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Autore: Little Redbird    10/05/2016    6 recensioni
Dannato vampiro. Non si aspettava che arrivasse a riscuotere il debito così presto. Già si pentiva di avergli chiesto in prestito il completo per il matrimonio.
Mini-Long di cinque capitoli, ambientata dopo la 1x12 e che non prende in considerazione la 1x13.
AU - più o meno.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Raphael Santiago, Simon Lewis
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Suit'
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4. Family
 

Sul tavolo che si estendeva lungo tutto un fianco del giardino erano stati sistemati piatti, bicchieri, ciotole, posate e cibo di ogni genere. La famiglia Santiago si affollava intorno al buffet, complimentandosi con le bocche piene e indicando i piatti forti.

D'istinto, Simon si fece più vicino a Raphael, timoroso di finire come quelle povere cosce di pollo, tra le grinfie di giovani che sarebbero potuti passare per lupi.

Raphael voltò la testa per guardarlo e sorrise. “Tutto normale” assicurò. “Basta aspettare che passino al barbecue.”

Simon annuì, acconsentendo al piano, ma passarono appena trenta secondi prima che Laura gli si parasse davanti e gli cacciasse in mano un piatto colmo di riso e verdure.

“La nonna ha detto che non mangi carne” gli disse sorridendo.

Simon sorrise di rimando. “Grazie” disse. “Credo sia troppo per me, però. Lo divideremo io e Rafi.”

Raphael sospirò, rassegnato a sentirsi chiamare con quel nomignolo per sempre – che, nel loro caso, era letteralmente per sempre; o almeno, fino a che non si fosse stufato e avesse ammazzato il ragazzo. Ponderò l'idea e sorrise tra sé.

Simon lo prese a braccetto – davanti a tutti, porca di quella miseria – e lo trascinò fino ad un tavolino libero in un angolo.

“Non fare lo stupido” gli sibilò, sedendosi al suo fianco.

Simon lo guardò confuso. “Che ho fatto, adesso? Ho appena salvato la tua giacca nuova dal sugo delle cosce di pollo” disse imbronciato.

Raphael lo guardò spazientito. “Parlo del nomignolo e del tuo toccarmi davanti a tutti” spiegò.

Simon si accigliò e si piegò verso di lui. “Devo o non devo essere il tuo fidanzato?”

“Sì, ma non farti prendere la mano. Non sei il mio tipo.”

“Io sono il tipo di tutti” ribatté seccato, e gettò un cucchiaio di riso tra l'erba dietro di lui.

Poco dopo, al loro tavolo si sedettero Laura, il suo ragazzo – Pedro? – e due loro amici.

Simon si sentì come ai ricevimenti della sua famiglia in cui veniva assegnato al 'tavolo dei giovani'. Questi giovani, però, erano simpatici. Erano una band, scoprì Simon. Laura era la cantante, Pedro il chitarrista, John stava alla batteria e Samuel alla pianola.

“Più tardi dovremmo suonare qualche pezzo” li informò Laura. “Nulla è più incoraggiante degli applausi della famiglia, a prescindere da quanto hai stonato” aggiunse con una risata.

Risero tutti con lei – perfino Raphael sorrise.

“Non vedo l'ora di ascoltarvi” disse sincero Simon.

“Lui se ne intende” s'intromise l'altro vampiro. “Anche Simon è in una band.”

Si voltò a guardarlo. Non aveva idea che Raphael sapesse del gruppo di svitati con cui suonava, men che meno si sarebbe aspettato qualcosa di simile a un complimento.

“Davvero?” domandò Pedro e il suo scetticismo lo ferì non poco.

Annuì sicuro. “Suono la chitarra.”

Il viso di Laura s'illuminò. “Devi suonare per me” ordinò.

“Non credo sia il caso” rifiutò.

“Ti prego. Una sola canzone” giurò lei.

Simon lanciò uno sguardo a Raphael per ricevere consiglio. Lui si strinse nelle spalle, indifferente.

“Va bene” promise, ma già se ne pentiva.

Il viso di Raphael si fece vicino al suo. “Ora ho anch'io qualcosa da raccontare quando saremo tornati” sussurrò.

Il suo alito gli solleticò l'orecchio e Simon si voltò per lanciargli un'occhiataccia, ma si trovò a pochi millimetri dal suo naso e perse il filo dei pensieri. Si limitò a schiudere le labbra e a sbattere piano le ciglia mentre cercava aria che non gli serviva.

Raphael si tirò indietro e si sistemò sulla propria sedia. Solo allora Simon si rese conto che per tutto il tempo il braccio di Raphael era rimasto disteso sul suo poggia-schiena.

Distolse lo sguardo, ma si trovò a fissare due occhi scuri quanto quelli che aveva appena lasciato andare. Manuel li stava osservando attentamente, il viso severo era corrucciato in un'espressione pensierosa.

Simon riportò lo sguardo su Laura.

Maledetto il vestito che aveva chiesto in prestito.

E maledette le promesse che faceva, dal fingersi il fidanzato di qualcuno a suonare per la famiglia di suddetto qualcuno.

Elena, la madre di Laura, si avvicinò al tavolo con un enorme sorriso, accennando qualche passo di danza, il seno prosperoso che ballava con lei.

“È ora di ballare!” li informò, stringendo le spalle della figlia per tirarla su.

Laura si lasciò trascinare via e gli altri membri della band la seguirono.

“Promesso?” domandò, voltandosi un'ultima volta verso il loro tavolo.

Suo malgrado, Simon annuì.

“È ancora valida la tua offerta di andarcene quando voglio?” domandò, senza girarsi a guardare Raphael.

Anche senza vederlo, sapeva che stava di nuovo sorridendo. “Non se ne parla” negò. “Adesso viene il bello.”

Simon si voltò appena in tempo per coglierlo a guardarlo con espressione indecifrabile.

La musica si fece più alta e i Santiago si riversarono al centro del giardino, spostando i tavolini e le sedie di plastica per poter ballare liberamente.

Simon osservò quel fiume di gente che si muoveva come una sola entità al ritmo della musica. Sorrise ai bambini che si muovevano sconnessi, ad alcuni degli adulti che non avevano idea di cosa stessero facendo e alle ragazze più giovani che si dimenavano come fossero al Pandemonium. Si voltò a sorridere anche a Raphael, per fargli sapere che quello era uno degli spettacoli migliori della sua vita – secondo solo a suo nonno ubriaco al suo Bar Mitzvah.

Raphael scrutò la sua espressione meravigliata per qualche secondo, poi lasciò che la bocca piena gli si stendesse in un sorriso – l'ennesimo di quella serata – e Simon si trovò a desiderare di poter essere davvero parte di quella famiglia.

Fu allora che Raquel, una bimba di cinque anni, una delle pro-pro-nipoti di Raphael, si avvicinò a loro e tese la mano al più grande dei vampiri.

Raphael esitò per lanciare un'occhiata a Simon, che li guardava incuriosito, ma scosse la testa e prese la bambina per mano per condurla tra la folla.

Simon cercò di non perderli di vista e focalizzò lo sguardo sul vestitino rosa della bimba. Raphael la fece girare due volte e la prese in braccio. Raquel strinse le braccia corte intorno al collo dello zio e affondò il viso nella sua spalla mentre lui faceva ruotare entrambi a velocità appena sopra quella umana.

Simon continuò a fissare la scena, estasiato dall'espressione di Raphael, che mormorava chissà cosa nell'orecchio della piccola.

Era davvero troppo per la sua sanità mentale – già dubbia in partenza. C'era qualcosa di pesante all'altezza del suo stomaco ed era sicuro che, se solo Raphael avesse continuato a sorride così, il suo cuore avrebbe ricominciato a battere.

Era nella merda. Fino al collo. Aveva una cotta per Raphael. E si stava fingendo il suo ragazzo davanti a tutta la sua famiglia. Era finito in una cazzo di commedia romantica.

Sussultò quando qualcuno si sedette nel posto lasciato libero da Raphael. E quando un Mondano coglie di sorpresa un vampiro, quel vampiro è fottuto davvero.

“Lei è la sua preferita” disse Nora con fare confidenziale.

Simon si voltò a guardarla, pregando che la sua cotta per Raphael non si vedesse troppo.

“Non è una cosa carina da dire, soprattutto quando hai tanti nipoti,” aggiunse la donna, “ma Raquel può chiedergli qualsiasi cosa.”

Simon rifletté un attimo sulle sue parole. “Ho il sospetto che non dovrebbe nemmeno chiedere.”

Nora sorrise. “Finalmente qualcuno che lo conosce.”

Simon si accigliò. Non era sicuro di conoscere Raphael, ma gli piaceva pensare che fosse sulla buona strada. E, soprattutto ora che riconosceva di avere una cotta per lui, ce l'avrebbe messa decisamente tutta.

“Tu non balli?” gli chiese allora Nora.

Simon sorrise e scosse brevemente la testa. “Ho promesso di suonare con Laura.”

Non era proprio una bugia. Anzi, era la verità, solo che era solo una parte. Il suo fidanzato era occupato a ballare con sua nipote e non gli avrebbe chiesto di ballare nemmeno dopo, probabilmente.

“Simon!”

La musica era finita e Laura lo chiamava dal microfono. Si voltarono tutti verso di lui, curiosi di scoprire in cosa si fosse cacciato.

Raphael sorrideva apertamente, Raquel ancora tra le sue braccia.

“Vieni a suonare” lo invitò Laura.

Simon si voltò a sorridere a Nora e si alzò per raggiungere la band sul palco improvvisato.

La ragazza lo accolse con un enorme sorriso, l'apparecchio che scintillava sotto le luci. “Che ne dici di Ed Sheeran?” domandò speranzosa.

Simon ci rifletté per qualche secondo. “Suppongo si possa fare” acconsentì.

Pedro gli passò la sua chitarra e Simon fece scivolare la fascia sulla schiena. Si sedette sullo sgabello al centro e aspettò che Laura sistemasse i microfoni.

Scrutò furtivo la folla, in cerca di Raphael e della piccola Raquel, ma non riuscì a vederli e suppose che fossero tornati a sedersi dall'altra parte del giardino.

I ragazzi del gruppo gli diedero l'ok e fece scorrere piano le dita sulle corde, in cerca degli accordi giusti.

I Santiago si fecero silenziosi e ognuno si avvicinò istintivamente al proprio partner – che fosse un amico, un fidanzato o un parente poco importava. Cominciarono a ballare solo dopo che Laura ebbe iniziato a cantare.

Simon rimase impressionato dalla sua voce.

Settle down with me. Cover me up. Cuddle me in.”

Elena già singhiozzava per la performance della figlia e alcune delle ragazze più giovani facevano da coro improvvisato.

Oh, ora riusciva a vedere Raphael. Aveva tolto la giacca e restava in maniche di camicia e panciotto. Si muoveva lentamente al ritmo delle note che scappavano dalle corde della chitarra, le braccia strette intorno a sua sorella.

Simon deglutì il groppo che minacciava di soffocarlo e distolse lo sguardo da quella scena così intima.

Incrociò gli occhi di Laura, che continuava a cantare con trasporto le parole di Kiss me.

Simon non conosceva nessuna di quelle persone, eppure sentiva di voler già bene a tutti. Si sentiva parte di quella gigantesca e chiassosa famiglia, anche se in realtà era tutta una farsa.

Con quel pensiero, la canzone terminò e la voce di Laura sfumò sulle ultime parole. I presenti applaudirono con entusiasmo e li incitarono per poter ascoltare un'altra canzone, ma Simon restituì la chitarra a Pedro e rimase tra i membri della band solo il tempo necessario a complimentarsi con loro. Si diresse al suo tavolo, interrotto ad ogni passo da qualcuno che si congratulava e alla fine si arrese a farsi trascinare verso il centro da quel mare di corpi, mentre un'altra canzone partiva dalle casse.

Si trovò a sbattere contro le spalle larghe di Raphael – aveva già accennato di essere finito in una fottuta commedia romantica, vero? –, che stava parlando in spagnolo con Nora, i toni abbastanza accesi, da quel che aveva potuto sentire.

“Scusami” mormorò, sicuro che l'altro l'avrebbe sentito comunque.

“È tutto tuo” disse Nora, allontanandosi con una mano sulla schiena e le gambe tremanti.

Simon si guardò in giro, erano circondati da coppie che dondolavano al ritmo della musica e della voce melodiosa di Laura.

“È brava” disse a Raphael, riferendosi alla ragazza.

Lui annuì in accordo. “Siete stati bravi” disse, le labbra sollevate appena in un accenno di sorriso.

Simon distolse lo sguardo. “Possiamo andare via, se vuoi.”

Raphael sembrò sorpreso. “Credevo volessi ballare.”

Il sorriso di Simon si fece più amaro. “Non mi ha invitato nessuno” mormorò.

Raphael alzò gli occhi al cielo e gli si avvicinò per prendergli una mano. “Non sei una tredicenne al ballo di fine anno” gli ricordò. “Sei in famiglia, puoi chiedere a chi vuoi.”

Simon gli strinse la mano. Gli aveva appena detto che faceva parte della famiglia?

Puoi chiedere a chi vuoi.

“Vuoi ballare?”

Gli aveva tolto le parole di bocca. Mentre lui raccoglieva il coraggio di chiedere a Raphael di ballare, l'altro lo stava già facendo.

Simon annuì, un sorriso imbarazzato sulle labbra. “Credevo non volessi.”

Raphael scosse le spalle e lo attirò a sé. “Ormai la mia reputazione è compromessa.” Gli strinse la mano e posò l'altra sul suo fianco e a lui non restò che posare la sua sulla sua spalla muscolosa.

Improvvisamente, toccare Raphael era un dramma. Tutte le cose su cui prima non rifletteva ora erano di vitale importanza: la sensazione della camicia sotto i polpastrelli, i muscoli che guizzavano ad ogni movimento, il profumo di dopobarba che non riusciva a coprire quello del sangue. Si sentiva stordito, quasi ubriaco, e Raphael non faceva nulla per alleviare quelle sensazioni. La mano che gli teneva sul fianco lo stringeva saldamente, ma il pollice accarezzava piano la stoffa della maglietta, e non aveva idea se fosse intenzionale o meno, ma lo mandava fuori di testa.

Si muovevano appena in quel fiume di corpi, dondolando lentamente a destra e sinistra e girando di tanto in tanto.

Le dita della mano che stringeva la sua scivolarono piano lungo il palmo, il polso e l'avambraccio, abbandonandolo per un solo secondo per poi posarsi sull'altro suo fianco. Lo tirò più vicino e Simon tremò contro il suo petto.

“Che cos'hai?” fu la domanda repentina di Raphael.

Simon si arrese al suo tocco e gli allacciò le mani al collo. “Niente” mentì, respirando una boccata del suo profumo.

La presa di Raphael si fece più salda, una silenziosa pretesa di spiegazioni.

“Mi manca la mia famiglia” disse Simon, e non era del tutto una bugia.

“Puoi andare a trovarli, se vuoi” lo rassicurò. “Sei stato bravo stasera.”

Simon strofinò la guancia contro quella di lui, in quello che sperava sembrasse un incidente. Quella era la sua unica opportunità di stare così vicino a Raphael senza temere di essere decapitato, e aveva intenzione di sfruttarla al meglio.

“C'è altro?”

Quella domanda rimase in sospeso per un po', il tempo necessario perché la canzone finisse e ne iniziasse un'altra. Quello fu il tempo che ci impiegò Simon a decidere di confessare.

“La tua famiglia mi piace” disse, come avesse avuto intenzione di cambiare argomento. “Mi fa venire voglia di restare con loro.”

Raphael nascose un sorriso nella sua spalla e Simon sentì le sue labbra piene attraverso la maglietta. “Non è tutti i giorni così” assicurò.

“Vorrei farne parte lo stesso” insistette.

Raphael sollevò il viso per guardarlo negli occhi. “Ne fai parte, in un certo senso” disse. “Il clan è la mia seconda famiglia, e di conseguenza fate tutti parte di questa. Anche se non vi porto ai compleanni” aggiunse con un sorriso.

Doveva davvero smetterla di sorridere così, se voleva che lui sopravvivesse.

“Raphael?” lo chiamò, come se non fossero a due centimetri di distanza.

“Mh?”

“Quanto sarebbe ridicolo se mi fossi accorto di avere una cotta per te?”

Raphael si fermò e si tirò indietro per guardarlo bene in viso. “Molto” disse soltanto.







 


AN:
Dunque. Simon ha confessato e Raphael non ne sembra contento.
Manca un solo capitolo, risolveranno? Chissà ƪ(˘⌣˘)ʃ

Questa volta ce l'ho fatta a resistere una settimana per l'aggiornamento, ché c'era una Event del WAOFP e ho scritto un mare di cose. In questi giorni vi inonderò la sezione (◕‿◕✿)

Red

 
   
 
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