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Autore: Clockwise    14/05/2016    3 recensioni
Chiudono gli occhi, entrambi, uniti e lontani ad un tempo. Lo stesso sospiro – tornare a casa.
[...]
«Mi dispiace, John.»
Scosse la testa.
«Di esserti innamorato di me?»
Sherlock non rispose; lo fecero i suoi occhi, trasparenti come acqua.

Amanda ha diciannove anni quando va a Londra per la prima volta in cerca di suo padre, in cerca di risposte, costringendo John e Sherlock, ormai estranei, a fare i conti con loro stessi.
"Nostos": in greco, "viaggio di ritorno", "ritorno a casa".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Almeno un milione di scale
 
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
E. Montale, Satura
 
 
 
Cicatrici. Sherlock ne aveva diverse.
Ne aveva una sotto lo zigomo destro – piccola, tonda, di quelle che lascia la varicella da bambini. L'aveva notata un giorno mentre gli versava il tè – erano vicini, così vicini che Sherlock aveva tossicchiato e si era seduto un po' più rigido, e John si era raddrizzato ed era probabilmente arrossito. Ma, da allora, ogni volta che si trovava abbastanza vicino al detective, quella piccola cicatrice gli balzava agli occhi come se avesse avuto una freccia luminosa. E si chiedeva a quanti anni avesse avuto la varicella, come avesse potuto resistere senza fare niente per tutto il tempo della convalescenza, che tipo di bambino era stato.
Ne aveva una, piuttosto brutta, sul ginocchio – John l'aveva notata una volta che Sherlock si era infagottato in una polo e calzoncini corti per mascherarsi da turista americano. Non era mai riuscito a farsela spiegare – si vergognava di chiedere a Sherlock, come se avesse invaso la sua privacy guardando quella cicatrice di solito nascosta.
Ne aveva parecchie, sulla schiena, sottili e pallide come pennellate di acqua su una tela bianca – la prima volta le aveva viste di sfuggita, per sbaglio, quando era arrivato al 221b e Sherlock era ancora in camera sua, la porta socchiusa, a rivestirsi nel sole della mattina. Erano un retaggio della rete di Moriarty, John ne era certo, ma non aveva mai osato chiedere spiegazioni – per quanto avesse visto innumerevoli ferite e cicatrici nella sua vita, pensare che Sherlock avesse sofferto sotto tortura gli toglieva il respiro e gli faceva montare una rabbia indicibile.
Ne aveva un'altra, a forma di stella, sul petto, sotto il cuore. John non aveva mai avuto bisogno di vederla per sapere che era lì: ogni volta che guardava Sherlock sentiva dolore, senso di colpa e rabbia attanagliarlo al cuore e togliergli il respiro, neanche avesse lui una pallottola fra le costole. Quella cicatrice, era come se gliel'avesse ricamata lui.
•••
 
 
«Mi dispiace, ma non posso aiutarti. Io e Sherlock... Non abbiamo più niente in comune ormai.»
Amanda chiude gli occhi e annuisce. Un buco nell'acqua, a quanto pare.
«Potrebbe dirmi qualcosa su di lui? Com'era veramente?»
Un lieve sorriso si forma inaspettatamente sulle labbra di John, tutto il suo viso viene illuminato da una luce soffusa. Ma è solo un lampo, prima che il dolore torni ad offuscare i suoi occhi. Deglutisce, apre e chiude i pugni, le labbra una ferita sottile in mezzo alla barba grigia.
Com'era veramente.
Scintille di una vita lontana.
Occhi curiosi sopra il giornale. Afghanistan o Iraq? Shampoo solo ed esclusivamente alla lavanda. Gli eroi non esistono, John. Earl Grey zuccherato senza latte. Ti ho deluso. Il silenzio complice della domenica mattina. Sarei perso senza il mio blogger. Spartiti scarabocchiati. Il mio biglietto. Spari, corse, risate. Ti ho sentito. Il violino nel mezzo della notte. Le due persone che ti amano di più al mondo. Le sigarette rubate. L'uomo che hai salvato. I baci nascosti. Sherlock è un nome da femmina. Le parole assassine, le ferite. Le cicatrici.
John deve chiudere gli occhi e prendere un bel respiro. Troppe emozioni tutte in una volta, ora capisce Sherlock...
«Forse ho qualcosa.»
Amanda lo osserva alzarsi e zoppicare verso il soggiorno. Lo segue, esitante. John si muove a fatica, come invischiato nelle sabbie mobili dei suoi stessi ricordi.
«Ecco qua.»
Le porge un album polveroso, dalla discreta copertina nera.
«Gliel'ha regalato Molly, per i quarant'anni. Lui non pensava ci sarebbe mai arrivato.»
Lei lo guarda emozionata e quasi timorosa; lui le accorda il permesso con gli occhi.
«Non gli piaceva farsi fotografare. Per trovare queste foto ci abbiamo messo mesi...»
Amanda volta una pagina dopo l'altra, attenta, scrutando il volto di quell'uomo, cercandovi tracce, sfumature, somiglianze. Non è quasi mai solo: ovunque c'è una versione più giovane e più ridente di John, oppure un uomo dai capelli brizzolati e l'aria affabile, una signora anziana, una ragazza dai capelli castani.
«Lei è Molly» spiega John, indicandogliela. Quasi contro la sua volontà, ha la testa piegata di lato per vedere bene le fotografie, ma senza osare avvicinarsi troppo. I suoi occhi saettano da Amanda a Sherlock, cercando tracce, sfumature, somiglianze – contro ogni logica, e lo sa bene. Sa che lei sta facendo lo stesso.
«Lei è Mary. Mia moglie.»
Amanda sente la sua voce scivolare appena sull'ultima sillaba e lo guarda interrogativa, ma lui ha gli occhi fissi sulla foto: una bella donna bionda, in abito da sposa, sorride felice accanto a John e, pochi passi più indietro, Sherlock sta dritto e impettito con il cilindro sotto il braccio. John vede gli occhi della ragazza allargarsi per la sorpresa. Può quasi sentire il suo cuore battere più rapido, le domande accavallarsi nella sua testa.
Sta quasi per dirle la verità, si trattiene appena in tempo.
«È morta vent'anni fa.»
Lei scuote la testa. Non è possibile. Probabilmente sbaglia, forse è solo una strana coincidenza. Eppure ha la sensazione di aver già visto quel volto, di averlo conosciuto…
«Mi dispiace.»
Anche a me.
John annuisce, fa qualche passo indietro, riacquista compostezza.
«Puoi tenerlo, se vuoi. A lui non è mai servito. Ha una memoria fin troppo buona.»
Lei annuisce ancora, la gola improvvisamente secca. Sente che è ora di andare, la polvere la sta soffocando.
«Io... è meglio che vada. È stato molto gentile, signor Watson. Mi perdoni se l'ho disturbata. Grazie per il tè e... questo.» Lo solleva appena. Tiene gli occhi bassi, non riesce a guardarlo in viso. Lui annuisce, le mani dietro la schiena.
«Ti accompagno alla porta.»
«Non si disturbi, io...»
«Andiamo.»
C'è una sorta di ruvida dolcezza nel suo tono, che aggiunge un'altra domanda al cumulo che Amanda ha già in testa.
Scendono le scale in silenzio, lentamente, John aggrappato al corrimano.
 
 
•••
«Devo vederla.»
Sherlock aggrottò le sopracciglia, continuando a picchiettare sul suo laptop.
«Vedere cosa?»
«La tua cicatrice.»
Il sopracciglio di Sherlock ebbe un furtivo scatto all'insù, impercettibile ad un occhio non allenato come quello di John.
«Perché questo interesse? È il segno lasciato da una ferita ricucita da un medico poco competente, niente di più. Non vederci altro, John.»
«Per questo ho bisogno di vederla.»
Finalmente, il detective si voltò. John era in piedi dietro di lui, dritto e rigido, il mento all'infuori, l'aria risoluta; gli ricordava il piccolo medico militare appena tornato a Londra che aveva ucciso un uomo per salvargli la vita due giorni dopo averlo conosciuto. Quanta acqua è passata sotto i ponti – e quanti proiettili, e fuoco, e dolore.
Lo sguardo di John era quello di chi non ammette replica – altrimenti crollerebbe. Sherlock sospirò. Se è quello che vuole.
Con lentezza ed eleganza esasperanti, si alzò in piedi, sbottonò la giacca e l'appoggiò sullo schienale della sedia, quindi passò alla camicia. I suoi occhi erano piantati in quelli di John; quelli del medico sembravano voler incitare e al contempo fermare le dita dell'altro, che scendevano di bottone in bottone, inesorabili.
Sherlock non provava particolare pudore nei confronti del suo corpo: per lui, era un mero contenitore, uguale a quello di tanti altri uomini. Non si era mai fatto troppi problemi a girare per casa con addosso solo un lenzuolo, o un asciugamano, o i pantaloni del pigiama – un po' perché, lo ammette, lo divertiva un mondo vedere la reazione spropositata di John. Ma, in quel momento, sentì un certo calore affluirgli intorno al collo e alle orecchie, un certo turbamento dalle parti del ventre – mai successo prima, con John. Si rese conto che c'era stato un prima, in cui avrebbe potuto dire qualunque cosa a John, se gliel'avesse chiesta: con fatica, certo, con riluttanza, ma l'avrebbe fatto e ne sarebbe stato sollevato, perché si fidava di lui senza riserve. Ma c'era un ora, in cui avvertiva come una tenda sottile dividerlo da lui, rendergli più difficile rivelarglisi, quasi impossibile.
Aprì la camicia quel tanto che bastava a mostrare la cicatrice. John deglutì e avanzò d'un passo, esitante. Strinse i pugni, deglutì di nuovo.
«Sono stato io a farti quella cicatrice, Sherlock.»
«John...»
«Sono stato io. Dopo tutti questi anni, l'unica cosa che hai ottenuto da me è una cicatrice.»
Sherlock sentiva come se la ferita si stesse riaprendo.
«Non dire così, John...»
Lui scosse il capo, irremovibile. Apriva e stringeva i pugni, come ogni volta che veniva travolto da una valanga di emozioni.
«Ma è così, Sherlock. È esattamente così. E ora che quella cicatrice è lì, non posso più ignorarla.»
Sherlock rimase in silenzio per qualche secondo. Fece per richiudere la camicia, ma le dita di John volarono sulla sua pelle, per un istante. Il medico se le portò alle labbra, chiudendole a pugno.
«Hai una famiglia a cui pensare.»
«Lo so. Ed è questo che mi uccide, vedi? Se mi fossi accorto prima di quella cicatrice, avrei potuto rimediare.»
«La tua è un'ipotesi un po' anacronistica.»
John sorrise del sorriso dei disperati.
«No, Sherlock. Quella ferita è sempre stata lì» mormorò con voce strozzata. Sherlock abbassò le palpebre, colto in fragrante.
«Come fai a dirlo?» sussurrò, sconfitto.
«Sono stato cieco per molto tempo; poi qualcuno mi ha insegnato ad osservare, a mettere insieme i dettagli e a trarne una conclusione. Ti suona familiare?» spiegò, con tranquillità, mentre gli abbottonava la camicia, in un gesto tenero e intimo, doloroso per entrambi.
«Non si può dire che tu sia stato un allievo brillante.»
«Ho avuto un maestro criptico.»
Le mani di John si posarono sul suo petto. Sherlock indietreggiò di un passo.
«È soltanto una cicatrice.» 
John annuì. Che altro potevano fare, ora?
Una identica ferita gli si era aperta nel petto.
•••
 
 
Il Tamigi scorre placido sotto di lei, la brezza salmastra le solletica i capelli. Getta indietro la testa, inspirando profondamente. Il cellulare squilla facendola sobbalzare. Lo tira fuori dalla tasca e controlla il mittente.
«Salute a te, Londinese dei miei stivali.»
«Ciao, Merry.»
«Mi raccomando, non preoccuparti della tua migliore amica. In fondo, se non rispondi ai suoi quindici messaggi, cosa importa? È soltanto la tua migliore amica che si preoccupa per te.»
Amanda si guarda i piedi. Può quasi immaginare i penetranti occhi scuri della ragazza redarguirla attraverso le lenti spesse.
«Scusa. Per farmi perdonare, ti comprerò un servizio da tè» scherza. Ma sa bene che con Merry serve a poco.
«Ritenta, sarai più fortunata... In ogni caso, come stai? Come sta andando? Hai trovato questo tipo, come si chiamava?»
«John Watson.»
«Sì, quello. Che tipo è?»
Amanda le racconta brevemente del loro incontro di poco fa. In grembo, sfoglia lentamente l'album di fotografie. 
Incontrare John l’ha svuotata, drenata, come un fiume in estate. La stagnante aria di rinuncia, rimpianto e depressione del 221b l'hanno come infiacchita, spenta. Si sente più pesante e più confusa di quando è partita.
«C'è una donna. Mary.»
Sente Merry trattenere il fiato, dall'altra parte. Amanda non ha quasi il coraggio di dirlo ad alta voce, di renderlo possibile.
«Ho la sensazione di averla già vista, da qualche parte. Mi assomiglia un po’.»
«Oh, Amanda...»
Forse è solo suggestione, ma ad Amanda sembra di aver già visto quegli occhi, le linee e le sfumature di quel viso nel proprio riflesso. E deve ammettere con sé stessa che non trova nessuna somiglianza con l'investigatore, invece. Il suo viso algido e altero fa capolino fra le pagine, accanto a quello bonario e confortevole di John.
«Era la moglie di John.»
«John? Aspetta, ma tu non eri figlia dell'altro?»
«Non lo so! Potrei, forse... Se solo sapessi qualcosa di più su di lui. John deve saperlo sicuramente, ma perché me lo tiene nascosto?»
Il tono di Merry è dolce, materno.
«Forse non è così semplice.»
No, forse non è così semplice.
Sospira, chiudendo l’album.
«E c’è qualcosa che non mi quadra, su quella donna… Io l’ho già vista…»
«Forse è solo una coincidenza…»
Scuote la testa.
«Puoi farmi un favore? In camera mia, nell’armadio, c’è uno scatolone con dentro delle fotografie e gli annuari. Se ti mando una foto di questa donna, puoi controllare che… non so, magari è stata una mia insegnante, o qualcosa del genere… Ma io l’ho vista…»
Sente Merry sospirare. Sta per dirle che è una perdita di tempo, che farebbe meglio a tornare a Cambridge e lasciar perdere.
«Come vuoi.»
 
 
John si asciuga gli occhi con una mano, guardandola andare via. Più si allontana, più gli sembra di essersi immaginato tutto.
Amanda. È stata lì, nel suo soggiorno, gli ha parlato.
E lui l'ha lasciata andare.
Perché diamine l'ha lasciata andare senza dirle niente? Non ha nemmeno chiesto dove alloggiasse, o il suo numero...
Con una stretta al cuore, vede la sua testa bionda sparire nel nero delle scale della metro. E sente il cuore farsi di pietra e crollargli fin sotto le scarpe – l'ha lasciata andare. Sua figlia è venuta a parlargli, l'ha vista per la prima volta nella sua vita, e lui l'ha lasciata andare, come sabbia fra le dita.
La paura, si rende conto, la paura di cui è fatta la polvere che ricopre il 221b, che lui inala ad ogni respiro, l'ha inchiodato al suo posto, e l'ha lasciata andare via.  
Sherlock non l'avrebbe fatto.
Strizza gli occhi, come punto da un insetto.
Prega per una seconda opportunità, ma sa che è tardi.










•••
Grazie a chi è arrivato fin qui, a chi segue in silenzio e ad emerenziano e alle sue belle parole :) 
Qualunque critica/ commento è più che benvenuto! 
-Clock
 
  
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