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Autore: MadAka    10/05/2016    1 recensioni
Logan Jackson Miller – a tutti noto come Jack – è un personaggio tormentato. Dipendente da droghe, omosessuale, con una vita sentimentale complicata e con un progetto che desidera portare a termine fin troppo ardentemente. Un ragazzo destinato all’autodistruzione.
A impedire che ciò accada – facendolo a sua stessa insaputa – c’è Riley, la ragazza della porta accanto.
Un’amicizia forte la loro, un legame saldo, che in un momento di duplice debolezza si incrina profondamente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Per Jack non era insolito aggirarsi per Washington alle due di notte passate, il livello dell’alcol più alto del normale e un corpo che seguiva gli ordini dati da una mente che ragionava con confusa lucidità.

Connor abitava piuttosto distante da casa di Jack. Il giovane aveva camminato per una buona mezz’ora dopo essere uscito dal pub prima di raggiungere il palazzo in cui il fratello aveva un ampio appartamento condiviso con la compagna. Si era trovato davanti alla porta di casa senza neanche rendersi conto che l’ingresso del condominio era aperto, tre piani più in basso. Prese a bussare alla porta con insistenza, aspettando che qualcuno gli aprisse.

Connor spalancò la porta poco tempo dopo e Jack quasi precipitò nella stanza.

«Oh, ehi. Ciao» farfugliò, voltandosi per vedere in faccia il fratello. Quest’ultimo richiuse la porta e incrociò le braccia sul petto, guardando Jack di sbieco; non sembrava sorpreso di trovarselo davanti. Amber, la compagna di Connor, comparve sulla soglia della camera da letto.

«Ciao» disse Jack come la vide. «Non vi ho disturbati, spero» chiese, rivolgendosi nuovamente al fratello.

Fu Amber a rispondergli, gelida: «Sono quasi le tre di notte. Vedi tu se ci hai disturbati o meno.»

Un sorriso divertito si fece strada sulle labbra del ragazzo. «Scusate, sono venuto qui senza pensarci. Devo parlarti, Connor.»

Connor scoccò uno sguardo alla compagna, che subito capì e rientrò in camera da letto, richiudendosi alle spalle la porta. Il ragazzo tornò a concentrarsi su Jack. «Che cosa c’è ora?» chiese serio. Pareva essere abbastanza indispettito dall’improvvisata del fratello in casa propria, nonostante non fosse la prima.

Jack non fece caso al tono usato da Connor. «Si tratta del night. Non riesco a darmi pace» disse, passandosi le mani fra i capelli.

«Beh, forse dovresti. I nostri genitori sono stati piuttosto chiari. O trovi i soldi da solo o rinunci al progetto. E conoscendoti puoi già rinunciare.»

Jack lo guardò, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Perché tu non puoi aiutarmi?»

«Io? Mi prendi in giro? Jack è un investimento troppo importante. Non sono sicuro di volerlo fare. Senza contare che nostro padre si infurierebbe con entrambi.»

Connor cominciava a irritarsi. Avevano già parlato dell’argomento in un paio di occasioni e lui aveva preso le distanze dal progetto del fratello, un po’ perché voleva che Jack se la cavasse da solo e un po’ perché non era certo di volersi impegnare nell’apertura di un night club, anche se si trattava solo di metterci i soldi.

Jack andò a sedersi sul divano, sistemandosi sul bracciolo, il corpo rivolto al fratello che era ancora in piedi accanto alla porta, con le braccia incrociate. Sospirò, scuotendo la testa. «Non mi importa. Gli passerà quando vedrà che tengo davvero a quel posto. Senti, so di essere un disastro per la maggior parte del tempo, ma voglio davvero fare questa cosa.»

Continuava a inumidirsi le labbra con la punta della lingua, le mani che si tormentava a vicenda e lo sguardo lucido. D’improvviso, però, parve essere perfettamente consapevole di ogni parola che usciva dalla sua bocca, come se il troppo alcol che aveva bevuto nell’arco della sera fosse improvvisamente evaporato via. «È la mia occasione, quella che mi permetterebbe di dare un senso alla mia vita, di non sprecare le mie giornate a bere e a mandare a monte tutte le buone intenzioni che ho sempre quando esco dalla comunità.»

Connor inarcò le sopracciglia, una risata sarcastica uscì leggera. «E per fare questo apriresti un night club? Ti rendi conto di che controsenso stai parlando?»

«Vuoi che apra una libreria? La farei morire dopo una settimana» fu la replica, pronta e sincera, di Jack. «Un night club è il mio ambiente, un posto in cui ci sto bene. Qualcosa a cui non permetterei mai di andare in rovina. Voglio offrire un posto nuovo a questa città e farei il possibile perché il nome della nostra famiglia figuri al meglio.»

Distolse lo sguardo un momento. «Mi serve qualcosa che mi permetta di mettermi in gioco veramente. Qualcosa che mi tenga concentrato e determinato, che mi faccia capire che posso riuscire in qualcosa. Che mi dia un senso.»

Connor rimase a guardarlo, immobile. La determinazione di cui erano cariche le parole che il fratello aveva appena pronunciato era evidente. Cominciò a chiedersi in che modo lo avrebbe potuto aiutare che non fosse il finanziamento per il night club e non trovò una risposta. Jack aveva già avuto più occasioni di dare una svolta alla propria vita ma non ne aveva mai usata seriamente nemmeno una. Più volte aveva mandato tutto all’aria abbandonandosi ai vizi che, Connor, sapeva possedere. Tuttavia in tutte quelle occasioni non aveva mai pronunciato parole simili, talmente sincere che sembrava impossibile potessero essere uscite dalla bocca di Jack nello stato in cui si trovava in quel momento.

Connor prese una lunga boccata d’aria, ripensando a ciò che il fratello gli aveva appena detto. Alla fine si decise a fidarsi di lui un’ultima volta. «D’accordo, ti darò i soldi» disse.

Jack si alzò immediatamente dal divano, un sorriso raggiante in volto, per poter andare ad abbracciare il fratello. Quest’ultimo, però, lo fermò con un eloquente gesto della mano. «Non fraintendere. È solo un prestito e fino a che non avrai ripagato il debito, metà dell’incasso della serata rimane a me. E non diremo ai nostri genitori che i soldi te li ho dati io, intesi?»

Jack annuì, il suo sorriso non ne voleva sapere di spegnersi. Connor gli aveva appena spianato la strada. Finalmente poteva dare vita concreta al suo progetto. La sua grande occasione era arrivata. Andò ad abbracciare il fratello, infischiandosene delle leggere proteste che si alzarono da parte di quest’ultimo. Connor si liberò dalla stretta e guardò l’altro, severo. «Ho la tua parola che questo è ciò che vuoi veramente?» domandò.

Il ragazzo annuì, deciso. Connor gli scoccò un’ultima occhiata, più lunga e inquisitoria delle precedenti, infine sospirò. «Va bene» concluse. Si passò una mano sul viso, avvicinandosi al telefono. «Ora però è meglio se torni a casa. Ti chiamo un taxi.»

 

*

 

Grazie a Connor Jack poteva finalmente concentrare buona parte delle sue giornate a perfezionare il progetto del night club. Le carte su cui segnava nomi, appunti, fornitori e dettagli continuavano ad aumentare. La cosa fu notevolmente d’aiuto al ragazzo, che grazie a ciò aveva avuto la possibilità di concentrarsi su qualcosa in modo da allontanare dalla mente il ricordo di Louis.

Il modo in cui l’uomo se ne era andato continuava a essere un tormento. Jack non era ancora riuscito a superare la cosa. Ogni volta che ci ripensava un forte senso di vuoto lo invadeva e il ricordo del gesto che aveva compiuto con la speranza di risolvere la sua situazione lo faceva sentire terribilmente sbagliato.

Quando si rese conto di star pensando nuovamente a Louis, nonostante fosse piegato sui suoi appunti per il night nel proprio appartamento, si sentì sopraffare da un’irritazione crescente. Cercò di pensare ad altro, tornando a concentrarsi sui suoi schemi, ma la penna prese a scorrere sulla carta con rabbia. Lasciò perdere ciò che stava facendo e si alzò, prendendo a camminare nervosamente nel soggiorno dell’appartamento, in quel momento fattosi improvvisamente troppo piccolo. Odiava essere in quello stato, non riusciva a sopportarlo.

Afferrò il cellulare, scorrendo la rubrica forsennatamente. Appena trovò il numero che stava cercando si calmò un momento, dopodiché scrisse in fretta un messaggio, inviandolo. Sapeva che gli sarebbe bastato aspettare un po’ prima di avere il modo di levarsi dalla mente Louis, almeno per quella notte. Nathan stava arrivando e Jack sapeva che aspettava da tempo di poter diventare la persona in grado di fargli dimenticare i problemi. Lo aveva capito già dal loro primo incontro nella comunità in cui aveva trascorso le sue giornate mesi prima. Per uno abituato a notare i dettagli come lui furono piuttosto evidenti le occhiate che Nathan gli lanciava, così come il modo in cui non allontanava il suo sguardo ogni volta che Jack cominciava a raccontare delle sensazioni provate prima e dopo una ricaduta nell’abisso della droga. Era stato proprio Nathan a trovarlo e contattarlo dopo che lui aveva smesso di partecipare alle sedute ed era stato sempre Nathan a fargli capire che avrebbe dato qualsiasi cosa per condividere con Jack i piaceri di un rapporto. Poteva essere la sua metà o il suo diversivo e nello stato in cui il ragazzo si trovava in quel momento ciò di cui aveva più bisogno era proprio un diversivo.

I minuti trascorsero lenti. Jack continuava a cercare modi per allontanare i pensieri peggiori e più fastidiosi e ci riuscì a malapena anche quando si sedette al pianoforte per suonare qualcosa.

Finalmente il campanello suonò. Il ragazzo si alzò rapidamente dalla sua postazione e andò ad aprire. Si trovò davanti Nathan, concentrato a scorrere gli occhi sullo schermo del suo smartphone. Era coetaneo di Jack e non era cambiato affatto dal loro ultimo incontro. I capelli erano freschi di rasatura, corti e castani e il volto coperto da una barba non troppo lunga e perfettamente curata.

«Sono venuto appena ho visto il messaggio» esordì Nathan, alzando solo in quel momento lo sguardo. Quando i suoi occhi nocciola incontrarono lo sguardo grigio-azzurro dell’altro – nervoso e risoluto – l’espressione di Nathan si fece incredula. Non gli sembrava vero di avere davanti Jack in quelle fattezze perfette.

«Ti stavo aspettando» fu la risposta di Jack, che afferrò il ragazzo per la giacca e lo trascinò in casa, baciandolo prima ancora di chiudergli la porta alle spalle.

Fu immediatamente un cercarsi reciproco e febbrile. Complice l’incredulità che lo stava ancora invadendo, Nathan finì in fretta vittima del desiderio. Non era passato molto tempo dal primo contatto che già le labbra di entrambi si erano schiuse per permettere alle loro lingue di incontrarsi. Fra i due quello che pareva avere più fretta era Jack. Trascinò Nathan fino al divano – da sempre preferito al letto per un amplesso – impedendo al ragazzo di interrompere il loro bacio, dopodiché gli bastò far scorrere verso il basso la zip della giacca per lasciargli intendere che voleva andare fino in fondo.

Nathan non avrebbe potuto chiedere altro. Lasciò cadere la giacca e subito la felpa la seguì. Quando entrambi rimasero con indosso la t-shirt si sfilarono da soli l’indumento, separandosi per la prima, vera, volta. Durò pochissimo. Tornarono a baciarsi nuovamente. Nathan poteva sentire la pelle liscia e fresca di Jack sotto le proprie dita. Le fece scorrere lungo la linea della schiena, a rincorrere le curve dei muscoli fino all’addome piatto. L’eccitazione in lui continuava a salire, così come il sospetto di stare semplicemente immaginando tutto. Si staccò da Jack un momento, ammirandone la figura prima di parlare: «Davvero?» disse, molto semplicemente.

«Che cosa?» domandò Jack, guardandolo con un sopracciglio inarcato, la testa leggermente inclinata di lato. Aveva un’espressione strafottente in viso ed era serio, quasi arrabbiato. Nathan sorrise a quella visione, rendendosi conto di essere maledettamente attratto da lui e finalmente in procinto di poterlo avere. Indicò Jack con un gesto della mano, partendo dalla punta dei capelli arruffati e scendendo fino ai piedi. «Questo. Lo stiamo davvero per fare?»

C’era una sfumatura eccitata nella sua voce, proprio come se non vedesse l’ora di iniziare, di avere la conferma che tutto era concreto e non una sottospecie di illusione.

Jack rilassò le spalle, l’incavo della clavicola si evidenziò. Schiuse le labbra, lo sguardo provocatorio sempre accentuato dal sopracciglio inarcato. Non allontanò un solo istante lo sguardo da quello di Nathan e quando prese parola per rispondere alla domanda del ragazzo – a suo parere insensata – la sua voce era bassa e allettante: «Credi che non abbia capito che vorresti venire a letto con me da quando ci siamo conosciuti in comunità?» chiese.

Per Nathan fu una sottile ed eccitante istigazione. Annuì ripetutamente con la testa, un lieve e ancora incredulo sorriso sulle labbra. «Sì» confermò.

Jack si avvicinò di un passo, con tutta la sicurezza che sapeva possedere. Nonostante fosse alto più di un metro e ottanta dovette alzare lo sguardo un po’ per guardare bene Nathan. «Beh, allora se ti tappi la bocca questa potrebbe essere la tua grande occasione.»

Quelle parole fecero scattare immediatamente Nathan. Lasciò da parte ogni dubbio, ogni sensazione con cui aveva raggiunto l’appartamento di Jack che non fosse il desiderio. Spinse l’altro indietro, facendolo ricadere sul divano. Jack non si scompose, né cambiò l’espressione che caratterizzava il suo viso in quel momento. Seguì con lo sguardo Nathan che si piegava su di lui, facendo scorrere le mani per un breve momento sulla sua vita così che potessero raggiungere in fretta il bottone della patta dei jeans di Jack. Per quest’ultimo fu la cosa più semplice del mondo lasciarsi andare.

Rabbia e frustrazione lo avevano invaso rapidamente solo svariati minuti prima, mentre il ricordo di Louis si era ripresentato per l’ennesima volta. Per uscire da quel vortice di sensazioni avvilenti – mai uguali ma sempre molto simili – in cui troppo spesso Jack si trovava incastrato, la cosa migliore che poteva fare era annullarsi completamente attraverso il piacere dato dai sensi o dai vizi. Quel pomeriggio aveva deciso che il modo migliore per annebbiare la propria mente era Nathan.

 

  
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