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Autore: aleinad93    08/05/2016    2 recensioni
Alec e Magnus sono un miracolo l’uno per l’altro, non pensavano si sarebbero trovati né innamorati né avrebbero superato il primo appuntamento né i pregiudizi né una ex particolarmente fastidiosa né le loro incomprensioni. Però così è successo, come sappiamo da TMI e ora convivono.
Non sanno però che sui gradini dell’Accademia li aspetta un nuovo miracolo.
Una raccolta di one shot, flashfic sui Malec e sulla loro vita post-Born to endless night.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Magnus Bane, Max Lightwood, Max Lightwood-Bane, Rafael Lightwood-Bane
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No one cares about me… at least I thought
 

Al mio mammo, che ha metà delle mie paturnie.
Alla mia vera mamma, che ne sopporta una metà.
Alla mamma che ho scelto, perché le sopporta tutte.


 
 
«Non mi voglio sposare.» Un Jace sedicenne stava in piedi sul letto di Alec e saltava.

«Scendi, perché se si rompe…»

«… mi spacchi un braccio come hai già fatto?»

«PER L’ULTIMA VOLTA ERA SLOGATO!» strillò Alec, dando una spinta al suo parabatai che si lasciò cadere sul letto ridendo.

«Che succede qui?» chiese Isabelle entrando di corsa con il piccolo Max al seguito. «Vi state picchiando?»

«Izzy, non essere assurda» mormorò Alec, scompigliando i capelli prima alla sorella e poi al fratellino. Entrambi arricciarono il naso, lanciando un’occhiata simile al fratello maggiore. «E poi quante volte vi devo dire di non correre? Potreste inciampare in qualche tappeto.»

«Davanti ai vostri occhi quello che stavo per dire! Alec, sarebbe il maritino perfetto, che si occupa dei figli a tempo pieno e li sgrida, perché possono inciampare e morire per colpa di un tappeto, quando magari ogni notte vanno a uccidere i demoni.» Jace riprese a parlare come se nessuno l’avesse mai interrotto.

Alec arrossì alla parola “maritino” sotto lo sguardo attento di Isabelle, poi sbuffò per le altre assurdità uscite dalla bocca del suo parabatai, che si era seduto sul letto, ma muoveva le gambe in un’eterna iperattività.
Jace non badò alle reazioni di Alec e continuò il discorso. «Lo vedo con otto figli che lo rincorrono apostrofandolo Papà dell’anno e sono sicuro che Alec ne vorrà anche un nono…»

«Ma… ma… che assurdità stai dicendo» balbettò il diretto interessato, cercando di schiarire la sua voce che era diventata leggermente stridula.
Isabelle spostò lo sguardo da suo fratello a Jace con gli occhi neri attenti. Max, invece, non era per nulla interessato e si lasciò cadere sul letto di Alec vicino al cuscino. Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un giornaletto un po’ stropicciato e si mise a leggerlo.

«Non vorresti sposarti?» chiese Jace tirando fuori lo stilo dai pantaloni e iniziò a giocherellarci.
Alec sospirò ancora, chiudendo per un attimo gli occhi. Perché Jace faceva domande di merda? Pensò, però disse solamente: «Forse.»

Isabelle si inserì nella conversazione. «Io mi sposerò con un Nascosto.»

Alec scosse la testa astenendosi dal ribattere. Sua sorella non aspettava altro che lui dissentisse e iniziasse a dirle che doveva sposarsi con un buon Shadowhunter e crescere dei buoni Shadowunters, come facevano i loro genitori.
Per Alec l’essenziale era che trovasse uno con la testa a posto e la rendesse felice, ma fino a quel momento Isabelle gli aveva fatto conoscere solo degli idioti.

«Izzy, affascinante Izzy, tu vuoi irritare solamente Maryse e Robert.» Gli occhi d’oro di Jace si accesero d’ironia e le sue labbra si disegnarono di malizia. «Hai già trovato l’uomo giusto per questo intento? Racconta i tuoi peccati a Fratello Jace che è qui per questo.»

Isabelle scosse la testa per nascondere un sorrisetto che le era spuntato sulle labbra. «Non dirò nulla, ma ho adocchiato un vampiro che è uno schianto e mi ha fatto una proposta... accattivante.»

Alec disgustato guardò verso Max. Fortunatamente sembrava preso totalmente dalla sua lettura e non badava loro. Poi si rivolse alla sorella, prima che Jace potesse commentare. «Izzy, per l’Angelo, non voglio sapere e, Jace, zitto per favore, non incoraggiarla. Dobbiamo parlare dei nostri doveri…»

«Dovere, dovere.» Dissero in coro Isabelle e Jace deridendolo palesemente. «Assurdità e dovere sono le parole che più spesso escono dalle labbra del nostro Alexander.»
Alec sbuffò sentendo Alexander. Non sopportava il suo nome, nonostante il significato greco fosse protettore di genti e in qualche modo lo rispecchiasse.
La sensazione di fastidio tuttavia aveva un’altra origine e gli lasciava l’amaro in bocca. Odiava essere deriso perché rispettava la Legge e le decisioni dei suoi genitori, anche quando non avrebbe voluto farlo.

Dura lex, sed lex. Il Codex insegnava questo e tutti i Nephilim erano tenuti a rispettarlo.

Sapeva che Isabelle e Jace non volevano essere insensibili, che erano giovani e avventati, ma il senso di fastidio non era facile da cacciare via. Non gli piaceva essere considerato un bacchettone né un rompiscatole, pur dovendolo essere. Spesso sembrava che non capissero quanto ciò costava anche a lui, quanto sarebbe stato più facile essere più spensierato.
Tutto rientrava nel suo ruolo di fratello maggiore, anche se in realtà sospettava di non riuscire ad essere diverso da com’era.

«La prossima settimana mamma e papà vanno a Idris con Max…» passò a spiegare, sfruttando il miracoloso silenzio degli altri due. Il fratello minore alzò la testa alle sue parole, gli fece un piccolo cenno del capo e tornò tranquillamente a leggere, immergendo quasi il volto nella pagina. «E il nostro dovere – sì dovere! – è controllare che i Nascosti rispettino gli Accordi e non facciano azioni illecite. Nel caso dobbiamo segnalarlo a Hodge che poi lo riferirà alla mamma. Ci sarà da uccidere sicuramente qualche demone…»

«E quest’ultima sarà sicuramente la parte più divertente.» Jace saltò in piedi, diede una pacca ad Alec che sussultò leggermente e scomparve oltre la porta probabilmente diretto all’armeria.

«Se ne va così?» chiese Alec tra lo sconvolto e lo spazientito. «Non avevo ancora finito il discorso.»

«Sai com’è fatto.» Isabelle alzò le spalle come se le importasse poco del comportamento di Jace. Si alzò, scuotendo i capelli neri, che ondeggiarono ai lati del suo collo liberi e ribelli.
Fece qualche passo e si fermò accanto a lui. «Quando vuoi, ci sono. Per parlare di te, di Jace, di qualsiasi situazione…»

«Isabelle, non ho nulla da dire.»

«Come vuoi.» Izzy alzò la mano destra, come per ammansirlo. Effettivamente Alec si era innervosito senza accorgersene. «Sono qua, a due porte di distanza. Sempre, per te, sempre.»

Alec rimase senza parole, mentre la sorella usciva a passo svelto, lasciando solo un dolce profumo dietro di sé.

Max alzò di nuovo la testa dal giornalino.
Alec invidiò la limpidezza e l’ingenuità che leggeva negli occhi del fratellino, intanto che gli si avvicinava. Certe volte voleva tornare bambino, ma tutti dicevano che lui non lo era mai stato.
Forse era per quello che i suoi genitori non gli riconoscevano mai dei meriti. Era già troppo adulto e per quello, ogni suo sbaglio pesava molto più di quelli di Isabelle o Jace.

Lasciò scappare un sospiro e Max lo scrutò perplesso.

Alec, cercando qualcosa da dire, finì per sottolineare l’ovvio. «Da quattro rimasero in due. C’è qualcosa che posso fare per te?»

Max scostò il giornalino e si sistemò con le gambe incrociate e il busto dritto rivolto verso Alec.
Con voce limpida disse: «Non puoi fare più nulla per me, ma l’altro Max ha bisogno di te.»

Alec lo guardò confuso e per un attimo l’immagine di un bimbo blu con delle piccole corna tra i capelli si sovrappose a quella del fratello. Gli venne l’affanno e sentì due mani che cercavano di scuoterlo, ma non voleva lasciare il fratello che aveva adesso uno sguardo così triste e consapevole.

 «Si stanno preoccupando, devi andare.»

«Nessuno si preoccupa per me.» Alec lasciò uscire con semplicità questa frase, come se stesse parlando del caffè che beveva tutte le mattine e Max gli parve arrabbiato, tuttavia non commentò, ribadendogli in modo perentorio che doveva andare.

Alec indugiò aggrappandosi con una mano al copriletto, sentendo che qualcuno lo chiamava, ma voleva stare ancora un istante insieme al suo fratellino.
Gli occhi di Max improvvisamente gli parvero più grandi del normale. Sembrava quasi che la vista di Alec avesse effettuato una zoomata su quel particolare.

«So che sei gay e lo accetto.»

Alec non si aspettava proprio di sentire quelle parole uscire dalle labbra del fratellino e si staccò dal copriletto, facendo un balzo indietro e cadde.

Braccia calde e decise bloccarono una caduta che sembrava non interrompersi mai.

Un profumo di sandalo lo cullò dolcemente come se fosse nella doccia in mezzo all’acqua calda.

Percosse sulla pelle gli fecero sollevare le palpebre di scatto.

Occhi verdi-gialli da gatto preoccupati si specchiarono nei suoi.

Alec spostò Magnus dal suo corpo per respirare a pieni polmoni, però gli trattenne una mano tra le sue. Aveva paura di venir risucchiato in un altro sogno e trovare di nuovo Max, il suo fratellino che non aveva potuto salvare. 

Qualcosa di bollente si appoggiò alle loro mani unite. Mandava raggi caldi come il sole, ma non bruciava. Era solo infinitamente piacevole e intimo.
Gli occhi di Alec non riuscivano ad abituarsi a quella luce e li richiuse.

«Alexander, era solo un incubo.» La voce di Magnus gli arrivò inaspettata all’orecchio e per un attimo lo lasciò stordito. Il suo udito era stato bombardato da tutti i suoni presenti nella stanza, tutti insieme lo raggiunsero nello stesso identico momento.

 «Mirtillino, non serve la magia.» Magnus si chinò sul bambino che teneva le sue piccole ma potenti mani sulle loro e singhiozzava. «Non serve. È stato solo un brutto sogno di quelli dove non riesci a mangiare la torta di nonna, perché un demone arriva e se la mangia prima di te. Oppure quello che avevi fatto, dove io e papà ti lasciavamo solo al parco… ti ricordi?»

Max non si mosse, ma guardava Magnus in modo profondo con le lacrime che rotolavano sulle guance e seguivano gli zigomi fino a toccargli le piccole labbra leggermente dischiuse. Mangiando qualche lettera mormorò. «Non bello.»

Alec prese un’altra boccata d’aria e poi staccò una mano dalla presa di Magnus, per afferrare un lembo della coperta e pulire dolcemente una guancia del piccolo.

«Daddy» singhiozzò Max e Alec si riscosse. Max aveva bisogno di lui, non poteva essere il contrario. Non doveva assolutamente farlo preoccupare e ricordò le parole del suo fratellino nel sogno.

Non puoi fare più nulla per me, ma l’altro Max ha bisogno di te.

Alec strinse suo figlio a sé e nello stesso momento si trovarono entrambi contro il petto di Magnus, che non voleva rimanere fuori da quell’intreccio.
Il respiro di Magnus era irregolare, tanto come quello di Max, che si soffiava il naso contro la sua maglietta.
Era talmente felice di essere lì tra loro che non lo sgridò per quel comportamento.

Si trovò a sorridere e ripensare che aveva detto un’enorme cazzata in quel sogno. 

Nessuno si preoccupa per me.

Era un’enorme bugia e ora capiva la faccia incupita di suo fratello.
Alec non voleva che gli altri si preoccupassero per lui. Era lui a preoccuparsi di tutto, non serviva che gli altri si facessero venire le paturnie per lui. Non voleva che stessero a capirlo o a chiedergli come si sentiva o cosa provasse.
Ce la faceva da solo, perché era il fratello maggiore e in qualche modo riusciva a non crollare, anche quando aveva già toccato il fondo. Gli altri dovevano essere al sicuro, poi il resto e lui stesso non importavano.

La sua vita, pensò, era diventata più articolata. Si erano aggiunte tante persone alla sua lista dei contatti, tante che aveva paura di non riuscire a proteggerle tutte, però ci provava ogni singolo giorno.
Lo rendeva felice provarci. Ma c’era di più. Era chi voleva essere, sceglieva i suoi doveri e cercava di rispettare, per quanto fossero giusti, quelli imposti dal Conclave.

Si accettava e amava una persona speciale. Aveva scelto da solo di lasciare l’Istituto con le sue quattro cose in una valigia e andare a vivere con Magnus.
Lo stesso Magnus che non voleva sposarlo, finché non avessero potuto farlo vestiti d’oro. E non era uno degli stravaganti desideri di Magnus, come quello di dipingere tutta la casa di verde, perché si abbinava alla giacca che indossava quel giorno, no, era segno di grande rispetto e Alec ogni volta che ripensava a quella notte sentiva le sue guance imporporarsi.

È sì, un giorno. Per te, Alec, è sempre sì.

Lo stesso Magnus che non voleva che Alec dovesse rinunciare alle sue cerimonie o ai suo compiti di Cacciatore o alle sue esperienze in generale per lui. Doveva farle e le avrebbero condivise insieme.

A proposito di condivisione, Max sicuramente era l’esperienza più inaspettata per entrambi.
Alec aveva messo gli occhi su quella cosetta blu, che tutti guardavano come fosse uno scarafaggio e Magnus teneva con fare esperto, ma con il vuoto negli occhi, probabilmente ricordando la triste sciagura di essere stregoni e avere un Marchio visibile.

Si era fatto avanti tra la folla, rimanendo comunque nascosto. Grazie alla sua altezza poteva tenere gli occhi fissi su quel fagotto e sul suo compagno senza attirare troppa attenzione.
Però più guardava il bambino, più avvertiva un formicolio alle dita, come se ogni sua terminazione nervosa fosse impaziente di toccare quel piccolo stregone.
Senza pensarci era uscito dalla folla e aveva raggiunto Magnus.
Poteva vedere quella scena ancora e ancora nella sua mente, riavvolgerla e rivederla. Rimaneva uno dei momenti più importanti della sua vita.

Sì, lo teniamo noi.

«A cosa stai pensando con tanta intensità?» chiese Magnus, sfiorandogli la tempia con le labbra.

«Che sono felice.»

Alec riaprì gli occhi e si rilassò contro la mano del compagno.
Guardò le ultime lacrime di Max uscire dai suoi occhi. Sperò per un attimo di non vederne mai più per colpa sua, ma decise di non mentire a se stesso.
Avrebbe ferito Max inavvertitamente, l’avrebbe ferito consapevolmente. Un giorno Max avrebbe pianto di nuovo per lui, ma fin che poteva gli avrebbe asciugato quelle lacrime una a una.

«Scusatemi, scusatemi tutti e due.» Alec strinse una mano a Magnus e con l’altra andò a toccare una delle manine di Max. Il suo pallore contrastava con la carnagione bruna del suo compagno e quella blu marino del loro bambino. «Vi ho fatto preoccupare tantissimo, ma è stato solo un incubo.»

Magnus toccò con la mano libera il piede di Max, che iniziò a dimenarsi per il solletico dando una testata ad Alec che sussultò appena. «Diglielo, mirtillino, che non ci siamo affatto preoccupati, era tutta apparenza.»

«…parenza…»

«Sì, qualcosa di simile. Miglioreremo l’eloquio un’altra volta.»

Alec sorrise scuotendo il capo e cercò di aiutare Max, che stava per soffocare tra le risate, ma si trovò a subire lui stesso alcuni attacchi mirati.
Soffriva non poco il solletico alla pancia e quel traditore di Magnus lo sapeva bene.
Quando si furono ricomposti, dopo parecchie risate, qualche cuscino volato per la stanza, le coperte in fondo al letto, Alec sussurrò: «Grazie di proteggermi e essere la mia famiglia, la mia famiglia inaspettata e bellissima.»

 



Essendo molto simile all’altra per struttura , ero indecisa in realtà se metterla o meno, però alla fine le avevo create in coppia, per cui mi sembrava brutto mettere solo Magnus e niente Alec. Inoltre è l’8 marzo e non potevo non fare gli auguri al mio mammo libresco. Infatti anche l’annuncio dell’Alec televisivo è stato dato un anno fa in questo stesso giorno. Coincidenze? Io non credo.
Comunque auguri a tutte le mamme, che ci scelgono, che ci consolano, che sbagliano, che si pentono, che ci sopportano e supportano, che sono in prova ogni giorno davanti ai nostri occhi esigenti.
Dany

P.S Cercherò di aggiornare una volta a settimana, almeno spero e penso. Inoltre non sarà una raccolta molto cronologica, penso di fare dei salti qui e là, infatti vedrete Max e un altro membro della famiglia (voglio essere misteriosa, quando sapete già chi è e inizia con R) crescere e decrescere a mio piacimento XD 
   
 
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