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Autore: GirlDestroyer1988    12/05/2016    0 recensioni
Soffia il vento dell'ultima lotta per Galkar, il robot che ha sconfitto le Gemme!
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crystal Gems
Note: Movieverse | Avvertimenti: PWP
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La notte era scesa sulla città senza vita. Taranto era un ectoplasma nella nebbia fredda che saliva dal mare. La Base O (così era stata ribattezzata) era localizzata nel Parco Regionale delle Gravine, mentre nell’ex accademia per sottoufficiali della Regia Marina Militare “Lorenzo Bezzi” il Galkar se ne stava appoggiato contro il muro dell’ampio edificio, con Wustite sulla testa, intento a fumare guardando il cielo stellato. Per non fargli prendere il vizio, Onion era rimasto dentro, senza osservare niente. Crisocolla, la Fusione tra Glauconite e Lapislazzuli, se ne stava anche lei addosso al muro, girando e ri-girando tra le sue mani la testa di un €-person, un replicante creato per far stare la gente meno sola. Era demenziale-pensava-che un tempo i robot, le macchine antropomorfe, venissero utilizzate nell’estremo tentativo di sanare anche la solitudine, il vuoto di senso, cose contro cui l’umanità ha invano combattuto per eoni. Però adesso c’era il paradosso che i modi e i mezzi per accomunarsi c’erano, eppure la prigione della propria solitudine era stata alla fine capace di sovrastare l’istinto dell’uomo a cercare un altro uomo. “Non è bene che l’uomo sia solo “ (Gn 18-22). Però adesso l’uomo era davvero più che solo: era fintamente insieme. Non era solo un istinto sessuale insaziabile; era proprio l’istinto comunitario che era stato tradito. I manichini di ieri erano stati ammassati nel cortile dell’accademia militare, come cataste di cadaveri di lebbrosi. Sembravano esseri umani…..c’erano uomini, donne, bambini. Ogni modello avrebbe dovuto lenire un assenza che era ormai diventata insostenibile: l’amore non corrisposto, l’amore non mantenuto, la maternità disattesa, la paternità fallita. Tutta Taranto era metafisicamente piena del passato di una città che aveva fatto solo scelte sbagliate: nei condomini di Via Cauri le tracce di cinofili improvvisati che volevano far sposare i propri cani al posto proprio, certi sicuri che sarebbero stati adulterini a prescindere (e l’esploratrice di quelle macerie umane, Lapislazzuli, poteva tranquillamente immaginare che quelle povere bestie si sarebbero poi ribellate a quella surrogazione a loro spese di un rapporto fattibile solo con creature con un “di più” quali gli esseri umani), in Via delle Tinche l’ennesima storiella di corna e tradimenti sensuali (da abituati a una tv accesa che ci pare spenta), in Corso Vittorio Emanuele II l’inizio della chiusura dell’uomo su sé stesso a causa della proliferazione dei replicanti. Il ricordo del vecchio Wustite corse verso il Giappone, dove Galkar era stato “in tourneè”, osservando la città di notte dall’alto, chiedendosi se un posto simile esistesse o no. L’intera urbanizzazione era totalmente scevra dai vecchi cartelloni al neon, le scritte in caratteri kanji in tubi colorati piegati in una tonnellata di modi diversi, da fare invidia a Trevor Key, niente più colori in una città che un tempo ne era piena. Solo una vecchia radio ancora suonava una canzone della fine di quella che era stata l’ultima guerra mondiale, e tra le ultime guerre combattute esclusivamente da uomini in contrapposizione a altri uomini. Era un giapponese dalla voce roca, le cui r sembravano per ironia l lunghe e strascicate, come belati di dolore, e la canzone non aveva niente di giapponese: era I’m just a gigolo nella versione di Louis Armstrong, con il dimenticato cantante che si sforzava di rifarne il vocione. La città viveva sotto la continua minaccia delle Gemme, e questo semplice fatto aveva fatto sì che si spegnessero tutte quelle luci che emozionarono Fosco Maraini durante il suo primo, abissale viaggio in Giappone. La notte durava venti secondi, e venti secondi il Gnac. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di nuvole nere, la falce della luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi stelle che più si guardavano più infittivano la loro pungente piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo visto in fretta in fretta, ogni particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell’insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e cominciava il Gnac. Scriveva Italo Calvino a proposito dell’inquinamento luminoso, e di come la famiglia di Marcovaldo vivesse l’esprienza. Se il “povero diavolo, simile allo Charlot di Tempi moderni” vedesse la Tokyo di quei giorni, ma se l’avessero vista persino Godzilla, che la distruggeva sempre, Goldrake, che la sorvolava a bordo del suo disco volante, persino il vecchio comandante, pazzo e suicida, Paul Tibbets, dell’Enola Gay, il terribile bombardiere che terminò Hiroshima e Nagasaki in due soli giorni, avrebbero anche loro avuto nostalgia dello GNAC. Lo Spaack CoGNAC, a cui I vandali urbani avevano demolito una lettera dopo l’altra, lasciando solo quell’onomatopea senza senso. Al posto di GNAC ci sarebbe potuto essere こんにゃく, ma il discorso era quello. In verità il mondo, l’Universo, si era spento già da molto tempo. Un pò aveva fatto la preoccupazione ecologica, un bel pò in più aveva fatto la senilità dei giganti, I quali si erano svegliati ciechi, e come Eurinome ribelle abbattendo il serpente Ofione, noi, I nani sulle loro spalle, cademmo uno dopo l’altro ma, schiantandoci, non facemmo nascere nessun nuovo Pelasgo, né tantomeno la nostra prole contenne due nuovi Deucalione e Pirra. Dimentichi di quanta grandezza avevamo sotto di noi, e di quanta essa fosse basilare per la nostra cultura (e per “nostra” intendo pure quella giapponese, per ragioni di globalizzazione), era chiaro che le stelle che potevamo vedere grazie a quei giganti si erano oscurate. Stelle che avevamo creato noi, esattamente come gli edifici che senza fondamenta crollano e che senza tetto rimangono ruderi, si erano spente. Le VERE stelle, quelle che per generazioni avevano ispirato gli esseri umani, adesso brillavano colme di Schaundefreude sulle povere esistenze di quelli che le avevano guardate per così tanto tempo, ricordando l’innominato primato della natura, per cui la bellezza non aveva nessun valore. I giapponesi avevano, in realtà, creato una linea di difesa, lo Zemon. Un tempo un semplice macchinario edile con funzioni di rimboschimento. Dopo che la Gemma Dolomite ebbe distrutto I suoi simili e massacratone I piloti, l’ex pilota dello Zemon, un giovane manovale di nome Sū, decise di massacrarsi il corpo e l’anima con lo scopo di diventare il più forte del mondo, insieme al suo mecha, diventato una creatura che poteva fondersi con lui in simbiosi. Con l’aiuto di uno scienziato, il Dr Polutan, crearono lo Zemen come noi oggi lo conosciamo. Per lo Zemon crearono anche il componente supplementare Guregdeira, in grado di scomporsi Armando di volta in volta lo Zemon in diverse modalità, ognuna con una specifica tendenza per combattere un nemico diverso. Avevamo così lo Zemon Space, lo Zemon Land, lo Zemon Graveyard, lo Zemon Marine. Lo Zemon, potendo dividersi magneticamente, poteva quindi abbracciare questi diversi componenti compiendo queste trasformazioni veicolari. Diventando un robot da combattimento vero e proprio, lo Zemon cominciò a combattere una Gemma dopo l’altra, in particolare le tre utilizzate per l’occupazione giapponese, fortunatamente fallita, Danburite, Ekanite e Hackmanite, che si mostravano sottoforma di tre giganteschi Kaiju: Takowowas, Asasagolas, Aa’as. All’epoca del suo incontro con Galkar, però, le sue motivazioni avevano cominciato a ballare. Aveva senso quella mattanza di Gemme tutte uguali? E se non avesse mai più rivisto quella maledetta, unica responsabile della sua infelicità? E se quello fosse null’altro che un circolo vizioso senza fine? Lentamente smise di odiare le Gemme, semplicemente perchè come puoi odiare qualcosa su cui quell’odio non lo riesci mai a sfogare? Subentra la frustrazione. E frustrato Zemon lo era, quando, appoggiato al fianco di una collina nei pressi della costa di Soyamura, rifletteva sconsolato mentre un ciliegio perdeva le sue foglioline sopra la sua testa. Stava lentamente andando in catatonia, quando la Base O emerse dall’Oceano di Okhotsk, con Galkar che si trascinava dall’acqua, armato con gli Scudi mortali, la Falce desertificatrice, con Wustite che avvertì Glauconite della presenza di un altro essere metallico disteso sulla spiaggia. “Non so assolutamente che cosa dirti!” disse alla Gemma del gruppo della mica, anche lei allibita dalla presenza, sulla Terra, di un secondo gigantesco automa. “Posso stimolarne la percezione del reale usando la mia idrocinesi” disse Lapislazzuli. Nonostante la corazza di Sangord limitasse di molto le facoltà di Lapislazzuli, riusciva lo stesso a creare costrutti d’acqua, in questo caso un lombrico, che prese a strisciare sulla gamba dello Zemon, il quale lo afferrò e si riattivò. Lo lasciò poi strisciare di nuovo nell’acqua, guardando intensamente Galkar, osservandolo ai raggi X. “Gemme….ancora loro. La mia ossessione involontaria. Perchè continuate a darmi la caccia?” Zemon stette immobile, semplicemente arrancando lungo il crinale della scogliera per tenersi a distanza dall’altro. Galkar arrivò sulla terraferma, e anche lui si appoggiò lungo il precipizio, mentre le tre Gemme e il piccolo umano uscivano le loro postazioni per godersi la visuale, così tanto simile a quella di Beach City. Wustite, vestito come Shin della scuola di Nanto, si mise a osservare intensamente Zemon, un mostruoso coniglio-ciclope uscito da un incubo congiunto di Kazuo Komatsubara e Christopher Kezelos, con le due “pleure” di Polymar, due gigantesche lame a deltaplano, che li uscivano dalla schiena facendolo deambulare come un attore teatrale che indossi un pomposo costume rococo, sul modello di quelli della Daniela Cin di Marcido Marcidoris/Famosa Mimosa, in una sfida tra giganti. “Tu sei una Gemma eh? Nessuna creatura di questa dannata Terra può assomigliarti. O sei un essere umano venuto qui per ricordarmi la mia nullità?” “Parli? Non ci avrei mai creduto. Glauconite? Vieni qui!” disse il robusto “derivato dell’ossido ferroso” all’altra gemma testa di doritos. “Vuoi che l’analizzi?” chiese Glauconite. “No, non m’interessa. Hai per caso qualcosa con le Gemme? Noi non siamo venute a invadere questo posto. Siamo venute qui per prevedere un invasione!” “Allora arrivate tardi! Tre Gemme sono già arrivate. Chiaramente per sottomettere questa nazione! Ne volete sapere I nomi?” “Ne sono molto curioso….” “Danburite, Eckanite e Hackmanite” “Noi siamo Wustite, Glauconite e Lapislazzuli. Con annesse fusioni Andalusite, Malachite e Crisocolla” “Quelle tre Gemme potevano fondersi pure loro. Ne ho conservato le teste, delle tre maledette: Ittrocerite, Iolite, e Labradorite. Non c’è l’hanno fatta a occupare il mio Giappone. Prima I cinesi, poi gli americani, ma no, le Gemme no. sono stato più forte io!” “Vuoi combattere con me, o con il mio mecha o come Andalusite e/o Malachite?” “Non ti converrebbe: ti annicchilerei” “Non c’è l’hai l’etica del samurai? Non dovresti accettare tutte le sfide che ti lanciano, pena il disonore?” Andalusite assomigliava molto a Glauconite, ma con il volto di Wustite, come l’ossido ferroso aveva una stazza imponente, ricca di muscoli guizzanti e tirati come corde d’arpa. Come la petulante raggruppata nella mica aveva braccia semi-coniche, con dita meccaniche non totalmente unite, ma relazionate a loro stesse mediante un sistema MAGLEV. Non aveva armi particolari, come Rubino (soprannominato Corindone) e Zaffiro (le due Gemme che fuse danno vita a Uvarovite/Garnet). Nonostante la grande forza fisica, Andalusite finì però in pezzi, cioè forzosamente de-fusa dal cattivo esito dello scontro. Zemon si mostrò molto forte usando armi di comprovato effetto come i Raggi R.E.M, il Disco infernale, di nuovo i Raggi R.E.M, ancora i Raggi R.E.M, concludendo il combattimento con un arma preistorica: un amigdala, ottenuta da un macigno lavorato nella roccia a colpi di Disintegratori plusvalenti, che, dato in testa a Andalusite come il martellone gigante dei cartoni di Tom&Jerry, la fece de-fondere. “Però così non c’è stato nemmeno tanto gusto!” sbottò Zemon. “Parli come se lo smacco fosse tuo” disse Wustite, adesso meglio equipaggiato con Galkar. “Ora la mia curiosità è un tantino alta” disse Wustite, sentendosi, giustamente, invincibile. La battaglia tra i due-combattuta da Zemon con lo Scudo Rotante e da Galkar con la Falce desertificatrice si protrasse per un intero pomeriggio, mentre, quando il Sole tramontò pascendo le sue fiammelle nell’acqua dell’oceano, i due continuavano a rivaleggiarsi, ma stavolta solo Zemon-nell’atto di ricaricarsi sfruttando la fusione fredda-e Wustite, intento a sbranare enormi Pleocyemati pescati da quell’estremissimo avamposto del Giappone. “Takowowas? Asasagolas? Aa’as? Che razza di nomi sono?” domandò Glauconite, tra un interruzione delle spacconate di Wustite e l’altra. Zemon si pregò di risponderle, mostrandole tre concrezioni, una di titanite, l’altra di antigorite, l’ultima afghanite. “Sono gemme terrestri. Dove le hai trovate?” poi Zemon le sversò a terra, come un cercatore d’oro che ripulisce la mano dalle chicchere d’oro setacciate via dal fiume, per tornare a sconvolgere benignamente il greto del fiume per estrarne nuove pepite, e Glauconite poté osservare che in quelle pietruzze sussisteva tutt’ora una sorta d’impalpabile energia vitale, simile a un vapore. Come se fosse stata Paracelso, o Maurizio Vincenzoni, Glauconite procedette a scannerizzarle, per vedere quale demone vi si agitasse dentro. Il primo, Takowowas, assomigliava a un polpo dalla testa bassa, spessa e piatta, senza veri e propri occhi. il secondo, Asasagolas, un lucertolone tra il drago e il dinosauro….o il kaiju il terzo, Aa’as, assomigliava a una medusa a forma di brufolo, con un solo occhio, e minuti tentacoli gelatinosi poi i bagliori, i vapori, scomparvero, proprio mentre Glauconite cercava invano di afferrarli. Si sentì, nello stesso momento, pervadere da una violenta sensazione d’allarme, come se uno di quei mostri avesse potuto attaccarla alle spalle in quello stesso istante. Nonostante le Gemme non dovrebbero né bere, né mangiare, né tantomeno avere in corpo nessun tipo di liquame (quindi nemmeno acqua sudabile) la sensazione era quella di un animale non gemmologico in uno stato di massima eccitazione. Come un bambino sedotto da “una bella signora ariana” durante un corso di educazione sessuale nazista. “Hai paura eh? Quella è la tua razza. Di invasori dal volto sexy. Sai cosa diceva Ann Henning? Se vuoi che la tua carne, come sotto l’effetto dell’H2s, si sciolga e decomponga, usa tanto miele e balsamo, così non se ne accorgerà. Mi sono scontrato sempre e solo contro questo terzetto maledetto, all’infinito, come in un incubo kafkiano. Queste risalgono all’ultima volta, a quando le porte del Castello si sono finalmente aperte all’agrimensore K. Ma per me era troppo tardi! Io, Sottotenente Giovanni Drogo, sto morendo solo, nel mio eremo, mentre la malattia mi divora le carni! Ah Donald Zinkoff! Ah! Kris Kelvin! Mai aspettaste quanto me. Ne nell’Invincibile, ne sul pianeta Eden, riuscì mai a smascherare il mistero. Perché questa galera? Perché io sono prigioniero della ripetizione? Fino a non troppo, né troppo poco, tempo fa. La mia mente è abbagliata, i miei ricordi sconvolti, confusi, intrecciati in un nodo gordiano inestricabile!” “Ha visto degli Iniettori?” “Vuoi dire quegli affari a forma di batteriofago? Sì, ne ho visti un gruppo. Odiosi aborti….stavano salendo dal Mare Cinese Orientale, nell’Isola di Okinawa, e io li ho respinti tutti. So benissimo come voi Gemme. E so benissimo anche della vostra cultura. Sareste voi le leggendarie Gemme ribelli di Beach City?” “no, noi eravamo le Gemme del pianeta natale. Quelle altre erano nostre nemiche e alleate dei terrestri. Noi avremmo dovuto eliminarle, ma ci hanno “convertito” al bene e alla giustizia. Loro erano Uvarovite, Ametista, Perla e Rutilo. Uvarovite era formata da due sub-Gemme, Rubino e Zaffiro. Seguivano un umano, Brookite, o com’era meglio noto, Steven Rutilo. Anche Wustite è una poli-Gemma! Metà Spinello, metà Topazio. Loro ci hanno affidato quel gigantesco giocatore di hockey, il Galkar che, come le poli-Gemme Malachite e Alessandrite, è tre esseri fusi insieme: Herumeth, la testa, Ga’at, il corpo, Sangord, le gambe. Adesso, te lo dico anche se potrebbe sembrare fuori luogo, ma ti fidi delle Gemme adesso?” “Sto cercando di risvegliare le Gemme sconfitte nelle imboscate per impadronirsi del Giappone, l’unica nazione oggidì libera, ma la fiducia? Mi balla ancora. Non voglio darvi questa delusione, ma le Gemme nella mia mente, nella mia incerta memoria, devono ancora meritarsela, la mia più disinteressata e spassionata fiducia. Non volevo dirvelo per non farvi sentire in angst, ma questa è la verità, e non posso esimermi dal rivelarvela senza mentirvi. Se vi mentissi, mi disattiverei” “Allora, Zemon, ti dimostreremo che siamo anche noi combattenti sul fronte della razza umana!”
   
 
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