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Autore: MichBlackRoyal    10/05/2016    2 recensioni
"Quest'oggi Mister K[...] è tragicamente scomparso in un incidente[...]."
"Perso...e se fosse stato così? Io senza di lui sono perso."
{Testo in prima persona}
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Non l'avrei mai più rivisto"

 

“Quest'oggi Mister K..”


Sobbalzai.


“...allenatore della Orpheus, la squadra dell'Italia, è tragicamente scomparso in un incidente.”

Fui incapace di reagire e di pensare. Ciò che avevo appena sentito era vero?


“Mister K era stato in passato anche l'allenatore della squadra di calcio Teikoku Gakuen.”

 

Deglutii. 

 

“...Aveva sempre portato le sue squadre ad altissimi livelli di gioco..’’

 

Sorrisi.
Ma no, non poteva essere vero. Era impossibile. Doveva essere per certo una delle solite notizie fasulle create ad hoc e messe in circolazione da lui stesso. Forse.
Spostai lo sguardo dallo schermo del televisore e risolvi lo sguardo ai miei amici. I loro volti esprimevano preoccupazione.


“Andiamo, non crederanno davvero che un uomo come lui sia ..’scomparso tragicamente’ sul serio?”


No, non poteva essere così, no.
Sorrisi.
Io lo conoscevo. Una tal cosa era impensabile.

Conoscevo quell’uomo. Quell’uomo doveva essere ancora in vita. 

 

«Ehi Kidou, tutto bene?» La voce di Endou mi riportò alla realtà.
«Eh? Ah... sì, tutto a posto.»
«Sicuro?» insistette lui, visibilmente preoccupato «Sembravi perso nel vuoto... Senti, perché non-»
«Ti ho detto che è tutto a posto, Endou.» ribattei stizzito, ma sforzandomi di accennare un sorriso per non dare adito alla sua preoccupazione.

Perso? Io? Suvvia, era impossibile.

«Se lo dici tu... Allora, vieni?»

Perso... E se fosse stato così?


«Kidou?»

«Arrivo, arrivo. Andate, vi raggiungo fra 5 minuti.» risposi sorridendo per rassicurarlo.

«Sicuro?... Beh, allora ci vediamo dopo!» 

 

Endou uscì dalla porta, seguito dagli altri ragazzi.

Rimasi solo in quella stanza, che si faceva sempre più piccola e buia.
Venni di nuovo risucchiato in un vortice di pensieri, dubbi, preoccupazioni. Le parole del telegiornale e quelle di Endou riecheggiavano nella mia testa, tormentandomi.


«Perso... e se fosse così? Io senza di lui sono perso.» riflettei ad alta voce.

 

“L'hai capito, finalmente. Era ora.”

 

Sobbalzai, mi girai e mi guardai attentamente attorno. Quella voce... io la conoscevo bene. «Dove sei?!» chiesi al vuoto, ma non ottenni risposta. Non c'era nessuno. Solo io. Che stupido, persino le allucinazioni si prendono gioco di me. Feci comunque un altro tentativo. 

«Rispondi!» 

 

“Sono qua.” 

 

Mi voltai. Non c'era nessuno. «Smettila di prendermi in giro, esci fuori!» urlai. 

 

“Ma come siamo diventati aggressivi..” Sentii la sua risata. Il suo ghigno suonava così famigliare alle mie orecchie.

Stavo incominciando a sudare freddo, ad agitarmi sempre di più, a perdere la calma.
Un soffio sul collo mi fece rabbrividire.
Deglutii. 

Sentivo la sua assente presenza. Non me ne sarei mai liberato.

Sentii qualcuno toccarmi la spalla, mi voltai per l'ennesima volta, ma non vidi nessuno.

«Dimmi dove sei!» urlai nuovamente. Chiunque riesca a sentirmi urlare da questa stanza, deve avermi preso per pazzo.

La sua risata mi gelò il sangue nelle vene. Poi lo vidi (o meglio, credetti di averlo visto), gli corsi incontro infuriato, deluso, triste «Perché non mi lasci in pace?!» gli chiesi, 

afferrandolo per il bordo della giacca.
 

Non rispose. «Rispondi!» Sentii ancora il suo ghigno, lo guardai in faccia, negli occhi, e fui preso

da un tremito improvviso.

Ero arrabbiato e deluso.

Iniziai allora a tirare dei pugni contro il suo petto, ma nel momento esatto in cui lo feci, mi ritrovai a

prendere a pugni l'aria.

Mi mancava il fiato, mi dovevo calmare.

Una persona non poteva avere così tanto controllo e influenza su di me.

Non poteva controllarmi e rovinarmi a tal punto.

Finalmente se n'era andato, e allora perché lo percepivo ancora la sua presenza?

La consapevolezza del fatto che non me ne sarei mai liberato davvero generava in me emozioni contrastanti, frustrazione e sollievo, rabbia e felicità.

Mi girava la testa, la mia vista e il mio cervello si annebbiarono nel giro di pochi secondi, mi sedetti, o per meglio dire mi accovacciai, sul pavimento di quella stanza, che ora mi sembrava ridottasi a una claustrofobica scatola sempre più piccola. Ero debole. Poi, improvvisamente, lo spazio a me circostante si illuminò.

Alzai il capo e fui accecato dalla luce.

Misi un braccio davanti agli occhi lacrimanti per proteggerli.

Dove mi trovavo?

Non riuscivo a distinguere nulla, solo il nulla, un nulla bianco ed accecante.

Successivamente, minuto dopo minuto, i contorni di ciò che mi circondava si fecero più nitidi. Dominavano due colori: il verde del prato e l'azzurro tenue del cielo. Mi trovavo in ginocchio.

 

“Ci rivediamo, Kidou.”

 

Riconobbi la sua voce, ancora, per l'ennesima volta in quella giornata.

Nonostante fossi confuso, ebbi il coraggio di ribattere «Fatti vedere, ti prego!» E allora lo vidi,

ancora.

«Dove mi hai portato?» gli chiesi.

Lui non mi rispose, si limitò a sorridermi.

Rimasi sorpreso da quel sorriso. Perplesso.

«Rispondimi! Sono stanco di tutto ciò! Perché non mi lasci in pace? Sei veramente… tragicamente

scomparso, no?»

 

Poi abbassai lo sguardo ed allora il cuore mi balzò in gola.

Iniziarono a bruciarmi gli occhi e con essi anche il cuore.

Vidi la realtà dei fatti.

E la toccai. Con la mia pelle, con la mia mano.

Accarezzai il granito freddo della lapide, e con le dita ripassai ogni lettera incisa su una targhetta.

K, a, g, e, y, a, m, a. Poi ancora R, e, i, j, i.

 

E allora i miei occhi si riempirono di lacrime, e piansi.

Ero distrutto emotivamente, stremato fisicamente, confuso, angosciato. Ero triste ed avevo paura.

Mi sentivo così fragile e solo.

 

Era la piu grande delle contraddizioni: per tanti anni avevo cercato di liberarmi di lui, ma una volta raggiunto, seppur indirettamente, questo obiettivo, mi sentivo triste per la sua dipartita. Le lacrime scendevano senza mai fermarsi, mi rigavano le guance e cadevano sul granito della lapide.

 

Non sentivo nulla, se non il rumore del mio animo inquieto, sofferente, spossato.

Non mi riconoscevo, non potevo essere io. Non riconoscevo ciò che provavo, non capivo perché lo provavo.

 

Poi avvertii un tocco sul capo. Mi voltai e mi ritrovai la sua mano, leggermente tremante, sulla mia spalla. Posai lo sguardo su di essa e, voltato sempre verso la lapide, chiesi, con voce rotta dai singhiozzi:

«Perché mi hai abbandonato?» 

 

Che contraddizione, ancora!

Avevo a lungo desiderato di allontanarmi da lui ed in quel momento proprio io gli chiesi perché mi

avesse abbandonato. 

 

«Non lasciarmi... solo» sussurrai, singhiozzante. 

 

Che contraddizione, per l'ennesima volta!

Io lo abbandonai per primo e lo lasciai sprofondare da solo nell'ombra, ed in quel momento proprio

io ho avuto il coraggio di dirgli una cosa simile.

Mi accarezzò una guancia.

Sussultai. Lo guardai finalmente negli occhi.

Lui fece lo stesso e mi sorrise ancora.

Sogno o incubo che fosse, non volevo finisse. 

Lo guardai negli occhi, le guance completamente bagnate dalle lacrime.

Poi si mosse, aprì le braccia e cercò di abbracciarmi.

Vittima di dolorosi ricordi passati, istintivamente mi scansai. «Non osare toccarmi» riuscii a dire, con voce flebile.

Lui sorrise ancora, questa volta tristemente.

E allora non resistetti più, sentii il cuore scoppiare, mi lanciai verso di lui e lo abbracciai, come mai

avevo fatto in vita mia.

Lui ricambiò, avvolgendomi con le sue braccia forti e rassicuranti. Le stesse braccia che mi

avevano rassicurato quando ero piccolo.

E in quell'abbraccio tante cose erano contenute. Tanti sentimenti, e pensieri che erano stati rinchiusi e sigillati nel cuore di entrambi e che

nessuno dei due era mai stato capace di esprimere e rivelare all'altro.

Proprio come un bambino nelle braccia del padre, mi trovavo tra le braccia di quest'uomo, scoppiando in un pianto dirotto.

La sua mano mi accarezzava il capo, come per rassicurarmi.

Le mie lacrime bagnavano i suoi vestiti, mentre le sue bagnavano i miei capelli.

...Le sue?

Alzai lo sguardo e lo vidi piangere per la prima volta in vita mia.

Nel mentre mi sorrideva, come per incoraggiarmi, sostenermi, rassicurarmi.

Mi strinse ancora a sé, accarezzandomi i capelli. 

 

«Ti voglio bene, Kidou.» mi sussurrò con voce leggermente tremante.

E allora dissi ciò che non avrei mai pensato in vita mia di dire.

 

«Anche io ti voglio bene.» E lo abbracciai più forte, donandogli tutto l'affetto che potevo

trasmettergli attraverso quella stretta.

 

Non l'avrei mai più rivisto.

    

   
 
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