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Autore: _wayward    10/04/2009    4 recensioni
Lui fu uno dei pochi che riuscirono a sopravvivere e a tornare a casa.
O, almeno, tornò ciò che restava di lui.
Del campo di sterminio, neanche uno dei più famosi, ormai restano solo le tracce.
I cadaveri ritrovati furono sepolti in un cimitero vicino all'abbazia di St. Agnés.
Un semplice edificio, ormai provato dal corso del tempo e delle lapidi di legno e pietra intorno.
Sotto una di queste lapidi vi è il ricordo di Shisui Uchiha, ed accanto ad esso giace il cuore di Itachi.
Nel suo petto rimane solo la fede.
Non in Dio.
Ma nella sua promessa.
Seconda classificata al contest "Dal pennello alla tastiera" indetto da hotaru.
Genere: Drammatico, Song-fic, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Shisui Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nick Autore: kyoko94.
Titolo: Made to Be Broken.
Rating: Giallo.
Personaggi: Shisui Uchiha/Itachi Uchiha.
Genere: Malinconico, Sentimentale.
Avvertimenti: Alternative Universe (AU), One-Shot, Song-Fic, Shonen Ai.
Quadro Scelto: “Abbazia nel Querceto” di Caspar David Friedrich.
Introduzione: Lui fu uno dei pochi che riuscirono a sopravvivere e a tornare a casa.
O, almeno, tornò ciò che restava di lui.
Del campo di sterminio, neanche uno dei più famosi, ormai restano solo le tracce.
I cadaveri ritrovati furono sepolti in un cimitero vicino all'abbazia di St. Agnés.
Un semplice edificio, ormai provato dal corso del tempo e delle lapidi di legno e pietra intorno.
Sotto una di queste lapidi vi è il ricordo di Shisui Uchiha, ed accanto ad esso giace il cuore di Itachi.
Nel suo petto rimane solo la fede.
Non in Dio.
Ma nella sua promessa.



~ Made to Be Broken



Era inverno.
Gli alberi erano spogli e si proiettavano verso oriente come ombre inquietanti sul terreno.
L'abbazia diroccata si stagliava contro il cielo grigio del tardo pomeriggio e la luce emanata dal sole nascosto dietro alle nuvole non era sufficiente per illuminare il sentiero che conduceva all'arco principale dell'edificio.
Tombe e lapidi di legno sbucavano dalla terra coperta dalla neve.
Un ragazzo, quasi un uomo, inginocchiato davanti ad una di queste, pregava, in silenzio.
Pregava un Dio che, forse, non era mai esistito.
Pregava colui che i credenti chiamavano “A-Donai”, anche se dubitava che Lui, se davvero c'era un Lui, lo stesse ascoltando.
E' questo che fanno gli uomini, quando non hanno più niente da fare.
Pregano, sperando che un Qualcuno, con la Q maiuscola, li senta e li possa perdonare, rassicurare ed amare.
Pregano, le persone sole, coloro che hanno perso la speranza da bambini, davanti ad un orso di pezza distrutto, pregano gli orfani, i ladri e anche gli assassini.
Si, perché anche coloro che affermano di non aver bisogno di nessuno ed in particolare di un Dio, pregano. E di solito sono quelli che lo fanno più spesso, nel silenzio delle loro notti insonni, quando il terrore per gli incubi è ancora più grande di quello che potrebbe causare l'incubo stesso.
Dio, dopotutto, è solo l'illusione più grande che l'uomo abbia mai creato.


****



Allora non doveva portare la stella gialla appuntata al petto, andava ancora a scuola e la sua era una normale famiglia ebrea, forse un po' più ricca della norma.
Probabilmente era per questo che Itachi Uchiha, all'età di sette anni, non aveva ancora amici.
L'invidia è un brutto seme che si insidia anche nelle menti più ingenue.
Sta di fatto che il bambino era trattato con i guanti da tutti i suoi coetanei.
Quando Mikoto, sua madre, venne a sapere dell'arrivo in patria di sua sorella e del suo figlioletto, Shisui, di pochi anni più grande di Itachi, si rallegrò, pensando che, finalmente, il suo bambino avrebbe trovato un amico, una persona con cui condividere la propria infanzia che ormai stava volgendo al termine.
Mikoto aveva preparato ogni cosa alla perfezione ed aveva istruito Itachi su come comportarsi con il cugino.
Avrebbe dovuto essere gentile ed educato, porgere la mano e presentarsi a testa alta e petto in fuori.
Dico avrebbe perché così non accadde.
La stazione era piena di gente, quel giorno, Itachi era stanco per l'ora tarda e non aveva la minima voglia di fingersi come al solito il perfetto figlio che tutti si aspettavano fosse.
Ad un tratto sua madre gli aveva indicato una donna che avanzava verso di loro tenendo per mano un bambino.
Dovette ammettere in seguito che subito gli era parso diverso dagli altri.
Aveva un qualcosa che lo distingueva dagli altri bambini.
Non nell'abbigliamento, in tutto e per tutto identico al suo, e neanche nell'atteggiamento.
Piuttosto c'era qualcosa, nei suoi occhi, qualcosa che Itachi, allora troppo piccolo per poter capire, riuscì a definire solo quando questi si chiusero per sempre, privandolo del suo cielo.
Nei suoi occhi c'era la Luce.
Pura e Chiara.
Luce.
Quando se l'era trovato davanti poi, l'aveva colpito.
Letteralmente.
Nel senso che gli era andato addosso.
Erano caduti insieme, l'uno sopra l'altro, poi Shisui si era rialzato, gli aveva preso la mano, sorridendo, e l'aveva aiutato a tornare in piedi.
Ed era bastato quel semplice gesto per conquistare il suo cuore.


And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now




Qualche anno dopo iniziarono le persecuzioni razziali contro gli ebrei.
Itachi aveva undici anni quando arrivarono le Missive. Lettere d'espulsione, per lui e per Shisui.
Allora, nonostante fosse cresciuto, era ancora un bambino e non riusciva a comprendere il motivo di quella lettera.
Nella sua classe era l'allievo migliore, allora perché adesso non poteva più andare a scuola?
Shisui aveva quattordici anni e lo sapeva. L'aveva sentito dire dai suoi compagni più grandi e l'aveva intuito ascoltando i discorsi di sua madre.
Ma non lo capiva.
Come risposta ai quesiti del più piccolo si limitava a sorridergli, come faceva sempre e a dire che avrebbero avuto più tempo per loro.
Itachi non se ne curò pensando che se Shisui non era preoccupato, allora non avrebbe avuto motivo di esserlo neanche lui.
Forse non avrebbe dovuto lasciar perdere così facilmente.
Forse avrebbe dovuto insistere.
Magari sarebbe bastata un'altra domanda per far prendere alla storia una piega diversa.
Se tutti quanti avessero preso la faccenda seriamente.
Se qualcuno avesse avuto il coraggio e la forza di fermare ciò che stava iniziando.
Forse, allora si sarebbero salvati, e la vita avrebbe vinto sulla morte.
Ma la realtà non è fatta di se e di forse, la realtà sono i fatti che si susseguono seguendo un ordine apparentemente logico.
Le cose succedono, alcune fanno soffrire, altre ti spezzano il cuore e ti uccidono lasciandoti vivo.
Non importa quanto tu cerchi di prevenire o quanto preghi il tuo Dio, perché succedono lo stesso.
Itachi, purtroppo, lo avrebbe capito solo quando ormai era troppo tardi.


And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight



Fu negli anni che seguirono la creazione della famosa stella gialla che Itachi cominciò a notare qualcosa che non andava.
Nel mondo, nella sua famiglia ed in Shisui.
Soprattutto in Shisui.
Sembrava cambiato. Nei suoi occhi non c'era più la luce di una volta.
Erano spenti e opachi, si rifiutavano di vedere ciò che, di lì a pochi anni, avrebbe coinvolto il mondo intero.
Senza quegli occhi Itachi si sentiva perso.
Aveva vissuto fino ad allora facendo affidamento alla capacità del cugino di esserci sempre e comunque, per lui, mentre ora vedeva Shisui che si allontanava e non ne capiva il motivo.
Nella sua egoistica ed ancora infantile visione della vita Shisui era solo suo, non poteva andarsene e lasciarlo da solo.
Perché Itachi era solo.
Anche Shisui era solo.
Ed era per questo che insieme, potevano essere qualcosa.
Insieme.
Poco tempo dopo la madre di Shisui morì. Il cancro l'aveva sopraffatta e lei non era stata forte abbastanza da sopravvivere.
I funerali si svolsero una settimana dopo il suo decesso.
In quella settimana Shisui si era rinchiuso in casa, rifiutando qualsiasi visita.
Il giorno del funerale nessuno lo vide e mentre il rabbino diceva l'ultima preghiera per sua zia, Itachi si ritrovò a pensare di come adesso fosse arrivato il suo turno, di fare qualcosa per Shisui.
Quella sera stessa il ragazzo si recò a casa sua.
Suonò il campanello ininterrottamente per dieci minuti, senza ottenere nessuna reazione.
Stava quasi per andarsene quando sentì la porta che si apriva dietro di lui.
Shisui era pallido, gli occhi arrossati dal freddo e, probabilmente, anche dal pianto, lo guardava con un aria triste, che mai gli aveva visto addosso.
Nei suoi occhi soltanto il ricordo della Luce che un tempo vi soggiornava.
Non disse niente, si limitò a guardarlo negli occhi.
Cielo nella Notte.
Buio nella Luce.
Dopo una serie di interminabili istanti, Shisui si avvicinò al cugino e, lentamente, posò le labbra sulle sue, in un bacio che sapeva di dolore, perdita e di lacrime mai versate.
Quando si staccarono un'unica domanda continuava a premere sulle labbra del più piccolo.
Perché..?”
Shisui, di nuovo, piantò gli occhi nei suoi.
E Itachi iniziò a capire.


And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am



Iniziarono allora a vivere le 'loro notti', come le chiamava Shisui.
Consapevoli del fatto che fosse sbagliato ma nello stesso tempo che, una volta iniziato, non sarebbero più riusciti a farne a meno.
Così, mentre Hitler allestiva, mattone dopo mattone, i primi campi di concentramento, loro iniziavano a costruire, passo dopo passo, il loro mondo, fatto di baci fugaci, sguardi complici e Amore.
Amore come mai Itachi aveva provato in vita sua.
Ed anche se si ripromettevano di smettere, perché, probabilmente, quando l'incanto si sarebbe rotto, avrebbero sofferto entrambi, la notte dopo erano di nuovo lì, stesi su quel letto, a consumare la passione che li avvolgeva.
Era un Amore intossicante, che creava dipendenza. Una dipendenza talmente forte da non riuscire a pensare ad altro.
Sapevano di sbagliare, ma il desiderio era troppo, troppo forte.
Non era un desiderio sessuale, dettato dalla voglia di soddisfare il piacere reciproco, ma un sentimento profondo quanto fragile che stava iniziando lentamente a crescere che poi si sarebbe consolidato alla perfezione negli anni che sarebbero passati, fino a diventare parte della loro stessa persona.
Era Amore.
Il tutto nascosto agli occhi della gente.
Itachi non aveva paura dei pregiudizi che avrebbero potuto infangare il nome della famiglia Uchiha o della reazione che avrebbero potuto avere i suoi genitori.
Piuttosto sapeva con assoluta certezza che la gente non avrebbe capito, non avrebbe potuto capire, ed era per questo che accoglieva con un leggero sorriso i tentativi di sua madre di presentargli ragazze che, a detta di Mikoto, avrebbero dovuto piacergli.
La gente era troppo occupata a cercare di dare uno scopo alla propria vita per provare ad andare oltre al velo delle apparenze, per riuscire a capire che dietro alla realtà sottile delle cose, poteva esserci altro, molto di più di quello che potevano immaginare.
Fin da quando era piccolo, Itachi aveva capito che era meglio mascherare la propria essenza per sopravvivere.
Indossare una maschera per nascondersi agli occhi degli altri, per evitare che il mondo lo vedesse per quello che era.
Molto meglio fingere di essere il figlio perfetto della famiglia perfetta che far vedere a tutti le proprie debolezze, i propri limiti ed i propri sogni.
Accogliere i sogni che gli altri avevano per lui e fare di tutto per realizzarli, fingendo interesse.
Erano solo maschere, sottili illusioni. Tanto la gente non aveva mai capito, e mai lo avrebbe fatto.
Nessuno si era mai sognato che Itachi potesse essere altro.
Nessuno lo vedeva per ciò che era, come in una stanza fatta di specchi, in cui tutti riflettevano la sua figura senza coglierla davvero.
Dopotutto nessuno si era anche solo mai fermato ad osservarlo.
La gente lo vedeva, ma non lo osservava mai realmente.
Poi era arrivato Shisui.
Con la sua capacità di entrare nel profondo della sua anima e di coglierne anche i particolari più insignificanti.
In pochi mesi aveva infranto tutte quelle barriere di cristallo che Itachi era riuscito a ergersi intorno in sette anni di vita.
E, quando egli era ormai alla sua mercé, inaspettatamente, non aveva usato quella capacità per ferirlo, ma si era avvicinato sempre di più a lui ed infine lo aveva aiutato a costruire altre barriere che li racchiudessero insieme, ancora più resistenti.
Per questo lo amava e non poteva fare a meno di lui.
Shisui aveva capito.
E di questo, Itachi gliene era infinitamente grato.


And you can't fight the tears that ain't coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive



Forse proprio perché troppo presi dal loro Amore che non si resero conto di quello che stava succedendo.
Dopo la stella gialla i tedeschi iniziarono a richiudere gli ebrei nei ghetti.
Quartieri per soli ebrei, praticamente prigioni travestite, e da lì tutto iniziò a prendere una piega più drastica.
Itachi ricordava ancora perfettamente il giorno in cui i Nazisti fecero irruzione nel palazzo dove, ormai da qualche tempo, abitava con la sua famiglia e Shisui.
Erano entrati sbattendo le porte, senza chiedere permesso, e gli avevano detto di preparare le valige, perché avrebbero dovuto partire.
Sua madre era scoppiata a piangere e Shisui gli aveva preso la mano nella sua.
Itachi allora aveva quattordici anni, ed aveva imparato a cercare le risposte alle domande che si poneva.
Allora sapeva, come ormai sapevano tutti.
Ma non capiva.
E non lo accettava.
Era sempre quella domanda ad insinuarsi fra i suoi pensieri.
Perché? Perché? Perché?
Perché li volevano portare via?
Perché dovevano distinguersi dagli altri?
Perché l'avevano espulso da scuola?
Perché fuori dai locali ormai ovunque si trovavano i cartelli con scritto: “vietato agli ebrei”?
Perché tutte le compagnie ebree erano fallite?
Perché li volevano rinchiudere?
Perché non era più libero?
Perché?
Cos'avevano loro, gli ebrei, di diverso dagli altri esseri umani?
Soltanto perché credevano in un Dio diverso dal loro?
No. Non riusciva a capire.
Itachi era ebreo, i suoi genitori erano ebrei, lo erano anche i genitori dei suoi genitori e così via.
Partecipava alle funzioni religiose quando loro glielo imponevano, ma di certo non gliene era mai importato più di tanto.
Gli risultava difficile credere che esistesse Qualcuno che lo osservava in ogni istante, Qualcuno che vegliava su tutto il mondo e lo faceva funzionare, perdonando coloro che sbagliano.
Era bello pensarlo. Pensare che esistesse questo Lui, ma bisognava guardare in faccia la realtà, senza aggrapparsi sopra inutili speranze.
Se davvero c'era un Dio, allora li avrebbe salvati .
Ma nessuno li salvò.
Così come nessuno salvò Shisui.
Non esisteva nessun Dio.
La stazione era piena di ebrei.
Era inverno e tutti indossavano cappotti e sciarpe, l'aria era fredda ed il vento soffiava, scompigliando i capelli di sua madre e facendo volare i lembi della sciarpa di Shisui.
Passò del tempo ed arrivò un treno, non uno dei soliti treni che era abituato a prendere, ma un treno angusto, scarno e rovinato, fatto soltanto di vagoni, senza posti a sedere.
La gente iniziò a mettersi in fila per salire sui vagoni.
Shisui, accanto a lui, gli prese la mano nell'istante in cui Fugaku e Mikoto vennero portati su un altro vagone.
Non preoccuparti, Itachi-chan. Ci vedremo quando saremo arrivati.” Quella era stata l'ultima cosa che sua madre gli aveva detto.
Poi non l'aveva più rivista.
Il vagone era stretto e le persone erano stipate, l'una addossata all'altra.
Erano passati giorni, settimane, ed infine mesi.
Nessuno si curava di dargli da mangiare il necessario, solo qualche mollica di pane, e potevano bere dai catini di acqua sporca.
Il treno era partito da tempo, ma ancora non erano arrivati.
Intanto cresceva la paura.
Paura del luogo in cui sarebbero approdati.
Paura del futuro.
Che cosa li attendeva, oltre la fitta nebbia che li circondava?
Per la prima volta in vita sua, Itachi si sentiva un tutt'uno con la gente circostante.
Quella stessa gente che aveva sempre disprezzato ora era lì, con lui.
Faceva i suoi stessi pensieri.
Aveva le sue stesse paure.
Guardava il futuro tremando, proprio come lui.
Itachi non sapeva.
Non capiva.
Scrutava nel profondo degli occhi di suo cugino, come a cercare una risposta a tutto quello che gli stava capitando, eppure non la trovava.
Solo altre domande.
Poi, finalmente, la nebbia che avvolgeva il loro futuro si diradò, lasciando spazio ad una nebbia ancora più densa.
Scesero dal treno, come una massa informe di scarafaggi, assaliti dai morsi della fame, trascinandosi, tenendosi per mano, come fantasmi in un cimitero.
E videro il loro futuro in faccia.
E c'era solo la nebbia.
La nebbia grigia che circondava il campo di sterminio.


And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am



Entrati nel campo, dei soldati li divisero.
Donne, uomini e bambini.
Itachi e Shisui furono ammassati insieme ad altri uomini e ragazzi in grado di lavorare in una stanza piccola, in cui erano posizionati alcuni letti, malridotti, con poche coperte.
Una SS gli spiegò cosa dovevano fare.
Lavorare, lavorare, lavorare, e cercare di sopravvivere.
Iniziarono a vivere lì, con la speranza che quel “vivere” terminasse presto e che qualcuno, forse davvero Dio, li venisse a salvare.
Speranza vana.
Sprecate, le notti passate a pregare, spalla contro spalla, di tornare alla loro vita.
Itachi tremava, rannicchiato contro il petto di Shisui e chiedeva perdono, per tutto ciò che aveva fatto di male nella sua vita, pur di uscire da lì. Con Shisui.
Qualsiasi cosa, pur di tornare a casa.
Ma non servì a niente.
Lavoravano, costruivano, portavano enormi mattoni, di giorno, e la notte avevano poco tempo per riposare.
Passarono settimane, senza che nessuno arrivò a salvarli.
Il freddo li accompagnava, durante le giornate.
Non c'erano fiori, nel campo, non c'erano luci, non c'erano ombre, soltanto nebbia e desolazione.
Non c'era niente.
Solo anime in pena che cercavano di scappare.
Itachi si chiedeva se erano morti. Forse non se n'era accorto, un treno l'aveva investito, ed era finito all'inferno.
Forse era già morto di fame.
Forse era stato il freddo ad ucciderlo.
Perché non era possibile che fosse tutto così dannatamente grigio.
Gli pareva di essere diventato cieco.
I colori non esistevano, in quel luogo, solo grigio, orribile ed incolore grigio.
Avrebbe voluto suicidarsi, solo per sapere se era ancora vivo, oppure no.
Ed anche se lo fosse stato, non sarebbe sicuramente valsa la pena di continuare a vivere in quel luogo.
Poi sentiva il cuore del cugino battere, sotto di lui e si ricordava i motivi per i quali non poteva farlo.
Il sangue delle ferite gli avrebbe aperto gli occhi.
Ma non avrebbe avuto ragione di esistere, senza Shisui.
Quell'inferno era sopportabile, se lo aveva accanto.
Ma il paradiso sarebbe stato ugualmente un inferno, nel momento in cui non avrebbe potuto averlo con se.
Una volta al mese, regolarmente, per quanto Itachi potesse capire, le SS li portavano in un salone e li disponevano in file ordinate, davanti ad un “giudice”.
Egli doveva giudicare chi era ancora in gradodi lavorare e chi no.
A quell'uomo era affidata la vita di migliaia di persone, e lui non se ne curava, mandando a morire colore che erano troppo magri, troppo piccoli, troppo malati.
Durante quel duro ed eterno inverno, Itachi e Shisui sopravvissero a circa cinque, di questi tribunali di morte, aggrappandosi alla vita, come mai nessuno dei due aveva fatto nella sua vita.
Intanto continuavano a scappare, rifugiandosi, la notte, l'uno tra le braccia dell'altro, beandosi del calore che riscaldava i loro corpi.
Fu in quel periodo che Shisui iniziò a tossire.
Tossiva a tal punto da non riuscire più a respirare e si contorceva, in preda agli spasmi.
Era sempre più debole, col passare del tempo.
Ancora una volta, i nazisti li portarono davanti al “giudice”, ed ancora una volta, insieme, superarono la corte, dirigendosi verso la stanza che dividevano con gli altri uomini.
Un colpo di tosse fece cadere Shisui in ginocchio e subito il più piccolo lo accompagnò alla loro branda, facendolo sdraiare. Mentre suonava il lungo fischio che segnalava di coricarsi, Itachi cercò di avvicinarsi al cugino.
Stai... lontano...” quel sussurro lo fece tremare di paura, nello stesso momento in cui Shisui scorse del sangue sulla mano con cui si era tappato la bocca.
Il ragazzo iniziò a tremare, cercando di pulirsi la mancina e Itachi si avvicinò, cercando di capire cosa avesse visto, ma Shisui lo spinse via.
Non mi toccare!” urlò.
Una voce dall'altro capo della stanza gli disse di stare zitti, qualcuno gli imprecò dietro, ma Itachi non li sentiva, nella mente soltanto l'urlo di suo cugino.
E il rosso.
Il rosso del sangue sulla mano di Shisui.
Intanto l'altro tremava ancora, lacrime amare premevano per uscire dagli occhi chiari, lacrime che il moro cercava disperatamente di combattere.
Lentamente Itachi gli si avvicinò, fino a riuscire a circondargli la schiena con le braccia, lo strinse forte, in una morsa gelida, cercando di calmare i singhiozzi.
Rimase così fino a quando l'altro ricambiò l'abbraccio, stringendolo a sé spasmodicamente.
Va tutto bene...” si ritrovò a sussurrare Itachi, ripetutamente, come una preghiera per calmarlo.
Shisui annuì, cercando di smettere di tremare.
Entrambi sapevano che non era vero.
La tubercolosi era una malattia dei polmoni contagiosa, li distruggeva e portava alla morte.
Eppure nessuno dei due mise in discussione quelle parole; meglio illudersi, pensare di essere al sicuro, che affrontare la verità.
Nessuno dei due ne sarebbe stato in grado.
Non in quel momento, non quella verità.
Semplicemente si distesero sulla branda, trovando confortevole il calore che i loro due corpi abbracciati si trasmettevano, e si addormentarono così, sperando di risvegliarsi nei loro letti, lontano da quel luogo, lontano da quelle paure, al di fuori di quell'incubo.


And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am



Itachi non seppe dire, neanche in seguito, con certezza, come aveva vissuto quel mese.
Shisui stava ogni giorno più male, ma nessuno sembrava accorgersene, ed era meglio così, da un lato. Le SS non sapevano che farsene di un malato di tisi in un campo di lavoro.
Ricordava che gli era stato accanto, sempre e comunque, e lo aiutava durante i lavori, per poi accovacciarsi sul suo petto la notte, e farsi cullare dal suo respiro.
Ricordava come Shisui lo accarezzava dolcemente, ma nient'altro.
Solo il vuoto.
I ricordi ripartivano da quella notte, che sarebbe anche stata l'ultima, passata con suo cugino. La notte prima del “tribunale” di quel mese.
Faceva freddo. Più freddo delle altre volte.
La coperta di cotone leggero non bastava a scaldarli entrambi.
Nessuno parlava, anche perché il coprifuoco era suonato da un pezzo.
Itachi era stanco ed i morsi della fame gli attanagliavano lo stomaco.
Cercava di non pensare, di addormentarsi in fretta.
Si era dimenticato che l'indomani ci sarebbe stato ancora il solito giudice, a segnare il destino di quegli uomini, che ormai uomini non erano più. Solo vermi, dinnanzi a qualcuno troppo più grande di loro.
Vermi in grado di strisciare, pronti ad essere schiacciati da un momento all'altro.
Proprio mentre stava per cadere fra le braccia di Morfeo, Shisui gli sollevò il volto, accarezzandogli la guancia.
Iniziò a fissarlo intensamente, come quando lo aveva baciato sulla soglia di casa sua. Continuarono quel gioco di sguardi fino a quando il più grande si decise a parlare.
Itachi...” sussurrò.
Il ragazzo abbozzò un sorriso tirato, le guance solcate dei profondi segni della stanchezza che si evidenziarono quando i bordi delle sue labbra si piegarono.
Shisui lo chiamò ancora.
Poi arrivò un colpo di tosse, che cercò di soffocare, per evitare di svegliare gli altri.
Itachi...” .
Voleva urlare, gridare. Al mondo, a Dio, a lui.
Voleva urlargli il suo amore, la sua sofferenza.
Voleva avvertirlo, non sarebbe passato, l'indomani. Il giudice non si sarebbe fatto scrupoli a mandarlo a morire.
Voleva prepararlo alla sua fine. Voleva assicurarsi di non venire mai dimenticato.
Voleva, voleva, voleva.
Avrebbe voluto tante cose, Shisui.
Avrebbe voluto vivere una vita felice, con Itachi, magari sposarlo, ma si sarebbe accontentato anche solo di averlo accanto a sé tutti i giorni.
Avrebbe voluto morire con lui.
Nello stesso istante, non volendo né lasciarlo da solo, né essere lasciato.
Le lacrime iniziarono a premere nel momento in cui si accorse che nessuno di quei desideri era destinato ad avverarsi.
Sarebbe morto, e non poteva fare niente per impedirlo.
Sarebbe morto in ogni caso, comunque, stroncato da quella malattia, era solo una questione di tempo.
Preferiva una morte veloce, anche se sofferta, ad una lenta agonia, durante la quale non avrebbe sofferto soltanto lui, ma anche Itachi.
No. Preferiva andarsene così, senza prepararlo, non poteva sopportare il dolore di vederlo piangere, non per lui, non in quel luogo.
Preferiva portare con sé il ricordo di Itachi che gli sorrideva nell'ombra della sua camera, piuttosto che un Itachi piangente, dinnanzi alla sua tomba.
C'era solo una cosa che doveva fare.
Assicurarsi che colui a cui aveva donato il cuore non venisse inghiottito, come sarebbe successo a lui, da quella guerra.
Doveva salvarlo.
Non poteva vivere, o meglio morire, con la consapevolezza di aver segnato anche la sua fine.
Itachi doveva vivere.
Una lacrima silenziosa sfuggì dai suoi occhi, celata alla vista del più piccolo grazie alla completa oscurità.
Shisui gli accarezzò una guancia.
Doveva.
Itachi...”
Sono qui, Shisui.” rispose l'altro.
Il ragazzo sorrise malinconicamente.
Vorrei che tu mi promettesi una cosa.” fece, ad un tratto serio.
Dimmi.”
Shisui si fermò un attimo ad osservare come, anche se segnato dagli avvenimenti, il volto di Itachi fosse ugualmente splendido. Si impresse quell'immagine nella mente, gli sarebbe servita, una volta lasciata la sua mano.
Voglio che tu viva. Non pensare mai di poter morire, aggrappati sempre alla vita, qualsiasi cosa succeda” Itachi spalancò gli occhi, ma il cugino non si fermò.
Devi sempre, sempre, sempre pensare al domani, senza guardare al passato, promettimi che dimenticherai questo periodo e che continuerai a vivere. Promettimi che non ti lascerai mai schiacciare da loro.”
Che continuerai a vivere, e che andrai avanti.”
Shisui...” fece l'altro “Sopravviveremo insieme.”
Il ragazzo gli strinse la mano, sorridendogli, cercando di credere in quelle parole.
Promettimelo” sussurrò soltanto.
Itachi parve non capire, ma si strinse ugualmente al cugino, prima di sussurrare quelle parole che, per sempre, lo avrebbero condannato ad una vita vuota.
Te lo prometto.”
Shisui sorrise ancora, poi si avvicinò al volto dell'altro.
Fece per posargli un bacio sulle labbra.
Lo voleva, Dio se lo voleva, ma non poteva rischiare.
Itachi spalancò leggermente la bocca, per accogliere il bacio del cugino, bacio che, però non arrivò mai.
Dopo aver indugiato ancora per qualche secondo su quella bocca delicata, assaporando il bacio che non poteva dare, Shisui si spostò di lato, appoggiando le sue labbra sulla guancia del ragazzo.
Lo salutò così.
Un bacio sulla guancia ed una carezza.
Poi lo prese per i fianchi e cambiò posizione, facendogli appoggiare la testa sul suo petto, come sempre.
Itachi, interdetto, ascoltava i battiti lenti del cuore del cugino.
Ti amo.” fu solo un sussurro, ma al più piccolo bastò per capire ogni cosa. Tutto quello che erano, racchiuso in quelle parole.
Solo una risposta, prima di concedere che il sonno lo accompagnasse fuori da quel mondo grigio.
Ti amo anch'io, Shisui.”


And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am



Arrivò.
Il momento in cui tutte le certezze di Itachi si infransero, nell'istante in cui veniva separato da lui.
Shisui lo guardava, gli specchi celesti velati da uno strato di malinconia.
Ed Itachi non seppe cosa fare.
Continuarono a guardarsi, mentre il giudice spezzava altre anime in pena.
L'ebano più scuro degli occhi di Itachi, immerso nel ghiaccio di quelli del cugino.
Cielo nella notte.
Buio nella Luce.
Uno sguardo che diceva mille cose.
Cose mai pronunciate, promesse, amore, amore, amore.
E non importava più dov'erano, né cosa erano.
Il mondo intero perdeva il suo significato, di fronte a quello sguardo.
Niente aveva più importanza.
C'erano solo loro due.
Ed il loro Amore.
Itachi lo pregava di non andare, mentre Shisui chiedeva il suo perdono per non poterlo più proteggere da vicino.
Ad un tratto la magia si dissolse, le SS entrarono nella stanza, e portarono via Shisui, insieme al gruppo dei deboli.
Per la prima volta in vita sua, Itachi si ritrovò a pregare.
Pregare così forte ed intensamente, che a stento si riconosceva.
Pregava perché quello fosse soltanto un incubo, pregava di svegliarsi, nel suo letto, da un momento all'altro, pregava Dio, perché gli riportassero indietro ciò che gli era stato tolto.
Tutto.
Tutto si erano presi.
Sua madre, suo padre, le sue ricchezze, la sua casa, perfino la sua dignità.
Ma quello non potevano farlo.
Non potevano togliergli anche Shisui.
Pregava, pregava, pregava perché qualcuno riaccompagnasse suo cugino in quella stanza, dichiarando che tutto era solo un errore, che lui poteva continuare a vivere.
Nello stesso istante in cui Shisui sparì per sempre dalla sua vista, Itachi si rese conto di essere completamente solo.
Qualcosa crollò, dentro di lui, mentre nella sua mente si faceva spazio la consapevolezza della terribile realtà.
No.
Non era possibile.
Voleva muoversi, camminare, correre, urlare.
Raggiungere Shisui ovunque lo stessero portando.
Ma non ci riusciva, era bloccato, schiacciato dal peso di quella verità.
Aveva sempre saputo che, prima o poi, Shisui o lui se ne sarebbe andato per sempre, lasciando l'altro da solo, però ci aveva creduto.
Aveva creduto a quel parole, aveva creduto che i suoi sogni, in un modo o nell'altro, si sarebbero comunque realizzati. Con Shisui.
Itachi si sentì come se qualcuno gli avesse strappato il cuore dal petto e si divertisse a calpestarlo, solo per vedere la sua reazione.
Era solo, adesso.
Solo.
Shisui non lo avrebbe più cullato, nel freddo delle notti, non avrebbe mai più sentito la sua confortevole presenza accanto a sé, in ogni momento.
Nessuno sarebbe mai stato lì per lui, qualsiasi cosa succedesse.
Nessuno lo avrebbe amato come faceva Shisui.
E non avrebbe potuto amare nessun altro, come aveva amato lui.
Improvvisamente si fece strada in lui la voglia di piangere, eppure le lacrime non riuscivano ad uscire dai suoi occhi.
Perché?
Voleva la risposta, la esigeva.
E non capiva.
Non seppe come e quanto tempo fosse stato in quella sorta di trance, solo, ad un certo punto, si reso conto di essere ancora vivo. Purtroppo.
Neanche in seguito, Itachi non riuscì mai a capire come fosse riuscito a trascinarsi stancamente verso il grande muro a cui ogni giorno, aggiungevano i mattoni, e a caricarsi, come faceva sempre.
Non sentiva i rumori, né le urla degli altri.
Solo il martellare fastidioso del suo cuore, che si era rifiutato di morire nell'istante in cui avrebbe dovuto farlo, quando Shisui era stato portato via.
Poi, come la flebile luce di una candela nella notte, un particolare gli ritornò alla mente.

Te lo prometto.”


La nebbia era grigia, come tutte le giornate.
La fame lo attanagliava, il sonno lo rendeva debole.
Il suo cuore era rotto, ma nel suo petto, qualcosa, come un orologio, batteva incessantemente, ed ora aveva trovato la sua ragione.


I just want you to know who I am
I just want you to know who I am



Quando la guerra finì, le persone rinchiuse nei campi di concentramento furono liberate.
Due tipi di persone, erano le uniche ad essere sopravvissute.
C'erano coloro che avevano cercato di andare avanti, sostenuti dalla voglia di vivere, o dalla paura di morire.
E c'erano coloro che, ormai, non erano più. Fantasmi inghiottiti da lacrime mai versate, gente morta, il cui cuore però continuava a battere.
Distrutti, tanto che erano riusciti ad andare avanti solo per inerzia. Per mantenere fede a tutto ciò che gli restava.
E Itachi faceva parte di questi ultimi.
Lui fu uno dei pochi che riuscirono a sopravvivere e a tornare a casa.
O, almeno, tornò ciò che restava di lui.
Del campo di sterminio, neanche uno dei più famosi, ormai restano solo le tracce.
I cadaveri ritrovati furono sepolti in un cimitero vicino all'abbazia di St. Agnés.
Un semplice edificio, ormai provato dal corso del tempo e delle lapidi di legno e pietra intorno.
Sotto una di queste lapidi vi è il ricordo di Shisui Uchiha, ed accanto ad esso giace il cuore di Itachi.
Nel suo petto rimane solo la fede.
Non in Dio.
Ma nella sua promessa.


I just want you to know who I am



****



Pregava ancora, l'uomo inginocchiato davanti alla tomba.
Ad un tratto la voce di una giovane donna lo riscosse dalla sua preghiera.
<< Itachi-sama... È ora di andare, si sta facendo tardi. >> Itachi si girò verso la sua governante, dando un'occhiata al cielo. Il sole stava tramontando e stavano sorgendo le tenebre.
<< Itachi-sama... >> Ancora una volta, la voce della donna gli giunse solo come un'eco lontana.
<< … Andiamo a casa. >>
L'uomo raccolse il cappotto che aveva posato a terra e se lo infilò, iniziando a camminare verso la strada.
Poco prima di raggiungerla, si voltò ancora verso la tomba.
Una lacrima scese sulla sua guancia, disegnando un solco che brillò, illuminato dai flebili raggi del sole.
Una lacrima.
Una sola.
Ma non l'ultima.


Owari ~



NdA: E' finita. Ancora non ci credo.
Questa fic mi ha preso così dannatamente. Insomma, non credevo di farcela in tempo. Ci ho messo tanto e la sto inviando praticamente per un soffio, ma davvero mentirei se dicessi che non mi sono emozionata, mentre la scrivevo. Spero di essere riuscita a trasmettere a te, e a chi leggerà, in seguito, tutte le sensazioni che avevo in mente, mentre l'ho scritta. Il quadro che ho scelto era splendido, e appena l'ho visto mi è venuta un'ispirazione pazzesca, come non credo che mai nessuno e niente mi abbia dato. Insomma, ci ho voluto provare.
Di solito io osservo, tutto, la gente, i luoghi, ogni cosa, e mi diverto ad inventare una storia a ciascuno di questi particolari. Credo che ogni cosa abbia una storia da raccontare. Probabilmente varia da persona a persona, ma questa storia è quella che mi ha suggerito il luogo del quadro.
A dire la verità, penso di essere andata “leggermente” fuori tema, ma tant'è. So anche che, nonostante io l'abbia letta e riletta, ci saranno degli errori madornali, ma insomma, chiamiamoli solo “distrazioni”, come le chiamava la maestra delle elementari. XD
Ultima nota, magari ho scritto delle cavolate inventate di sana pianta, sui fatti storici accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale, e di questo chiedo umilmente perdono, purtroppo mi rendo conto che le mie conoscenze si basano soltanto su quello che mi hanno insegnato alle medie e su ciò che ho imparato quando ho recitato in uno spettacolo su questo periodo. Se ne parla sempre troppo poco, la gente non vuole mai ricordare quello che è successo. Però anche se ricordare fa male, bisognerebbe farlo, per imparare da quegli errori, anche perché, se si va avanti così, ci ricascheremo di nuovo.
Ok, scusa per questo sproloquio, ti lascio alla fic! ^^
La canzone è “Iris” dei Goo Goo Dolls.

~2° CLASSIFICATA

Made to Be Broken” di ShiIta (kyoko94 su EFP)
Grammatica e lessico: 9.5
Stile: 10
Originalità: 9
Trattazione del quadro: 9.5
Opinione personale del giudice (sì, mi prendo questo piccolo sfizio): 4.5
TOTALE: 42.5
Assolutamente no. Non sei andata fuori tema, perché in fondo hai mantenuto l’atmosfera del quadro anche in ambienti diversi da quello rappresentato. Hai mantenuto la nebbia, il senso di desolazione e abbandono per tutta la durata della narrazione.
Per l’originalità ti ho dato un voto alto, e sai perché? Non per l’ambientazione nei campi di concentramento o per il sentimento tra Itachi e Shisui, che ho visto entrambi utilizzati spesso in parecchie fic, ma per il modo in cui li hai trattati. Ci sono frasi splendide, spietate che mi hanno colpito in modo particolarmente incisivo.
Ad esempio quando Itachi, che si era sempre sentito diverso e distante dagli altri, sul treno verso il lager si rende conto di provare gli stessi sentimenti, di condividere gli stessi pensieri delle persone che gli stanno attorno. Lui! È un passaggio di una forza prorompente.
E anche quando, due pagine dopo, si chiede se per caso non è già morto, e che varrebbe la pena di provare a suicidarsi per vedere se si è ancora vivi. Non riesco nemmeno a commentarti questa frase, leggendola sono rimasta senza fiato.
L’inizio è molto bello e molto forte. C’è qualche errorino di battitura, ma niente di che.
La canzone non ricordavo come facesse, così sono andata a cercarmela. Devo dire in un primo momento spiazza un po’: una canzone dei giorni nostri che accompagna una storia ambientata a metà ‘900, peraltro ispirata ad un quadro ottocentesco. Un miscuglio un po’ strano, che se devo essere sincera non mi ha convinto molto. Non per le parole, in sé adatte a descrivere ciò che lega Itachi e Shisui, quanto per la musica che accompagna la lettura. Credo che in una song-fic debba esserci un minimo di corrispondenza tra ciò che si legge e ciò che si ascolta, a livello proprio di percezione, e per la tua storia avrei immaginato una musica un po’ diversa. Ma questo è soggettivo, e tra l’altro è l’unica perplessità che ho. Per il resto, i miei complimenti. Se posso suggerirtelo, buttati nella introspettive! Hai delle intuizioni per nulla scontate, secondo me è il tuo genere!~

Allora.
Questa fic è arrivata Seconda.
E io ancora non ci credo. XD
Però ne sono davvero contenta e anche parecchio orgogliosa, se posso permettermelo.
In ogni caso, grazie a chi ha commentato e magari commenterà (anche se è una storia "vecchia" tranquilli che i commenti li leggo sempre e mi fanno molto piacere xD) e grazie anche a chi ha soltanto letto.
Davvero. <3

  
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