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Autore: vali_    13/05/2016    8 recensioni
[Post "Wash Away"]
Dopo un viaggio lungo quasi due giorni, Ellie Morgan torna in quello che negli ultimi mesi è stato il suo appartamento a Buckley, la piccola cittadina dove è cresciuta. Decisa ad intraprendere un altro viaggio, forse più lungo e difficile, Ellie deve scendere a patti con la nuova consapevolezza che scopre avere nel cuore: vivere senza le persone che ama è decisamente impossibile, anche se non è certa che tutte ricambino il suo affetto.
«Quindi hai deciso».
Con il gomito destro appoggiato sul tavolo e la sigaretta accesa e fumante stretta tra l’indice e il medio della mano, Janis le siede di fronte e la guarda con gli occhi verdi piccoli e scrutatori, come se volesse capire se la sciocchezza appena uscita dalla sua bocca sia vera o no. Fa così spesso, quando pensa che Ellie le stia dicendo cose strampalate. In questa posa sembra più saccente di quanto non è in realtà.
(…) Ellie le sorride, per alleggerire un po’ i suoi toni. «Sì, ho deciso».
”…
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Storia scritta senza scopo di lucro. Tutti i diritti di Supernatural e dei suoi personaggi descritti in questo racconto sono di proprietà di CW e Warner Bros. L'immagine utilizzata come banner è una modifica di una fotografia trovata in internet, perciò appartiene ai rispettivi proprietari. 
 

The warmth of (another) new life
 

L’acqua calda le scorre sulla testa bagnandole tutto il corpo e finendo poi sul piatto della doccia, portando con sé un bel po’ di schiuma. Piega il collo intorpidito a destra e a sinistra, massaggiandolo piano con le dita di entrambe le mani.
 
E’ ancora l’alba. Ellie chiude le palpebre ed alza il mento, lasciando che l’acqua le sciacqui il viso, poi si scosta, si passa le mani sugli occhi stanchi e ancora assonnati e li apre, stringendo poi entrambe le spalle.
Si guarda intorno, il collo ancora piegato. La stanza – rettangolare e piuttosto piccola – è proprio come la ricordava: le mattonelle arancio che ricoprono il muro, la lampada un po’ traballante con quel ricamo particolare dello stesso colore con cui è addobbato il resto del bagno e la cabina doccia, semplice eppure molto più confortevole e pulita di tante altre in cui si è trovata a lavarsi tempi indietro, quando il suo mestiere consisteva nel viaggiare da uno Stato all’altro alla ricerca di un malcapitato mostro che aveva la disgraziata idea di uccidere qualcuno e farsi beccare.
 
Sospira e sorride tra sé, decidendosi a chiudere il getto dell’acqua e ad uscire, aprendo la porta di vetro scorrevole della cabina doccia e appoggiando i piedi sul morbido tappeto – rigorosamente arancione, per non discostarsi dai colori dell’arredamento – che ha comprato tempo fa perché le sembrava ci stesse bene.
Afferra l’asciugamano bianco che, per averlo a portata di mano, prima aveva appoggiato sul water – posto proprio di fronte alla doccia - e se lo avvolge addosso, le goccioline che le scorrono veloci su tutto il corpo fermate dal contatto della sua pelle con il cotone fresco.
 
Indossa le ciabatte – rosa con la testa di un gatto marrone disegnato sopra e se qualcuno di sua conoscenza gliele vedesse probabilmente la prenderebbe in giro… anzi, sicuramente – e fa qualche passo verso la sua destra, fermandosi quando si trova di fronte allo specchio.
Si osserva con attenzione: ha un bel paio di vistose occhiaie, un regalino arrivatogli dopo gli ultimi giorni, decisamente duri e diversi da quelli che si era abituata a vivere nell’ultimo periodo, ma ha un nuovo luccichio in fondo agli occhi, una scintilla vivace, qualcosa che non si vedeva addosso da tempo.
 
Dopo aver salutato Dean davanti alla tavola calda dove hanno fatto colazione un paio di giorni fa, Ellie ha ripreso la strada della sua vecchia casa e si è diretta a Buckley, per riorganizzare le idee e riprendere le cose che aveva lasciato in quello che, durante il suo soggiorno, è diventato il suo appartamento. E’ qui che si trova adesso, dopo più di un giorno e mezzo di viaggio [1] – e perché ha voluto prendersela comoda, altrimenti ci avrebbe messo di meno, ma non ha voluto avere fretta. D’altro canto aveva bisogno di riposarsi, perciò si è fatta una bella dormita – nonostante il sedile posteriore della Volvo di Bobby non sia esattamente il posto più comodo su cui farsi un sonnellino – già l’altra notte, quando si è accorta che la vista le si annebbiava per la stanchezza e non riusciva più a vedere bene la striscia bianca che divideva la carreggiata. Anche ieri sera, non appena ha messo piede in casa, si è spogliata, ha messo la vecchia camicia rossa di sua mamma e si è infilata sotto le coperte del suo adorato e confortevole letto. Per stamattina, però, ha impostato la sveglia presto per farsi una bella doccia e poi cominciare a riordinare le sue cose.
 
In fondo è qui per questo: per riprendere tutto quello che ha lasciato di suo tra queste mura e sistemare ciò che le è rimasto in sospeso.
 
Se ci pensa, la sua è una decisione molto meno drastica di quanto sembri. In cuor suo sapeva da tempo che questo non era più il suo posto, che Buckley rappresentava una parte bella della sua vita che però non poteva ricominciare, non senza la mamma, senza la sua presenza viva e rassicurante.
Forse aveva solo bisogno di una spinta, di qualcosa che le ricordasse qual era il suo posto.
 
Si è trattato di questo, in quel magazzino polveroso e disordinato a Westwego: nonostante la paura, le mani un po’ tremolanti – non reggeva una pistola da un po’, ormai – e il terrore di fare qualche mossa sbagliata, Ellie si è resa conto di non aver chiuso i conti con la caccia, con la parte della sua vita che voleva cancellare per non soffrire più. Pensava che tornando a Buckley avrebbe ritrovato un equilibrio, il suo, e che tutto sarebbe andato per il meglio dopo un periodo di aggiustamento, ma non è stato così e, ora che ne ha preso atto, è pronta a voltare pagina e a ricominciare. Non lo fa proprio a cuor leggero – sono così tanti i pensieri che le girano per la testa e molti riguardano papà e le parole che le ha rivolto prima di sparire dalla sua vita –, ma sa che è la decisione giusta e che non può fare altrimenti.
 
Certo, questo non significa che non si sente in colpa per ciò che è capitato alla zia di quella ragazzina, Jennifer Hamford, di come ha freddato quella donna che, seppur spietata, senza scrupoli e terribilmente intenzionata a fare del male alla sua stessa nipote, era pur sempre un essere umano.
Ellie non ha avuto alcuna pietà per lei. Ricorda la sua presa salda sulla pistola, il sorriso agghiacciante di quella pazza dai capelli rossi e gli occhi di un azzurro magnetico, gli stessi occhi pieni di sfida che l’hanno fronteggiata senza paura prima che lei le spappolasse il cervello con tre colpi di pistola.
 
Nei tanti libri che ha letto, spesso il protagonista compie atti crudeli, come quello di uccidere un’altra persona per amore di qualcun altro, per salvarlo da una minaccia e restituirgli la libertà. Ellie ha sempre pensato che un gesto come quello, più che pieno di amore, fosse invece pregno di egoismo, perché, arrivato a quel punto, il protagonista non uccide il cattivo perché guidato da uno spirito di altruismo e giustizia, ma per la paura di soffrire o, peggio, di rimanere solo. Ellie spera di non essere incappata nello stesso errore, perché si è accorta che, quando si tratta di Dean, sarebbe disposta a correre qualche sciocchezza, come prendere una ragazzina per il collo e intimarle di parlare.
 
La cosa di cui non si rammarica, però, è di aver dimostrato sicurezza e dimestichezza, doti che forse Dean non aveva notato in precedenza o forse che voleva solo evidenziare quando gliene ha parlato.
Aveva un po’ paura, soprattutto perché era da tanto che non impugnava una pistola, che non si ritrovava praticamente da sola ad affrontare una situazione simile e, nonostante creda di aver calcato un po’ troppo la mano, è soddisfatta della sua risolutezza. Se avesse dovuto affrontare un mostro diverso forse le avrebbe fatto anche più comodo. Anche questo, in un certo senso, l’ha spinta a voler ripercorrere la vecchia via: l’idea di non essere proprio una frana come pensava. E il fatto che anche Dean glielo abbia fatto notare l’ha rincuorata ancora di più.
 
Sospira, seguendo il filo dei suoi pensieri, e torna a guardarsi allo specchio per un’altra manciata di istanti. Ha i capelli appiccicati alle spalle ancora bagnati per la doccia ed è bene asciugarli se non vuole rischiare di prendersi un malanno, perciò afferra un altro asciugamano e lo passa sulla testa per poi prendere il phon e asciugarseli per bene.
 
Prima di pulire e mettere a posto l’appartamento – ha tutta l’intenzione di lasciarlo in un modo decente all’inquilino che la sostituirà quando lei se ne andrà – vuole rifare i bagagli e prendere tutte le sue cose. Poi si vedrà.  
 
Si guarda intorno mentre il getto d’aria calda del phon le soffia sui capelli ancora umidi, mordendosi il labbro inferiore.
 
Le mancherà questo posto. E’ stata una vera e propria casa per lei nei mesi che ha trascorso qui, un piccolo rifugio arredato ad hoc per le sue esigenze.
 
Vivendo la routine dei cacciatori per un po’, Ellie ha capito che a loro non è concesso affezionarsi ai posti. Belli o brutti che siano, sono solo di passaggio e tali devono rimanere, perché non possono trascorrere lì più di un intervallo di tempo prestabilito e poi sono costretti a scappare via, come se fossero braccati da chissà quale animale feroce. Ellie, invece, a questo appartamento alla fine si era affezionata, perché è piccolo e confortevole, praticamente su misura per lei: appena si entra, sulla sinistra c’è la cucina, con il tavolo in legno scuro al centro ed il piano cottura, le mensole bianche in alto in tinta con il pavimento ricoperto da mattonelle di marmo bianche con dei puntini rosa e neri. Alla destra della cucina, la tv, il divano poggiato contro il muro e di fronte all’ingresso ci sono due porte, una che dà sul bagno e l’altra sulla sua piccola stanza, composta di un letto singolo, di fronte l’armadio ad una sola anta dentro il quale i vestiti erano un po’ stipati ma ci entravano perfettamente – visto che non erano molti – e un comodino di legno chiaro posto lì accanto sul quale, accanto alla lampadina, Ellie poggiava sempre i libri che leggeva prima di andare a dormire o il taccuino che custodiva gelosamente nel secondo cassetto insieme alle matite da disegno ed ai pastelli. Le finestre sono una in bagno, di fronte al lavandino ed accanto alla doccia, ed una nella sua stanza. Ellie era solita aprirle spesso, per dare aria agli ambienti e a Mufasa piaceva salire sul davanzale e guardare giù, spiando i movimenti di chi passava da quelle parti. Essendo situato al secondo piano di una palazzina divisa in sei appartamenti, poi, su quella finestra ci saliva proprio volentieri perché era in alto e più volte Ellie si è affacciata accanto a lui, divertita da questa sua curiosità, per vedere cosa c’era di tanto interessante da guardare.
 
Certo, probabilmente viverci in due sarebbe già stato più difficile – lo spazio è quello che è, in fin dei conti – ma ad Ellie questo posto piaceva proprio per questo, perché in un periodo nero come quello che stava vivendo aveva bisogno dei suoi spazi e di un po’ di pace, di un po’ di solitudine per rimettere a posto le idee e capire cosa voleva davvero. Alla luce degli ultimi avvenimenti, però, teme di aver capito qual è il suo posto e che piega dare alla sua vita, ma ciò non toglie che la libertà che aveva qui dentro le mancherà. Così come Buckley che, in un modo o nell’altro, farà sempre parte di lei, anche se negli ultimi mesi non è riuscita a viverla come avrebbe voluto, come faceva quando c’era ancora la mamma ad illuminare le sue giornate con il suo sorriso rassicurante ed il calore della sua presenza.
 
Si pettina i capelli e li aggiusta, spostando la frangetta sul lato destro del viso prima di dirigersi in camera per vestirsi. Apre l’armadio e appoggia l’asciugamano ormai bagnato che le avvolgeva la vita sopra l’anta per poi scegliere cosa mettersi. Opta per un paio di jeans scuri, un maglioncino celeste non troppo pesante – in fondo è il primo di novembre [2] e non fa troppo caldo, ma neanche troppo freddo – e, una volta indossati, si sposta verso il comodino per afferrare il telefono che aveva lasciato lì sopra. Scorre la rubrica e individua subito il numero a cui manda velocemente un messaggio.
 
“Sono tornata. Ti va di vederci per pranzo?”

*

«Quindi hai deciso».
Con il gomito destro appoggiato sul tavolo e la sigaretta accesa e fumante stretta tra l’indice e il medio della mano, Janis le siede di fronte e la guarda con gli occhi verdi piccoli e scrutatori, come se volesse capire se la sciocchezza appena uscita dalla sua bocca sia vera o no. Fa così spesso, quando pensa che Ellie le stia dicendo cose strampalate. In questa posa sembra più saccente di quanto non è in realtà.
 
Sono sedute ad uno dei tavoli posizionati fuori dalla tavola calda in cui erano solite cenare per le loro serate tra donne a cui saltuariamente si univa anche David, il fidanzato di Janis che, in questo momento, non sembra gradire molto la compagnia di Ellie. O meglio, sì, ma è chiaro che avrebbe preferito ricevere notizie diverse.
Hanno deciso di pranzare all’aperto; l’aria è tiepida e dentro faceva troppo caldo per i gusti di Janis che, oltretutto, ha bisogno di fumare spesso. Di tutti i vizi che aveva da ragazzina, questo è l’unico che non è riuscita a togliere.
Ha in testa il berretto verde che Ellie le ha regalato un mese fa per il suo compleanno, ma ha tolto il giacchetto ed ora indossa una maglietta piuttosto leggera blu con le maniche lunghe.
 
Ellie le sorride, per alleggerire un po’ i suoi toni. «Sì, ho deciso».
«E senza chiedermi un consiglio» Janis dà un tiro alla sigaretta e sputa il fumo dalla bocca in modo quasi rabbioso. Ellie, però, sa che non è davvero arrabbiata. Fa così solo perché non vuole vederla andare via un’altra volta.
Stringe le spalle «Non c’era niente da chiedere. Ho deciso su due piedi e—»
«Hai già parlato con il tuo padrone di casa?»
Ellie annuisce. «Sono passata da lui prima di venire qui. Fortunatamente l’affitto lo pago ogni tre del mese, perciò non perdo nulla».
Janis allarga gli occhi prima di sputare un’altra nuvoletta di fumo dalla bocca «Ah, quindi è pure una cosa imminente». Il modo in cui lo dice fa sorridere Ellie «E non ridere, cazzo. Hai una vaga idea di quanto mi mancherai, maledetta Ellisabeth?»
Ellie sorride più convinta «Non sei da sola. C’è David».
«Che è un uomo. E, per quanto si sforzi, non capisce molte delle cose che riguardano da vicino noi pulzelle» sorride mentre dà l’ultimo tiro alla sua sigaretta ed Ellie con lei. Capisce cosa sta cercando di dirle: in fondo, negli ultimi anni ha vissuto solo con degli uomini e deve ammettere che le confidenze tra donne le erano mancate molto. I mesi trascorsi qui con Janis le hanno dato conferma. La guarda tornare seria mentre spegne il mozzicone nel portacenere «Senti, seriamente, ne sei convinta? Perché… beh, a me sembra che tu stessi costruendo qualcosa qui» Ellie si morde le labbra «Stavi acquistando la tua indipendenza: un appartamento, anche se piccolo, un lavoro… eri partita bene e le cose sarebbero potute andarti ancora meglio. Sei sicura che scappare sia la soluzione?»
 
Ellie sorride mesta, sbuffando aria dal naso «E’ qui che ti sbagli, J. Qui… qui non c’è più niente per me. Stavo solo cercando un posto dove nessuno potesse trovarmi, un rifugio, che è un po’ quello che Buckley ha sempre rappresentato per me. Ma la verità è che non gli appartengo più» si avvicina, piegando la schiena in avanti «Stavo scappando prima. E’ adesso che sto tornando sulla strada giusta».
 
Janis rimane in silenzio per qualche istante, gli occhi verdi fissi nei suoi, poi tira le labbra in una linea sottile «Se è così, allora vai. Torna da tuo padre se è ciò che ti sembra giusto» le fa un piccolo sorriso, cercando di mascherare la tristezza che sente all’idea di non poterla vedere più come facevano prima, lo stesso sentimento che prova anche Ellie «E magari vienimi a trovare, ogni tanto».
A quelle parole, le sorride «Mi farebbe piacere farlo» ed è davvero sincera mentre glielo dice, ma Janis la guarda con un’espressione sarcastica stampata sul volto che le fa arricciare le labbra in una smorfia «Dico sul serio».
«Me lo auguro per te. Già che te ne andrai a zonzo… a proposito, dov’è che ti aspetta tuo padre? O sei venuta con lui?»
 
A quelle parole, Ellie deglutisce, cercando di rimanere naturale per nascondere il nervosismo. Non le è mai piaciuto raccontare balle a Janis, ma non ha mai avuto scelta, tantomeno stavolta: prima di partire per andare da Dean, le aveva detto che stava andando da papà perché l’aveva richiamata per un’importante mostra d’arte e voleva parlare con lei. Ora ha intavolato questa conversazione dicendo che lui la rivuole al suo fianco e che lei vuole seguirlo quando, in realtà, non sa neanche se la vorrà vedere, se si limiterà a salutarla per poi mandarla via o non l’ascolterà proprio.
Le pesa non poter essere sincera con lei che fin da quando andavano a scuola insieme è stata una persona importante, che le ha fatto conoscere il vero significato della parola amicizia, ma se vuole salvarla da tutto quello che c’è di spaventoso fuori deve fare questo sacrificio.
 
Prende fiato, attorcigliando una ciocca di capelli intorno all’indice della mano destra «No, papà mi aspetta a Seattle» balla «Ha un’altra mostra importante e deve… deve allestirla» che grossa, immensa e colossale balla «Per questo non è venuto con me».
Incrocia le gambe sotto il tavolo continuando a guardarla negli occhi, sperando di averla convinta e, a giudicare da come Janis la osserva, sembra di sì. Stringe le spalle «Ho capito. Beh… spero che sia davvero la cosa giusta per te».
Lo dice con un po’ di tristezza nella voce; Ellie tira le labbra in una linea sottile «Lo spero anch’io» poi allunga la mano destra per stringere quella dell’amica «Questo non significa che non mi mancherai, eh» che la guarda sollevata «E menomale!» poi le sorride «E non dire così, che mi fai commuovere» fa il gesto di asciugarsi le lacrime sotto l’occhio sinistro con un sorriso da presa in giro stampato sulla faccia ed Ellie lascia la presa mentre le fa la linguaccia. Janis ride ed è così solare mentre lo fa, così… spontanea.
 
Lei è felice della sua vita, adesso che ha un lavoro più o meno stabile come commessa in un negozio di fumetti e sta con quel pazzo di David che le vuole un bene dell’anima. Ellie è davvero contenta per lei e, certamente, vorrebbe provare lo stesso anche per sé. Qualcosa dentro di lei le dice che sarà così una volta trovato papà, perché sente che è la strada giusta da percorrere, che è l’unica soluzione praticabile arrivata a questo punto. Non lo sta facendo perché costretta, o perché non c’è niente di meglio per lei in questo momento, ma perché è ciò che vuole fino in fondo. Non si sentiva così sicura di qualcosa da tanto, troppo tempo e, nonostante la paura che papà possa rifiutarla e mandarla via di nuovo – che c’è, è sotto pelle che scorre veloce e viene a galla quando meno se lo aspetta – non ha intenzione di rinunciare a percorrere questa via, o almeno a provarci. Al più, se le cose andranno male, potrà dire di aver tentato, ma di certo ce la metterà tutta per far funzionare il loro rapporto questa volta.
 
Il cameriere che porta le loro ordinazioni – un bel paio di hamburger di pollo con pomodoro e insalata contornati da un’infinità di patatine e salse – la distrae da quei pensieri; le saluta calorosamente – hanno fatto amicizia dopo tutte le volte che lei e Janis hanno cenato lì insieme – e, quando lui torna dentro per servire altri clienti, Ellie sorride all’amica vedendola prendere una patatina in mano con un’espressione affamata sul volto.

Fa altrettanto, sentendo un certo languorino allo stomaco. «Ho solo un’altra cosa da chiederti… »
«Basta che non sia parlare col tuo capo al Luke’s Diner. Lo sai che non mi può vedere».
Ellie ride; è vero: Luke Teague [3], il suo quasi ex datore di lavoro, non prova una grande simpatia per Janis, perché spesso andava lì con il semplice intento di distrarla mentre lavorava. E’ un tipo alto, pelato e muscoloso che, a vederlo, ispira più terrore che simpatia, ma in realtà è un pezzo di pane, soprattutto se gli si dimostra impegno e serietà. «No, scema. Volevo chiederti se posso passare a trovare Mufasa un giorno di questi. O più tardi, se non hai da fare».
Janis sorride sorniona «Quello puoi farlo tutte le volte che vuoi» ed Ellie fa altrettanto, contenta. Ha tanta voglia di riabbracciare quel bel micione peloso e coccolone.
Afferra una patatina con l’indice e il pollice della mano destra e l’avvicina alla bocca «Dai, dimmi di te. Che hai fatto di bello in questi giorni?»
 
Janis le sorride prima di cominciare a raccontarle del suo lavoro, delle giornate che ha passato insieme al suo ragazzo ed Ellie si perde nel suo racconto, ascoltando per filo e per segno tutto ciò che la sua amica ha da dirle.
 
E’ bello guardare Buckley attraverso gli occhi di Janis, osservarla sotto una luce diversa dalla sua: quella di chi vede in questo paesino una speranza, di chi ne parla come di una casa e che ha tanta voglia di costruire qui la sua vita. Da un certo punto di vista, è normale che Janis tenga ancora a questo posto: qui ha tutti i suoi affetti e non ha mai desiderato vivere altrove, a maggior ragione adesso che le cose le vanno bene e che ha trovato un equilibrio, cosa per lei affatto semplice, e proprio per questo per Ellie è bello guardare lei e la sua vita scorrere, sapere che qualcuno è disposto a credere ancora di poter costruire un futuro in questo piccolo paesino sperduto nello stato di Washington.

*

«Quindi non è andata bene? O a prescindere lui aveva deciso di rimanere a Stanford?»
«No… è andata bene, ma ha un colloquio importante domani e non ci vuole rinunciare. Dice che è per il suo futuro».
 
Ellie, il cellulare premuto tra l’orecchio destro e la spalla destra, è intenta a piegare un paio di pantaloni per infilarli nel borsone che ha lasciato aperto sopra il letto. I piedi nudi e solo la camicia della mamma addosso, ascolta Dean all’altro capo del telefono mentre rimette nel borsone i suoi vestiti; se ne ricordava molti di meno, ora quasi stenta a farceli entrare tutti quanti.
 
Dean l’ha chiamata un paio di minuti fa, dicendo che con suo fratello le cose sarebbero potute andare meglio e lei gli ha chiesto di raccontarle un po’ di dettagli, anche se in realtà non si è sbottonato molto.
Un classico, insomma, perché farlo parlare – soprattutto quando ha brutti pensieri in testa – è tutt’altro che semplice.
 
«E sei ancora lì fuori perché speri che torni indietro?» [4] glielo domanda perché a quanto pare Dean è poco più avanti dell’appartamento dove Sam vive con la sua fidanzata, dentro l’Impala con il motore spento e la radio accesa che deve tenere ad un volume basso, perché la sente in sottofondo. Ellie lo immagina con il finestrino aperto e il braccio sinistro appoggiato allo sportello mentre la chiama.
Piega un altro paio di jeans mentre aspetta la risposta, che arriva dopo un lungo sospiro «Ma che cazzo ne so… papà ci ha lasciato delle coordinate sul suo diario [5], dovrei seguire quelle indicazioni… ma ecco, non so che fare» rimane nuovamente in silenzio; Ellie immagina si stia passando una mano sulla bocca o qualcosa del genere. «Oppure potrei venire da te. Buckley non è poi così distante da qui».
Ellie sorride a quelle parole, mordendosi il labbro inferiore; sa che Dean le sta dicendo così perché vuole cambiare discorso, ma le fa comunque piacere sentirlo parlare in questo modo, perché c’è un fondo di verità. «E’ vero, non lo è. Ma… »
«Ma stai per andare a cercare Jim e vuoi farlo il prima possibile, lo so» Ellie avverte il piccolo sospiro che solitamente segue un sorriso provenire dall’altro lato del telefono e lo immagina piuttosto triste. Questa storia che ha scelto di andare da papà proprio non gli è andata giù. «A proposito, come vanno i preparativi?»
Raddrizza la testa, tenendo il telefono con la mano destra, e va a sedersi sul letto, incrociando le gambe «Bene. ho parlato con il padrone di casa e con il mio ormai ex capo alla tavola calda. Gli dispiace che me ne vado» si lecca le labbra «Ora sto recuperando tutte le mie cose. Non mi ricordavo fossero così tante».
Il piccolo sospiro che segue le labbra di Dean stendersi arriva più convinto alle sue orecchie, come se il sorriso che sta sicuramente facendo fosse meno malinconico «Beh, forse hai fatto troppo shopping in questi mesi».
Ellie sorride «Può darsi». A quelle parole segue un piccolo momento di silenzio, come se entrambi volessero dire qualcosa ma non sapessero cosa e lei, ripensando a quello che le ha detto Dean poco fa, non riesce a trattenere un pensiero per sé «Sai, in realtà mi… mi piacerebbe che tu fossi qui» si morde le labbra dopo averlo detto, ma Dean continua a rimanere in silenzio perciò aggrotta la fronte. Subito dopo, però, le viene da sorridere; immagina che lui sia un po’ a disagio per quelle parole, perché lo sarebbe se gliele avesse dette in faccia – anche se farebbe di tutto per nasconderlo – e si sbriga ad aggiungere qualcos’altro per cercare di toglierlo dall’eventuale imbarazzo «Perché… beh perché domani voglio pulire questo posto da cima a fondo e mi farebbe proprio comodo qualcuno che mi aiutasse a spostare i mobili».
 
Dean sembra rifletterci un istante perché resta in silenzio, poi ride e lei con lui; le sembra un secolo che non lo sentiva farlo. «Quindi ti servirei solo come facchino, ho capito» sorride ancora ed Ellie fa altrettanto, sentendo le guance andare a fuoco.
«Esattamente» si morde le labbra per un istante, osservando la pila di vestiti ancora sparsi sopra il letto «Credo che devo andare… devo sbrigarmi, visto che non ci sei tu ad aiutarmi e tutti questi vestiti non si mettono a posto da soli. Poi vorrei andare a letto, tra un po’… domani mi aspetta una lunga giornata».
«Immagino» lo sente sorridere «Un’ultima cosa» rimane un attimo zitto ed Ellie lo immagina deglutire, come in cerca delle parole giuste «Tu… tu sei sicura?»
 
Ellie espira forte, percependo la fine della frase – qualcosa che assomiglierebbe a un di quello che stai facendo – come praticamente pronunciata; sa a cosa Dean si sta riferendo e anche che lui non è totalmente d’accordo con la sua decisione. L’aveva capito già prima che, dopo che lei gliel’ha comunicata quando hanno fatto colazione insieme, le dicesse quel mi sembra giusto che di convinto non aveva proprio niente, ma sì, è davvero certa. 
 
Inspira «Sì, Dean. Io… io mi sento sicura».
«Beh, allora… allora è giusto così».
Lei abbozza un sorriso «Sì» prende fiato «Fammi sapere se ci sono novità».
Lo sente sospirare appena «Certo. Anche tu»
«Sicuro. Beh, allora buonanotte, Dean».
«Buonanotte e… Ellie?» lei rimane sospesa, aspettando che finisca di parlare «Anche a me piacerebbe» e anche stavolta Ellie sa cos’è sottinteso nella sua frase, qualcosa che assomiglierebbe tanto ad un essere lì con te e fa in tempo solo a sorridere, perché Dean riattacca e la lascia così, con le guance rosse ed un sorriso che le va da un orecchio all’altro.
 
Preme il tasto rosso e si stende sul letto, rigirando il cellulare tra le dita e fissando il soffitto. Si morde le labbra cercando di contenere quel sorriso che le esce fuori spontaneo se solo ripensa agli ultimi giorni.
E’ stato più difficile di quanto si aspettasse, soprattutto da ammettere: Dean è parte di lei, ormai. E forse, più che dopo essere stati insieme, l’ha capito ieri notte, quando, rannicchiata sul sedile posteriore della vecchia Volvo di Bobby, non riusciva a smettere di pensare a lui e, di conseguenza, a prendere sonno.
Ripensava al suo sguardo intenso, al suo sorriso – meno luminoso di come lo ricordava ma comunque bello –, alle sue carezze, ai baci e alla sua ostinazione nel rivolerla indietro, quella che gli ha permesso di farla cedere. Ed è stato incredibile, per Ellie, che sentiva le dita di Dean come cera bollente sul suo corpo, tanto che in quel momento le sembrava di essere una ragazzina di tredici anni in preda ad una colossale cotta e anche adesso, stesa sul letto a fissare il soffitto con un sorriso ebete che non è più in grado di nascondere neanche a se stessa, si sente allo stesso modo.
 
Non ha idea di come possa andare a finire tra di loro. Questa nuova lontananza non è di certo un toccasana per una coppia di persone che si sono appena ritrovate, ma Ellie è più che convinta della sua decisione. Non poteva seguirlo ed intralciare i suoi affari di famiglia e men che meno presentarsi alla porta di suo fratello con lui ed alterare il già fragile rapporto tra i due. Era una cosa che Dean doveva affrontare da solo, per forza. Certo, è chiaramente intenzionata a sostenerlo e a stargli accanto qualora le cose non andassero bene e non riuscisse a trovare suo padre, ma intromettersi in un equilibrio di per sé già così delicato voleva dire far fallire il suo intento di ricostruire la sua famiglia.
Ci sarà tempo per loro. Un legame tanto forte come quello tra lei e Dean – che ha comunque già subito tempeste ben più burrascose e ne è uscito – può sopportare un periodo di lontananza vissuto con un po’ più di serenità, con la certezza di esserci l’uno per l’altra.
Ellie spera che possa funzionare e ce la metterà tutta per farlo, perché Dean è una delle persone più care che ha ed ha capito – soprattutto alla luce di quello che è nuovamente successo tra loro – che non può allontanarlo o arginare ciò che sente per lui, qualunque cosa sia.
 
Gli occhi le cadono sull’orologio appeso al muro che segna già la mezzanotte passata ed Ellie scatta a sedere, ripromettendosi di smettere di fare la scema e di tornare a mettere a posto le sue cose. Si alza in piedi, avvicinandosi nuovamente all’armadio e stringendo il labbro inferiore tra i denti, cercando di pensare a quanto spazio ha rimasto nel borsone per farci entrare ancora un altro paio di camicie, tre magliette a maniche corte ed un maglioncino colorato e caldo per quando fa freddo.
 
Per domani ha in programma di pulire questa casa da cima a fondo, così da poter riconsegnare le chiavi non più tardi di dopodomani. Fortunatamente non è grande, perciò dovrebbe fare presto.
Janis le ha proposto di andare a dormire da lei quando non avrà più un tetto sulla testa ed Ellie pensa di accettare, anche perché, se i suoi conti sono esatti, ciò accadrà molto a breve.
Infatti, se tutto va come dovrebbe, le piacerebbe restituire le chiavi al padrone di casa già domani sera per poi partire mercoledì mattina dopo aver fatto colazione. Potrebbe rimanere a dormire qui domani, ma vorrebbe passare più tempo con Janis e magari salutare anche David, il suo ragazzo, che è stato sempre carino e socievole con lei che, nei mesi che ha vissuto qui, voglia di socializzare ne aveva meno di zero, perciò pensa che accetterà il suo invito e riconsegnerà le chiavi un giorno prima di come aveva previsto.
 
Si guarda nuovamente intorno, il piccolo sospiro che accompagna i suoi pensieri che si trasforma presto in un sorriso.
Le mancherà questo posto, sì, ma la sensazione di pace che sente addosso all’idea di lasciare questa casa è decisamente più forte ed appagante di quella che sentiva quando vi è entrata la prima volta. E questo, Ellie non può che interpretarlo come un buon segno, come l’idea che davvero sta facendo la cosa giusta.

*

Seduta su una sedia sgangherata posta attorno al tavolo della cucina che ormai conosce a menadito, Ellie deglutisce, un paio di occhi piuttosto minacciosi che puntano i suoi.
Il berretto logoro e un po’ consumato sulla testa e la solita camicia a quadri sopra la maglietta grigio topo, Bobby la fissa con la fronte aggrottata, chiaro segno che non è tanto d’accordo con quello che Ellie gli ha appena confidato.
 
E’ di fronte a lui, le braccia appoggiate sul tavolo. Nonostante lei e Bobby si chiamino almeno una volta a settimana, non se la sentiva di parlargli di questa storia per telefono. Così, ha pensato di venire a trovarlo, un po’ per parlargli appunto del cambiamento che vuole fare e un po’ perché ha bisogno che qualcuno le dia una mano a trovare papà. E chi meglio di Bobby che è forse il cacciatore migliore che Ellie abbia mai incontrato da che ha conosciuto papà ed è venuta a contatto con molti di loro?
 
Ha già provato a telefonargli un paio di volte negli ultimi giorni senza ottenere alcuna risposta, ma ha solo uno dei tre numeri di papà, perciò non ha idea di come rintracciarlo. Da una parte, poi, ha anche paura che, anziché rispondere alla chiamata, le chiuda in faccia; ne sarebbe capace, soprattutto dopo la ferocissima discussione che hanno avuto tempo fa.
Le è venuto anche il sospetto che l’unico numero che lei ha sia stato disattivato, perché il telefono risulta sempre spento ed è una cosa strana, per papà. Magari l’ha buttato proprio per non farsi trovare da lei – che a cercare la gente col GPS è diventata quasi brava –, ma Ellie non vuole pensare ad un’eventualità simile. Vuole trovarlo e parlarci a quattr’occhi, che è sempre stato l’unico modo per risolvere qualsiasi cosa. Come adesso, che è qui davanti a Bobby ad aspettare di sentire i suoi improperi. Perché, a giudicare da come la guarda, sicuramente non è felice dei suoi piani futuri.
 
E’ qui da quasi un’oretta. Non pensava di metterci tanto, altrimenti sarebbe partita di sera anziché di mattina da Buckley, ma la strada si è rivelata più lunga di quanto si aspettasse ed è arrivata qui che erano già quasi le nove del mattino [6]. Certo, se non si fosse fermata a schiacciare un pisolino per strada ci avrebbe messo di meno, ma era stanca e le sembrava di non riuscire più a vedere nitidamente la carreggiata, per questo ha accostato e si è riposata almeno un paio d’ore. Meglio che fare un incidente.
In realtà, poi, prima di venire qui voleva passare a salutare la mamma. Non le è venuto bene in quella giornata che ha deciso di dedicare alle pulizie e ci teneva tanto a portarle dei fiori e parlarle della svolta che sta per prendere la sua vita. Certo, la mamma non può sentirla, ed è più un gesto fine a se stesso che altro, ma la fa sentire un po’ meglio, le fa pensare che, in fondo, la donna allegra e solare che l’ha cresciuta non sia poi così lontana. Anche se non può più risponderle.
 
Lo sguardo minaccioso di Bobby la riporta alla realtà. Quando l’ha vista arrivare le ha sorriso gioioso – e sicuramente non solo perché Ellie, visto l’orario di arrivo, ha pensato di portargli la colazione che si sono già pappati insieme –, ma ora… ora non ce n’è più traccia sul suo viso stanco.
«Io spero che tu stia scherzando».
Ellie sorride mesta, la testa bassa mentre si rigira le dita di entrambe le mani appoggiate sul tavolo «Ti sembra che io lo stia facendo?»
«No, ed è proprio questo che mi preoccupa» stringe un pugno mentre continua a guardarla negli occhi «Senti, la scelta è tua e devi vivere la tua vita come ti pare e piace, ma… ma hai una vaga idea di ciò che ti aspetta?» la fissa in un modo che ad Ellie fa quasi venire i brividi «Voglio dire, eri riuscita a costruire qualcosa nel posto dove sei cresciuta, eri tornata a casa tua… perché adesso vuoi tirarti indietro?»
«Non è questo» Ellie sospira appena «E’ vero, dopo il mio litigio con papà sono tornata a Buckley ed ho cercato di ritrovare un equilibrio, ma non… non ci sono riuscita. E’ per questo che lo voglio cercare. Io… io devo mettere a posto le cose con lui».
«Dopo tutto quello che ti ha detto? Dopo come ti ha trattata?»
«Sì» Bobby sbuffa aria dal naso a quelle parole, sviando lo sguardo e aggiustandosi il berretto sulla testa. Ellie prende fiato «Ascolta… lo so che ti sembrerà assurdo, ma… ma lui rimane comunque mio padre ed è l’unico che ho. So che non è perfetto e… e che dovrebbe trattarmi con più rispetto, ma… ma è l’unico pezzo che mi è rimasto della mia famiglia» lo guarda negli occhi; quelli di Bobby sono un po’ più tristi di prima «Voglio almeno tentare. Se poi mi manderà via o mi dirà ancora cose che non mi piacciono, me ne farò una ragione, ma non posso non fare un tentativo».
 
Il vecchio cacciatore si passa l’indice sulla fronte, espirando dal naso. Rimane qualche secondo in silenzio, poi parla ancora «Non so, avrai anche ragione, ma… ma conosco Jim. E non è esattamente quella che si definisce una persona comprensiva».
«Lo so, ma… ma ho bisogno di provare a riaggiustare le cose. Nemmeno io mi sono comportata bene, in fin dei conti».
Bobby allarga gli occhi, più minaccioso di prima «Dopo come ti ha trattata che volevi fare, stendergli il tappeto rosso?»
 
Ellie si morde le labbra. Nonostante si sia sfogata con Bobby quando ha litigato con papà – in fondo, non aveva nessun altro con cui farlo –, ha evitato di snocciolare troppi dettagli sul loro rapporto non proprio roseo, perché immaginava che, dato l’affetto che il vecchio cacciatore prova per lei, si sarebbe arrabbiato. Gli è bastato leggere la collera nei suoi occhi per fermarsi appena in tempo. Una parte di lei, però, crede che Bobby lo abbia immaginato fin dall’inizio, ma nonostante questo non vuole compromettere di più l’idea che lui sicuramente ha di Jim Davis.
 
Sbuffa appena, la testa bassa, e rigira le dita tra loro, un po’ nervosa «Non lo so, io… io non sono perfetta. E mi sembra di non averci provato abbastanza con papà» rialza gli occhi, intenta a continuare con un tono che sia il più calmo possibile «Voglio fare un ultimo tentativo, poi come va, va. Se mi aiuti, te ne sarò immensamente grata, altrimenti… altrimenti proverò a fare da sola, ma non penso di doverti spiegare che senza quei numeri e nemmeno una mezza idea su dove papà possa essere sarebbe davvero difficile».
 
Tira le labbra in un linea sottile, girando ancora le dita nervose tra loro, in attesa di una risposta. Osserva Bobby aggiustarsi nuovamente il berretto sulla testa e sbuffare appena. «E va bene. Ma ricordati che ti avevo avvisata». Ellie si morde il labbro inferiore, intenzionata a mascherare un sorriso. Il vecchio cacciatore si alza e lei scatta in piedi subito dopo, ma lui la guarda minaccioso. «Frena l’entusiasmo, carina. Prima devo finire le mie ricerche. Mi ha chiamato un cacciatore questa notte e, se non mi smuovo a capire che cosa sta cacciando, quel coso finirà per mangiargli le chiappe. Ha la precedenza».
Glielo dice con il solito tono di quando vuole fare il duro ma non ci riesce fino in fondo. Ad Ellie fa venire da sorridere, ma cerca di trattenersi per non farlo arrabbiare sul serio.
 
Bobby gira oltre il tavolo e le dà le spalle, ma Ellie gli va dietro, come un cagnolino fedele o una bambina che attende una qualche ricompensa dal papà dopo che ha fatto qualcosa di bello. Lui, avvertendo i suoi passi, si volta e la guarda con la fronte aggrottata «Che vuoi?»
Ellie stringe le spalle «Aiutarti. Posso darti una mano per—»
Bobby alza una mano nella sua direzione, puntando gli occhi sulla cucina per poi sospirare irritato «Va contro tutti i miei principi, ma… ho il frigo vuoto e tu… tu hai intenzione di rimanere almeno un paio di giorni, vero? Perché hai visibilmente bisogno di riposo» Ellie ci riflette un attimo, poi annuisce; andare da papà un giorno prima o dopo non fa alcuna differenza ed è vero che è stanca: tra i viaggi di questi giorni – tutti lunghissimi –, le pulizie eccetera ha decisamente bisogno di una sana pausa. Poi è tanto che non sta con Bobby, le fa piacere fargli compagnia. «Ecco, perché dovrei andare a fare la spesa e magari… »
Ellie sorride soddisfatta «Ma certo. Ci vado più che volentieri!» e, a giudicare da come Bobby la sta guardando, è abbastanza convinta che si sia già pentito della sua proposta.

*

La giornata è trascorsa velocemente, soprattutto dopo il lungo riposino che Bobby l’ha costretta a fare nel pomeriggio dopo averla vista sbadigliare due o tre volte di fila. All’inizio non voleva dargli retta ma poi, dopo aver sparecchiato e messo a posto, ha ceduto e deve dire che è stata un’ottima idea. Ora si sente decisamente più riposata.
 
I capelli legati in una treccia alla francese – che ha faticato a fare, data la cortezza dei suoi capelli –, la maglietta blu con lo scoiattolo e i pantaloni grigi di una tuta addosso, Ellie siede sulla sedia del suo studio, proprio davanti a lui che è al telefono con il tizio a cui è riuscito a trovare le informazioni che gli servivano.
Si guarda intorno: quella stanza è un vero disastro. C’è un kilo di polvere su ogni scaffale e sul tavolo e non osa immaginare quanta ce ne sia sui libri che sono sparsi ovunque. Ci vorrebbe una bella ripulita, ma non ha intenzione di usare questo tempo che passerà con Bobby per mettere a posto. Avrà sicuramente altre occasioni.
 
Lo osserva, portando alla bocca una cucchiaiata di gelato alla vaniglia che mangia da una ciotola di ceramica gialla. Ne ha preso una vaschetta stamattina quando è andata al supermercato a fare la spesa, ma alla fine è più per lei che per Bobby che ne avrà assaggiato sì e no un cucchiaio. Non ha capito se non gli piace o se ha paura che, dopo il mega pranzo di oggi e la cena che, seppur più discreta era comunque carica, possa fargli male. Ad Ellie non importa poi molto, in realtà, perché glielo lascerà in freezer quando partirà, così lui potrà mangiarlo quando gli andrà.
 
Il vecchio cacciatore chiude il telefono dopo qualche istante, salutando il tipo dall’altra parte della cornetta con un grugnito. La guarda «Adesso è sistemato» e appoggia il cordless – forse l’unico che ha, gli altri apparecchi telefonici sono tutti attaccati alla parete – sulla scrivania. Chiude il librone che stava consultando per dare informazioni a quel tizio – un tomo voluminoso con forse più di millecinquecento pagine a giudicare dal suo spessore – e lo mette da un lato. Tira le labbra in una linea sottile «E adesso occupiamoci di tuo padre» prende un’agenda posizionata sopra una pila costituita da quattro volumi belli spessi e la apre, sfogliando una per una le pagine e controllando con gli occhi se c’è il numero che cerca.
 
Ellie porta alla bocca un altro cucchiaio di gelato, lo sguardo fisso su Bobby e la mente altrove.
Sa benissimo che i rapporti tra lui e Dean sono “congelati” da quando quel testone ha deciso di smettere di telefonargli, ma questo non significa che Bobby non debba avere notizie del suo figlioccio. In fondo l’ha cresciuto e gli vuole un bene dell’anima, non si merita un trattamento simile.
 
Si lecca le labbra, cercando di farsi coraggio «Sai, l’altro giorno ho… ho rivisto Dean».
Bobby non alza gli occhi per guardarla, il berretto ancora infilato in testa e lo sguardo concentrato su quelle piccole pagine consumate «Vi siete chiariti?» Ellie rimane un po’ impietrita di fronte a quella domanda: non gli ha mai raccontato niente dei loro trascorsi burrascosi, ma sapeva che lui se ne fosse accorto. Non ci voleva poi un genio: Ellie non lo nominava più, non ne parlava più se non era Bobby per primo a tirare fuori il discorso – come quando le ha raccontato di aver litigato pesantemente con John – e, quando ha avuto bisogno di qualcuno, si è fiondata da lui invece di provare a rintracciarlo. Ma ora la sta mettendo davanti all’evidenza dei fatti e questo, in un certo senso, è come se le facesse realizzare che aveva compreso la situazione. Infatti, adesso alza gli occhi e la guarda di sottecchi «Sembro rimbambito, ma non lo sono. L’ho capito da un pezzo che qualcosa non andava».
Lei sorride, un po’ in imbarazzo «Lo so» fa spallucce «E… sì, abbiamo chiarito».
Torna a cercare i numeri sull’agenda «E che ti ha suggerito riguardo alla tua brillante idea?»
Sorride mesta «Che non è poi così brillante» e tira le labbra in una linea sottile «Voleva che lo seguissi».
«E perché non l’hai fatto? Poteva essere una soluzione migliore».
Ellie si morde le labbra «Perché… perché è meglio così. Per tanti motivi» abbassa la testa inavvertitamente e non riesce a dire altro. Fortunatamente neanche Bobby lo fa. Aggiunge solo un «Sta bene?» che è carico di quella amarezza che deve provare all’idea che Dean non lo chiami più perché si è messo in testa una cosa idiota, qualcosa che Ellie non può spiegargli perché deve farlo da solo. Chissà quando lo farà.
Non se la sente di raccontargli la storia di John e che Dean è a Stanford da suo fratello. Gliene parlerà da solo quando si deciderà a farsi vivo.
Lei abbozza un sorriso «Sì. Sì, sta bene».
Bobby la guarda nuovamente, l’ombra di un sorriso che gli increspa le labbra sottili. «Meglio così» torna con gli occhi sull’agenda e la gira, per poi allungarla verso Ellie che infila gli occhiali che aveva appoggiato sulla scrivania, proprio lì accanto, per dare un’occhiata.
 
Legge una lista di nomi, scritti con una calligrafia precisa seppure un po’ incomprensibile, a cui sono associati dei numeri. Da un certo punto in poi, ce ne sono quattro che riportano il nome James. Sono tutti diversi, è solo il nome a ripetersi: James Kirk, James McCoy, James Spock e l’ultimo, quello che Ellie riconosce come estremamente familiare: James Davis. Alza gli occhi verso Bobby che ha un sorriso divertito stampato sul volto «Che vuoi farci, tuo padre è un fan di Star Trek [7]» Ellie aggrotta la fronte, non comprendendo pienamente cosa Bobby sta cercando di dirle, ma lui parla prima che possa chiedergli qualcosa «Lascia perdere. Comunque, questi sono i suoi numeri e gli pseudonimi che utilizza quando ha bisogno di camuffarsi. Quando mi telefonava, tipo se la polizia gli rompeva le scatole con qualche controllo, dovevo capire chi diavolo mi chiamasse, altrimenti era un casino» sorride un po’ amaramente, come se stesse seguendo un ricordo dei tempi andati. Poi la guarda «Allora, tentiamo la sorte?»
 
Ellie annuisce, la bocca piegata in una smorfia un po’ ansiosa. Prende il suo laptop, appoggiato anch’esso su un’altra pila di libri – una delle tante di quella stanza polverosa – e lo accende, per poi aprire il browser e cercare il sito giusto. Inserisce il codice di accesso – non è la prima volta che lo consulta: quando è andata da Dean, quasi una settimana fa, è così che lo ha trovato – e la password e poi, nello spazio apposito, il numero da cercare. Inserisce il primo e aspetta che il radar lo trovi, ma la ricerca non dà nessun risultato. Con il secondo, invece, è più fortunata: sullo schermo compare una cartina con un punto rosso [8] che lampeggia sopra Madison, una cittadina del Wisconsin.
 
Ruota il laptop per mostrare il risultato a Bobby che lo guarda con attenzione. «Beh, poteva andarti peggio. Non è tanto distante da qui».
Lei continua a fissare il computer «Già».
 
Espira aria dal naso, una strana sensazione che le attanaglia lo stomaco. Non sa perché, ma qualcosa le suggeriva che non lo avrebbe mai trovato, che si fosse nascosto – da lei soprattutto – e che le sarebbe stato impossibile riuscire a raggiungerlo, invece è lì, segnalato da un puntino rosso che lampeggia con insistenza.
Rilascia le spalle, cercando di scrollare un po’ di tensione, ma non riesce come vorrebbe. Solo lo sguardo comprensivo di Bobby riesce a trasmetterle un po’ di sollievo. Allunga un braccio e le afferra una spalla con una mano «Facciamo così: adesso torni a riposarti, poi domattina ricontrolliamo se è ancora lì e se è così vai da lui».
Ellie aggrotta la fronte «Ma ti avevo detto che—»
Lui stringe le spalle «Lo so, ma con me puoi starci un’altra volta. Non ho intenzione di morire presto, tranquilla» lei sorride appena a quella battuta, capendo cosa intende dire «Jim è troppo vicino per lasciartelo sfuggire per una promessa che hai fatto a me».
 
Ci riflette un attimo, poi annuisce. Sa che, nonostante inizialmente non fosse d’accordo, Bobby conosce la sua situazione – anche se a grandi linee – e sa bene quanto lei tenga a rimettere a posto le cose con papà, perciò le sue parole suonano più sincere che mai.
 
L’indomani, quando, dopo la colazione – abbondante per Bobby, un po’ meno per lei che ha lo stomaco piuttosto chiuso –, parte con l’auto che quel vecchio brontolone non ha proprio voluto riprendersi, Ellie sa per certa una cosa: qualunque sia il verdetto con quel pezzo di testardo di Jim Davis, il suo cuore sarà leggero, perché l’avrà trovato, si sarà capacitata delle sue condizioni di salute e avrà regolato i conti con chi, volente o nolente, più di chiunque altro è una colonna portante della sua vita. 

 


[1] Consultando un sito apposito, ho scoperto che per arrivare da Westwego (Louisiana) a Buckley (Washington) ci si impiega un giorno e ben quindici ore.  
[2] In questa storia, Ellie e Dean si sono salutati il trenta ottobre e lei è tornata a Buckley la sera del giorno dopo, quindi il trentuno, la sera in cui lui, invece, incontra Sam dopo due anni di silenzio. La mattina seguente al risveglio di Ellie, quindi, risulta essere il primo novembre, una domenica, stando al “calendario” degli eventi del “Pilot” della serie.
[3] Questo cognome è un piccolo omaggio a Jason Teague, personaggio interpretato da Jensen Ackles nella serie Smallville. Il nome del locale, Luke’s Diner, è chiaramente di fantasia.
[4] Spulciando su internet, a volte ho letto dei commenti che esprimevano delle perplessità sulla scena dell’incendio a casa di Sam, sul fatto che Dean arrivi immediatamente quando, qualche inquadratura prima, lo si vede partire con l’Impala. Tutto questo, in realtà, è giustificato in una scena tagliata presente nei DVD della prima stagione che io, però, avevo totalmente dimenticato di aver visto. Perciò ho pensato a questa scena attenendomi a ciò che si vede nel “Pilot” e immaginando che Dean fosse rimasto nei paraggi e che, partendo con la macchina, volesse far vedere a Sam che se ne stava andando quando non era vero. Così ho pensato che, nei minuti – che possono essere stati anche cinque o sei – precedenti al ritrovamento di Jessica sul soffitto, Dean, rimasto quindi poco distante dall’appartamento, abbia potuto chiamare Ellie e raccontarle com’era andata con suo fratello. La telefonata, chiaramente, si è interrotta prima che Dean si accorga dell’incendio. 

[5] Riferimento ad un paio di scene del “Pilot”.
[6] Il mio fidatissimo calcolatore di distanze mi suggerisce che per arrivare da Buckley a Sioux Falls sono necessarie più di ventidue ore.
[7] I cognomi Kirk, McCoy e Spock appartengono a personaggi dell’universo di Star Trek: il capitano James Tiberius Kirk, interpretato da William Shatner, Leonard McCoy interpretato da DeForest Kelley ed il celebre dottor Spock interpretato dall’ormai defunto Leonard Nimoy.
[8] Il metodo per ritrovare Jim mi è stato “suggerito” dall’episodio 4x01 “Lazarus Rising”, quando Dean opera alla stessa maniera per trovare Sam. 



 
Note: Salve a tutti!
Lo so, lo so, sicuramente questo non è ciò che vi aspettavate per il ritorno di Ellie, ma lasciatemi spiegare.
Il seguito è ancora in fase di scrittura; sicuramente sarà più lungo di “Wash away, per questo, oltre al fatto che l’ispirazione è la simpaticona (si fa per dire) di sempre che esce fuori a giorni alterni e che la vita vera spesso mi tiene lontana dalla stesura dei capitoli, ci sto mettendo un bel po’ a “partorirlo”. La storia è nella mia testa, devo svilupparla e, ahimè, questo richiede parecchio tempo.
Da un po’, però, avevo pensato ad una specie di intermezzo, qualcosa che raccontasse a chi legge un pochino (ino ino, eh, sennò il seguito che lo scrivo a fare? XD) di quello che succede dopo l’ultimo capitolo di “Wash Away”, qualcosa che non viene analizzato moltissimo nella prossima storia e che mi piaceva approfondire. Per questo ho pensato di farvi un piccolo regalino, nell’attesa di quello che verrà fuori non so quando, e di pubblicarlo proprio oggi, a un anno di distanza dalla pubblicazione del primo capitolo di “Wash Away”. Lo so, sono una pazza scatenata, ma spesso vado per ricorrenze XD L’ansia, comunque, è la stessa di un anno fa.
Approfitto inoltre di questa One shot perché tempo fa, scrutando nei meandri del sito in un pomeriggio particolarmente noioso, sono incappata nella classifica delle storie più popolari nella categoria Supernatural e, sotto all’elenco “la più alta media di parole per recensione positiva”, ho trovato “Wash away” al terzo posto con dei numeri da capogiro. E questo è solo ed esclusivamente merito delle bellissime recensioni che mi avete lasciato nella storia… ed io non so ancora, a distanza di mesi, come dire grazie! *.*
Come al solito sono prolissa e chiacchierona, ma tutto questo è per dirvi che spero che gradiate la piccola sorpresa e per ringraziarvi di tutto il tempo e l’affetto che avete dedicato alla mia storia finora e che spero continuerete a dedicarle quando il seguito sbarcherà in questo sito.
Concludo dicendo che il titolo è un piccolissimo verso – in un certo senso “rivisitato” – di “Afterglow” dei Genesis, la stessa canzone che introduceva e dava il titolo al capitolo venticinque di “Wash away”. Chi ne coglie il nesso sarà ricoperto di biscotti! XD
Spero che quello che avete letto vi sia piaciuto. Vi lascio un grosso abbraccio, alla prossima! :**
  
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