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Autore: LadyBones    09/05/2016    4 recensioni
Dal testo:
[...] "Speravo di trovarti qui..." sussurrai semplicemente, ignorando appositamente il rumore del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Lanciai appena un'occhiata nella sua direzione e vederlo restare immobile in quel modo mi fece capire che - no - quello non era assolutamente da prendere come un buon segnale. Quando lo vidi voltarsi nella mia direzione e puntare i suoi occhi chiare su di me, mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro. [...]
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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Avevo passato la notte insonne, cosa che succedeva spesso quando mi ritrovavo a studiare come una matta. D’accordo, forse era meglio dire che mi succedeva spesso quando mi ritrovavo a fissare il monitor del mio computer per ore e ore, ma – ehi – nessuno è perfetto in questa vita.

Almeno questa volta, però, la mia insonnia non era da attribuire né allo studio e né tanto meno a qualche aitante attore, no. Era dal giorno del museo che non ero più riuscita a chiudere occhio. Probabilmente, il mio cervello stava ancora cercando di metabolizzare come diavolo fosse possibile che fossi ancora viva e con ogni pezzo del mio corpo al proprio posto – quello giusto.

A essere onesti stavo ancora cercando di capire cosa fosse realmente successo. Beh, in realtà, sapevo perfettamente cosa fosse successo, ma non volevo ammettere a me stessa di esserci cascata ancora una volta. E, invece, era successo: mi ero fatta coinvolgere, di nuovo.

Quella era la storia della mia vita.

Bastava che prendessi a cuore qualcosa che mi ci fiondavo a capofitto, e poco importava se si parlava di combattere contro il disboscamento forestale o impedire la distruzione di un negozio di ciambelle.

Per quei dolci mi ero persino fatta incatenare davanti la porta dell’edificio, ma stavamo pure sempre parlando delle ciambelle migliori della città. Sono una ragazza con delle priorità, io e, poi, chi non avrebbe fatto la stessa cosa?!?

Questa volta le cose non erano poi così diverse. Certo, ciambelline a parte, ma bisognava andare con ordine.

Tutto era iniziato nel momento in cui Fury mi aveva proposto quello che lui aveva chiamato “tirocinio”, perché chiamarlo con il suo nome – “ho bisogno di tenerti vicina per controllarti meglio” – non sarebbe stato poi così appropriato, infondo. Vorrei poter dire di aver avuto anche solo la possibilità di rifiutare l’offerta, ma è praticamente impossibile dire di no a quell’uomo anche volendo – cercate di capirmi. Mi ero ritrovata, così, a seguirlo più o meno ovunque. Blocchetto alla mano, avevo finto di essere una giovane agente alle prime armi, ignorando volontariamente le occhiate di quelli che erano veri agenti. Probabilmente, la mia presenza aveva finito per destabilizzarli – non si vedono tutti giorni ragazze con mezzi capelli lilla aggirarsi per il centro operativo dello S.H.I.E.L.D.

Nonostante tutto, il piano di Fury stava filando alla perfezione. Per la precisione, quella a filare liscio ero io. Da quasi due settimane mi ero comportata come una ragazza qualunque della mia età – nei limiti del possibile – il che praticamente era un record. Per un attimo, uno soltanto, ero arrivata a pensare che tutta quella calma avrebbe finito per inghiottirmi e disintegrarmi. Lo avevo creduto davvero fino a quando un giorno – senza alcun preavviso – non era scoppiato il finimondo. Lo S.H.I.E.L.D. era imploso per via dell’HYDRA. C’erano stati attacchi da ogni dove, Fury aveva dovuto fingersi morto e lo aveva fatto così bene che me l’ero quasi bevuta – Dio, quell’uomo aveva sempre avuto un certo talento per il dramma. Captain America era stato accusato di tradimento, qualcuno era morto, qualcun altro si era salvato e, beh, il resto credo che ormai sia storia. Per settimane non si era fatto che parlare – su giornali e tv – del disastro che era successo. Supereroi, tsk.

È stato proprio in quell’occasione, in ogni caso, che sono venuta a conoscenza dell’esistenza del Soldato d’Inverno. Non ascoltavo una storia così triste dai tempi di “Edward mani di forbice”, a eccezione del fatto che questa si basava sulla realtà. E – per quanto rasentasse i limiti dell’assurdo – non potevo negare che ai miei occhi da psicologa, aveva il suo dannato fascino. D’accordo, probabilmente il suo fascino lo avrebbe avuto anche se fossi stata una semplice segretaria di un centro estetico, ma questo non è poi così rilevante.

Mi ricordava un po’ quelle ciambelline per cui avevo combattuto a lungo anche se, questa volta, di dolce c’era ben poco.

Quando, poi, tutta quella storia era giunta al termine ognuno aveva preso la sua strada e io mi ero ritrovata nuovamente al punto di partenza: sola. Natasha si era dileguata, Steve e Sam si erano messi alla ricerca di quello che non era più un fantasma, ma una persona in carne e ossa. Fury, invece, aveva preso il largo non senza avermi prima fatto capire chiaramente che la distanza, alla fine dei conti, non sarebbe riuscita a tenerci separati – si, il suo lato tenero continuava a emozionarmi come poche cose nella vita, lo dovevo ammettere.

Per quanto riguardava me, invece, sarei ritornata sui miei libri e alla mia noiosissima vita – petizioni sulla protezione dei koala a parte. Ed era esattamente quello che ho fatto, più o meno.

Avevo deciso di seguire, ancora una volta, il mio istinto e – complice l’interruzione di fine semestre – mi ero detta che non ci sarebbe stato nulla di male se mi fossi imbattuta per puro caso in qualcuno.

Non un qualcuno a caso, ma la ciambellina bisognosa di aiuto… o meglio Bucky – Dio, dovrei seriamente smetterla con queste similitudini così assurde.
A lungo avevo cercato di pensare dove cercare. Insomma, dove sarebbe mai  potuto andare un assassino addestrato con zero ricordi del suo passato e, probabilmente, qualche problema a capire il mondo? Se fosse stato anche solo la metà come Steve, di certo non avrebbe avuto neanche la più pallida idea di cosa fosse Netflix – gli anziani di oggi.

Alla fine avevo finito per optare per lo Smithsonian che per quanto potesse essere una scelta azzardata – quella – restava la meno scontata. Quel posto brulicava di ricordi di persone vissute ed eventi che avevano finito per cambiare la storia, per sempre. Il passato racchiuso in una stanza e, tra tutti quei ricordi, spiccava  la storia di quello che un tempo era stato James Buchanan Barnes.

Vorrei poter dire di aver fatto un buco nell’acqua con quella che, con assoluta certezza, era l’idea più folle che avessi avuto in quasi ventiquattro anni di vita. Talmente assurda e con mille incognite che, quel giorno, prima di uscire dal mio appartamento, avevo lasciato, in un cassetto della mia scrivania, un testamento – non avevo avuto il tempo per scrivere le mie memorie, ancora.

Il fatto che adesso io mi trovi alla terza ora di Psichiatria – il professore che continua a parlare senza sosta della Schizofrenia – e la mia testa che ciondola per l’incredibile stanchezza accumulata, non significa che io abbia fatto un buco nell’acqua. Diavolo, no. Avevo avuto ragione fin dall’inizio.

Quel giorno, lui era là.
 
 

 

***

 


Quella non era la prima volta che mi recavo allo Smithsonian. La prima volta che avevo visto con i miei occhi la mostra dedicata a Captain America, ero poco più che una bambina e l’ala a lui dedicata non era stata ancora sistemata, non del tutto. Oggi, ad anni di distanza quel posto aveva assunto un aspetto diverso ma non aveva perso la sua magia, brulicando continuamente di persone. Non ricordavo più quante volte avevo fatto la fila per entrare e, anno dopo anno, diventava sempre più difficile mimetizzarsi tra i bambini. Una volta avevo persino tentato di prendere per mano il primo ragazzino che mi capitava a tiro, così, giusto per non sentirmi fuori posto. Quel tentativo era fallito miseramente, ma la verità era che – adulta o meno – quello era, in assoluto, il mio posto preferito.

Pensandoci non sarebbe stato poi così catastrofico morire lì dentro, insomma, c’erano posti peggiori in cui morire, no?

Per lo meno era quello che mi continuavo a ripetere mentre vagavo per i lunghi corridoi del museo. Quella volta non avevo perso tempo a soffermarmi su ogni dettaglio di ogni teca ma mi ero diretta – spedita – in direzione dell’unica che, quel giorno, mi interessava.

A voler essere precisi, non era la teca in sé che mi interessava ma la figura in giacca di jeans e cappellino calcato sulla testa. Non era stato difficile capire di chi si trattava. Gli si era creato un piccolo vuoto tutto intorno come se – inconsapevolmente – le persone avessero recepito, a pelle, di dover restare a un passo di distanza.
Una specie di tacita legge scritta chissà dove che io avevo prontamente deciso di ignorare, facendo così un passo avanti. Coraggiosamente mi ero sistemata al suo fianco sbirciando nella sua direzione con la coda dell’occhio. Lui era rimasto immobile, lo sguardo fisso davanti a sé su quella delicata scritta bianca. Vorrei poter dire di essere rinsavita all’ultimo momento ed essermi allontanata con la nonchalance che mi contraddistingueva, ma la realtà dei fatti è che sono rimasta lì fino a quando la mia bocca non aveva preso l’iniziativa di parlare.

Speravo di trovarti qui…

D’accordo, non era stata di certo la frase migliore del mio repertorio. Neanche nei film di serie B erano caduti così in basso, ma a mia discolpa ho da dire che in quel momento ero stata colpita da una botta di panico improvvisa – sempre meglio tardi che mai.

Avevo visto il suo sguardo spostarsi lentamente nella mia direzione e, per un attimo ho pensato: ecco ci siamo, questo è il momento in cui la mia vita finisce. Poi, però, il suo sguardo era volato oltre la mia spalla alla ricerca di qualcosa e, per un secondo – uno soltanto – avevo tirato un sospiro di sollievo.

Un attimo, appunto.

Il mondo ha iniziato a muoversi un po’ più velocemente quando lui mi ha afferrato per il braccio e trascinato via. Inutile elencare tutti i possibili scenari sanguinari che la mia mentre era riuscita a elaborare in quella manciata di secondi. Tutto era stato, però, spazzato via nel momento in cui mi ero ritrovata – spalle al muro – a fissare i suoi occhi. Cavolo, erano più azzurri dei miei.

Tu chi sei? Mi aveva chiesto tendendo il braccio bionico sul muro, la sua mano a qualche centimetro dalla mia testa.

Tutta quella strada per cercare una persona per poi sentirsi chiedere chi fossi – la storia della mia vita, in poche parole. Sollevai gli occhi al cielo ripetendomi mentalmente che me l’ero cercata, alla fine dei conti.

Eleanor. Un’amica di Steve…

Avevo risposto semplicemente rendendomi conto, troppo tardi, che avevo decisamente scelto le parole sbagliate per descrivermi. Mi era uscito spontaneo dire una cosa del genere così come a lui era riuscito spontaneo irrigidirsi.

Beh, non proprio amica amica… conoscente? Probabilmente neanche lui si ricorderà di me, pensandoci. Ok, posso ricominciare da capo? Avevo sputato fuori quelle parole così velocemente che ero stata costretta, poi, a prendere un bel respiro.

E’ qui?

Non aveva perso tempo in stupidi e inutili giri di parole, a differenza mia. In fondo che cosa mi sarei mai potuta aspettare?

No, sono venuta da sola. Nessuno sa che sono qui… e probabilmente non avrei dovuto dire una cosa del genere.

Dio, si poteva essere più idioti di così? E io che mi vantavo di aver visto sufficienti puntate di Criminal Minds da sapere come comportarmi in questi casi – dilettante. Era rimasto a fissarmi, lui, corrugando appena la fronte come se stesse cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle.

D’accordo, so che può suonare leggermente assurdo e lo è, ma non sono qui per fare la spia o trascinarti via con la forza… insomma, mi hai vista?

Avevo sussurrato indicando me stessa che in confronto ero un vero e proprio scricciolo. Doveva essersene accorto anche lui dato che, lentamente, aveva indietreggiato di un passo lasciandomi un po’ di libertà di movimento, ma non la possibilità di scappare.

So cosa significa vedere la propria realtà sgretolarsi e restare completamente soli. Fa paura, ma il mio mondo è abbastanza grande da poter contenere anche te, se tu ne avessi bisogno…

Non avevo mai immaginato che, un giorno, quelle parole  – ancora impresse nella mia mente di bambina – sarebbero sgorgate fuori da vecchie ferite. Erano rimaste lì in sospeso, in attesa del momento per venire fuori e, alla fine, lo avevano fatte con la forza di un fiume in piena.

Qualcuno doveva pur dirtelo.

Avevo poi sussurrato nel vederlo immobile davanti a me. Mi sbagliavo, le situazioni possono sempre peggiorare anche quando crediamo che più in basso di così non si può andare.

Ok, non per rovinare il momento, ma… hai intenzione di uccidermi? Perché non sarebbe davvero carino da parte tua dopo quello che ho detto e vorrei, davvero, essere positiva ma sai tutto questo silenzio… è davvero pesante. La pausa a effetto è passata, tipo un minuto fa quindi potresti che ne so, dire qualc…

Smettila di parlare!

Mi aveva zittito. Sì, il Soldato d’Inverno – l’assassino più pericoloso dell’ultimo decennio – mi aveva zittito e non ero ancora certa se partire con una ola o meno, dipendeva se quello significava che sarei potuta tornare a casa con le mie gambe o non tornarci proprio. Giusto per andare sul sicuro, però, avevo finito per serrare le labbra talmente tanto forte da sbiancare quasi la pelle.

Va via da qui. Non ho bisogno del tuo aiuto.

Lo aveva detto con un filo di voce, quasi per paura di quello che sarebbe potuto succedere se avesse parlato con un tono normale. Io, dal canto mio, avevo cercato di dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma prima ancora che ne avessi avuto la possibilità, lui si era allontanato verso la folla venendo risucchiato da essa.

Ed era così che era terminata la mia avventura con il Soldato d’Inverno – veloce come un temporale estivo.
 

 

*** 



 
Trepidante, avevo atteso il fatidico momento in cui, il professore ormai stanco, non avesse notato l’orario e si fosse deciso a finire lì la lezione per quel giorno. Ci aveva impiegato più tempo del solito, ma quando aveva – finalmente – detto di aver terminato un senso di sollievo aveva finito per invadermi il corpo.

E, per quanto fossi incredibilmente assonnata, avevo raccattato tutte le mie cose ed ero schizzata fuori dall’aula – letteralmente. Poco ci era mancato che fossi finita addosso a Tim – uno dei miei compagni di corso.

Ehi, Lenny dove vai così di corsa? Mi aveva chiesto aiutandomi a mantenermi in equilibrio.

A casa. Nel mio letto. A dormire. Ne ho bisogno.

Tim aveva sorriso di quella pessima imitazione di un robot, regalandomi un buffetto scherzoso sulla guancia.

Non ti trattengo oltre, ma ricordati che sabato abbiamo la serata cinema e niente scuse di tu che salvi il mondo, perché non ci credo!

Mi ero ritrovata ad annuire, se solo avesse saputo che quella mezza storia che gli avevo raccontato era vera…

Un sorriso spontaneo sbocciò sulle mie labbra a quel pensiero e – sollevato il braccio – avevo finito per salutarlo, senza impedirmi dal fargli la linguaccia. Una dodicenne intrappolata nel corpo di una ventiquattrenne, ormai non vi era più alcun dubbio.

Scossi la testa divertita quando voltandomi – distratta – non avevo finito per scontrarmi contro qualcuno. La presa sui libri che stringevo al petto finì per allentarsi con il contraccolpo, facendo scivolare tutto al suolo.

Mi spiace, non guardavo dove stavo andando…

Mortificata, mi piegai velocemente per cercare di raccogliere le mie cose seguita a ruota dallo sconosciuto su cui ero finita addosso.

Grazie, ma non c’è bisogno…

Mi affrettai  a dire quando non lo vidi afferrare uno di quei libri e porgermelo con la sua mano sinistra, lasciando che il metallo spiccasse sotto la luce del sole.
 

 




 

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NdA:

Ed eccomi qui con il primo capitolo. Volevo ringraziare le persone che si sono fermate a leggere, e spero che continuerete a seguirmi in questa piccola avventura. Sono molto soddisfatta di quello che è uscito fuori, il che - conoscendomi - è un miracolo quindi spero davvero di non deludere le vostre aspettative. Ci tenevo a precisare che gli eventi di questa storia si svolgono ovviamente dopo CTWS, e che seguirò il filone dei film. Un ultima cosa prima di salutarvi, la storia è già completa si tratta solo di revisionare e coreggere quindi non dovrete aspettare in eterno. Ciò nonostante ho deciso di pubblicare una volta alla settimana, solitamente mercoledì eccetto imprevisti. Oggi ho fatto un piccolo strappo alla regola visto che il prologo era un pochino scarno e questo capitolo era già pronto. 

Al prossimo capitolo, 
- LadyBones.


 

   
 
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