puoi prenderti in giro tanto a lungo, non te stesso.

Il silenzio regna nell’abitacolo del taxi, Cristian sembra assorto nel suo mondo quanto lei, osservando fuori dal finestrino lo scorrere lento dei minuti, dell’incessante vita che proprio non lo vuol sapere di fermarsi un attimo. Solo quando il tassista si ferma ad un semaforo, Cristian rompe il silenzio.

«Allora, reginetta, hai già trovato un accompagnatore per il ballo?» chiede guardandola di sottecchi, il braccio appoggiato contro il finestrino, la testa posata contro la sua mano. Sembra divertirsi sempre un sacco, soprattutto quando le lancia sfide sottintese e lei proprio non sa da che parte rifarsi.

«Non sto ancora metabolizzando l’idea di andarci, quindi no, nessuno.» opta per la sincerità, velata da uno strato di malinconia, mentre il suo sguardo si concentra su due gocce di pioggia che scivolano lungo il vetro, attenta su quale delle due arrivi prima in fondo, non particolarmente interessata alla questione.

«In tal caso, ho una proposta da farti.» Elyna stringe le mani contro il grembo, improvvisamente tesa, sforzandosi di non arrossire, voltandosi di scatto verso di lui. Lo fissa con gli occhi sgranati, confusa ed agitata, Cristian, dal canto suo, si passa la mano libera fra i capelli arricciando il naso continuando a guardare fuori.

«Be’ sai, nemmeno a me va l’dea di andare al ballo, ma devo andarci, quindi...» Elyna ha preso a mordicchiarsi un labbro nervosamente, osservandolo imperterrita, quasi ansimante, con il fiato corto, sentendosi il petto pressato come da un mattone.

«Ti ricordi Adrian, il mio amico dell’altra volta?» lei annuisce di getto, senza realizzare, tesa come una corda, senza badare troppo alle parole. Cerca gli occhi di Cristian, con una certa urgenza, ma lui continua a guardare fuori, distante e freddo come non lo ha mai visto, quasi come se, ad un tratto, gli pesasse trovarsi in quel taxi con lei.

«Dopo quello che è successo con Kendra, ecco, mi ha chiesto di metterci una buona parola con te, sai... siamo amici, io e te, così lui ha pensato che magari...» se potesse rimandare indietro come per riavvolgere un nastro, adesso lo starebbe di certo facendo, anche se questo non cambierebbe le cose. Una buona parola con me? Elyna non sembra capire, o meglio, vorrebbe non aver capito, sentendo la rabbia ribollirle nelle vene.

«Come, prego?» il suo tono è più acido di quanto avrebbe voluto, ma non può farne a meno, non stavolta. Sventola una mano davanti al viso di Cristian per richiamare la sua attenzione e quando si volta verso di lei, il suo classico sorriso gli incurva le labbra, come se avesse fatto una battuta. Prova la fastidiosa sensazione di esser finita in una clamorosa candid camera e si trattiene dal ridere. Perché deve essere uno scherzo, lo è per forza.

«Adrian vuole andare al ballo con me? Con me?» sottolinea le ultime due parole puntandosi un dito contro, il viso paonazzo, ma non vi è ombra di titubanza o imbarazzo, questa volta. La delusione dell’aver creduto, sperato ingenuamente, che Cristian le chiedesse di accompagnarla al ballo, la raggiunge dall’alto come una doccia fredda nell’istante in cui si rispecchia nei suoi occhi castani, trovandoli chiusi come due lastre di freddo cemento.

Improvvisamente quell’abitacolo le va stretto, le manca l’aria, sentendosi stupida, maledettamente stupida, una totale idiota credulona. Ingenua, sciocca, bambina. Si tira all’indietro, cercando di allontanarsi il più possibile da lui, non riuscendo a credere di essersi illusa di nuovo, da sola.

Perché devi fare sempre gli stessi errori?

Amici, ha detto Cristian, è questo che sono? Solo amici? Non riesce a crederci, eppure Cristian le sembra sempre il solito, allegro e sbarazzino, con il suo ciuffo al vento, gli occhi ridenti e la battuta pronta, solo lei in quel taxi sembra scossa, sofferente, trafitta da una stravolgente verità. È stato solo un sogno?

«In sostanza, sì. Adrian vuole andare al ballo con te, Reyes.»

 

   
 
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