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Autore: Feanoriel    14/05/2016    4 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DICIANNOVE
E SUL CAMPO DI BATTAGLIA FINIRA’
There on the battlefield he stands
Down on the battlefield he’s lost
And on the battlefield it ends

[Blind Guardian| Battlefield]
 Il gracchiare dei corvi era assordante.
Maglor digrignò i denti, tentando di ignorare quel suono fastidioso. Odiava quegli uccelli maledetti, odiava il suono del loro gracchiare e dello sbatacchiare delle loro ali nere, odiava il modo in cui si nutrivano dei corpi dei caduti, per quanto nei lunghi anni che aveva passato a combattere nel Beleriand li avesse visti fin troppe volte.
Il campo di battaglia non era diverso da quelli che aveva visto anni prima: un banchetto per i corvi, dove frotte di quelle bestie disgustose volavano in cerchio sui caduti, salvo ogni tanto scendere a rodere la carne dei morti.
Un corvo commise l’errore di volare troppo vicino a lui, e Maglor lo abbatté fulmineo con la spada, lasciando cadere a terra l’uccello in un nugolo di sudicie piume nere e ossa frantumate. Una volta che si fu sbarazzato di quell’animale schifoso, Maglor si voltò a cercare il fratello, che aveva perso di vista. Serrò le labbra. Attraverso l’ósanwë poteva sentire che era vivo, ma non gli piaceva stare lontano da Maedhros su un territorio del genere, anche se la battaglia era finita.
Si slacciò l’elmo, i suoi capelli neri, legati in una coda sulla nuca, ondeggiarono nel vento. Maglor si guardò attorno. Non riusciva a vedere da nessuna parte la chioma rossa di Maedhros, né il suo elmo dal pennacchio nero.
Vedeva piuttosto, anche se seminascosti dai fumi sputati dalla fortezza di Morgoth, i Maiar di Aman che si muovevano in mezzo alla desolazione, figure luminose contro la nebbia, più alte di qualsiasi Elda. Maglor si morse il labbro inferiore. Ne vide alcuni chinarsi a raccogliere degli Eldar da terra, Vanyar e Noldor che erano stati feriti e non uccisi.
Maglor sperava con tutto il cuore che suo fratello non fosse ferito. Se fosse stato così, i Maiar avrebbero portato soccorso pure a lui, e avrebbero finito per scoprire chi era.
Dove sei, fratello? , pensò, sperando che Maedhros riuscisse a sentirlo tramite l’ ósanwë.
Non osava avvicinarsi ai Maiar il più del necessario. C’era sempre la possibilità che tra di loro ci fossero degli Ainur che lo avevano conosciuto, in Aman.
Maitimo ---
Non riusciva a vederlo da nessuna parte. E questo lo preoccupava più di quanto avesse creduto. Ma erano soli, in territorio nemico, presi tra Morgoth e i Maiar di Aman, perfino uno come lui, sopravvissuto a troppe battaglie per poterle contare, poteva agitarsi all’idea di aver perso di vista il fratello in quella mischia.
Maitimo!
Niente, assolutamente niente. Non un segno, da nessuna parte. Digrignò i denti. L’ultima cosa che voleva era mettere a rischio la sua copertura, avvicinandosi all’esercito di Aman, ma se davvero avevano loro suo fratello …
Kanafinwë!
L’urlo silenzioso lo raggiunse, facendolo raggelare. Eccolo!  , si voltò nella direzione in cui aveva sentito il fratello. Vide un’alta figura stagliata contro la nebbia, appena riemersa dalle rocce che chiudevano la piana. Aguzzando la vista, riuscì a vedere l’elmo col cimiero nero e la cappa rossa di suo fratello. Non poté trattenere un sospiro di sollievo, e gli corse incontro.
-Eccoti- sussurrò a denti stretti al fratello, appena furono vicini. Suo fratello aveva chiazze di sangue sulla guancia destra, e gli occhi verdi erano spiritati, attraverso le fessure dell’elmo. Respirava pesantemente, la furia che aveva scatenato contro i nemici doveva essere stata devastante. Chiunque altro avrebbe avuto paura a stare accanto a Maedhros in quelle condizioni, ma Maglor ci era ormai abituato.
-Ti ho perso di vista- sussurrò nuovamente, senza aspettare che Maedhros rispondesse. – Mi sono preoccupato, con l’esercito di Aman qui vicino … - fece un gesto vago nella direzione delle figure luminose stagliate contro la nebbia. -Non sei ferito, vero?
-No.- la voce di Maedhros era chiara e secca. -Sto bene. Andiamocene da questa bolgia, prima che vengano da questa parte per vedere se c’è qualche sopravvissuto.
Non ne troveranno pensò amaramente Maglor, lanciando un’occhiata ai morti poco lontano da loro, assediati dalle beccate dei corvi. Da quella parte, gli orchi erano stati spietati.
Seguì il fratello attraverso un sentiero scavato tra le rocce, tra i primi rilievi degli Ered Wethrin. Quella che un tempo era stata la piana di Ard-galen, poi Anfauglith, si estendeva alle loro spalle, ridotta ad un immenso campo di battaglia. Nei lunghi vent’anni in cui gli eserciti di Aman e di Morgoth si erano combattuti, il Nord del Beleriand era stato quasi completamente sconvolto, e Maglor sospettava che ciò valesse anche per la parte sud, almeno stando a sentire le voci che provenivano dai soldati. Le alte catene montuose degli Ered Wethrin e del Dorthonion era tutto ciò che rimaneva dei reami che un tempo vi erano stati. L’esercito dell’Ovest non aveva perso tempo a ripulire il Nord del Beleriand dai servi di Morgoth, che erano stati costretti a ritirarsi in Angband, per offrire tutto l’aiuto possibile al loro padrone nell’assedio che ne sarebbe seguito.
I due fratelli avevano partecipato all’assedio di Eithel Sirion, dove l’esercito di Aman aveva preso la fortezza un tempo appartenuta a Fingolfin e a Fingon, che ora era stata conquistata dai servi di Morgoth, che la utilizzavano come avamposto. Maglor ricordava di aver gioito, quando l’ariete dei Maiar di Aulë aveva sfondato il portone dell’antica fortezza dei loro parenti, e gli orchi avevano lanciato strilli di disperazione.
Così finalmente Morgoth avrà un assaggio di ciò che ha fatto subire a noi ricordava di aver pensato, mentre seguiva il fratello all’interno della fortezza, ben deciso a sterminare qualsiasi servo di Melkor gli si parasse di fronte.
E così era stato. Eönwë aveva dato ordine di sterminare gli orchi fino all’ultimo, e di prendere prigionieri gli Esterling, se ce ne fossero stati. In una situazione del genere, non era stato troppo difficile per lui e suo fratello intrufolarsi nella fortezza, e prendersi parte della vendetta che desideravano.
Rivedere la fortezza di loro zio, quella in cui tante volte Fingon li aveva invitati, quando i regni degli Eldar erano ancora liberi e fiorenti, ridotta a poco più di una rovina diroccata, spogliata di tutta la sua gloria ed infestata dal fetore degli orchi, aveva fatto più male di quanto pensasse.
Il sentiero si snodava in una alta strettoia. Maglor era sempre cauto nel percorrerlo, anche se i monti a fianco erano quasi impossibili da scalare, c’era sempre la possibilità che potessero individuarli dall’alto, per caso. Specie trattandosi di un esercito che annoverava tra le sue file Ainur ed Aquile di Manwë.
Finalmente, arrivarono alla caverna dove avevano posto il loro temporaneo campo. Con un sospiro di sollievo, Maglor iniziò a levarsi la cotta di maglia, mentre suo fratello faceva lo stesso. Appoggiò la spada accanto al proprio giaciglio e si distese su di esso, cercando di lenire i crampi che gli erano venuti durante la battaglia. Non presentava alcuna ferita grave, giusto si era preso una botta dolorosa sulla schiena, per colpa di un orco che gli era arrivato alle spalle, ma per quanto la schiena gli dolesse, non era un colpo grave, non aveva centrato alcun punto delicato della spina dorsale.
Si stese, maledicendo ugualmente il servo di Morgoth. L’aveva ucciso, e la botta non era grave, ma gli sarebbe occorso un po’ prima di guarire, e la schiena gli doleva.
Alzò lo sguardo verso Maedhros. Nei secoli, aveva imparato a compiere qualsiasi gesto con una mano sola, e detestava essere aiutato, quindi si era tolto la cotta di maglia, e l’aveva riposta accanto al proprio giaciglio. Senza dire una parola, si sedette su uno spunzone di roccia e si accinse a pulire la spada, i denti serrati. Aveva ancora la pelle di un pallore spettrale, le occhiaie risaltavano ancora più scure e profonde sull’incarnato.
Maglor capì che non desiderava essere disturbato, a suo fratello serviva del tempo per ritornare in sé dopo le battaglie, e lui sicuramente non era così stolto da turbarlo. Con un sospiro, si stese nuovamente sul suo giaciglio, cercando di ignorare il dolore sordo alla schiena.
Era in momenti come quelli, che pensava a quanto avrebbe desiderato ancora in un letto di piume, piuttosto che su un giaciglio per terra, o fare il bagno in una vasca d’acqua calda, e non nel letto gelido di un torrente. Tutte piccole comodità che avevano fatto parte di tempi più felici, a cui piaceva ritornare con la mente, per dimenticare per qualche attimo la missione che doveva portare a termine. Gli tornarono improvvisamente in mente le sorgenti calde accanto ad Alqualondë, con cui andava spesso con sua moglie quando ancora vivevano in Tirion.
Si lasciò avvolgere da quei ricordi, con un sospiro. Era dura, non pensare ai suoi cari in momenti come quelli, quando l’unica luce sembrava data dal loro ricordo. Alle volte, quando si svegliava la notte, il suo primo pensiero era di controllare i gemelli, se avessero dormito e come avessero dormito, salvo poi ricordarsi di colpo che loro non erano più lì.
È meglio così , si ripeteva, cercando di scacciare la tristezza che lo assaliva quando si rendeva conto che loro non erano più lì a portare un po’ di luce nella sua vita, con il loro entusiasmo, la loro ingenuità, la loro dolcezza, il loro affetto genuino. Loro sono al sicuro. Hai fatto la scelta giusta.
Spesso si chiedeva come stessero nel Lindon, tra quella nuova comunità che li aveva accolti, vicino a quel giovane re di cui Maglor sapeva così poco. Non poteva fare a meno di chiedersi se pensassero spesso a lui, se si ricordassero della promessa che aveva fatto loro. E se si sarebbero mai rivisti, soprattutto.
Ad ogni modo, non aveva rimpianti per la scelta che aveva fatto, nonostante la nostalgia che gli lacerava il cuore. Portarli ad Angband sarebbe stata la fine, per loro, almeno in quel modo avevano potuto trovare delle persone che avevano conosciuto i loro genitori, e che si sarebbero prese cura di loro.
Da quel punto di vista, poteva stare tranquillo. D ’altronde, Gil Galad glielo aveva promesso.
                                                                                        ***
Ricordava ancora il loro primo- ed ultimo- incontro con il nuovo Noldorán. Era passato poco più di un giorno da quando avevano lasciato Elrond ed Elros nella grotta, ed avanzano lentamente tra i primi rilievi degli Ered Wethirin, diretti al valico che li avrebbe portati sulle rive del Sirion. Ci sarebbe voluto diverso tempo, così avanzavano con lentezza, e Maglor era grato che suo fratello non cercasse di parlargli. Non era proprio dell’umore adatto per farlo.
Non avrebbero mai immaginato di imbattersi nell’avanguardia di Cìrdan, comandata dal nuovo Re in persona. Maglor aveva imprecato tra sé e sé, quando li aveva visti. Non potevano sicuramente né scappare né cercare di sottrarsi a un colloquio con loro, ora che li avevano individuati. Sperava solo che fossero abbastanza lungimiranti da stare a sentire quel che avevano da dire, senza che il tutto sfociasse in uno scontro. Uno spargimento di sangue era l’ultima cosa che Maglor desiderava, in quel momento.
-Veniamo in pace- aveva detto Maedhros, quando erano giunti di fronte a loro, prima ancora che potessero avere una qualsiasi sorta di reazione per aver capito chi avevano davanti. – Non abbiamo intenzione di far altro che passare il valico.
Questo non aveva contribuito a tranquillizzare gli Eldar di fronte a loro. Erano un gruppo piuttosto ridotto, non più di venti persone, sicuramente non un’avanguardia numerosa, ma in grado di difendersi in caso di attacco. Erano armati alla buona, non le ricche armature dell’esercito dell’Ovest, ma cotte di cuoio bollito e borchie, che gli permettessero di muoversi leggeri. Maglor riconobbe che erano per lo più Sindar, ma gli sembrò di vedere qualcuno con dei tratti Noldorin.
Genti delle Bocche del Sirion, si era ritrovato a pensare, non senza una certa fitta di colpa. Chissà quanti tra quei soldati avevano perso qualcuno di caro nel Terzo Fratricidio, a causa sua e dei suoi fratelli.
Doveva essere stato lo stesso pensiero degli Eldar di Gil Galad, perché gli avevano puntato addosso i loro archi corti. Maglor, più per abitudine che per altro, aveva fatto scivolare la mano sull’elsa della spada, digrignando i denti a quella minaccia. Ma aveva ritratto la mano, non appena si era accorto che Maedhros non aveva fatto il suo stesso gesto, limitandosi a fronteggiare i soldati armato unicamente del proprio sguardo tagliente.
Maglor aveva lanciato un’occhiata al fratello. Aveva ragione, meglio risolvere lo scontro con la diplomazia. Almeno se fossero stati disposti a trattare.
Il giovane re si era fatto avanti tra i propri soldati, ponendosi proprio di fronte a loro. Maglor non aveva potuto fare a meno di guardarlo incredulo. Per Eru, sapeva che il figlio di Orodreth era giovane, ma non così tanto! Quel ragazzo poteva aver a malapena superato lo yén di età.
Un altro ragazzo reso adulto troppo in fretta dalla guerra ricordava di aver pensato, cupamente. Esattamente come Elrond ed Elros.
Ereinion Gil Galad discendeva dalla casa di Finarfin, ma i suoi tratti ricordarono a Maglor più quelli di suo nonno Finwë. Se i capelli del giovane erano più sul bruno della sua madre Sinda, piuttosto che del corvino dei Noldor, i suoi occhi erano grigi, esattamente del colore che Finwë aveva trasmesso ai suoi figli maschi. C’era qualcosa di Finwë anche nella linea della mascella e nel profilo, dettaglio che Maglor non mancò di notare.
Il giovane era vestito esattamente come i suoi soldati, con la medesima cotta di cuoio e borchie. L’unica testimonianza del suo nuovo titolo di Re era il sottile cerchietto d’argento che gli circondava la fronte, nient’altro che un ben povero rimpiazzo del diadema del Ñoldorán, andato perso con la morte di Fingon durante la Nirnaeth Arnoediad. Per quanto brandisse anche lui una spada corta, come i suoi soldati, aveva legata sulla schiena una lunga lancia, che brillava come argento sotto il pallido sole del Nord. Maglor strinse gli occhi nel vederla. Le lance erano una buona arma per le battaglie, ma decisamente non erano adatte alle esplorazioni.
-I figli di Fëanor - il giovane re pronunciò il nome di loro padre con un tale disgusto che Maglor fu costretto a serrare i pugni per non replicare.
-Siamo noi- aveva replicato Maedhros, il tono piatto e controllato. Maglor invidiava al fratello tale autocontrollo, dentro di sé ribolliva di rabbia.
-Con quale coraggio potete presentarvi qui- il tono di Ereinion Gil Galad era pieno d’astio. – Come osate, dopo tutto quello che avete fatto?
-Calma – Maedhros alzò la mano, il tono era glaciale. -Abbiamo le armi abbassate, come puoi vedere, e ci saremmo presentati sotto un vessillo di pace, se ne avessimo uno. Ma non ne abbiamo, e non possiamo che chiedere una tregua. Io non ho intenzione di combattere con voi, c’è da vedere se anche tu sei dello stesso avviso, Re dei Noldor.
La punta di sarcasmo nel tono di Maedhros bastò a far calmare il giovane, che prese un respiro profondo, prima di tornare a fronteggiarli.
-Ho capito- disse, il suo tono più controllato. -Ho dei bambini a mio carico, e gente che non può combattere, non rischierò la loro vita per voi. – lanciò ai due fratelli un’occhiata rabbiosa. – Accetto la tregua. Ditemi quel che volete dire, vi ascolto. Facciamola finita una volta per tutte.
-Vogliamo semplicemente attraversare il passo- Maglor non aveva potuto fare a meno di intervenire, la rabbia che gli invadeva lo stomaco. Come osava pronunciare in quel modo il nome di suo padre, come? – Non ci aspettavamo di venire insultati in questo modo da un ragazzino.
Ereinion Gil Galad serrò il pugno: - Non osare insultarmi, Fëanoriano. Ho visto quello che avete fatto nell’Arvernien, cosa credi? Non avete giustificazioni, per quello.
Maglor ricordò vagamente gli stendardi di Cìrdan e della Casa di Finarfin issati sulla cima di una nave. Si chiese se Cìrdan e Gil Galad avessero visto anche Amrod ed Amras, ciò che rimaneva di loro dopo che erano arsi sulla pira. Il pensiero gli strinse dolorosamente il cuore nel petto.
-Tu non puoi capire- prima che Maedhros potesse aggiungersi, Maglor andò avanti. -Non parlare di ciò che non conosci, figlio di Artaher.
Ereinion Gil Galad strinse gli occhi: - Non osare pronunciare il nome di miomio padre! Non dopo quello che gli hanno fatto i tuoi dannati fratelli. È per colpa loro che è morto, è per colpa loro che è morta mia sorella! E quanto al capire, capisco bene quello che avete fatto alle bocche del Sirion. Tutti quei morti che siamo stati costretti a seppellire … - strinse la mano a pugno. – Siete dei mostri, ecco cosa siete.
-Tuo padre si è causato la sua morte tutto da solo, dando ascolto ai consigli dell’Adanedhel. Non dare ai miei fratelli colpe che non hanno – la voce di Maedhros risuonò secca ed alta, e Maglor incrociò le braccia, cercando di trattenersi dal rispondere. Aveva sempre avuto scarse simpatie per Orodreth, soprattutto perché con la sua stupidità nel dare retta al Mormegil aveva causato la morte di Celebrimbor.
Ereinion aveva serrato la mano: - Non osare, Fëanoriano. Non osare infangare la memoria di mio padre!
Maedhros lo aveva guardato, senza muovere un muscolo: - Solo quando tu smetterai di infangare la memoria dei miei fratelli. Non meritano di venire insultati dal figlio di un re che si è rifiutato di mandare le sue truppe a combattere nella Nirnaeth Arnoediad, preferendo starsene bene al sicuro nel regno di suo zio.
-Tu …- il giovane re prese un respiro profondo, cercando di calmarsi, mentre una vena pulsava sul suo collo, svelando quanto fosse infuriato. – Tu non puoi …
-Non so cosa ti abbiano raccontato di tuo padre, Re dei Noldor, ma non puoi chiedermi di essere comprensivo nei confronti di chi si è rifiutato di combattere nella Nirnaeth Arnoediad, rendendola la mattanza che è stata- Maglor avrebbe voluto intervenire, ma ormai Maedhros era lanciato. I suoi occhi brillavano come una lama d’acciaio, mentre si posavano sul giovane re. – Guerrieri ben più valorosi di tuo padre sono morti quel giorno, sire. Forse, l’esito avrebbe potuto essere diverso, se tuo padre o il maledetto Thingol avessero sollevato il fondoschiena dai loro comodi troni. Chi può saperlo? Ma non l’hanno fatto.
Maglor guardò verso il giovane re. Ereinion pareva sul punto di perdere il controllo, ma si tratteneva, stringendo il manico della lancia così forte che Maglor ebbe l’impressione che volesse romperla in due -Tu mi vieni a parlare a me di valore – quando finalmente il giovane parlò, ogni sua parola era carica di rabbia ed odio. – Tu che sei un Fratricida – sputò fuori quell’ultima parola con disgusto.
Maglor strinse le mani sulle braccia. Gli prudevano le mani dalla voglia di metterle sulla spada, ma sarebbe stata una pessima mossa, si disse. Non voleva fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito, tanto più non ora che aveva appena lasciato Elros ed Elrond, e chissà come si sarebbero sentiti, se avessero saputo che aveva reagito violentemente appena poco dopo aver detto loro addio.
Calmati, si disse. Ce ne andremo presto. Che ne sanno loro di cosa comporta il Giuramento? Non ne vale la pena. Meglio lasciar perdere, tanto più che avete patteggiato per una tregua, proprio ora vuoi romperla? Pensa ad Elrond ed Elros, dannazione!
Maedhros non rispose, rimanendo a guardare Ereinion Gil Galad in silenzio, gli occhi duri e freddi, le braccia incrociate.
-Non solo, hai anche ucciso i figli di Dior- la voce di Ereinion era ridotta ad un ringhio, i soldati accanto a lui che erano tesi e nervosi, come se non si fidassero appieno della loro promessa, si voltarono a guardare i fratelli. Maglor evitò i loro sguardi. Non voleva leggere in essi l’accusa delle proprie colpe, non quando le conosceva troppo bene. Evitò di guardare verso il fratello, non voleva leggere l’odio che provava per sé stesso nei suoi occhi, non dopo che quello che gli aveva detto Elrond gli aveva restituito un po’ di pace. – E anche quelli di Elwing, a quanto pare. Perché li avete uccisi, non è così? 
Maglor, a quel punto, non poté più trattenersi. Era tutto così assurdo! Senza che potesse farci nulla, scoppiò in una risata profonda, che risuonò alta e forte nel silenzio di tomba che si era creato dopo quel che Ereinion aveva detto. Rise e rise, senza riuscire a fermarsi per alcuni minuti, prima di rendersi conto che, forse, avrebbe dovuto spiegare il perché di quella risata.
Maedhros non parlava più. Gli gettò una breve occhiata, uno sguardo talmente carico di emozioni diverse che Maglor non riuscì a distinguerle tutte. Maglor capì che era il suo momento di parlare. Meglio così, d’altronde, era sempre stato lui l’ambasciatore dei Fëanoriani, quel ruolo gli mancava.
Quando si voltò a guardare in faccia il figlio di Orodreth, vide che lo stava guardando inorridito. Doveva pensare che fosse completamente folle, folle e crudele, per mettersi a ridere di fronte a quel che aveva detto.
Ma si sbagliava, oh, se si sbagliava.
-No- disse, pronunciando con cura ogni parola, soppesandola sulla lingua come un gioielliere soppeserebbe la sua merce. – Noi non abbiamo ucciso i figli di Eärendil ed Elwing. Ti stai sbagliando.
Il giovane rimase ammutolito per qualche istante, come se non avesse compreso bene ciò che gli aveva detto. I soldati invece presero a mormorare tra di loro, manifestando la propria incredulità. Maglor colse solo qualche brandello di frase qua e là, tanto il cicaleccio delle voci era fitto, le voci che si intrecciavano in una cacofonia di suoni incomprensibili.
-Silenzio! – alla fine, Gil Galad alzò la mano per azzittire i suoi soldati. – Come sarebbe, che non li avete uccisi?
-È quel che ti ho detto – Maglor lo guardò negli occhi. – Elrond ed Elros stanno bene, te lo posso posso giurare-Ah, dovrei fidarmi di voi - Ereinion strinse gli occhi. – Voglio le prove, non mi basta che voi diciate così? Se non avete ucciso Elrond ed Elros, allora dove sono? Non li vedo da nessuna parte, qui con voi.
Maglor prese un respiro profondo: -Sì, devi fidarti di noi, figlio di Artaher. Se proprio vuoi sapere dove sono, comunque, basta che ti rechi in quella vallata – alzò il braccio per indicare la valletta da cui lui e suo fratello erano appena usciti- dove troverai una grotta coperta da una cascatella. Se oltrepassi quella cascatella ed entri nella grotta, troverai i gemelli dove li abbiamo lasciati, non più di ieri. Stanno bene, te lo posso assicurare. E avranno molto da raccontarti – abbozzò un lieve sorriso nel dire quelle ultime parole.
-Davvero? – Ereinion lo guardò negli occhi, lo scetticismo era palese. – Come faccio a sapere che non mi state mentendo?
-Beh, non ti resta che controllare di persona – Maglor scrollò le spalle. – Potrei giurarti che i ragazzi stanno bene, comunque. Puoi dire tutto quello che vuoi, su di noi, ma non puoi non ammettere che non sappiamo mantenere i Giuramenti.
Ereinion rimase in silenzio, come a soppesare quel che gli veniva detto: - Va bene. Questa conversazione è durata fin troppo, signori. Vi ho concesso una tregua, e l’avete avuta. Non c’è altro che vi trattiene, vi lascerò andare e andrò a vedere di persona. Se scopro che mi avete mentito, però …- strinse il pugno. – Sappiate che non sfuggirete alla mia vendetta.
-Non hai di cui preoccuparti, allora – Maedhros, che era rimasto in silenzio fino a quel punto, parlò improvvisamente, facendo sussultare Maglor. -Non abbiamo più nulla da dirci.
Fece per voltarsi, e rimontare a cavallo, quando la voce di Ereinion li raggiunse: - Meglio per voi che sia la verità.
Maedhros si voltò a guardarlo, gli occhi stretti: -Perché, pensi che, dato che i nostri fratelli hanno mentito una volta, noi siamo automaticamente dei bugiardi?
-Non si può mai sapere, preferisco avere la conferma – Gil Galad li guardò. – La Casa di Finarfin ricorda. Sarà stata la maledizione del Mormegil ad uccidere mio padre e mia sorella, ma non è stata quella la causa della morte di Finrod Felagund.
-Avevi detto che ci avresti lasciato andare senza più una parola. Non stai mantenendo gli accordi- Maglor si sentiva stanco, immensamente stanco, dopo quella conversazione. Non voleva riportare alla mente ricordi dolorosi, dove non riusciva più a riconoscere quelli che erano stati i suoi fratellini. – Vedila così, figlio di Artaher. Una vita per una vita. Nella caduta del Nargothrond sono morti tuo padre e tua sorella, così come è morto anche nostro nipote. Hai avuto la tua vendetta, ritieniti soddisfatto. – si voltò verso il cavallo, senza più guardarlo.
-Celebrimbor non è morto - disse il giovane re, a denti stretti.
Se Maglor aveva ritenuto di riuscire ad ignorare l’effetto delle parole di Gil Galad, scoprì di essersi sbagliato di grosso. Rimase con la mano ferma a mezz’aria, impietrito. Si voltò di scatto per guardarlo: - Cosa?
Stava mentendo, non poteva essere altrimenti. Celebrimbor non poteva essere vivo, non dopo quelle tremende notizie che erano giunte dal Nargothrond dopo la sua caduta (i guerrieri del Nargothrond ridotti a cibo per gli avvoltoi, le Aule di Felagund saccheggiate e date alle fiamme, l’immondo verme che russava fetido sui tesori di Aman, i Noldor condotti via come schiavi in Angband), dove era parso a tutti loro ovvio, tremendamente ovvio che Celebrimbor non fosse riuscito a salvarsi, in una simile mattanza.
Non dopo che Curufin era morto con la convinzione che Celebrimbor fosse già nelle Aule di Mandos.
-Come fai a saperlo? – Maedhros parlò lentamente, precedendo Maglor nell’esternare i suoi pensieri. Gli occhi del maggiore dei Fëanoriani lampeggiavano come i fuochi accesi sopra Angband durante la Dagor Bragollach.
Gil Galad sostenne il loro sguardo: - Perché l’ho incontrato io di persona, al Mithlond. È arrivato poco dopo la caduta, con un gruppo di gente che è sfuggita al massacro del Nargothrond. È stato lui a raccontarci cosa è successo là, di come il Mormegil ha preso potere e la sua maledizione ci ha distrutti- strinse il pugno, i denti serrati. - Ha forgiato lui Aeglos, se proprio volete saperlo- diede una pacca al manico della lancia che aveva legata alla schiena.
Maglor non sapeva come definire il tumulto di emozioni che lo invadeva. Celebrimbor, il bambino che tante volte aveva preso in braccio da piccolo, il ragazzo che poi li aveva seguiti in Endor, di cui aveva pianto la morte, era vivo, a differenza di come aveva creduto per tutti quegli anni. Era vivo, si era salvato a quella catastrofe.
Curvo, tuo figlio è vivo, pensò Maglor, ricordando di come Curufin fosse stato distrutto da quella notizia. È vivo, vivo, vivo! Abbi un po’ di pace nelle Aule di Mandos, , qualunque sia stato il giudizio di Námo, fratello mio.
-È qui? – chiese Maglor, sentendo un nodo serrarsi alla gola. Non poteva fare a meno di chiedersi come avrebbe reagito Celebrimbor nel ritrovarsi davanti i suoi zii, non dopo che aveva rinnegato la sua famiglia. Non dopo che aveva saputo di ciò che era successo nel Doriath e nell’Arvernien.
Era così felice di saperlo vivo, non voleva vedere lo sguardo raccapricciato di suo nipote nel sapere quello che avevano fatto per adempiere al Giuramento, nel sapere come suo padre era morto.
Gil Galad scosse la testa: -No, non è con me e Cìrdan. È andato sugli Ered Luin con una scorta, sperava di incontrare i Nani dei Monti Azzurri e convincerli ad unirsi alla nostra causa.
Meglio così, forse. Celebrimbor era vivo. Tutto il resto non contava, Maglor non avrebbe tollerato che suo nipote vedesse lui e Maedhros ridotti così, consumati dal Giuramento e dal dolore.
Si voltò verso Maedhros. La notizia di Celebrimbor doveva aver colpito anche lui, perché sgranò gli occhi per qualche istante, prima di aggrottare nuovamente la fronte.
-È vivo- la voce di Maedhros lo fece sussultare. Non aveva dimenticato le parole che Curufin aveva rivolto loro dopo la caduta del Nargothrond, e sicuramente non le doveva avere dimenticate nemmeno Maedhros.
-Lo è – Ereinion aveva la mascella serrata. -E a quanto dite, sono vivi anche i figli di Elwing. Lo vedremo. Non ho altra scelta che fidarmi di voi, a quanto pare.
-Lo potrai vedere da te- ribatté Maglor. -Mentre invece noi non potremo vedere nostro nipote. Non abbiamo altra scelta che fidarci di te, a quanto pare.
Ereinion strinse gli occhi, contrariato per il modo in cui le sue parole erano state rigirate: -Se proprio ci tenete a vederlo, potete andare fino agli Ered Luin a controllare.
-Ci penseremo, allora – ribatté piccato Maglor. Non voleva dire a quel giovane re dove erano diretti. -Vai dove ti abbiamo detto, e li troverai.
-Bene- Ereinion prese un respiro profondo. -Allora la nostra conversazione finisce qui, signori miei. Ho fin troppo abusato del vostro tempo, e voi del mio. Andatevene per la vostra strada, io me ne andrò per la mia. Dirò a Cìrdan quel che mi avete detto, e recupererò i due ragazzi.
-Buono a sapersi, sire Ereinion. Addio, dunque- disse Maglor. Afferrò le redini del cavallo e fece per voltarsi.
-Gil Galad- la voce del giovane lo raggiunse, dura come l’acciaio. – Il mio nome è Gil Galad.
Stella di Radianza. Maglor lo guardò ancora una volta. Il giovane sembrava nuovamente essersi irato, la mano stretta sul manico della lancia legata alle sue spalle.
Stella di Radianza. Un nome che era un segno di speranza, esattamente come la stella di Eärendil che si era levata nel cielo, a dimostrare che Morgoth non aveva ancora. Maglor non faticava a capire perché il giovane figlio di Orodreth avesse scelto quello come suo epessë.
E ne avrebbe avuto bisogno, di speranza, per l’essere diventato re così giovane, a poco più di uno yén di età, senza che fosse realmente destinato ad esserlo, discendente com’era di una casata cadetta, venuto dopo una serie di re ben più imponenti e gloriosi, costretto a portare il peso della corona in un momento così buio.
Maglor avrebbe quasi provato pena per lui, se non fosse stato che il giovane lo disprezzava con tanta foga, giudicandolo e condannandolo senza nemmeno sapere quel che le sue azioni significavano.
-Gil Galad– stavolta fu Maedhros a parlare. – Molto bene, Re dei Noldor. Mio fratello non ti ha mentito, né l’ho fatto io. Te l’abbiamo detto.
Maedhros si avvicinò al suo cavallo, ed infilò un piede nella staffa, salvo poi montare in sella con un’unica spinta. Maglor lo imitò.
Una volta a cavallo, Maedhros si voltò per un’ultima volta a scrutare il giovane re: - Bene, ricordati questo, Gil Galad, Re dei Noldor: ora non avresti quella corona che porti sul capo, se io non vi avessi rinunciato tempo fa. E se vuoi continuare a tenerla ben salda sul tuo capo, impara che il mondo non è tutto in bianco e nero, e che non puoi sempre dare giudizi su ciò che non conosci. Non rimarrai Re a lungo, se continui a trincerarti nei tuoi pregiudizi, sire.
Prima che il giovane re potesse anche solo avere il tempo di replicare, Maedhros diede un colpo coi talloni ai fianchi del cavallo, e Maglor fece lo stesso, e, presi nella foga del galoppo, ben presto gli Eldar dietro di loro non furono che una macchia lontana ed indistinta.

***

Maglor non seppe mai per quanto tempo dormì. Seppe solo che a un certo punto fu svegliato da Maedhros, che lo scuoteva violentemente per la spalla.
-Muoviti- gli sibilò nell’orecchio, senza dargli spiegazioni.
-Cosa succede? – chiese Maglor, tirandosi a sedere e massaggiandosi il collo. Negli anni che aveva passato in guerra, aveva imparato a passare dal sonno alla veglia molto in fretta.
-I Thangorodrim- alla luce della lanterna, Maglor poté vedere che era pallido, le lentiggini sulle sue guance spiccavano ancora di più. - Stanno sputando fuori qualcosa.
Maglor serrò i denti.  Quella era una sensazione che gli era familiare. Ricordava ancora di essere riuscito a vedere dalle mura della sua fortezza il fuoco eruttato dai Thangorodrim, e Glaurung che ne era scaturito, distruggendo le sue terre e condannando i suoi soldati a una morte atroce tra le fiamme.
Non rispose più nulla. Si infilò la cotta di maglia il più velocemente possibile, e recuperò in fretta le sue armi, la spada era fortunatamente ancora allacciata alla sua cintura. Mentre ancora si infilava l’elmo, seguì suo fratello verso l’uscita della caverna, il cuore che rimbombava in gola ad ogni passo. Si udì uno schianto violento, come se enormi massi si fossero staccati dai Thangorodrim. Fu con il cuore in gola che si sporsero fuori.
E fu allora che vide.
Per qualche istante credette fosse sorta l’alba. Ma fu un’illusione che durò per poco: non era la luce del sole, quella che vedeva: i Thangorodrim vomitavano fiamme, lunghe strisce di lava che rilucevano spietate contro il nero delle montagne. Il clangore delle armi e dei soldati era assordante, e Maglor sentì lo stridio acuto delle Aquile di Manwë sopra la sua testa.Sguainò la spada, e udì Maedhros fare lo stesso. Avevano già vissuto quella situazione, nella Dagor Bragollach, e Morgoth sembrava intenzionato a ripetere lo stesso giochetto. Dopotutto, aveva già funzionato una volta.
Non potevano fare nulla contro la lava, ma non era quello che preoccupava Maglor, al momento. Una volta che il torrente di fuoco avrebbe cessato la sua corsa di distruzione, Morgoth non avrebbe perso tempo, prima di sguinzagliare i suoi fetidi cani.
Maglor udì le urla dei Maiar che venivano travolti dal fiume di lava. Non potevano essere uccisi, non così facilmente, ma le vesti di carne che indossavano si sarebbero distrutte, e ci sarebbe voluto del tempo prima che le recuperassero. Serrò i denti. Presto sarebbe capitato agli Eldar.
Il terreno tremò violentemente sotto i loro piedi, e i due fratelli furono costretti ad aggrapparsi ad una roccia per non cadere.
-Cos’è! - urlò Maedhros. – Cos’altro ha in mente Moringotto?
Vi furono un altro paio di scosse, poi il terremoto cessò definitivamente. Maglor si issò su un masso e guardò la piana circostante: -Stavolta non è opera di Moringotto- disse, indicando al fratello quel che vedeva. Una gigantesca fenditura si era aperta nella piana, proprio davanti ai Thangorodrim. La lava vi precipitò dentro, trascinando con sé Balrog ed orchi urlanti, appollaiati sui picchi. Il torrente di lava lanciò gli ultimi bagliori nel cielo notturno, prima di svanire definitivamente nella fenditura, senza più lasciare traccia.
Dall’esercito dell’Ovest si alzò un unico boato di trionfo.Maglor tirò un profondo sospiro. C’era ancora speranza. Ora che Morgoth finalmente era costretto a fronteggiare i suoi pari, l’esito della lotta non era così scontato.
Sotto di loro, lontano, l’esercito dell’Ovest, ridotto a un bagliore argenteo e dorato contro la notte, stava ancora festeggiando.
Maedhros gli fece cenno di muoversi anche loro verso il basso. Ma quando furono sul sentiero, fu allora che udirono un altro schianto.
Maglor si fermò di colpo, la spada sguainata. Lo schianto veniva dai Thangorodrim, centinaia di pietre caddero fuori dalle cime salvo schiantarsi sui picchi più in basso. Ve ne fu un altro, e poi un altro ancora.
Hanno festeggiato troppo presto, pensò, incapace di distogliere lo sguardo da quelle montagne maledette. Non è ancora finita.
Vi fu un rombo simile al tuono, solo che non veniva dal cielo, ma dagli abissi di Angband, là dove Morgoth si nascondeva. Fulmini saettarono fuori dalle cime, vibrando di una luce sinistra contro il cielo cupo.
-Ma cosa- mormorò Maedhros, la mano stretta attorno all’elsa della spada. Fumi neri e vampate di fiamma iniziarono a fuoriuscire dall’abisso aperto dagli stessi Maiar, seguiti ben presto da qualcosa che si faceva strada dal basso.
Non abbiamo fermato gli eserciti di Melkor pensò Maglor, rendendosi conto di cosa stava accadendo. Abbiamo solo scoperchiato i suoi sotterranei.Si udì l’ultimo, definitivo, schianto, e poi qualcosa spuntò fuori dall’abisso, gli orridi artigli che si aggrappavano alla roccia per risalire, le spire che serpeggiavano lungo le pareti della voragine. Maglor vide con orrore una forma serpentina stagliarsi contro la pallida luce delle stelle e il fuoco saettato fuori dalle cime, lanciando uno stridio acuto.
E non era che il primo. Orde ed orde di Urulóki, più di quanti Maglor ne potesse contare, sbucarono dagli abissi, simili a un gigantesco di orride vipere vomitato fuori dalle viscere di Angband, i corpi viscidi di scaglie che luccicavano neri alla luce delle fiamme. Il rumore delle loro strida riempì l’aria.
Il primo drago finì di uscire dalla voragine, il disgustoso corpo di vipera che spiegava le sue spire sulla piana. Lanciò un ultimo, stridulo grido, prima di lanciare un getto di fuoco che illuminò il cielo, rosso contro nero, avventandosi contro i Maiar di Manwë, tra le prime file dell’esercito.
Il resto dei draghi aprì le fauci, lanciando strida, prima di strisciare verso l’esercito nella piana davanti a loro, pronti ad affrontarli. Ben presto, l’Anfauglith si riempì del bagliore del fuoco di quelle orrende bestie.
Maledizione.
Quasi come in sogno, Maglor udì la voce di Eönwë, più potente di qualsiasi tromba, risuonare nella piana, urlando ordini, riorganizzando i soldati. Le Aquile stridettero e volteggiarono sopra le loro teste, prima di lanciarsi a combattere contro i draghi.
Non è ancora finita.

Ma non fu la disperazione ad invaderlo. Perfino in quel momento, coi bastioni di Angband che vomitavano creature degli inferi, tutto ciò che sentì fu una calma spietata. Che Moringotto sguinzagliasse pure tutte le sue legioni, che vomitasse ogni genere di abominio dai bassifondi della sua fortezza: lui sarebbe rimasto lì, a combattere fino all'ultimo respiro. L'avrebbe fatto per Elrond e per Elros. L'avrebbe fatto per loro: una volta recuperati i Silmarilli, sarebbe stato libero. Nulla più lo avrebbe legato al suo Giuramento, nulla gli avrebbe più impedito di vivere con Elrond ed Elros. E al fronte di tutto ciò, nemmeno i draghi di Angband potevano scalfire la sua determinazione. Per mio padre, pensò, mentre sguainava la spada, pronto a gettarsi nella battaglia. Per Nelyo, per Tyelko, per Moryo, per Curvo, per gli Ambarussa, per Nerdanel e per Tyelpe. Per i miei Elrond ed Elros. Oh, Moringotto, preparati. Non ti metterai tra me e loro, non lo farai. Non quando avrò la possibilità di combattere per loro, per far sì che possano avere un futuro. Inizia a tremare, Moringotto: del tuo regno non rimarrà che cenere.
Il dominio di Morgoth finiva quel giorno.

NOTE

eh, eh, eh. Questo capitolo è più basato su head canon che altro, lo ammetto. Immagino di essere andata fuori dai binari un paio di volte, uhm. Ma procediamo con ordine:
-Ereinion, aka Gil Galad non è figlio di Fingon (ma ci mancherebbe altro che io scriva una cosa del genere, ah ah ah ah ah aha) bensì di Orodreth (che a sua volta non è figlio di Finarfin ma suo nipote, in quanto figlio di Angrod, secondogenito di Finarfin). Queste informazioni non le ho inventate io, ma vengono dal Volume XII della History of Middle Earth: Gil Galad ha cambiato nome e parentela svariate volte nel corso del rimaneggiamento e nella stesura del legendarium: originariamente era figlio di Finrod Felagund, e in una delle versioni più arcaiche addirittura il fratello più giovane di Galadriel (al contrario, il fatto che Gil Galad sia diventato figlio di Fingon è stata una alterazione editoriale, del tutto estranea a qualsiasi cosa abbiano scritto Tolkien padre e figlio, per quanto poi Christopher Tolkien abbia cercato di metterci una pezza: così si spiega che Gil Galad venga definito ‘figlio di Fingon’ nei Racconti Incompiuti, anche se più tardi ha ammesso questo suo errore). In una delle ultime versioni, da figlio di Finrod Felagund Gil Galad diventa figlio di Orodreth (e fratello di Finduilas), come viene detto in questo passo, che riporto:
“Finrod left his wife [Amarië, probabilmente, anche se non si sono sposati prima della ribellione dei Noldor, N.d.Fey] in Valinor and had no children in exile. Angrod’s son was Artaresto, who was beloved by Finrod and escaped when Angrod was slain, and dwelt with Finrod. Finrod made him his ‘stewart’ and he succeeded him in Nargothrond. His Sindarin name was ‘Rodreth’, (altered to ‘Orodreth’ because of his love of the mountains). His children were Finduilas and Artanáro (=Rodnor) later called Gil Galad. (Their mother was a Sindarin lady of the North. She called her son Gil Galad). Rodnor Gil Galad escaped and eventually came to Sirion’s Mouth and was King of the Noldor there. [The Peoples of The Middle Earth, The Shibboleth of Fëanor, The parentage of Gil Galad]
-Artaher: nome Quenya più tardo di Orodreth, per questo l’ho preferito ad ‘Artaresto’.
-Che l’esercito di Aman liberi la fortezza di Eithel Sirion è un mio head canon, chiaro. L’ordine che dà Eönwë di sterminare tutti gli orchi e di prendere prigionieri gli Esterling invece è preso da Il Signore degli Anelli, dove Aragorn Elessar dà esattamente lo stesso ordine in Il Ritorno del Re (non ricordo a quale capitolo, immagino a quelli dedicati alla Battaglia del Pelennor e all’assedio di Gondor). Riguardo agli Orchi, , ho un piccolo problema coi suddetti. Voglio dire, posso capire gli Esterling, essendo uomini che, vuoi per sfiga, vuoi per ambaradan vari, siano finiti prima a tradire gli Eldar e gli Edain nella Prima Era, e che nella Terza siano finiti per venerare Sauron, ma ehi, sono Uomini, possono finire nei casini ma possono ‘redimersi’, per così dire. Invece gli orchi paiono molto ‘kativi perché sì’ (per quanto siano Elfi corrotti, ma corrotti fino al punto di non poter più tornare alle creature che erano?). Tolkien come scrittore aveva bisogno, almeno nella prima parte della sua produzione, di carne da macello che potesse essere fatta fuori dai protagonisti senza tanti complimenti, ma Tolkien come persona non poteva accettare che esistessero delle creature viventi che fossero impossibilitati a pentirsi e a riconoscere ed abbandonare il male che facevano: negli ultimi tempi della sua produzione cercò di trovare una soluzione a questa cosa, senza mai riuscirci (ed ehm, è chiaro che sicuramente non la troverò io, quindi … perché ne sto parlando?)
grazie mille a tutti i lettori! mi scuso davvero per la lentezza degli aggiornamenti, la RL mi dà un po' di problemi ultimamente. spero il capitolo sia gradito!  
Feanoriel  
 




 

   
 
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