I love you, mummy

Lo ricordo bene, piccolo mio. Ricordo i tuoi occhioni colmi d'affetto, fiduciosi, che mi guardavano come se per te fossi l'unica al mondo, mentre la tua manina cercava la mia per muovere i primi passi incerti.

Smetto di strofinare un piatto con la spugna carica d'acqua, perdendomi nei miei pensieri. Stasera c'è un silenzio troppo grande in questa casa, quasi tombale; mi angoscia.

Chiudo gli occhi e mi pare di vederti, di sentire i tuoi versetti allegri mentre a quest'ora giocavi sul tappeto, già pronto per andare a dormire con indosso il tuo pigiamino azzurro con un motivo a Pikachu. Eri la gioia della mia vita e mi riempivi il cuore d'amore. Mi sembra ieri che ti prendevo in braccio e ti avvinghiavi pigramente al mio collo, con gli occhietti che si chiudevano per la stanchezza, lasciando che le mie labbra ti posassero un bacio sulla guancia paffuta. Bevevi un bicchiere di latte tiepido, poi ti rimboccavo le coperte e ti accarezzavo i capelli finché non ti addormentavi sereno, come un angelo. La tua camera ora è fredda, non devo più riordinare cumuli di macchinine e costruzioni sparse per il pavimento o rifarti il letto alla mattina presto. Eri il mio dolce bambino e a ogni tuo vitale sorriso mi sentivo al settimo cielo.

Adesso sono cambiate così tante cose… È da Natale che non vieni a trovarmi. Il buon profumo delle lasagne appena sfornate aveva invaso l'aria e, dopo esserti tolto il berretto e la giacchetta, avevi subito impugnato le posate ansioso di gustare i miei manicaretti. Ascoltavo sorridente la tua parlantina sulle innumerevoli avventure che avevi da raccontarmi, un po' come quando tornavi a casa da scuola, gettando lo zaino zeppo di libri contro a una gamba della sedia. Poi la porta d'ingresso si era richiusa alle tue spalle, accompagnata dalla distratta promessa di tornare presto.

So che è giusto così e non ci posso fare niente, ma tu sei sempre il mio bambino, Rosso. Quel bambino bisognoso di me che vive nei miei ricordi, negli album di fotografie e negli scatoloni impolverati giù in cantina. Sia tu che tuo padre mi avete abbandonata, infatti non avrei mai voluto che trovassi il suo vecchio cappello in fondo all'armadio. Però è successo e da quel giorno non te lo sei mai tolto, trattandolo come la più preziosa delle reliquie.

Questo silenzio e questa solitudine mi uccidono, come un veleno cattivo che mi scorre nelle vene. Continuo a strofinare, con l'apatia nello sguardo. Insieme alla tua fanciullezza se n'è andata anche la mia gioventù: sul viso porto i segni dell'età e persino i miei capelli sembrano spenti, non più luminosi boccoli color lavanda, ch'ero solita legare in due piccole code. Vorrei tornare indietro nel tempo, per provare di nuovo la grande gioia di sentirmi madre. La tua vocina che non potrò mai dimenticare mi risuona in testa per l'ennesima volta. “Ti voglio bene, mamma”… Tante volte l'hai detto, in modo così spontaneo da sciogliermi il cuore, perciò lascio che queste parole innocenti mi diano la forza di andare avanti giorno dopo giorno.

Salve!