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Autore: Laylath    11/05/2016    4 recensioni
Dal prologo:
"... Non lasciarmi!”
Quelle ultime due parole le procurarono un forte ed improvviso battito del cuore, risvegliandola bruscamente. Il buio era ancora attorno a lei, promessa di sicurezza ed oblio, ma qualcosa non andava.
Non riusciva più ad abbandonarsi ad esso come voleva.
Improvvisamente la sua memoria esplose di ricordi, di visi conosciuti, di voci che la chiamavano con insistenza...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 20
1914. Ordinary life




 
Act. 1: Lavoro
 
La pioggia era quella tipica di gennaio: insistente, fastidiosa e pesante. Sembrava avere come unico scopo quello di farti sentire un vero e proprio magone da cui non riuscivi a liberarti per tutto il giorno, del resto con un cielo perennemente cupo era difficile stare allegri. Tutta East City ormai da una settimana era imprigionata in quelle condizioni meteorologiche, tanto che ormai si vedevano solo poche persone uscire per le strade mezzo allagate, dove spesso i tombini non riuscivano a fare del tutto il loro dovere.
Le solite problematiche di una città che, per la maggior parte dell’anno, convive con un clima secco.
Tuttavia nessuno di questi pensieri passava per la mente di Riza in quella mattinata: i piccoli torrenti che correvano lungo i lati della strada erano considerati come non pertinenti, così come le gocce di pioggia che ogni tanto si infiltravano dal soffitto marcio dell’edificio abbandonato dove si trovava e cadevano a terra con un lento plic plic.
Lei era ferma all’angolo della finestra, immobile, con la pazienza di chi è abituato ad attendere la sua preda. Il fucile già carico era tenuto con mano salda e non importava se era puntato sulla strada da già un quarto d’ora.
Lei attendeva, lei ascoltava.
“Perché questi imbecilli dovevano scegliere proprio questo periodo per mettersi in moto? – la voce di Mustang sbuffò irritata nell’auricolare che la donna portava all’orecchio destro – pioggia… umido… come se non bastasse già il mal di testa che ho da ieri mattina.”
“Diciamo piuttosto che questo tempo non le garba perché sotto la pioggia la sua alchimia è inutile, colonnello – Breda intervenne con voce sarcastica, tanto che Riza poté quasi vedere il suo sorriso – e quindi ci tocca a fare tutto con i cari vecchi metodi tradizionali.”
“Non è una missione che richiede l’uso dell’alchimia, sottotenente, lo sai bene.”
“Oh, andiamo, signore! – Havoc fece da spalla al collega, nonostante fossero in due punti diversi del quartiere – sappiamo che a lei piace esibirsi di tanto in tanto. Comunque io qui ne ho due proprio sotto tiro: non appena mi date il segnale parto con l’azione.”
“Breda, Fury, voi siete in posizione?”
“Affermativo, signore?”
“Falman?”
“In posizione, colonnello.”
“Tenente?”
“Pronta a catturare il pesce grosso, signore.” rispose Riza senza alcuna esitazione.
“Allora procediamo pure: ricordate, cinque sono e cinque ne voglio… vivi. Devono spiegare molte cose alle autorità militari, intesi?”
“Adesso li stano io questi idioti!” dichiarò Havoc.
La sua voce venne immediatamente seguita da alcuni spari che risuonarono nell’auricolare di Riza. In quel momento fu come se qualcosa scattasse in lei: la sua mente immaginò il suo compagno che premeva il grilletto e faceva partire il colpo e altrettanto nitidamente vide le reazioni dei due criminali che venivano colpiti, magari alla gamba o al braccio.
Le voci nel suo auricolare si susseguivano calme e allo stesso tempo concitate, come un branco di lupi che caccia la sua preda con foga, ma sapendo bene qual è il ruolo di ciascuno. E tutti spingevano la preda grossa verso di lei, ben sapendo che era lei quella destinata a catturarlo.
“Ancora cinquanta metri ed entra nel suo raggio d’azione, tenente – disse la voce di Fury dopo qualche minuto – ha imboccato la via adiacente alla sua.”
“Ricevuto!”
A quel punto i muscoli si tesero e sentì l’istinto del cacciatore farsi prepotente. Il suo sguardo rimase fermo sul mirino di precisione, aspettando che la sua preda vi entrasse dentro: non si girò a guardare all’ingresso della via, non ce n’era bisogno. Contò mentalmente fino a trenta, calcolando la velocità del suo nemico, la difficoltà data dall’asfalto scivoloso… questione ancora di pochi secondi.
L’uomo entrò nel mirino.
Lei puntò la gamba destra e premette il grilletto.
Due secondi dopo l’avversario era a terra e gridava di dolore.
“Obbiettivo catturato, colonnello – dichiarò con impassibilità – missione compiuta.”
“Molto bene – la voce di Mustang esprimeva soddisfazione – Fury, appena puoi avvisa di mandare un furgone per portare in cella questi qui. Direi che il nostro lavoro è terminato.”
“Ricevuto, signore! Tenente, non si preoccupi: stiamo arrivando ad ammanettare il suo uomo.”
“Lo tengo sotto tiro, sergente, giusto nel caso abbia intenzione di fare qualche brutto scherzo.”
“Non sia mai che il nano venga ferito, eh?”
“Havoc, smettila.”
“Ma io… sottotenente, è solo precauzione, lo sa bene.”
“Dobbiamo davvero dare spettacolo anche via radio?”
“Sto aspettando, eh!”
“Arrivo, signora!”
 
Act 2. Amicizia
 
“E dovevi vedere come gongolavano quei due – sbuffò Rebecca – ci sono volte in cui non so chi sia peggio, se Grumman o Mustang. Ancora non capisco come possano farla franca ogni volta.”
“Di quale evento si stavano congratulando a vicenda questa volta? – chiese Riza con aria esasperata, porgendo una tazza di caffè all’amica e accomodandosi in una delle poltrone dell’area relax del Quartier Generale per riprendersi dal freddo della missione – della scommessa con quel tenente Harryn di qualche settimana fa?”
“Proprio così – annuì la mora – certo che il tuo colonnello arriva a fare cose davvero estreme! Non posso credere che abbia praticamente segregato Fury per farlo lavorare a quel progetto. Anzi, più che altro sono sorpresa che tu non abbia stroncato la cosa sul nascere.”
“Non l’ho fatto perché ne sono venuta a conoscenza quando ormai tutto era già in movimento – lo sguardo irritato di Riza indicò chiaramente che ancora non mandava giù il suo essere stata così ingenua davanti a certi segnali – ma farò in modo che simili iniziative non si ripetano più. Non permetterò che il lavoro venga messo da parte per mere questioni d’orgoglio e di denaro.”
“Ah, amica mia. Tu vivi troppo per quella squadra e per il lavoro: sul serio non vorresti provare ad uscire con qualcuno? Sarebbe una bella valvola di sfogo, te lo garantisco.”
Il lieve sorriso di Rebecca suggerì a Riza che la sua relazione con la sua nuova fiamma andava estremamente bene: ancora non conosceva questo fantomatico fusto, come l’aveva soprannominato la sua amica, sapeva solo che lavorava in un negozio non poco lontano da casa di lei. Tuttavia la bionda conosceva abbastanza bene l’altra per sapere che, dato che non c’era ancora stata una presentazione ufficiale, la relazione non era ancora da considerarsi veramente seria. Al contrario di quanto succedeva ad Havoc, Rebecca aveva una strana forma di riservatezza nei confronti dei suoi spasimanti: si proclamava impegnata, ma senza descrivere troppo nei dettagli la persona in questione. Preferiva lasciare tutto in una strana forma di sfumato, quasi che la relazione non dovesse entrare nell’ambito lavorativo.
“Non sento la necessità di frequentare qualcuno, tutto qui – dichiarò con aria serena – la mia  vita va benissimo così. Del resto spesso usciamo assieme con le altre ragazze, no?”
“Non è la stessa cosa – scosse il capo Rebecca – per esempio… hai mai preparato una bella cenetta per qualcuno?”
“E questo cosa c’entra?”
“C’entra eccome, Riza – la mora la guardò con espressione di chi la sapeva lunga – insomma, ti perdi un sacco di esperienze con questa tua vita basata solo sulla squadra: non sai la grande soddisfazione di sentire i complimenti che ti fa qualcuno per un qualcosa preparato esclusivamente da te.”
La bionda scosse il capo e si rifugiò nel bere un altro sorso di caffè. Non poteva certo dirle che lei in passato aveva già preparato cene e pranzi per Roy Mustang, ma che ovviamente non c’era alcun fine romantico. E, ad essere sinceri, spesso lui si era congratulato per la sua cucina e questo le aveva fatto estremo piacere. Ma quella era un’altra vita, un’altra Riza… una ragazzina che pendeva come un cagnolino da qualsiasi gesto o parola gentile che squarciasse per qualche secondo la sua solitudine.
 
Act 3. Lavoro (ancora)
 
“Il colonnello Mustang ha ritenuto opportuno agire in questa maniera – la sua voce era impassibile, come sempre; lo sguardo puntato sull’interlocutore senza far caso all’espressione furente di quest’ultimo – il generale Grumman aveva dato autorizzazione di procedere già diversi mesi prima.”
Ecco un’altra forzatura bella e buona: in realtà quello che suo nonno aveva autorizzato mesi prima si riferiva a tutt’altra missione. Ma in qualche modo lei doveva giustificare il fatto che la sua squadra avesse invaso le sfere d’influenza di quell’altro colonnello del Quartier Generale: di certo non poteva andare a dirgli che era stato per mero calcolo che Mustang aveva fatto intercettare a Fury le telefonate e che poi si era appropriato in maniera piuttosto ambigua di fascicoli in teoria non accessibili.
“Quel caso era di mia competenza! – sbraitò l’uomo, alzandosi in piedi e battendo le mani sulla scrivania – Erano più di sei mesi che ero sulle tracce di quei criminali!”
“Allora dovrebbe essere felice che sono tutti imprigionati ed in attesa di essere interrogati – dichiarò Riza, con tutta la faccia tosta possibile, posando un fascicolo sul piano di legno – il colonnello Mustang le manda il rapporto della missione: il suo unico interesse era di assicurare quelle persone alla giustizia…”
… e prendersi il merito…
“… ed è certo che lei svolgerà con altrettanto zelo le parti relative al processo. Adesso mi scusi, colonnello – fece un perfetto saluto militare ed indietreggiò di un passo – devo tornare ai miei doveri. Le auguro un buona giornata.”
Con mosse ormai collaudate, Riza guadagnò l’uscita di quell’ufficio prima che si scatenasse la tempesta.
Ormai da anni andava avanti così: Roy Mustang riusciva sempre ad infilarsi nelle missioni che gli interessavano e prendersi i meriti migliori, lasciando i concorrenti con un pugno di mosche. Questo non faceva che procurargli fama, certo, ma poi toccava sempre alla sua assistente provvedere alla parte diplomatica per cercare di giustificare l’intrusione dell’alchimista di fuoco. Anche se aveva il pieno appoggio di Grumman, c’erano comunque svariati altri gradi elevati che andavano tenuti relativamente buoni.
“Tutto risolto, tenente?” chiese Fury che l’aveva accompagnata e attendeva nel corridoio.
“Come sempre, sergente, possiamo tornare a lavoro.”
“Crede che ci saranno problemi per le intercettazioni che il colonnello mi ha fatto fare?” il giovane era nervoso e Riza si dovette trattenere per cingergli le esili spalle con un braccio. Era cresciuto, e tanto… però per lei restava sempre il piccolo soldato insicuro da proteggere, anche se questo non gliel’avrebbe mai detto apertamente.
“Tranquillo, Fury, è tutto giustificato ed in ordine: non devi temere nessuna denuncia o simili. Sai bene che il colonnello non ti metterebbe mai in guai simili.”
“Meno male! E’ un vero sollievo… è che ogni volta che ci sono queste situazioni mi sembra di sforare nell’illegalità. Ma con il colonnello non è proprio così, vero?”
“No, proprio no…” sorrise lei.
 
Act 4. Colleghi
 
“Pausa forzata, eh?” Riza si mise a braccia conserte e squadrò i suoi compagni. Eccetto Falman che sembrava profondamente imbarazzato, come se fosse stato trascinato per forza in quella rivoluzione, il resto della squadra sembrava convinto di quanto proponeva… persino Fury la fissava con aspettativa.
“Il colonnello ha avuto impegni urgenti – annuì Havoc – dato che dovevamo approntare del lavoro con lui direi che non possiamo fare niente finché non torna.”
“Di lavoro da fare ce n’è sempre – ribatté il tenente – e si può fare anche senza il colonnello. Per esempio la compilazione di dossier che è rimasta in arretrato nelle ultime settimane, no?”
“In effetti io avevo proposto…” iniziò Falman, subito zittito da un’occhiataccia del biondo.
“Andiamo, signora – sospirò Breda – negli ultimi giorni abbiamo lavorato come asini per tutta questa storia di prendere quei cretini e farla in barba all’intero esercito. Fury non ha dormito che poche ore le ultime tre notti per intercettare ogni singola telefonata…”
“… sei ore di sonno totali.” precisò il giovane sergente, levandosi gli occhiali per mostrare le occhiaie fin troppo evidenti.
“… più che una pausa è un doveroso fermarsi.”
Riza sospirò, non sapendo cosa replicare: da una parte avevano perfettamente ragione e, ad essere sincera, pure lei sentiva la stanchezza farla da padrone. Ma dall’altra quello poteva essere il primo passo verso una pericolosa anarchia che…
Lo squillo del telefono procrastinò la sua risposta.
“Ufficio del colonnello Mustang.”
“Ah, tenente, sei tu! Risolto tutto con Ronsy?”
“Il colonnello Ronsy è stato messo al corrente della situazione – annuì con serietà – posso sapere dei suoi impegni urgenti, signore?”
“Impegni… già… beh, in effetti ero stanco e sono tornato a casa.”
Cosa?! – la donna si irrigidì per quella risposta a metà tra lo spavaldo e la mortificazione – Signore! Ci sono ancora cinque ore di lavoro da fare e…”
“E dai, tenente, cosa sarà mai! Che poi mica sono egoista… tu e i ragazzi potete uscire anche adesso, se volete. Siete in libertà!”
Dannazione alla telepatia fra lei e gli altri! – pensò mentalmente la donna.
“Tutto questo ovviamente non è di bell’esempio.”
“Quanta formalità, suvvia! Dai che un po’ di riposo farà bene a tutti! Allora a domani, eh!”
“Aspetti, colon…”
… tu… tu… tu…
Telefonata chiusa: un’uscita di scena in perfetto stile Roy Mustang.
Riza dovette trattenersi dal sbattere ferocemente la cornetta sull’apparecchio telefonico: non solo sei si sbatteva per risolvere tutti i guai diplomatici del suo superiore, ma ora doveva subire anche la beffa di subire una simile insubordinazione.
“Allora?” chiese Havoc.
Dannazione, come vorrei trattenervi tutti a lavorare fino a notte fonda!
Tuttavia non era giusto che le colpe di uno solo ricadessero su tutti, se ne rendeva perfettamente conto.
Era destino che quella giornata dovesse issare bandiera bianca.
“Libera uscita – dichiarò – il colonnello ci dà il pomeriggio libero.”
 
Act 5. Iniziativa
 
Avere un pomeriggio libero tutto sommato poteva tornare positivo.
Riza si dedicò alle faccende domestiche che qualche volta venivano trascurate: pulì il suo appartamento da cima a fondo, fece il bucato in arretrato, si preoccupò persino di andare a fare la spesa per la settimana.
Tuttavia, mentre era al mercato, si accorse che le avanzava ancora molto tempo: casa sua era così piccola che aveva pulito tutto quanto in nemmeno un’ora e mezza.
Anche a fare la spesa con calma sarebbe rientrata che non sarebbero state nemmeno le cinque e mezza del pomeriggio. Cosa fare in tutto quel tempo libero? Rebecca e le altre erano a lavoro e, ad essere sincera, non aveva nessuna voglia di rimettersi la divisa ed andare al poligono di tiro.
Insomma sembrava rimanere a casa a rigirarsi i pollici fosse il suo destino.
“… e quindi ho provato la ricetta di mia madre – disse una signora che parlava con un’amica a pochi passi da lei – e la torta è venuta buonissimo. Il segreto? La conserva fatta in casa!”
Un dolce?
L’idea le balzò improvvisa alla mente, così strana e surreale che rimase con il braccio proteso verso la bottiglia d’olio che stava per prendere. A dire il vero lei non si era mai cimentata troppo con i dolci: quando viveva con suo padre non erano la tipologia di cibo che andava a preparare. I pochi che aveva mangiato li aveva sempre portati la signora Berth.
“… non sai la grande soddisfazione di sentire i complimenti che ti fa qualcuno per un qualcosa preparato esclusivamente da te.”
Le parole di Rebecca suonarono quasi profetiche, come se fosse destino che quel giorno si dovesse cimentare in qualcosa di nuovo. Decise quindi di raccogliere quella strana sfida e alla sua spesa aggiunse anche gli ingredienti necessari per preparare qualche dolce… non appena fosse passata in libreria a comprare un libro di ricette.
Così le dimostrerò che non vivo solo per il lavoro.
 
Act 6. Disastro
 
“Non è male…” dichiarò Breda, ammucchiando la strana poltiglia gialla e grumosa su un lato del piattino.
“Bugiardo…” sospirò Riza, mettendosi a braccia conserte ed osservando l’impietoso risultato del suo esperimento culinario che, per la cronaca, le aveva sporcato tutta la cucina ripulita qualche ora prima.
“E’ la parodia di dolce peggiore del mondo – ammise il rosso, scuotendo il capo con aria triste – certo che anche lei voler partire da qualcosa di complicato come una torta a più strati…”
“Lasciamo stare che è meglio.”
Era stato un completo fallimento, tanto che la venuta di Breda per portarle la tracolla che aveva lasciato in ufficio era stata solo la ciliegina sulla torta. Non solo era stata scoperta nelle vesti di casalinga disperata, ma a farlo era stato anche quello che aveva il palato più fine di tutta la sua squadra.
Almeno fosse venuto Fury… lui avrebbe detto che era buona in ogni caso.
E stupidamente ne sarebbe stata felice, come se la torta le fosse venuta perfetta.
“Che quanto hai visto resti tra me e te.”
“Stia tranquilla – promise lui – sarò muto come una tomba: nessuno saprà che l’ho vista con la faccia sporca di strane sostanze non identificate.”
“Non è stata proprio una gran giornata di riposo… decisamente avrei bisogno di trovarmi qualche altra attività che non sia il poligono di tiro e applicarmici seriamente. Adesso rimetto a posto questo disastro, tu vai pure.”
“Problemi esistenziali, tenente? – chiese Breda alzandosi dalla sedia e prendendo il piattino per portarlo nel lavandino già colmo di stoviglie – Guardi che a noi piace così com’è.”
“Pensieri di una giornata stressante, tutto qui. Ci vediamo domani a lavoro, sperando che questo tempaccio si decida a finire.”
 
Act 7. Inaspettato
 
E così adesso aveva un cane.
Ancora le sembrava incredibile e fuori luogo, ma c’era un cucciolo bianco e nero che esplorava con curiosità ogni singolo angolo del suo appartamento. Riempiendo una bacinella di acqua poco più che tiepida, Riza si chiese ancora se aveva fatto la scelta giusta, oppure se si era semplicemente lasciata impietosire da Fury che cercava con ansia un padrone per quella bestiolina trovata sotto la pioggia.
Anche lui prendere certe iniziative! Non doveva raccoglierlo se sapeva di non poterlo tenere.
“Forza, Hayate, vieni – chiamò, inginocchiandosi e tendendo una mano – dobbiamo levare questa puzza di pelo bagnato che hai addosso.”
Il cagnolino trotterellò subito verso di lei, chiaramente felice di ricevere attenzioni. Prendendolo in braccio Riza si chiese quale sarebbe stata la sua reazione all’acqua, ma poi si disse che un cucciolo così piccolo era di facile gestione. Tuttavia sembrava che Hayate fosse abbastanza collaborativo, forse trovava piacevole quel calore dopo esser stato al freddo per tanto tempo.
Bene… e ora che farai? Non hai la minima idea di come si tenga un cane… e non hai nemmeno un cortile.
Era stata troppo impulsiva, era chiaro: avrebbe dovuto soppesare i pro ed i contro di prendersi una simile responsabilità. Davanti agli altri si era dimostrata sicura, ma adesso…
“Beh, almeno non sembri molto irrequieto – commentò, avvolgendo la bestiola in un asciugamano e iniziando a frizionargli il pelo bianco e nero – potremmo andare d’accordo, me lo sento.”
E lui era davvero carino e affettuoso, non ci voleva molto a capire perché Fury gli si fosse affezionato in così poco tempo. Peccato che per un soldato entusiasta ce n’era un altro cinofobico: scoprire questo dettaglio di Breda era stata una vera e propria sorpresa e già si intravvedevano guai all’orizzonte.
“Potrei addestrarti, non credi? – si sedette nel divano, tenendo il cucciolo sulle sue ginocchia – Secondo me potresti diventare un buon cane dell’esercito. Oh, una battuta davvero stupida… lascia stare.”
E comunque stai parlando con un cane…
Però quegli occhietti scuri e vivaci sembravano capirla in qualche maniera.
Il cucciolo abbaiò entusiasta, quasi approvasse quanto gli era stato appena proposto.
Del resto che aveva detto Breda, il giorno prima? Aveva parlato di problemi esistenziali. E anche Rebecca aveva detto che doveva in qualche modo staccare dal lavoro.
“Beh, tu sei uno stacco perfetto, Hayate – sorrise, allungando un dito per farselo leccare – credo proprio di aver fatto la scelta giusta.”




__________________
La vicenda a cui si riferisce Rebecca è narrata nella mia long "Una scommessa all'ultima valvola"
L'arrivo di Hayate è immediatamente precedente alla long "Cinofobia"
Per quanto mi riguarda, sono finalmente riuscita a terminare questo capitolo che proprio non voleva uscire... non solo è un periodo pieno d'impegni, ma era anche tosto da buttare giù (l'ho riscritto e modificato almeno tre volte).
Il prossimo aggiornamento sperò sarà entro la settimana prossima.

A presto :)

 
  
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