Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Padme Undomiel    14/05/2016    1 recensioni
[Ambientazione pre "Il conquistatore di Shamballa"]
Mustang, per lei, non riesce ad essere altro che Colonnello. Lo è sempre stato, in fondo. Colonnello, che per lei è sinonimo di sicurezza, autorità, perseveranza nel porsi degli obiettivi fermi, determinazione nell’affidarsi solo alle proprie risorse per andare a conquistarli, con la forza se necessario. Colonnello, che per lei vuol dire vincente, a qualsiasi costo, a qualsiasi prezzo – a discapito di qualsiasi vita.
E invece qualcosa ha fatto precipitare quel vincente nel baratro scuro e gelido di una sconfitta, e il solo pensiero riempie Winry di sconcerto. Cosa è successo? Non ha forse sconfitto quel malvagio homunculus? Non dovrebbe star facendo carriera nell’esercito? Lei non capisce nulla di politica e militari, ma c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questa situazione. Che ne è stato di Mustang?
Il suo sguardo si posa sulla finestra di fronte alla quale si è fermata, sul riflesso che vi appare – i capelli disordinati, gli abiti sporchi di lubrificante per automail, le guance pallide, gli occhi smarriti, le labbra incurvate all’ingiù da chissà quanto tempo.
Che ne è stato di lei?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Roy Mustang, Winry Rockbell
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
III - Let It Out Penultimo capitolo: ci siamo quasi.
Come sempre, grazie a voi che seguite questa storia mentre si avvicina alla fine.


















“Perciò non verrai.”
Al scuote mestamente la testa. “No.” Poi la guarda, con quegli occhi chiari fin troppo adulti che un po’ la sconvolgono, e un po’ la rassicurano. “Sei sorpresa?”
Winry gli sorride. “Ma no, in realtà me lo aspettavo.” Prende a giocherellare con una ciocca di capelli, cercando di dare a se stessa un’espressione serena per essere credibile. “Anche se non posso fare a meno di essere un po’ triste che non ci sarai.”
“Mi dispiace tanto.” Le labbra di Al si incurvano in una smorfia, e il bambino si agita un po’ sulla sedia. Winry non lo vede da così tanto tempo che per un momento si sorprende di non sentire il cigolio metallico dell’armatura al movimento. “Ma io non mi ricordo proprio della signora Hughes, né della loro figlia. Né tantomeno del signor Hughes. Anche se … dovrei ricordarmi di loro. Dovrei ricordarmi di tutti.”
Si sta rimproverando per il suo vuoto di memoria, di nuovo. Winry non sopporta quando succede: è già abbastanza orrendo che Al non abbia più ricordi dei quattro anni che ha trascorso viaggiando, delle persone care con cui ha stretto dei legami, del signor Hughes che somigliava fin troppo a un padre per lui – per tutti loro, in realtà-, ma sapere che ne soffre ogni giorno è troppo crudele.
Si sporge verso di lui e gli stringe le mani.
“Guarda che non hai niente di cui rimproverarti. Chi mai vorrebbe andare ad una festa di compleanno di una bambina di cui a stento ricorda il nome? Non le faresti certo un favore”, lo rassicura. “Sono certa che la signora Glacier capirà. E anche Elycia.”
“Però loro volevano vedermi!” Ribatte Al sconsolato.
“Al, tutta Amestris vorrebbe rivederti.” Esclama un po’ esasperata Winry. “Però tu sei uno solo, e non puoi moltiplicarti e accontentare tutti, soprattutto se vederli ti mette a disagio. E comunque sei impegnato in ben altro, no?”
Al non sembra del tutto convinto della propria innocenza, ma di fronte alla sua espressione sicura non può che capitolare, e ricambiare il suo sorriso.
“La figlia dei signori Hughes è nata il giorno del compleanno di mio fratello, eh?”, commenta poi, appoggiando la schiena contro la sedia e alzando il capo a fissare il soffitto. Il sorriso non lascia le sue labbra. “Dev’essere stato bello vederla nascere. Sono sicuro che a Ed abbia fatto molto piacere.”
Winry tace, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco.
“Io e il fratellone siamo stati insieme durante ogni compleanno che riesco a ricordare. Ti ricordi, Winry? C’eri sempre anche tu. Giocavamo in riva al fiume, e poi mamma ci faceva trovare la torta sul tavolo quando tornavamo a casa, tutti sporchi di terra.” Torna a guardarla, e cerca in lei la complicità di una parte di vita condivisa. Come se fosse normale ricordare e basta, come se fosse normale non aspettarsi che quest’anno sarà come gli altri anni.
“Lo sai, è anche per questo che voglio restare qui a Dublith a studiare con la maestra, quel giorno”, continua poi. “Per poter raggiungere mio fratello il prima possibile. E’ la promessa che gli ho fatto, ed è giusto che cerchi di rispettarla soprattutto il giorno del suo compleanno.”
C’è di nuovo quella luce battagliera e sicura nei suoi occhi grigio-verdi, così salda e intensa da mettere da parte persino il dolore. Winry capisce che Al non ha bisogno di essere consolato – non per davvero. Ritira le mani.
“E allora mettiti al lavoro, e studia finché puoi.” Gli dice. E poi solleva un pugno, grintosa. “E vedi di diventare l’alchimista più bravo di tutti i tempi. Così gliela farai vedere, a quell’arrogante di Ed!”
Al la guarda spaesato, inclinando il capo su un lato. “Mi stai spronando a studiare?”
“Ma certo!”
La fissa per qualche istante, prima di spalancare la bocca. “Winry … sei cresciuta davvero!”
Winry gli dà uno scappellotto, e resta insensibile al suo “Ahio!” di protesta.
“Ma guarda se devo farmi dire una cosa del genere da un bambino di dieci anni!” Sbuffa rumorosamente.
“Ma tu odiavi l’alchimia. Non volevi mai sentirci parlare dei nostri studi!” Si lamenta Al, con una mano sul punto offeso.
Winry lo guarda per un attimo. “Neanche ora mi piace l’alchimia”, ammette schiettamente. Poi si alza, e posizionandosi dietro lo schienale della sua sedia circonda Al con le braccia, stringendolo a sé. “Ma se può servire a farci stare tutti e tre insieme, solo per stavolta … va bene così.”
Al si rilassa nel suo abbraccio, e le stringe una mano, e ora è lui a rassicurare lei.
Saremo insieme, Winry. Quel giorno arriverà.”
Winry tenta di sorridere, ma non riesce a soffocare la malinconia che si sta diffondendo a macchia d’olio nel suo animo.
Sì, ma quando?
Senza accorgersene, il suo sguardo vola verso la cornetta del telefono, immobile sul tavolo accanto alla torta di mele che Winry ha preparato per Al.
Lo distoglie alla svelta, quasi scottata.

***


“Ti ricordi, Winry? C’eri sempre anche tu.”
Il treno oscilla e si inclina lievemente nella corsa, e Winry guarda fuori dal finestrino, osservando il paesaggio cambiare e i sentieri rincorrersi, il mento poggiato sulla mano.
Qualche volta le sembra che i ricordi che serba gelosamente appartengano ad una persona diversa da lei. Come se quei tre bambini che si stendevano sull’erba a rintracciare una forma nelle nuvole non fossero che un bel sogno che ha fatto una notte, e che la sua mente si è rifiutata di lasciar andare.
Eppure sono inequivocabilmente suoi, perché riesce ancora a sentire quelle sensazioni sulla pelle.
Il fiatone nel rincorrere i due bambini davanti a lei, e la fatica nel rimproverarli, coi polmoni in fiamme, del fatto che la lasciassero sempre indietro. La risata di Ed, e i suoi irriverenti Lumaca! che la offendevano finché lui non tornava indietro e la prendeva per mano, con le sue dita di carne, per correre insieme a lei. I petali delicati dei fiori che Al coglieva sempre per lei, un sorriso dolce sulle labbra. E ancora le creazioni di fango che le imbrattavano mani e capelli, e gli scoppiettii dei cerchi alchemici che i suoi amici attivavano per creare animaletti di pietra e legno. E la stanchezza nelle gambe quando, con Ed e Al, si cimentava in esplorazioni del bosco o risaliva il letto del fiume, giocando a fare gli avventurieri e sognando un futuro pieno di promesse, pieno di gioia.
Non festeggiavano mai il compleanno di Ed come si deve, lui non amava avere tutti gli occhi addosso quando non faceva niente di speciale a parte nascere–erano le sue esatte parole. Preferiva giocare, spintonare per scherzo Al, fare le linguacce a Winry. Ma rideva sempre, e anche i suoi occhi erano illuminati. Brillavano più delle stelle in cielo.
Sì, Winry c’è stata sempre, il giorno del compleanno di Ed. Anche quando la morte si è portata via i suoi genitori, e poi la mamma di Ed e Al.
Anche quando Ed e Al sono andati via da Resembool. Riusciva sempre a trovare il tempo di chiamarlo, rimproverarlo di non farsi mai vedere, perdonarlo di essere così allergico al telefono solo ascoltando il suo respiro passare attraverso la cornetta, e la sua voce finirle dentro al cuore.
Il treno fischia e Winry sbatte le palpebre, di nuovo sola, le mani strette sulla valigetta per automail che si porta sempre dietro ovunque vada, di fronte al paesaggio che man mano si allontana.
E’ straordinario che gli alberi continuino a crescere, la pioggia continui a cadere, i fiori continuino a sbocciare, nonostante Ed sia sparito da questo mondo.

***

Le suole delle sue scarpe sono appiccicose: deve aver camminato sulla pozza di bibite gassate che qualche invitato distratto ha versato sul pavimento. Non è la sola: bambini agitati e felici ci finiscono sopra continuamente, riuscendo chissà come a portare a termine il duplice compito di correre a perdifiato e restare comunque in equilibrio.
Nel salotto risate e proteste, e rumore, tanto rumore disordinato. Ne è immersa, ma è circondata da una bolla invisibile che la isola e la separa dal mondo.
Sheska si fa largo in mezzo ai bambini, imbarazzata mentre li evita per un pelo con strani movimenti, tra le mani due piattini ricolmi di cibo. Gliene porge uno, lasciandosi cadere sulla sedia accanto con un sospiro stremato. “E’ stata una vera impresa salvare qualcosa da quell’assalto! Non c’è quasi più niente degli stuzzichini della signora Glacier.”
Winry rivolge un sorriso pallido a Sheska, ma guarda il contenuto di quel piattino, e pensa che è ancora troppo pieno. Se ci fosse stato Ed, non ci sarebbe più nulla.
Non ha mangiato quasi niente, ma ha lo stomaco pieno di dolore e mancanza, e non può non guardare ogni viso, ogni sorriso, ogni espressione vitale, con la sensazione straniante di essere l’unica custode di un ricordo che nessuno conserva più.
Nessuno di loro sa che con Ed tra loro la sala sarebbe più colorata, i giochi più divertenti, la giornata più preziosa.
E’ per questo che possono essere felici. Non lo sanno.
“La torta! La torta!”
Grida entusiaste e corse eccitate accolgono l’entrata in scena della signora Glacier con una torta illuminata da candeline tra le mani, accompagnata da un’Elycia dalle guance rosse e il sorriso largo e soddisfatto di chi si diverte con tutto se stesso, il cappellino colorato che sulla testa le ballonzola da una parte e dall’altra mentre prende posto sullo sgabello. Madre e figlia si guardano complici mentre la torta viene posata sul tavolo, e la bambina si sporge verso di essa con aspettativa solenne, dietro le  fiammelle che brillano tra la glassa e il cioccolato.
La vede prendere un bel respiro e soffiare quanto più forte le riesce, e Winry pensa all’improvviso alla torta che la signora Glacier le ha fatto portare a Ed in ospedale appena un anno prima. Come mai non abbiamo pensato alle candeline?, si chiede. Sarebbe bastato andarle a comprare. Sarebbe stato un gesto carino. Ed ne sarebbe stato sicuramente imbarazzato, ma non si sarebbe tirato indietro, e le avrebbe spente per farmi piacere.
E mentre gli invitati battono le mani e acclamano la festeggiata, d’improvviso le sembra che il telefono squilli. Salta su, il cuore che batte furiosamente contro la sua cassa toracica, e in fretta si volta alla ricerca dell’apparecchio.
Ma si è sbagliata: non c’è nulla oltre al Tanti auguri a te che risuona nella sala.
Dovrebbe sentirsene rassicurata, invece si sente inquieta, turbata: il cuore non vuol saperne di calmarsi. Basta, si ripete. Basta. Mustang non la chiama più da molto tempo, a questo punto dubita che la chiamerà ancora: probabilmente si è stancato di cercare informazioni da lei, di cercare di interagire con l’orfana Rockbell. Oppure lei lo ha offeso, l’ultima volta, e lui ha deciso che come lui sceglie di condurre la propria vita non è affar suo – e non avrebbe torto.
Eppure più passa il tempo, più i suoi occhi sono calamitati dal telefono, e non importa nemmeno che non si tratti del suo: ovunque lei si trovi, continuerà a fissare quel maledetto telefono. Continuerà ad aspettarsi che suoni. Contro ogni logica, visto che lei non vuole che suoni.
Non vuole.
Che senso avrebbe volerlo?
“Winry?”
Winry si riscuote, trovandosi improvvisamente di fronte un viso paffuto e un sorriso contento.
I suoi lineamenti si addolciscono. “Ehi, Elycia”, la accoglie, permettendole di salirle in braccio e stringendola a sé. “Di’, ti diverti?”
Elycia annuisce vigorosamente. “Tantissimo!” Poi si gira indietro per guardarla negli occhi, un’espressione furbetta e solenne allo stesso tempo.
“Vuoi sapere il desiderio che ho espresso quando ho soffiato le candeline?”
“Ma non si dice!” La rimprovera per scherzo Winry, scuotendola gentilmente. “Se no il desiderio non si avvera.”
“Non fa niente. Alla mamma lo dico sempre.” Replica lei senza battere ciglio. Poi si sporge verso di lei, decidendo che la protesta non merita di essere accolta, e mettendosi una mano davanti alla bocca le rivela il suo segreto più importante.
“Voglio che Ed e Al tornino qui a giocare con me.”
Il cuore di Winry sembra fermarsi di colpo.
Elycia si allontana, la guarda, aspetta una reazione. Ma lei non riesce a dirle nulla: ha la lingua incollata al palato.
“Mamma mi ha detto che sono partiti per un viaggio”, riprende allora la bambina, “ma a me mancano tanto. Vorrei tanto giocare con loro. Li volevo alla mia festa oggi. Quando tornano?”
Non sa cosa risponderle. Come si può spiegare ad una bambina qualcosa che nemmeno gli adulti conoscono? Come può dire ad una bambina che di risposte non ce ne sono, non ce ne saranno per chissà quanto tempo? Come si può distruggere una speranza tanto candida con la cruda verità?
“Non è venuto nemmeno il signor Roy.”
Quel nome cade come piombo nelle sue viscere.
“Il … signor Roy?” Ripete, e la sua voce è instabile. “Doveva venire qui anche lui?”
“Non lo so. Però prima veniva a trovarmi, qualche volta, e mi portava dei regali. Ora non viene più”, risponde Elycia. “Mamma mi ha detto che è partito anche lui. Che ci sta proteggendo tutti da lontano. Ma io non voglio che mi protegga! C’è già papà che ci protegge. Dal cielo può vedere tutto, molto di più del signor Roy.”
Solleva il dito verso l’alto, fissandola con straziante sicurezza.
“Io voglio che stiano tutti qui con me.” Conclude poi, abbassando la testa e la mano.
Winry non sa cosa dire. Muta, accarezza i capelli della bambina, e la stringe un po’ più forte a sé.
Il suo sguardo vola verso il piccolo altarino dedicato al signor Hughes, alla foto incorniciata dove un paio di occhi neri seri e imperscrutabili la fissano, accanto a quelli del suo migliore amico, sorridenti e calorosi.
Pensa al tono infelice di Elycia nell’annoverare Mustang tra gli amici, tra le presenze importanti per lei al suo compleanno. Proprio lui, che sembra sempre così controllato, così freddo. Proprio lui, che nonostante tutto è fallace, e sbaglia, e prova sentimenti umani, troppo umani.
Probabilmente è stato invitato, e non si è presentato. Winry non crede che sia stato a causa di un’impossibilità di prendersi un paio di giorni di congedo.
Chi ha un vuoto dentro non sa festeggiare.
E, improvvisamente, Winry raggiunge il limite.

***

“ … Winry?”
Mustang non ha mai mostrato tanta genuina sorpresa, mai lei lo ha sentito così strabiliato, così autentico. Ma suppone di non doversene stupire: d’altronde lui non le ha mai fornito un recapito dove poterlo rintracciare, e crede che in pochi lo conoscano. Non può sapere che lei ha parlato con la signora Glacier, che glielo ha chiesto come favore personale – niente domande. Non può sapere che la signora Glacier l’ha guardata con stupore e, forse, una punta di tristezza nel vedere in lei tutto quel turbamento incontenibile e inspiegabile a parole, ma che l’ha accontentata senza dire nulla.
Non può sapere nemmeno con quale intento lei abbia deciso di chiamarlo, proprio lei, che per lungo tempo avrebbe voluto non avere nulla a che fare con quell’uomo.
Ma non avrà il tempo per farle domande. Questa volta non è lui a dirigere.
“Io l’ho odiata”, singhiozza Winry, e stringe quanto più forte può l’automail che ha portato con sé, quello che ha fatto per Ed, come se fosse l’unico appiglio in un mare in tempesta. Avere il gelo dell’acciaio contro la pelle la aiuta a continuare a respirare mentre le lacrime le solcano le guance. “L’ho odiata per tanto tempo, con un’intensità spaventosa. Lei deve … deve permettermi di dirlo.”
Mustang per un momento incassa il colpo.
“E’ tuo diritto odiarmi”, replica alla fine. “Lo capisco.”
“No, non capisce. Io …” Winry deglutisce, cercando di recuperare sufficiente controllo di sé per riuscire a parlare. I singhiozzi non fanno che scuoterla. “L’ho odiata molto prima di scoprire che era stato lei a uccidere i miei genitori a Ishbar. E nemmeno … nemmeno me ne sono accorta subito.”
Il silenzio interdetto dall’altro capo del telefono è significativo. Può quasi sentire i suoi ingranaggi lavorare nel tentativo di capire a cosa mai si stia riferendo, anche se il crepitio fastidioso che non fa che accompagnare le loro telefonate da quando Mustang si è trasferito al Nord sembra soffocare tutto il resto. Ma Winry non può esitare, non può lasciarlo fare. Ogni secondo che passa le toglie la determinazione a proseguire.
“Io lo so, lo so che … che è ingiusto. Che non dovrei, che lei non … non poteva prevedere tutto questo. Continuo a dirmi di lasciar perdere, di essere gentile e rispettosa, di non pensarci, ma … ci sono pensieri che non vanno via. Solo stavolta, mi permetta …” Tira su col naso. “Mi permetta di essere infantile. Per favore.”
Lo sa di essere egoista. Può immaginare cosa significhi per quell’uomo sentirla piangere, doversi addossare a forza il suo dolore e ascoltarlo fino alla fine. Sa che lui non chiuderà mai la chiamata, che forse si sentirà in debito con lei e si obbligherà a quello stupido Scambio Equivalente che gli alchimisti sembrano amare tanto e chiamano in causa ogni volta che la situazione sembra loro adeguata, cosicché stringerà i denti e sopporterà come un martire.
Ma fino all’ultimo resta col fiato sospeso ad aspettare da lui il permesso di continuare, come se da esso dipendesse la sua assoluta pace mentale.
“Forza”, Mustang la invita infine. “Fai del tuo peggio.”
E per un momento lei è stroncata dalla libertà che lui le sta concedendo, come se fosse una cosa troppo grande, troppo bella per poter essere elaborata facilmente. Può dirgli qualunque cosa: può sfogarsi quanto vuole, e nessuno la riprenderà. Non deve più trattenersi.
Gli è grata, profondamente.
E’ proprio per questa gratitudine, paradossalmente, che riesce a tirar fuori tutto il veleno che ha chiuso a chiave nel suo animo da una vita.
 “E’ stato lei a dire a Ed dei militari. Lei è venuto a casa nostra, quando Ed era ferito e sul punto di morire dissanguato, e Al era senza il suo corpo e intrappolato in un’armatura cigolante, e ci ha mostrato un orologio d’argento per arrogarsi il diritto di mostrare a quei due una via pericolosa da percorrere. E’ stato lei a … a spingerli ad arruolarsi, a costringere Ed ad affrettare i tempi di guarigione. A portarli via dalla loro famiglia, e dalla loro fanciullezza.”
Mustang non dice nulla. Winry riprende, la voce più alta, il peso nel petto che preme per poter venire fuori tutto insieme, per poter essere espulso da lei come un corpo estraneo tossico.
“E poi Al non ha potuto arruolarsi, e allora lei ha disposto solo della vita di Ed. E lo ha mandato a fare il matto in giro per il mondo, non importa quanti rischi questo comportasse. Lo ha spronato a cercare quella maledetta Pietra Filosofale, e poi c’è stato Scar, e quel laboratorio numero 5, e poi gli homunculus … e poi è sparito, così mi dico, se solo fosse rimasto a Resembool …!”
Eccolo lì. Eccolo, il nodo di dolore più stretto. Singhiozza di nuovo, più forte, più disperata.
“Se solo lei non gli avesse detto dei militari … si sarebbe abituato agli automail, avrebbe potuto … gli avrei fatto degli automail perfetti, non avrebbe più sentito dolore e fastidio. Avrebbe vissuto una vita normale, e oggi starei festeggiando il suo compleanno, e sarebbe qui, e potrei abbracciarlo. Ma lei è venuto a Resembool, e così è cambiato tutto.” Stringe più forte l’automail che dovrebbe appartenere a Ed, ormai caldo per via del tempo che è stato a contatto con la sua pelle. “E’ per questo che l’ho odiata!”
Cosa ha fatto di tutto quel tempo in cui ha avuto Ed accanto? Perché non ha fatto con lui tutto quello che sognava di fare nei lunghi mesi di assenza? Doveva far tesoro di ogni istante, e ora che non può, muore di nostalgia, di rimpianto.
Vorrebbe avergli confessato quello che provava per lui. Vorrebbe avergli detto tutto.
“Lei me lo ha portato via”, sussurra, spezzata. “E’ questo il punto. Lei mi ha portato via Ed.”
E non c’è più nulla da aggiungere.
Persino Mustang tace, a lungo. Winry si chiede come si possa digerire un’accusa così dura, come si possa accettare la rabbia impotente di una ragazzina come se fosse cosa dovuta.
Ma quando Mustang le risponde: “Sì, non posso darti torto”, lei non ci vede più.
“Ma perché non si arrabbia?” Scatta. “Perché non reagisce? Ha forse intenzione di trattarmi per sempre con accondiscendenza, o-”
“Non sono in grado di essere accondiscendente”, la interrompe fermamente l’uomo. E’ la prima volta che la zittisce, così Winry chiude la bocca. “Né avrei motivo di esserlo con te. Non sei nell’esercito, io non cerco più di arrivare in alto … e non voglio mentirti, Winry, in nessun modo. Ti ho sottratto già tanto, tanto che non potrò mai restituirti. Ma almeno la sincerità, da parte mia, l’avrai sempre. Riesci a credermi su questo?”
Winry non risponde. Ripete e ripete quella domanda nella sua testa, cercando un indicatore di malafede, cercando l’ambiguità.
Ma c’è una nota di fervore, sebbene appena percepibile, in quella dichiarazione, e non può negarla. Così, per la prima volta, gli crede. E non glielo dice.
“Hai ragione nel dire che è stata colpa mia. Io ho fatto sì che un dodicenne si arruolasse nell’esercito, io l’ho messo in situazioni pericolose, e mentre avrei dovuto proteggerlo, come un buon superiore dovrebbe fare, non sempre ho potuto farlo.” Riprende Mustang, e non sembra turbato nell’enumerare le sue colpe: è come se fosse un discorso che ha tenuto più volte con se stesso, in quella misteriosa scatola nera che è la sua mente. “Certo, se io non fossi venuto a Resembool non ci sarebbe stato alcun Alchimista d’Acciaio. Lo riconosco, e credimi, hai ogni motivo di accusarmi di questo.
“Ma ti sbagli su Edward.”
Winry trattiene il fiato, l’automail che lentamente scivola via dalla sua presa e cade sul materasso sul quale è seduta. Un nodo in gola le rende impossibile respirare.
Ha pronunciato quel nome. Senza esitare, senza tremare.
Come se avesse sempre saputo farlo – non come lei, che a lungo ha scordato che suono avesse quel nome sulle sue labbra-, ma avesse sempre scelto di non farlo. Come si fa con i tesori più intimi, più segreti, più importanti: quei segreti che, solo a parlarne, ti spaccano il cuore a metà, lasciandoti nudo e vulnerabile di fronte agli occhi freddi e curiosi degli altri, armati di bisturi e lenti di ingrandimento.
Sono solo due sillabe: Ed-ward. Cosa, in quelle due sillabe pronunciate, può averla indotta a capire, infine? Quale tono di voce corrisponde in modo esatto all’espressione di un tale sentimento? Come ha potuto lui usarlo, come ha potuto lei riconoscerlo?
Si porta una mano sulla bocca, trema.
Come ha potuto lei non capire finora?
“Lui non sarebbe rimasto a Resembool neanche se io non ci avessi mai messo piede.” La voce di Mustang si è fatta dolce, e mai a lei è parsa così amara. “Avrebbe trovato un modo, forse più contorto, forse più eticamente pulito e che non lo avrebbe costretto a confrontarsi con la morte e con i morti, per riprendersi quello che lui e Alphonse avevano perduto, ma lo avrebbe trovato. Tu parli di me come se io avessi mai avuto potere su di lui, ma la verità è che Edward è sempre stato l’essere più libero di questo mondo: non apparteneva a nessuno. Non a me, non a te. Penso che a un certo punto abbia smesso persino di appartenere a se stesso.”
Winry piange, senza un rumore, invasa da una compassione dilaniante. Per se stessa, per Mustang, per il loro destino comune.
“Mi manca”, rivela a bassa voce. “Mi manca in modo insopportabile. Questo non crea forse un legame tra me e lui? Questo non lo rende forse un po’ mio?”
“Sì”, risponde Mustang, “e in questo sta l’egoismo dell’amore. Imponi all’altro un legame che l’altro non desidera, o non può instaurare con te. Legami del genere creano solo dolore e struggimento senza fine. Questo lo sai.”
“Non importa. Finché il legame esisterà, non potrò fare altro che aspettarlo.”
“Anche se non potrai mai averlo?”
“Anche se non potrò mai averlo.” Winry sfiora con le dita l’automail che ha accanto, imprimendosi nella memoria la sensazione di ogni vite e bullone incastrati in quella perfezione di metallo. Sorride, e la pelle intorno alle sue labbra si tira quasi dolorosamente, come se il suo viso non fosse più abituato ad un’espressione del genere. “Lui non può decidere anche questo, no? Io posso aspettarlo quanto mi pare. Posso volergli bene quanto mi pare. Ed non può farci nulla.”
“No.” Può giurare di sentire Mustang sorridere, e quasi può immaginare quel sorriso. Sarà affiorato lentamente sulle sue labbra sottili, e avrà reso quel viso così imperscrutabile, così freddo, improvvisamente umano, accessibile. Gentile. “Se noi non abbiamo potere su di lui, lui non ne ha su di noi. E così siamo pari.”
Tacciono, un po’ impacciati. Si sono svelati troppo, e non sanno che fare di questa confidenza.
“Cosa fare nel mentre?” Chiede Winry a un tratto. “Come si aspetta qualcuno che ti manca?”
Mustang non esita. “Ti prepari.”
“A cosa?”
“Al momento in cui lo rivedrai.”
Winry ride, incredula. Una risata dopo il pianto ha un suono stranissimo. “Non riuscirò mai a prepararmi a sufficienza.”
“E’ una cosa che va a tuo vantaggio, dal momento che hai tempo a volontà a disposizione.”
Già, tempo a volontà.
Tempo da passare immaginando l’esatto momento in cui i suoi occhi scorgeranno quelli dorati di Ed, le sue braccia sentiranno il calore del suo corpo quando lo stringerà quanto più forte potrà, le sue narici si riempiranno del suo profumo, le sue orecchie della sua voce quando lui pronuncerà il suo nome.
Potrà prepararsi quante volte vorrà, Winry è sicura che quando arriverà il momento non sarà mai pronta per l'emozione travolgente che la coglierà come un maremoto. Ma forse quel pensiero servirà come un faro nella notte, come una bussola in mezzo ad una tormenta.
Non sa trattenersi: non esistono più barriere tra loro. “Con lei funziona?” Domanda a bruciapelo.
E questo colpo a tradimento sembra andare a segno.
Lo coglie impreparato, come un bambino scoperto a rubare il portafogli dalla giacca di suo padre. La nozione stessa di un Roy Mustang interdetto le è così aliena che in un mondo razionale sarebbe semplicemente impensabile. Ma non esiste più un mondo razionale.
C’è solo la sua breve risata in risposta, a stento udibile, un po’ schiva.
“Sei una ragazza sveglia”, commenta.
E forse spera di cavarsela così, ma Winry non demorde. Aspetta.
Così Mustang sospira, e si rassegna a scoprire le sue ultime carte.
“Sono ancora vivo”, risponde. “Non è così?”
E deliberatamente ripete quelle parole.
E’ come se fossero tornati a mesi prima, quando quella stessa frase era stata rivolta a lei. Ma ora che il soggetto è cambiato, le cose sono totalmente diverse.
La vita stessa può essere una battaglia, riflette Winry. E questo significa che nessuno dei due si è arreso. Non sul serio.
Sorride.
“Sì. Siamo ancora vivi.”
L’automail giace abbandonato sul letto, testimone silenzioso di una promessa senza voce.

***


“Non ci crederesti mai se sapessi una cosa del genere, ne sono sicura. A stento ci credo io.”
La serata è splendida, c’è appena un vento fresco che le scompiglia i capelli, e che la costringe a stringersi più fermamente nella sua giacca nera. Non c’è quasi nessuno in giro, ma non c’è da stupirsene: a quest’ora Central City dorme.
Winry guarda in alto, e cerca le stelle. Ma non è in campagna, e le luci artificiali le nascondono. Ne sente la mancanza, intensamente, in un modo che i cittadini della capitale non potranno mai comprendere: molti di loro non sono mai stati a Resembool.
Ma, dopotutto, va bene sentire la mancanza delle cose piccole, delle cose belle. Dà loro il giusto valore, rende più prezioso il momento in cui le si ritrova.
“Penso che mi guarderesti con tanto d’occhi, e diresti che sono impazzita a voler parlare con Mustang. Ma le cose sfuggono spesso al nostro controllo.” Rivela al vento, un sorriso sulle labbra, e sa che non c’è nessun interlocutore a ricevere quelle parole. “Ne ho sentito il bisogno. Credo che tutti sentano il bisogno di non sentirsi soli, certe volte. E parlare con lui mi ha aiutato, davvero. Visto che tu hai deciso di andartene di punto in bianco senza fornirmi uno straccio di modo di risollevarmi, beh, ci penserò da sola. Anche con mezzi strambi come questi. Anche parlando col tuo ex superiore, già.”
Tace, ascoltando il silenzio. Torna ad appoggiare la schiena contro il muro di casa Hughes, seduta sull’erba del giardino con le ginocchia strette, e posando il capo su di esse.
“Quante cose non sai delle persone che hai lasciato indietro, Ed.” Sussurra.
L’ha sempre divertita questo lato di Ed, anche se a volte avrebbe voluto prenderlo a sberle per lo stesso motivo: a quanto pare, essere un genio nelle scienze e una mente brillante tanto nel creare tanto nel risolvere problemi non ti impedisce di cadere dalle nuvole ogni volta che qualcuno si interessa a te, o ti vuole bene. Sembra paradossale, sembra idiota. Ma anche questo glielo rende caro.
Se Ed avesse sentito la conversazione telefonica di quel pomeriggio, gli sarebbe venuto un colpo, e sarebbe arrossito come un peperone, e avrebbe detto loro che stavano cercando di prenderlo in giro. Forse non avrebbe creduto ad una sola parola, sicuramente avrebbe inveito contro Mustang. Ma neanche per un momento avrebbe immaginato di poter meritare affetto, di averne invece a volontà dai suoi cari rimasti indietro.
“Non è proprio una scelta, quella di aspettarti”, continua ancora. “Così come non lo è stata quella di credere che tu sia ancora vivo, o di voler sperare che tu un giorno possa tornare da noi – da me. Suppongo che sia una cosa inevitabile. Perché ti voglio bene, stupido. Troppo. E perciò … Vedi di sbrigarti a farti vivo, se no te la farò pagare. Non vuoi vedermi arrabbiata, vero?”
Sorride tra sé.
“Sono qui, e ti aspetto. Ti aspettiamo tutti. Dovesse volerci una vita intera.”
E mentre da qualche parte risuona il rumore di ruote di macchine sull’asfalto, e il crepitio della luce di un lampione sul punto di fulminarsi, Winry chiude gli occhi, e tira un gran sospiro, solenne.
“Auguri, auguri, auguri.”
Il vento soffia, e lei apre gli occhi. La visuale della città dal giardino di casa Hughes non è cambiata.
Nessuno le risponde. E’ diverso tempo che lei ha smesso di sentire la voce di Ed ovunque, anche quando non ha senso sentirla.
Ma va bene così.
Il vero Ed vale tanto di più di una voce fantasma. Perché il vero Ed è imprevedibile, a volte irritante, molto più adorabile di quanto lei possa immaginare.
E se lei dovrà aspettare per averlo, bene, è disposta a farlo.
Perché quel giorno arriverà.
E’ una promessa.








   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Padme Undomiel