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Autore: sevenyears    15/05/2016    0 recensioni
"E allora vai, vai e sii felice.
Lo guardavano tutti. Si stringevano gli uni agli altri, come per trovare tra di loro un po’ di quel calore che Alberto gli stava portando via per sempre.
Loro erano i Rimasti. Era sempre difficile, quando lo si diventava."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         È andata così
 
Erano tutti lì, sulla porta. Erano andati a dargli quello che, con tutte le probabilità, era un ultimo saluto. C’era la mamma, in ciabatte e smalto smangiucchiato. C’era papà, con i suoi occhialini da persona perbene e il giornale aperto che penzolava dalla mano sinistra. C’erano i suoi fratellini, che lo guardavano senza sapere bene cosa stava succedendo. C’era anche la nonna, con il suo grembiule a fiori e gli occhi tristi.
Non glielo chiedevano più, ormai.
Sei sicuro? Sei proprio sicuro, Alberto?
Lui avrebbe risposto di sì. Sì, come tutte le altre volte. Sì, sicuramente sì. Probabilmente da sempre, era sempre stato un sì.
La verità, la triste verità, era che lui non era nato per vivere insieme agli altri, su questa terra.
Era una creatura troppo fragile e infelice, per farlo. Non aveva la forza necessaria.
 
E allora vai, vai e sii felice.
Lo guardavano tutti. Si stringevano gli uni agli altri, come per trovare tra di loro un po’ di quel calore che Alberto gli stava portando via per sempre.
Loro erano i Rimasti. Era sempre difficile, quando lo si diventava.
 
Sarebbe mancato tanto a chiunque lo avesse conosciuto.
Insomma, avrà anche avuto i suoi problemi, ma Alberto era un tipo simpatico. Un tipo sempre con la battuta pronta, le sue gambette che non stavano ferme un secondo, la sua curiosità per le cose poco interessanti, la sua passione per gli insetti.
Era sempre stato così, un tipo un po’ bislacco.
I suoi genitori gli avevano voluto un gran bene, e avevano cercato tante volte di salvarlo.
 
Di tutta la faccenda se ne erano resi conto qualche anno prima, in una piovosa serata come tante altre.
Non stavano facendo niente di particolare, ognuno pensava agli affari suoi. Poi, all’improvviso, il figlio più piccolo, lo aveva detto.
“Alberto ha un Occhio Grigio”.
“No, non può essere. Non può essere!”
Quante volte quella frase era rimbalzata sulle pareti della loro casa. Quante volte quelle parole crudeli non avevano trovato una finestra abbastanza larga per uscire e non tornare mai più.
Perché l’Occhio Grigio era una condanna. La condanna.
Era la Tristezza.
La Tristezza che si impadroniva di una persona e non la abbandonava mai più, per tutta la vita. Non si poteva fare niente. Era andata così.
 
I medici si erano affannati per anni, alla ricerca di risposte.
Perché arrivava? Perché non se ne andava? Si poteva guarire? Se non totalmente, almeno parzialmente?
Ma si erano arresi tanto tempo prima. Era storia vecchia. Avevano allargato le braccia dicendo, ci dispiace proprio. Non sappiamo cos’altro dire. È andata così.
Ed è proprio quello che sta pensando ora la madre di Alberto, è andata così.
Mentre guarda il suo primogenito, la luce dei suoi occhi azzurri, che si allontana.
“Andrà a star bene, perlomeno” dice il marito.
E in effetti sì, in effetti andrà proprio così. A star bene.
L’unica cosa che i medici, i politici, i tiranni di qualche stato sprofondato nell’Africa Nera, sono stati in grado di fare.
 
Quell’anno correva il Cinquantennio dell’Oltre, quando si dice il caso.
L’Oltre era stato inaugurato ai tempi del nonno di Alberto, un signore alto e impettito, con due splendidi baffoni. Anche lui aveva l’Occhio. Ed era stato proprio uno dei primi a partire.
“Cos’è l’Oltre, mamma? Perché Alberto ci deve andare? Non può stare qua con noi?”
“Potrebbe, tesoro. Ma è meglio di no. È meglio per tutti di no. Soprattutto per lui” rispondeva la mamma, con la morte nel cuore.
Perché sì, Alberto sarebbe potuto rimanere a casa per tutta la vita. A casa con la sua famiglia, in mezzo alle sue cose, ai suoi insetti rari.
Ma dalla Tristezza non si può sfuggire.
 
La Tristezza alberga nel corpo ospitante, silente, per molto tempo. Ma ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno, lo trasforma.
Prima un dito che non si muove come dovrebbe, poi le gambe che al mattino decidono di non alzarsi più, poi gli occhi che smettono di vedere.
Ed ecco, un giorno ci si sveglia e in realtà non ci si è ancora svegliati: il corpo nel letto non è che una statua di pietra.
Ci vuole tanto tempo per ridursi in questa maniera, sia chiaro.
I primi segni di rocciosità si hanno tra i cinquanta e i cinquantacinque anni. Non esistono statue con meno di sessantasei, sessantasette anni.
Insomma, si ha tutto il tempo di portare avanti un qualsiasi tipo di vita, per quanto desolante.
 
Se andate a chiedere in giro, sono sempre meno le persone che affermerebbero tranquillamente di voler diventare statue. E posso anche capire perché.
Da una trentina di anni a questa parte, vanno tutti a Oltre (i primi vent’anni non furono facili per questa nuova attività, troppo scetticismo).
Oltre è il luogo dove gli Occhi Grigi si ritirano a (non) vivere quello che rimane delle loro vite.
Entrano in quelle strutture bellissime, tutte vetri e specchi, si accomodano nella stanza che gli è stata loro riservata, si coricano in quel letto meraviglioso e comodissimo, prendono le pastiglie che trovano sul comodino accanto, e si addormentano.
Oltre è il Mondo dei Sogni.
 
Ma non sono Sogni qualsiasi, i Sogni in generale.
Bensì, i Sogni che una persona ha fatto durante tutta una vita (esclusi, per forza di cosa, gli Incubi).
Quelli belli, quelli pieni di cieli stellati e oceani silenziosi, treni in mezzo alla campagna, persone che fanno star bene, persone che ci hanno lasciato e all’improvviso ritornano, risate. Cose che non succedono mai nella vita reale; e, se succedono, sicuramente non agli Occhi Grigi.
“Quindi mamma? Alberto dove sta andando?”
“Alberto sta andando nei sogni”.
La signora Elvira non vede, questa, come una mancanza di coraggio. Come un mandare all’aria tutta una vita, rinunciare a combattere sin dal principio.
Semplicemente, è un voler voltare le spalle a un’esistenza che nessuno si merita, per essere felici da qualche altra parte.
Che questo luogo incantato non esista, insomma, non cambierà poi molto.
 
In fondo, per stavolta è andata così.
   
 
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