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Autore: AliNicoKITE    07/05/2016    1 recensioni
Dal testo:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 16
Parola d’ordine: Entrate in scena
Giungendo a questo punto nella stesura di questo misero racconto, temo che tutti noi necessitiamo di un breve… riepilogo. Sì, mettiamola così. Degli studenti della Olympus High School, già i più importanti vi sono stati presentati.
Iniziamo quindi dalle sorelle Gardner: che siano loro a guidarci tra le bolge dantesche di questa scuola.
DEMETRA
Demetra cominciò il suo ultimo anno in quell’edificio infernale con un sorriso pacato e malinconico. Non amava i cambiamenti, le ‘‘ultime volte’’ quasi come le prime, quindi il suo cervello continuava a inviarle ricordi e flash dal passato: ammassi confusi di complessi adolescenziali e amicizie che erano come altalene, continui cambiamenti senza alcun appiglio fermo. Quando sua sorella le aveva chiesto cosa non andasse, lei le aveva semplicemente scostato una ciocca di capelli con un sospiro.
-Odio non avere mai avuto una migliore amica con cui-si fermò un secondo, attraversando la strada con passo affrettato. Sefi la seguì dopo qualche secondo, ringraziando educata la macchina che li aveva fatti passare –con cui poter dire: ‘‘Guarda, siamo già all’ultimo anno. Ti ricordi..’’ e magari partire a raccontare i primi anni di liceo.
Se sua sorella fosse rimasta sorpresa da quella improvvisa risposta sincera, non lo diede a vedere. Il cielo era uno schiaffo di azzurro acceso, poche nuvole e un sole allegro che sapeva ancora di estate, rendendo il ritorno a scuola ancora più surreale. I capelli di Persefone erano grano maturo, le lentiggini un dolce memento della bambina che era stata, quando piccoli puntini di pelle più scura coprivano l’intero viso, nelle estati passate a giocare nei giardini della casa dei loro nonni, quando ancora si allontanavano da New York durante le vacanze. Demetra si mise a posto la gonna a fiori, una macchia di colore vivace nel grigiore degli abiti di coloro che le passavano di fianco.
Persefone sembrò pensare per un po’ come rispondere alla sorella, poi si decise a parlare:-Era ti vuole bene, siete amiche da anni. Anche Atena ti rispetta, ha detto che ti considera intelligente e caparbia, è un complimento, no?
      Demetra annuì, ma dentro di sé si stava già rimproverando per la debolezza che aveva dimostrato con quell’affermazione: non perché non volesse parlare di sé a sua sorella, la persona di cui si fidava di più al mondo; no, non per quello. Era solo una caratteristica di Demetra di cui quasi nessuno si rendeva conto, a primo impatto: ogni volta che l’argomento di conversazione risultava essere i suoi ‘‘problemi’’ –anche se non li avrebbe mai chiamati in questo modo, aveva una vita troppo felice per lamentarsi con termini così decisi- sentiva le parole che uscivano dalla sua bocca estremamente noiose, prive di reale importanza. Insomma, i problemi degli altri erano più impellenti, urgenti da discutere. Demetra sapeva avere buone parole per tutti, sebbene spesso si dovesse mordere la lingua per non esprimere giudizi troppo affrettati. Alla fine era la consulente di tutti, ma l’amica ‘’vera’’, la migliore amica, di nessuno: era troppo chiedere un legame speciale, forse? 
Era era una ragazza decisa, un po’ snob, che solitamente le rivolgeva la parola quando le doveva chiedere un favore: da quando Zeus, poi, aveva tentato una liaison anche con Demetra, i rapporti si erano fatti sempre più freddi, come se il fratellino di Ade non avesse tentato un approccio amoroso con buona parte della fauna femminile della scuola.
Atena era amica delle altre persone a modo suo: forse era troppo seria perché Demetra riuscisse ad approcciarsi in maniera meno professionale, meno da compagne di scuola, quindi, e più da amiche che venivano trascinate a forza alle stesse feste.
       I suoi pensieri vennero presto interrotti dall’impatto con la marea di persone che affollavano l’entrata della scuola. Scorse Ares, che aveva due lividi sullo zigomo destro violacei e probabilmente recenti, gesticolare e lanciare un messaggio inequivocabile a sua sorella. Eris aveva sempre avuto il potere di incutere timore alle persone, di instaurare un istantaneo rapporto di diffidenza e antipatia. Anche Demetra la considerava abbastanza inquietante, soprattutto da quando si era tagliata i capelli. Poco dopo il suo esplosivo coming out, avvenuto al termine del precedente anno scolastico, Eris si era presentata una mattina con un lungo ciuffo di capelli scuri davanti all’occhio destro e i capelli quasi del tutto rasati, una pettinatura abbastanza mascolina da far notare le somiglianze con i tratti più spigolosi e regolari del fratello.
      Quella mattina Eris teneva infilate tra i capelli due mollette insolitamente rosa, che le risparmiavano una visone dimezzata del mondo: gli occhi scuri parevano quelli di una pazza, ma, come diceva spesso Persefone, ‘‘Almeno era una pazza che si divertiva’’. A volte Demetra considerava Eris come l’unica persona che, in mezzo a una situazione drammatica e disperata, avrebbe avuto modo di trovare un motivo per divertirsi. Lo zaino che lasciava penzolare lungo un fianco –tipica posa di chi si atteggia in qualche modo, pensò Demetra- era stranamente privo di spille e toppe di band metal. A quanto pare sia lei che il fratello avevano cambiato zaino, osservò, e la cosa era abbastanza rara per chi, come i fratelli La Rue, non aveva mai navigato nell’oro. Demetra si sentiva abbastanza in colpa, per le informazioni di cui era a conoscenza su buona parte degli amici di Thanatos,  ma pochi potevano ignorare la storia turbolenta che si celava dietro quei due ancor più turbolenti fratelli. Eris fece un gesto poco educato al fratello, camminò nella direzione delle sorelle Gardiner, prese contro alla spalla di Persefone e se ne andò senza scuse o saluti.
Demetra storse le labbra, salutando la sorella prima di andare a cercare Thanatos: sentiva quasi il bisogno di vederlo, di parlargli: qualcosa le diceva che, qualunque cosa questi avessi detto, sarebbe stata dieci volte più utile e rassicurante delle parole di Persefone. Dopotutto, non avrebbe mai saputo dire una occasione in cui era accaduto il contrario.
 
ESTIA
Estia si era persa.
Oh, meraviglioso.
Probabilmente era l’incarnazione di uno stereotipo comico, da fumetto: una ragazza goffa con i capelli e i vestiti sporchi del caffè -rovesciato da Zeus- che non sa nemmeno trovare l’aula di scienze.
Attorno a lei, altri studenti scivolavano come ombre lungo i corridoi, senza degnarla di uno sguardo: la ignoravano, schivandola come se fosse parte dell’arredamento dell’atrio centrale della scuola. Poiché era proprio ciò che Persefone aspirava –nessuno doveva vederla in una situazione così imbarazzante-, lei cancellava ogni possibilità di essere aiutata facendo finta di star aspettando qualcuno. Si guardava attorno, facendo sorvolare lo sguardo sui suoi compagni di scuola senza davvero soffermarsi sui volti: il culmine lo raggiunse quando, a forza di far finta di guardare l’orologio e sbuffare per il ritardo dell’amico immaginario, una ragazza cominciò a fissarle la gamba, chiedendosi, forse, se per caso le fosse venuto un tic nervoso al piede.
Persefone smise di tamburellare il piede a terra come una madre costretta ad aspettare il figlio in ritardo.
-Ho bisogno di aiuto. -pensò, realizzo e ammise tra sé e sé.
Si ricordava, nebulosamente, cosa avesse detto Persefone una decina di minuti prima, mentre l’aiutava con un sorriso gentile a decifrare la cartina appesa fuori da scuola. La ragazza aveva parlato di scale, per arrivare al laboratorio di chimica, ne era sicura, quindi fece finta di scaricare in maniera plateale il suo amico in ritardo–quella che prima aveva cominciato a fissarle il piede sobbalzò per l’improvviso ‘‘Ah!’’ seccato che proruppe dalle labbra di Persefone- e cominciò a saltare i gradini a due a due con il cuore in gola. Non voleva arrivare in ritardo, anche perché come avrebbe spiegato a suo fratello -Pos- che ci aveva messo più di mezz’ora per arrivare in aula?
   Vide passarle accanto Ermes, che pareva abbastanza giù di corda da non sollevare nemmeno lo sguardo dal pavimento. Prima che Estia potesse salutarlo, il ragazzo parve riscuotersi e si lanciò giù dalle scale molto più velocemente.
In basso, Artemide pareva glaciale come la sfumatura argentea dei suoi occhi, ma si degnò di aspettare Ermes, che più che il ‘‘Lupin dei poveri’’ in quel momento sembrava un umile postulante che chiede aiuto e ausilio a una grande regina. Persefone notò con una certa soddisfazione che Artemide non solo guardava a ogni piè sospinto l’orologio, ma picchiettava il pavimento con la punta della scarpa proprio come prima aveva fatto lei, anche se Ermes e l’Amico Immaginario non avevano molti aspetti in comune.
Per la prima volta da giorni, desiderò avere Ade al suo fianco pronto a sostenerla: dopotutto, suo fratello maggiore era all’ultimo anno, e conosceva la scuola come le sue tasche.  Dopo la litigata che avevano avuto, Estia aveva notato sia con soddisfazione che con timore che entrambi sembravano riuscire a ignorarsi l’un l’altro senza problemi, e lei stessa non sentiva il bisogno di fare pace.
   Poseidone, quella mattina, aveva provato a farli riappacificare chiedendo ad Ade se poteva accompagnare Estia a scuola, poiché doveva scambiare con Zeus qualche parola, senza ascoltatori. Magari Pos doveva davvero dire qualcosa a Zeus, ma sia Estia sia Ade avevano capito che, se la piccola Grace fosse andata a scuola in moto con il fratello, il confronto, o il conflitto, sarebbe stato inevitabile. Quindi, da buon fratello maggiore che era Ade, questi aveva accampato una scusa inverosimile e se n’era andato in anticipo rispetto al solito con Thanatos, lasciandosi dietro il rombo delle moto ed Estia abbastanza punta sul vivo.
  Nella sua mente si dipinse, stranamente, il viso bonario di Dioniso che le diceva:-Stai calma, un aiuto arriva sempre a coloro che ne hanno un disperato bisogno.
La filosofia di Dioniso aveva sempre fatto acqua da tutte le parti, certo, e quella frase era un po’ troppo ottimistica, ma Estia sentì il bisogno di lasciarsi convincere dal suo rubicondo ed etilista cugino e salì le scale con maggiore convinzione. A volte si chiedeva come Arianna facesse a sopportarlo, eppure in quel momento realizzò che, se non altro, quando Dion era calmo e relativamente brillo sapeva dare consigli fantastici. Insomma, il Guru-Dion dentro la sua mente la fece arrivare al secondo piano, ma il laboratorio di chimica non sembrava essere presente sulla cartina, quindi il potere di quella frase evaporò con la stessa velocità con cui Dioniso beveva un bicchiere di vino.
 In preda al panico, Estia corse su per le ultime scale e arrivò al terzo piano. E lì, davanti ai suoi occhi, vide la dimostrazione che, forse, ogni tanto il Guru-Dion aveva ragione.
Apollo era davanti a lei, voltato di spalle rispetto alla sua direzione, e guardava incuriosito il nuovo cartellone che la Fama aveva appeso: tra le varie notizie, Estia scorse ‘‘Poseidone Grace e la cheerleader Anfitrite colti sul fatto al club di Dioniso Wine: ritorno di fiamma?’’ e ancora ‘‘Medusa manda una cartolina dalla sua nuova scuola a una sua amica: tanti baci dalle tre sorelle con i capelli di serpenti!’’.
Apollo perse interesse nel cartellone, ed Estia prese il coraggio a due mani e gli batté una mano sulla spalla:-Ehm, scusa-cominciò, ma subito Apollo la interruppe con un:-Estia, ciao!-, come al solito vispo e solare.
-Sapresti dirmi dove si trova l’aula di scienze?-lo pregò la ragazza, assumendo un’aria leggermente implorante-Mi sono persa.
Apollo sorrise, ed ad una minima parte del cuore di Estia mancò un colpo. Stupidi ormoni da quindicenne, pensò.
-Ti ci porto immediatamente, i laboratori sono proprio vicino all’ufficio del preside!
E con aria baldanzosa, la prese sottobraccio e la condusse fino all’aula, che, con grande dispiacere di Estia, non era molto lontana dal luogo in cui aveva incontrato il ragazzo.
 Quando la lasciò andare, Estia pensò che Apollo fosse davvero carino, anche con la camicia un po’ spiegazzata e gli occhi dorati cerchiati da delle leggere occhiaie. I capelli del ragazzo mandarono bagliori chiari al contatto con la luce, assumendo una tinta quasi bianca.
-Grazie mille-disse, gentile, ricordandosi di sorridere e di riacquistare un minimo di controllo: non le succedeva molto spesso, di solito, di ritrovarsi così per un ragazzo. Anzi, non le piaceva proprio sorprendersi a pensare che Tizio o Caio avesse un bel sorriso e dei capelli fantastici, proprio no.
Apollo scrollò le spalle, rispondendo con un:-Di niente, Es., come se salvare ragazzine che si perdevano nella loro scuola fosse qualcosa che faceva tutti i giorni.
Per una volta, non storse troppo il naso davanti a quel nomignolo, e aspettò che Apollo si incamminasse verso la fine del corridoio prima di entrare in classe, notando subito Ecate in penultima fila che si sbracciava per dirle di sedersi vicino a lei.
-Cosa diavolo è successo?-le chiese la ragazza, mentre Estia terminava la sua sfilata in mezzo ai banchi; tutti la fissavano, essendo l’unica arrivata in ritardo.
-Mi sono persa, ma Apollo mi ha aiutata.-rispose con voce più bassa, mettendola a tacere prima che il professore trovasse qualcosa in più da ridire oltre all’orario in cui era arrivata in classe.
Ecate lanciò lo stesso un urletto, scribacchiandole sul banco: ‘‘Niente male, come entrata a scuola’’.
  Sebbene l’espressione sul volto dell’amica lasciasse presumere che non aspettava altro che un minimo, minuscolo, incoraggiamento per ufficializzare ‘‘Apollo’s hot’’ come prossimo argomento di conversazione, Estia dissimulò abilmente il suo imbarazzo e cominciò a prendere appunti.
ATENA
Atena prese posto nel suo banco, poggiando una serie di libri, molto più numerosi rispetto ai suoi compagni di scuola, sulla superficie limitata che aveva a disposizione.
Quando i professori la vedevano scrivere e leggere quando non serviva, a volte storcevano il naso e stavano zitti, mentre capitava anche che la rimproverassero a lungo, poiché una studentessa del suo calibro non poteva comunque permettersi di non seguire la lezione. Era veramente frustrante, sapere che non avrebbero mai capito che lei riusciva ad ascoltare e scrivere contemporaneamente di altre cose.
    Al suo fianco, nessuno si era seduto, come succedeva spesso: Era non seguiva tutti i suoi corsi, e altri suoi conoscenti avevano ormai un compagno di banco consolidato, come tutti sapevano che Ade e Thanatos avrebbero condiviso pure i compiti in classe, se avessero potuto.
Atena non aveva alcuna voglia di riallacciare i rapporti con coloro che non aveva più sentito durante l’estate: il solo pensiero di andare a parlare a Orfeo Cithara, seduto dietro di lei, le faceva venire in mente tutte le canzoni tristissime e melense che quest’ultimo aveva composto, e quindi provava un insano desiderio di vomitare.
   Ancora peggio, Zeus e Poseidone erano entrambi del suo anno, sebbene il primo avesse saltato un anno di asilo pur di non rimanere troppo tempo in quel posto per bambini dove non permettevano nemmeno di usare le forbici senza la punta arrotondata.
Poseidone era seduto vicino alla finestra, come suo solito: pareva soffrire di una qualche mancanza fisica, se non stava abbastanza a contatto con la luce solare e l’aria aperta.
Come un bonsai, insomma. Solo che Atena aveva il pollice verde di chi alle piante procura diserbante invece che acqua, quindi i bonsai non erano la sua più grande passione. Appunto, Poseidone colse l’opportunità nata da una minima distrazione dell’insegnante per schiacciare il naso contro il vetro della finestra, giusto per mostrare come volesse, più di ogni altra cosa, fuggire da quel luogo il prima possibile. Il che, considerò Atena in un angolo remoto della sua mente, era strano, perché comunque aveva visto poco prima Poseidone prendere appunti, scribacchiando su un’agenda dai fogli bianchi con una certa alacrità.
Si costrinse a concentrarsi sulla lezione, piuttosto che su Poseidone Grace, perché altrimenti rischiava sul serio di tirargli un righello in testa pur di farlo comportare in maniera civile e un minimo matura. A volte, Atena si sorprendeva della sua incapacità di sopportare anche minime cose, il tutto perché venivano compiute da persone di cui aveva una pessima opinione.
   Zeus Grace emise un gemito soffocato, e Atena lo vide spalmato sul banco come una balena spiaggiata sulle coste del Giappone. Gli occhi del ragazzo erano di un blu elettrico molto particolare, ma in quel momento non pareva al massimo della sua vitalità.
Naturale, pensò, che motivo aveva di sforzarsi di rimanere attento se non c’era Era disposta a vederlo?
Un moto di fastidio la portò a scribacchiare qualcosa sul suo quaderno, quando proprio Zeus la richiamò con un sussurro.
-Tutto bene?-le chiese.
Gli occhi grigi della ragazza si rannuvolarono, specchio della sua sorpresa.
-Sì, perché?-rispose in fretta, stringendo una penna tra le dita: non che la domanda l’avesse infastidita, ma prima di pensare a come reagire voleva avere più elementi, necessari a capire perché le avesse rivolto la parola nel bel mezzo della lezione.
Zeus aveva i capelli chiari tagliati corti, ma Atena sapeva ancora ricordare come stesse con i ricci, tanto che al ragazzo era rimasta l’abitudine di metterseli a posto ogni tanto, per avere un aspetto presentabile. Completamente diverso dal fratello, che invece pareva vivere nel suo essere selvaggio con una dedizione estrema.
-Sembravi assorta e infastidita da qualcosa, e non hai nessun compagno di banco per poter esprimere giudizi negativi su mio fratello.
Dopo quella frase, ad Atena venne in mente la prima volta in cui aveva parlato con Zeus Grace, e il motivo per cui lo considerava il migliore dei tre fratelli maschi, sorvolando sul suo comportamento con le ragazze. Riuscì persino a tirare fuori un sorriso, ma non una risposta, perché Zeus si era già spostato, fulmineo, vicino a lei.
Ma certo, nemmeno Zeus ha un compagno di banco fisso, fu il primo pensiero che le passò per la mente. Il suo sguardo doveva essere abbastanza stupito, ma non ostile, perché Zeus, dopo aver controllato la sua reazione, si stabilì definitivamente sul banco vicino a quello della ragazza con un sorriso soddisfatto.
-A volte è difficile trovare qualcuno con cui fare una conversazione decente. E, tranquilla, non mi offendo se insulti mio fratello- le disse prima di venire richiamato dal professore-credo sia un buon prezzo da pagare, per avere affianco la mia consigliera preferita.
Al che, Atena lasciò andare i suoi pensieri denigratori verso i suoi compagni e sorrise, prima di sibilare:-Tuo fratello è un selvaggio bifolco.
-Oh-il ragazzo sorrise-lo so.
*****
  Il suo armadietto era un ammasso di metallo piegato da numerosi urti, causati più da giocatori di basket con una pessima mira che altro. Ad Atena piaceva, perché aveva un’aria vissuta e comunque un minimo di dignità, come si conveniva a un vecchio armadietto.
Improvvisamente, Atena si ritrovò a spalancare l’anta di metallo mezza arrugginita: Poseidone aveva cambiato armadietto, come succedeva ogni anno, e stavolta stava a un metro e settanta centimetri dal suo. Rivolse un’espressione disgustata al ragazzo, ma questa venne schermata dal metallo, cosicché Pos ebbe il via libera per iniziare una conversazione.
-Atena Chase, ma che bella sorpresa!-cinguettò deliziato. Il suo tono di voce talmente carico di glucosio che la ragazza gli augurò una glicemia fulminante, così da portarlo a un coma diabetico possibilmente nei seguenti trenta secondi.
-Poseidone Grace, ritorna dai tuoi inetti amici e risparmia ogni possibile contatto con la mia persona. Ne va della tua incolumità.
Atena vide riflessa la linea rigida delle sue labbra posta sull’anta dell’armadietto, e si complimentò con sé stessa quando Poseidone fece davvero fagotto e si allontanò con un suo amico della squadra di nuoto al seguito.
Come a volte succedeva, Atena si ritrovò delusa della vittoria facile che aveva avuto, poi si ricordò che Poseidone era solito incontrare Anfitrite ogni intervallo, quando stavano ancora assieme. Probabilmente quella loro abitudine era ripresa, e con quel pensiero tranquillo e capace di far quadrare la situazione cominciò a rimettere a posto i suoi libri e quaderni, per poi accorgersi di un particolare.
Lei non aveva alcuno specchietto nell’armadietto.
Atena non era Afrodite, e nemmeno Era: non c’era trucco da aggiustare, come contorno di quegli occhi grigio tempesta. Quindi quello specchietto non l’aveva messo lei, o forse era per lei. Un gentile dono di una delle sue amiche? Se sì, perché non chiederle il permesso? Sapevano tutte quanto curasse le sue cose, e come non volesse che altre persone vi ponessero mano senza permesso. Con un pensiero assurdo che le balzava davanti agli occhi, Atena afferrò i bordi del rettangolo adesivo riflettente che costituiva quel misero specchio e lo staccò dall’armadietto. Il suo cuore si permise di perdere un colpo, metaforicamente parlando, quando trovò una piccola busta attaccata al retro dell’adesivo, talmente sottile da non creare uno spessore evidente una volta attaccato il tutto all’armadietto.
 
Salve.
 Spero tu sia disposta a giocare a questo gioco, che sono sicuro
potrà essere per te stimolante, divertente e utile. Non saprai mai chi
sono, ti avverto. Ma solo concederti questa lettera spero ti dia abbastanza
indizi da lasciarti presumere del contrario. Un augurio di un felice e gioioso
anno scolastico.
N.H.
P.S. La risposta a questa lettera potrà essere lasciata dove più ti
aggraderà
 




 
Angolo Survival
Sono viva, e ho tracciato la stesura della maggior parte degli intrecci malvagi di questa storia che, davvero, spero mi perdoniate se aggiorno solo ora. Ho riletto le vostre recensioni, e il mio cuore si è scaldato come un marshmallow ustionato dalla Maserati di Apollo, perché siete fantastici e io adoro anche solo chi ha letto il prologo o si ricorda vagamente di questa storia. 
Spero che il capitolo vi piaccia, e che vogliate esprimere un parere. Un grazie alla balda recensitrice dello scorso capitolo, davvero. 
E sappiate, se volete farvi due risate, che la suddetta AliNicoKITE si è lei stessa persa nella sua stessa scuola ed è stata aiutata da un vispo giovane a trovare la retta via. Dispiace solo non fosse Apollo, ma lui ora si chiama Lester e Rick ci farà soffrire parlando di lui.
Intanto, Atena è alle prese con N.H.. Si dia il via al televoto per chi sa qualcosa.

Bacioni,
Ali
   
 
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