«Non
credi che tuo marito faccia un po’ tanto gli occhi dolci alla
nuova tata?»
stava considerando Mammà, versando nel pentolone tante code
di ratto quante ne
richiedevano la ricetta del nuovo pudding al marciume di fogna,
prelibatezza di
una vecchia prozia.
Morticia
non rispose, le braccia strette al petto e lo sguardo vacuo, oltre la
porta
della cucina, a captare spiccioli di discorsi provenienti dal corridoio.
«La
stava portando a visitare la stanza dei giochi»
continuò, e prelevò da un
barattolo pieno di aloni un altro paio di code, facendo una smorfia di
scetticismo nei confronti delle dosi riportate sulla ricetta.
«Non capisco
perché un tempo le donne fossero così fissate con
la linea…» Si zittì,
all’espressione rabbuiata della figlia. «Stacci
attenta, cara, a quell’uomo.»
«A
quella tata, vorrai dire.»
«Oh,
non mi interessa quale miscela esplosiva finirà per mandarla
gambe all’aria. Ma
finché Pugsley e Mercoledì sono impegnati a
carbonizzare i compiti delle
vacanze, Gomez sarà l’unico interesse della
signorina Jellinsky.»
«Vorrei
aver scelto un’altra tata» sospirò.
«E
io un altro tombino» mugugnò serrando il polveroso
quaderno d’appunti. «Stasera
ci dovremo accontentare di sbrinare qualcosa.»
Nemmeno
il fuoco di una pira d’esecuzione avrebbe invece potuto
scongelare la tensione
che quella sera stirava ogni nervo di Morticia. Pettinava i suoi
capelli seduta
di fronte allo specchio, ma non era la sua immagine, quella che
osservava
dinnanzi a sé, bensì un manichino senza emozioni,
che stava perdendo il proprio
salutare aspetto cadaverico. Era una sfumatura rosea, quella sopra la
gota di
sinistra? L’indomani se ne sarebbero accorti tutti,
maledizione.
I
passi vivaci di Gomez accompagnarono la sua spazzola a lisciare le
ultime
ciocche già in ordine, quindi posò
l’oggetto e attese che il viso del marito
apparisse di fronte a lei, incorniciato dallo stesso specchio.
Il
sorriso dell’uomo si spense prima di passare un braccio
intorno alle sue
spalle. S’inginocchiò accanto a lei, facendosi
più vicino. «Cara mia, ti vedo
meno pallida del solito.»
Quali
premure riservate ad una moglie, dopo centinaia di piccole attenzioni
dedicate
ad una sconosciuta!
Gomez
fece per baciarla dietro l’orecchio, ma lei si ritrasse,
balzando in piedi e
lasciando che le ampie maniche della camicia da notte svolazzassero
seguendo i
suoi movimenti.
«Che
accade, mia terrificante compagna?» chiese prima di
sollevarsi in piedi a
raggiungerla.
«Avete
trascorso deliziosi momenti, con la tata dei bambini?»
«Tish»
sussurrò, la voce suadente e profonda.
Morticia
voltò il capo, rigida e restia ad abbandonarsi al calore di
quel corpo che
l’attraeva così fermamente nonostante il tentativo
di starne alla larga.
Era
sempre così.
Quel
fisico latino, quella camminata spavalda e atletica, quel dolce e
cadenzato
ritmo delle sillabe che uscivano dalle sue labbra.
Si
sorprese a ritrovare i suoi occhi così vicini, nel suo
silenzioso congiungersi
a lei.
Prima
che potesse girarsi completamente, le mani di Gomez si erano
già appropriate
del suo corpo, e stringevano i fianchi, la vita sottile, e premevano
sul ventre
piatto, e accarezzavano la pelle velata dal tessuto impalpabile, e
scendevano a
percorrere la linea dell’inguine, godendo del cambiamento che
subiva il ritmo
del respiro di quell’essere di cui in quel momento aveva ogni
controllo.
Le
mani di Morticia scattarono sulle sue, anche se non gli impedirono di
proseguirne la danza. «Fai impazzire le donne»
terminò la frase Morticia
inspirando forte, quando Gomez iniziò a disegnare spirali
sulla sua pelle con
le unghie. «La nostra sala dei giochi…»
«È
troppo lontana» prese a baciarle una spalla, e poi
giù, fino al polso.
«Mammà
vi ha visti…»
«Mi
sono premurato di spiegarle la natura della camera come ripostiglio per
scope e
cianfrusaglie.»
«E
scorpioni e ragni velenosi e polveri da sparo»
tornò a sorridere Morticia.
«Quello che raccontiamo a tutti.»
«Quello
che raccontiamo a tutti» confermò Gomez,
stringendo a sé il corpo della donna,
ora perfettamente di fronte al proprio. «Cara, quando
sospetti di me, mi fai
ribollire il sangue.»
«Questo
non ti concede ogni libertà di darmene
l’occasione» replicò sfuggendo alle
labbra del marito che cercavano le sue.
«Non
averne timore. Tante altre cose infiammano ogni fibra del mio
corpo.»
La
trascinò fino al letto, su cui la lasciò di
schiena, le gambe di entrambi
ancora a terra.
«I
tuoi capelli» li fece scorrere tra le dita. «I tuoi
occhi, le labbra» le
disegnò i contorni della bocca coi polpastrelli.
«Ogni cellula del tuo corpo.»
«Oh,
Gomez» sussurrò scaldandogli il viso di fiato,
«J’ai
été si stupide.»
L’uomo
spalancò gli occhi alla pronuncia di Morticia e si
avventò ad assaggiare la sua
pelle morbida sopra i seni. «Dimmi come potrei desiderare
un’altra donna. Dimmi
come potrei osare sfiorare un altro viso, un altro corpo, un'altra
anima
infernale.»
Morticia
fremette sotto di lui, estasiata delle sue rassicurazioni e trascinata
nell’oblio della passione dalle dita di Gomez che uno dopo
l’altro facevano
scivolare i bottoni fuori dalle asole, schierate a difendere il diafano
addome
dai tentativi di violazione.
«Cara
mia, io appartengo a te sola.»
E
le
parole divennero sospiri e grida, e lo sfiorarsi si tramutò
in guerra a chi più
poteva impossessarsi dell’altro.