Per Jack non era insolito aggirarsi per
Washington alle due di notte passate, il livello dell’alcol più alto del
normale e un corpo che seguiva gli ordini dati da una mente che ragionava con
confusa lucidità.
Connor
abitava piuttosto distante da casa di Jack. Il
giovane aveva camminato per una buona mezz’ora dopo essere uscito dal pub prima
di raggiungere il palazzo in cui il fratello aveva un ampio appartamento
condiviso con la compagna. Si era trovato davanti alla porta di casa senza
neanche rendersi conto che l’ingresso del condominio era aperto, tre piani più
in basso. Prese a bussare alla porta con insistenza, aspettando che qualcuno
gli aprisse.
Connor
spalancò la porta poco tempo dopo e Jack quasi
precipitò nella stanza.
«Oh,
ehi. Ciao» farfugliò, voltandosi per vedere in faccia il fratello. Quest’ultimo
richiuse la porta e incrociò le braccia sul petto, guardando Jack di sbieco; non sembrava
sorpreso di trovarselo davanti. Amber, la compagna di Connor, comparve sulla
soglia della camera da letto.
«Ciao»
disse Jack come la vide. «Non vi ho
disturbati, spero» chiese, rivolgendosi nuovamente al fratello.
Fu
Amber a rispondergli, gelida: «Sono quasi le tre di notte. Vedi tu se ci hai
disturbati o meno.»
Un
sorriso divertito si fece strada sulle labbra del ragazzo. «Scusate, sono
venuto qui senza pensarci. Devo parlarti, Connor.»
Connor
scoccò uno sguardo alla compagna, che subito capì e rientrò in camera da letto,
richiudendosi alle spalle la porta. Il ragazzo tornò a concentrarsi su Jack. «Che cosa c’è ora?» chiese
serio. Pareva essere abbastanza indispettito dall’improvvisata del fratello in
casa propria, nonostante non fosse la prima.
Jack non fece caso al tono usato da
Connor. «Si tratta del night. Non riesco a darmi pace» disse, passandosi le
mani fra i capelli.
«Beh,
forse dovresti. I nostri genitori sono stati piuttosto chiari. O trovi i soldi
da solo o rinunci al progetto. E conoscendoti puoi già rinunciare.»
Jack lo guardò, abbandonando le
braccia lungo i fianchi. «Perché tu non puoi aiutarmi?»
«Io?
Mi prendi in giro? Jack è un
investimento troppo importante. Non sono sicuro di volerlo fare. Senza contare
che nostro padre si infurierebbe con entrambi.»
Connor
cominciava a irritarsi. Avevano già parlato dell’argomento in un paio di
occasioni e lui aveva preso le distanze dal progetto del fratello, un po’
perché voleva che Jack se la
cavasse da solo e un po’ perché non era certo di volersi impegnare
nell’apertura di un night club, anche se si trattava solo di metterci i soldi.
Jack andò a sedersi sul divano, sistemandosi
sul bracciolo, il corpo rivolto al fratello che era ancora in piedi accanto
alla porta, con le braccia incrociate. Sospirò, scuotendo la testa. «Non mi
importa. Gli passerà quando vedrà che tengo davvero a quel posto. Senti, so di
essere un disastro per la maggior parte del tempo, ma voglio davvero fare
questa cosa.»
Continuava
a inumidirsi le labbra con la punta della lingua, le mani che si tormentava a
vicenda e lo sguardo lucido. D’improvviso, però, parve essere perfettamente
consapevole di ogni parola che usciva dalla sua bocca, come se il troppo alcol
che aveva bevuto nell’arco della sera fosse improvvisamente evaporato via. «È
la mia occasione, quella che mi permetterebbe di dare un senso alla mia vita,
di non sprecare le mie giornate a bere e a mandare a monte tutte le buone
intenzioni che ho sempre quando esco dalla comunità.»
Connor
inarcò le sopracciglia, una risata sarcastica uscì leggera. «E per fare questo
apriresti un night club? Ti rendi
conto di che controsenso stai parlando?»
«Vuoi
che apra una libreria? La farei morire dopo una settimana» fu la replica,
pronta e sincera, di Jack. «Un
night club è il mio ambiente, un posto in cui ci sto bene. Qualcosa a cui non
permetterei mai di andare in rovina. Voglio offrire un posto nuovo a questa
città e farei il possibile perché il nome della nostra famiglia figuri al
meglio.»
Distolse
lo sguardo un momento. «Mi serve qualcosa che mi permetta di mettermi in gioco
veramente. Qualcosa che mi tenga concentrato e determinato, che mi faccia capire
che posso riuscire in qualcosa. Che mi dia un senso.»
Connor
rimase a guardarlo, immobile. La determinazione di cui erano cariche le parole
che il fratello aveva appena pronunciato era evidente. Cominciò a chiedersi in
che modo lo avrebbe potuto aiutare che non fosse il finanziamento per il night
club e non trovò una risposta. Jack aveva
già avuto più occasioni di dare una svolta alla propria vita ma non ne aveva
mai usata seriamente nemmeno una. Più volte aveva mandato tutto all’aria
abbandonandosi ai vizi che, Connor, sapeva possedere. Tuttavia in tutte quelle
occasioni non aveva mai pronunciato parole simili, talmente sincere che
sembrava impossibile potessero essere uscite dalla bocca di Jack nello stato in cui si trovava
in quel momento.
Connor
prese una lunga boccata d’aria, ripensando a ciò che il fratello gli aveva
appena detto. Alla fine si decise a fidarsi di lui un’ultima volta. «D’accordo,
ti darò i soldi» disse.
Jack si alzò immediatamente dal
divano, un sorriso raggiante in volto, per poter andare ad abbracciare il
fratello. Quest’ultimo, però, lo fermò con un eloquente gesto della mano. «Non
fraintendere. È solo un prestito e fino a che non avrai ripagato il debito,
metà dell’incasso della serata rimane a me. E non diremo ai nostri genitori che
i soldi te li ho dati io, intesi?»
Jack annuì, il suo sorriso non ne
voleva sapere di spegnersi. Connor gli aveva appena spianato la strada.
Finalmente poteva dare vita concreta al suo progetto. La sua grande occasione
era arrivata. Andò ad abbracciare il fratello, infischiandosene delle leggere
proteste che si alzarono da parte di quest’ultimo. Connor si liberò dalla
stretta e guardò l’altro, severo. «Ho la tua parola che questo è ciò che vuoi
veramente?» domandò.
Il
ragazzo annuì, deciso. Connor gli scoccò un’ultima occhiata, più lunga e
inquisitoria delle precedenti, infine sospirò. «Va bene» concluse. Si passò una
mano sul viso, avvicinandosi al telefono. «Ora però è meglio se torni a casa.
Ti chiamo un taxi.»
*
Grazie
a Connor Jack poteva
finalmente concentrare buona parte delle sue giornate a perfezionare il
progetto del night club. Le carte su cui segnava nomi, appunti, fornitori e
dettagli continuavano ad aumentare. La cosa fu notevolmente d’aiuto al ragazzo,
che grazie a ciò aveva avuto la possibilità di concentrarsi su qualcosa in modo
da allontanare dalla mente il ricordo di Louis.
Il
modo in cui l’uomo se ne era andato continuava a essere un tormento. Jack non era ancora riuscito a
superare la cosa. Ogni volta che ci ripensava un forte senso di vuoto lo
invadeva e il ricordo del gesto che aveva compiuto con la speranza di risolvere
la sua situazione lo faceva sentire terribilmente sbagliato.
Quando
si rese conto di star pensando nuovamente a Louis, nonostante fosse piegato sui
suoi appunti per il night nel proprio appartamento, si sentì sopraffare da
un’irritazione crescente. Cercò di pensare ad altro, tornando a concentrarsi
sui suoi schemi, ma la penna prese a scorrere sulla carta con rabbia. Lasciò
perdere ciò che stava facendo e si alzò, prendendo a camminare nervosamente nel
soggiorno dell’appartamento, in quel momento fattosi improvvisamente troppo
piccolo. Odiava essere in quello stato, non riusciva a sopportarlo.
Afferrò
il cellulare, scorrendo la rubrica forsennatamente. Appena trovò il numero che
stava cercando si calmò un momento, dopodiché scrisse in fretta un messaggio,
inviandolo. Sapeva che gli sarebbe bastato aspettare un po’ prima di avere il
modo di levarsi dalla mente Louis, almeno per quella notte. Nathan stava
arrivando e Jack sapeva
che aspettava da tempo di poter diventare la persona in grado di fargli
dimenticare i problemi. Lo aveva capito già dal loro primo incontro nella
comunità in cui aveva trascorso le sue giornate mesi prima. Per uno abituato a
notare i dettagli come lui furono piuttosto evidenti le occhiate che Nathan gli
lanciava, così come il modo in cui non allontanava il suo sguardo ogni volta
che Jack cominciava a raccontare delle
sensazioni provate prima e dopo una ricaduta nell’abisso della droga. Era stato
proprio Nathan a trovarlo e contattarlo dopo che lui aveva smesso di
partecipare alle sedute ed era stato sempre Nathan a fargli capire che avrebbe
dato qualsiasi cosa per condividere con Jack i
piaceri di un rapporto. Poteva essere la sua metà o il suo diversivo e nello
stato in cui il ragazzo si trovava in quel momento ciò di cui aveva più bisogno
era proprio un diversivo.
I
minuti trascorsero lenti. Jack
continuava a cercare modi per allontanare i pensieri peggiori e più fastidiosi
e ci riuscì a malapena anche quando si sedette al pianoforte per suonare
qualcosa.
Finalmente
il campanello suonò. Il ragazzo si alzò rapidamente dalla sua postazione e andò
ad aprire. Si trovò davanti Nathan, concentrato a scorrere gli occhi sullo
schermo del suo smartphone. Era coetaneo di Jack e non
era cambiato affatto dal loro ultimo incontro. I capelli erano freschi di
rasatura, corti e castani e il volto coperto da una barba non troppo lunga e
perfettamente curata.
«Sono
venuto appena ho visto il messaggio» esordì Nathan, alzando solo in quel
momento lo sguardo. Quando i suoi occhi nocciola incontrarono lo sguardo
grigio-azzurro dell’altro – nervoso e risoluto – l’espressione di Nathan si
fece incredula. Non gli sembrava vero di avere davanti Jack in quelle fattezze perfette.
«Ti
stavo aspettando» fu la risposta di Jack, che
afferrò il ragazzo per la giacca e lo trascinò in casa, baciandolo prima ancora
di chiudergli la porta alle spalle.
Fu
immediatamente un cercarsi reciproco e febbrile. Complice l’incredulità che lo
stava ancora invadendo, Nathan finì in fretta vittima del desiderio. Non era
passato molto tempo dal primo contatto che già le labbra di entrambi si erano
schiuse per permettere alle loro lingue di incontrarsi. Fra i due quello che
pareva avere più fretta era Jack.
Trascinò Nathan fino al divano – da
sempre preferito al letto per un amplesso – impedendo al ragazzo di
interrompere il loro bacio, dopodiché gli bastò far scorrere verso il basso la
zip della giacca per lasciargli intendere che voleva andare fino in fondo.
Nathan
non avrebbe potuto chiedere altro. Lasciò cadere la giacca e subito la felpa la
seguì. Quando entrambi rimasero con indosso la t-shirt si sfilarono da soli
l’indumento, separandosi per la prima, vera, volta. Durò pochissimo. Tornarono
a baciarsi nuovamente. Nathan poteva sentire la pelle liscia e fresca di Jack sotto le proprie dita. Le fece
scorrere lungo la linea della schiena, a rincorrere le curve dei muscoli fino
all’addome piatto. L’eccitazione in lui continuava a salire, così come il
sospetto di stare semplicemente immaginando tutto. Si staccò da Jack un momento, ammirandone la
figura prima di parlare: «Davvero?» disse, molto semplicemente.
«Che
cosa?» domandò Jack,
guardandolo con un sopracciglio inarcato, la testa leggermente inclinata di
lato. Aveva un’espressione strafottente in viso ed era serio, quasi arrabbiato.
Nathan sorrise a quella visione, rendendosi conto di essere maledettamente attratto
da lui e finalmente in procinto di poterlo avere. Indicò Jack con un gesto della mano,
partendo dalla punta dei capelli arruffati e scendendo fino ai piedi. «Questo.
Lo stiamo davvero per fare?»
C’era
una sfumatura eccitata nella sua voce, proprio come se non vedesse l’ora di
iniziare, di avere la conferma che tutto era concreto e non una sottospecie di
illusione.
Jack rilassò le spalle, l’incavo
della clavicola si evidenziò. Schiuse le labbra, lo sguardo provocatorio sempre
accentuato dal sopracciglio inarcato. Non allontanò un solo istante lo sguardo
da quello di Nathan e quando prese parola per rispondere alla domanda del
ragazzo – a suo parere insensata – la sua voce era bassa e allettante: «Credi
che non abbia capito che vorresti venire a letto con me da quando ci siamo
conosciuti in comunità?» chiese.
Per
Nathan fu una sottile ed eccitante istigazione. Annuì ripetutamente con la
testa, un lieve e ancora incredulo sorriso sulle labbra. «Sì» confermò.
Jack si avvicinò di un passo, con
tutta la sicurezza che sapeva possedere. Nonostante fosse alto più di un metro
e ottanta dovette alzare lo sguardo un po’ per guardare bene Nathan. «Beh,
allora se ti tappi la bocca questa potrebbe essere la tua grande occasione.»
Quelle
parole fecero scattare immediatamente Nathan. Lasciò da parte ogni dubbio, ogni
sensazione con cui aveva raggiunto l’appartamento di Jack che non fosse il desiderio.
Spinse l’altro indietro, facendolo ricadere sul divano. Jack non si scompose, né cambiò
l’espressione che caratterizzava il suo viso in quel momento. Seguì con lo
sguardo Nathan che si piegava su di lui, facendo scorrere le mani per un breve
momento sulla sua vita così che potessero raggiungere in fretta il bottone
della patta dei jeans di Jack. Per quest’ultimo fu la cosa più semplice del
mondo lasciarsi andare.
Rabbia
e frustrazione lo avevano invaso rapidamente solo svariati minuti prima, mentre
il ricordo di Louis si era ripresentato per l’ennesima volta. Per uscire da
quel vortice di sensazioni avvilenti – mai uguali ma sempre molto simili – in
cui troppo spesso Jack si
trovava incastrato, la cosa migliore che poteva fare era annullarsi
completamente attraverso il piacere dato dai sensi o dai vizi. Quel pomeriggio
aveva deciso che il modo migliore per annebbiare la propria mente era Nathan.