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Autore: nicla86    15/05/2016    1 recensioni
Non è l’inferno- però di certo ci assomiglia parecchio.
Ci sono le fiamme, ci sono le urla, ci sono i lamenti, ci sono gli aguzzini. Ed è sottoterra.
Non ricordo più cosa mi avesse spinto ad accettare di partecipare alla spedizione (non si è trattato di semplice curiosità, mi auguro, non voglio morire per semplice curiosità) ma lo avevo fatto e quindi ero discesa negli abissi con altri tre folli.
Il nostro compito era quello di scovare eventuali abitanti in una zona che si diceva maledetta ed infestata da ogni sorta di orridi animali, per poter far giungere fin lì il commercio, il progresso, magari anche i McDonalds. Mio padre è uno splendido affarista e sorrideva alla proposta, mio nonno un po’ meno: era sicuro che ci fosse qualcosa di terribile qui sotto. Ebbene, nonno, avevi proprio ragione. Temo però che ciò ti procurerà assai poca gioia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DOWN WE GO
Non è l’inferno- però di certo ci assomiglia parecchio. Ci sono le fiamme, ci sono le urla, ci sono i lamenti, ci sono gli aguzzini. Ed è sottoterra. Non ricordo più cosa mi avesse spinto ad accettare di partecipare alla spedizione (non si è trattato di semplice curiosità, mi auguro, non voglio morire per semplice curiosità) ma lo avevo fatto e quindi ero discesa negli abissi con altri tre folli. Il nostro compito era quello di scovare eventuali abitanti in una zona che si diceva maledetta ed infestata da ogni sorta di orridi animali, per poter far giungere fin lì il commercio, il progresso, magari anche i McDonalds. Mio padre è uno splendido affarista e sorrideva alla proposta, mio nonno un po’ meno: era sicuro che ci fosse qualcosa di terribile qui sotto. Ebbene, nonno, avevi proprio ragione. Temo però che ciò ti procurerà assai poca gioia. La discesa è stata facile, George e Morris erano due veri esperti di gallerie. Il difficile sarà uscire. Non per loro due, però: i loro cadaveri sono stati riportati in superficie, forse come monito per coloro che potrebbero osare intraprendere il viaggio. Io sono qui soltanto da una settimana, ma già mi sembra di non aver conosciuto altro posto al mondo. La mia schiena è talmente coperta di piaghe che fatico a credere che un tempo ci fosse solo pelle sana. Mi sono consumata le unghie fino all’osso e ho braccia e gambe incrostate di sporco, di fuliggine e di sangue. Anche i miei occhi sono sempre iniettati di sangue e le labbra sono aride e screpolate. Questo è un luogo in cui è vietato sprecare una goccia d’acqua. Una sola goccia d’acqua in meno può significare la morte. Ma in verità sarebbe meglio morire, probabilmente. E’ assurdo quanto noi esseri umani siamo attaccati alla vita. Persino in condizioni infami e degradanti vogliamo andare avanti, ignoriamo il dolore e la vergogna,,, sopportiamo i tormenti per un giorno in più, con l’unica guida della speranza. Quello che ho scoperto è che questa è una caratteristica anche di diversi esseri non umani: Nessuno dei prigionieri di queste tenebre ha il coraggio di lasciarsi andare alla morte. Abbiamo avuto la rivelazione, peccato solo che si trattasse di una rivelazione di terrore e di odio, un odio così profondo da spiaccicare gli uomini e da non lasciare in loro nemmeno un briciolo di sentimento. Dopo aver raggiunto la grotta nella quale eravamo diretti, tutti e tre abbiamo misteriosamente perso i sensi. La prima cosa che ricordo di aver visto al mio risveglio è proprio ciò che più mi sta facendo gelare il sangue: un uomo molto pallido, con i capelli scuri, enormi occhi blu, gli zigomi evidenti e la bocca rossa. Lui è il capo, qui, è lui che dovremmo eliminare per liberarci, se pensassimo che una liberazione è possibile. Mi disse poche parole che non capii e mi fece cenno di seguirlo. Non pensai neanche per un istante di rifiutare. Raggiunsi un grande tunnel buio e caldo. Avevo già perso di vista i miei compagni. L’uomo- che in realtà non è affatto un uomo, ma cosa sia non so- mi spinse contro una delle pareti del tunnel e mi morse. Non si trattava di un vampiro, però: non ha bevuto nemmeno una goccia del mio sangue. Desiderava solo il mio dolore. E io piansi, perché quella piccola ferita sembrava un cratere scavato nella mia carne. Lui mi graziò di un sorriso, e poi…non ricordo più. Il giorno dopo ho cominciato a lavorare insieme agli altri nella più grande delle grotte. Miniere, pozzi, servizio nell’esercito: sono questi i compiti che si alternano. Mangiamo, una volta al giorno, sostanze che non riesco a riconoscere. Beviamo solo quella borraccia d’acqua che ci viene consegnata ogni mattina. I nostri carcerieri- delle creature nere come la disperazione, piene di muscoli- ci frustano e ci feriscono continuamente e ridono, ridono per giorni interi per motivi che nessuno di noi comprende. Diversi dei miei compagni non sono umani. Non li osservo spesso: i miei occhi diventano di ora in ora più appannati. E fa caldo, più di quanto sia possibile immaginare. Se uscirò di qui, credo che andrò ad abitare in Antartide. Ho coltivato dei progetti di fuga, ho esaminato tutte le possibilità, ho vagliato le alternative e ho concluso razionalmente che non ci sono possibilità. Però ancora covo l’illusione di potermi liberare da questa prigione. Magari arriverà un paladino con una lucente armatura a trascinarmi via dall’inferno. Magari si inginocchierà al mio cospetto e mi rivelerà che sono la principessa di un regno sconosciuto. Magari risparmieranno almeno il mio cadavere. Non sono mai stata credente. Non ho ancora cambiato idea: il diavolo non può esistere e se anche esistesse non può avere quel viso e quel sottile corpo pallido per i quali è più facile provare amore che odio. Ecco qual è il mio incubo, al momento: la sindrome di Stoccolma. Sono innamorata del mio crudele carceriere, che pure non ha fatto niente per me, non mi tratta di certo diversamente dagli altri sventurati e si mostra al nostro sguardo solo raramente. Tuttavia, nelle poche ore di sonno che ci vengono concesse è lui che sogno, è lui che bramo. Vedo quegli occhi blu in ogni angolo, in ogni viso, persino nelle rocce che mi circondano. Ho paura di non provare neppure più il desiderio di liberarmi. Avevo un fidanzato, in superficie, un bravo ragazzo con la valigetta di cuoio e le spalle larghe. Mi portava a cena fuori una volta al mese, lasciava scegliere a me i film da vedere al cinema, mi regalava una scatola di cioccolatini a San Valentino e sorseggiava il vino da vero signore. E preferirei cavarmi le viscere con le mie stesse mani, piuttosto che trascorrere il resto della mia vita con lui, ora che so, ora che ho scorto cosa c’è al di là di ciò che mi è stato messo davanti da persone più preoccupate di conservarmi candida ed innocente che di mettermi in condizione di sopravvivere tra gli squali. Lui, la creatura che non può essere un demonio, è riapparso tra di noi solo tre volte, finora. La prima è stata quando uno dei suoi misteriosi collaboratori si è improvvisamente accasciato, morto; fosse stato un umano, avrei creduto ad un infarto, ma probabilmente queste creature non hanno neanche il cuore. La seconda volta ci ha ispezionato, portando via i più malridotti ed i più anziani e la terza ha parlato con alcuni di noi- non con me, purtroppo. Io non ho udito le sue parole e neppure la sua voce, ma quelli che lo hanno ascoltato sono tutti morti poco dopo, senza che potessi avere l’opportunità di consultarli. Era vestito normalmente- non può essere un demonio, no?- con una giacca di un rosso violaceo, pantaloni neri a sigaretta ed una camicia aperta sul petto. Portava una catenina con un crocifisso ed i capelli formavano una sorta di aureola intorno al viso. Ho continuato a fissarlo, pur lavorando, e ho pensato a quanto dovesse apparirgli patetica una minuscola donna incrostata di sporcizia con gli abiti a brandelli. Se solo potesse individuare in me qualcosa di quello che io vedo in lui…


Oggi qualcosa è cambiato. Dall’ultima volta che sono riuscita a scrivere, durante una pausa dedicata al sonno, su una vecchia camicia bianca lasciata qui da qualcuno, con un carboncino, sono passati due mesi. E’ avvenuto un imprevisto. Lui è tornato e stavolta è venuto per me. Stamattina si è presentato in miniera, mentre io stavo picconando alla ricerca di un nuovo filone. Mi ha posto una mano sulla spalla e mi ha fatto voltare con delicatezza. I suoi occhi erano a pochissima distanza dai miei e brillavano di una strana luce interna, appariva pallido, più delle altre volte, e le labbra spiccavano quasi purpuree. “Shannon?” mi ha chiamato, con un’inflessione dubbiosa. “Sì?” gli ho risposto, soffiando, più che parlando. Il cuore mi era diventato di piombo e temevo che mi sarebbe precipitato fuori dal corpo. “Ti prego di seguirmi”. Ho camminato con gambe tremanti, sforzandomi di adattarmi alla sua andatura sicura ed elastica. Avrei voluto sapere cosa avesse intenzione di fare con me e di me, però in un certo senso non aveva importanza. Siamo giunti ad un edificio che non avevo mai visto prima, di marmo policromo, con grandi finestre spalancate ed illuminato da fasci rosati. Mi ha fatto cenno di entrare. L’ho seguito su per una rampa di scale fin dentro una lussuosa camera da letto. Il soffice materasso mi attirava in modo irresistibile e mi ci sono adagiata con un sospiro. “Dormi” mi ha detto. ”Nessuno ti disturberà”. E ho dormito, serena. Ho sognato lui, ancora, e al risveglio l’ho trovato lì, che mi fissava. “Chi sei?”. “Mi chiamo Alexis e sono il padrone di questo posto, come avrai capito”. “Sei umano?”. “Ovviamente no”. “Perché mi hai salvato?”. “E’ proprio di questo che dobbiamo parlare, donna. Ho scoperto che sei diversa dagli altri servi: tu non hai intenzione di fuggire. Vuoi restare con me”. “Io…”sono riuscita soltanto a dire, prima di scoppiare in lacrime, senza capirne il motivo. Solo in quel momento ho notato che i suoi occhi erano cerchiati di matita nera e che apparivano più grandi di quanto fossero appena pochi istanti prima. “Tu non mi temi”. “Gli altri sono convinti che tu sia il diavolo, io no”. “Cosa ti dà questa certezza?”. “Non hai né corna né coda. E non sei totalmente malvagio”. “Chi dice che il diavolo sia il male assoluto? Non può avere sentimenti ed aspirazioni? Non è libero di mostrare pietà? E l’idea delle corna è ridicola”. “Mi stai dicendo che sei davvero…”. “Non ti sto dicendo niente. Ti ho portato qui perché tu rispondessi alle mie domande, non il contrario”. La sua voce era profonda e musicale. Dalla camicia lasciata in parte aperta si intravedeva della pelle liscia e pallida. Sentivo che quel particolare mi stava distraendo. “Perché hai affermato che non sono completamente malvagio?”. “E’ una mia sensazione”. “Hai capito dove ti trovi?”. “Sottoterra”. “Questo l’avrebbe notato anche un bambino. No, vedo che la situazione non ti è affatto chiara…ma posso rimediare”. Si è avvicinato improvvisamente. I suoi occhi mi tenevano legata grazie ad un qualche potere magico nel quale non avrei mai creduto, se non mi fossi trovata a sperimentarlo di persona. E ciononostante non avevo paura. Sarei morta felice in quella stanza. Mi ha afferrato un polso e vi ha tracciato una linea con un pennello intinto di nero, poi mi ha lanciato dei vestiti e mi ha fatto cenno di cambiarmi. Mi sono infilata in un abito argenteo, lungo fino ai piedi, corredato di un mantello di pelliccia e di scarpe dai tacchi molto alti e subito mi sono chiesta come avrei fatto a sopportare il tutto con quella temperatura. Mi ha preceduto nell’ambiente accanto e poi ha spalancato una porta di legno viola. Non credevo che esistesse del legno di quel colore. Ho notato che gli tremava una mano, ma ne ignoravo il motivo. Aveva intanto indossato un cappotto nero di foggia vagamente militare che teneva abbottonato fin sotto il mento. Sotto di esso sbucavano dei pantaloni aderenti che cadevano su un paio di lucidi stivaletti. I capelli, lasciati liberi, gli si agitavano intorno come se fossero dotati di vita propria e formavano delle morbide onde. Era bello da mozzare il fiato. Siamo sbucati in superficie, assurdamente. E faceva parecchio freddo: il terreno era coperto di neve e le mie scomodissime scarpe vi affondavano. Dalle nostre bocche uscivano delle nuvolette che mi apparivano come fantasmi. Non c’era nessuno in giro e la piattezza della valle era interrotta soltanto da alberi tristi. Poi è cominciata la musica. Ho riconosciuto il suono dei violini ed ero consapevole che si trattava di un brano che avevo ascoltato migliaia di volte, però non riuscivo a riconoscerlo. Era dolce e giungeva dritto al cuore, probabilmente era una canzone d’amore. E io stavo lì impalata come un’idiota, sforzandomi di non cadere. “Questa è la mia vera casa, il posto da cui provengo”. “E’ sul mio pianeta?”. Lui ha riso in modo quasi fanciullesco, mostrando dei denti bianchi assolutamente perfetti, sebbene per un istante mi fosse parso che gli incisivi fossero troppo distanziati. “Credi che sia un alieno? Siamo in Scandinavia, non su Nettuno”. “Allora sei un uomo!”. “No. Seguimi”. Mi ha condotto in una sala di ghiaccio. C’era una festa in corso, con centinaia di persone, ma lui era il più bello di tutti ed io la più elegante. Mi sono soffermata a guardare un ragazzino con gli occhi verdi ed i capelli lunghi che portava un mantello rosso. Aveva un’aria stranamente familiare e avrei voluto parlargli, ma Alexis mi ha fatto segno di proseguire. Varcando l’ennesima porta, siamo giunti in quella che ho immediatamente riconosciuto come la sua dimora originaria. Era una villa signorile, ben arredata, con splendidi arazzi ed ancor più splendidi quadri. “Ora ti racconterò ogni cosa, pur se proprio non comprendo quale impulso mi spinga a farlo”. “Ti ascolto”. “Come ti ho anticipato, sono originario di quest’angolo di mondo”. “Dove ci troviamo, esattamente?”. “Non ha importanza. Sono nato in questa stessa casa, il ventidue novembre del milleseicentosettantasei. Non, non sono un vampiro. Lascia perdere le soluzioni ovvie o che a te appaiono tali. Tu non puoi conoscermi. E sappi comunque che odio essere interrotto”. “Ti chiedo perdono”. “Non sono offeso. E se lo fossi, non potresti fare a meno di accorgertene: la mia ira tende ad essere eccessivamente esplosiva. Puoi toglierti il mantello, intanto”. Quasi speravo che lui continuasse a tenere il cappotto. La catenina che gli pendeva dal collo mi ipnotizzava, rischiando di farmi perdere parte del discorso. Ancor peggio sarebbe stato se avessi cominciato a fissargli il torace. “I miei genitori erano umani. Io no. Non chiedermi perché, non rimuginare su come sia possibile: è così e basta. Capita che genitori sani mettano al mondo figli malati: ebbene, nel mio caso è accaduto qualcosa di simile. Ho sempre saputo di non essere uguale agli altri: le mie ferite si rimarginavano e il sangue che lasciavano brevemente fuoriuscire era del colore del vino. I bambini avevano paura di me e gli adulti mi odiavano; quando avevo tredici anni mi hanno catturato e hanno tentato di distruggere la mia strappandomi la lingua e cavandomi gli occhi, che però mi sono immediatamente ricresciuti. Quindi, cominciando a realizzare la portata dei miei poteri, ho sterminato il villaggio. Avevo risparmiato i miei genitori e mia sorella, ma quando hanno reagito chiamandomi mostro ed utilizzando epiteti ancora peggiori ho deciso che non avevo bisogno di loro”. Avevo la gola secca. Sentivo la sua sofferenza dentro di me, il senso di solitudine che l’aveva portato a diventare proprio ciò che non voleva. O forse mi stavo solo illudendo per non essere costretta ad ammettere che Alexis era ciò che sembrava: un demonio. “Ho vissuto nell’isolamento per decenni. Non mi dispiaceva, non nutro grandi pretese, mi basta un tetto sulla testa. Non ho neanche bisogno di mangiare. No, non posso dirti a quale razza appartengo in realtà, perché non lo so neanch’io! Non invecchio, non muoio, non mi nutro, non posso essere ferito. Però soffro il caldo ed il freddo e sono dotato di sentimenti e pulsioni. Non sono un vampiro né uno zombie né un dio. Forse sono un demone…in tal caso, preferisco restare nel dubbio”. “Il tuo aspetto è perfettamente umano”. “Me ne rendo conto. Duecento anni fa ho abbandonato il mio rifugio, spinto dal desiderio di fare qualcosa di più che oziare sulla poltrona e leggere centinaia di libri. Mi sono aggirato per questa fredda terra alla ricerca di una compagnia adatta. E ho avuto la sfortuna di incontrare i miei attuali servitori. Loro sono dei mostri semi- umani, che mi hanno riconosciuto come capo dopo che ne ho bruciati vivi diversi che avevano tentato di attaccarmi. Ho spiegato le mie intenzioni e mi hanno portato dove vivevano. Il tuo inferno, Shannon”. “Perché catturate e tormentate gli uomini?”. “I miei compagni si nutrono di paura e di dolore. Quello che facciamo è una necessità”. “Per loro, forse, non per te”. “Come osi giudicarmi!” mi ha gridato contro, con una tale ferocia che mi si è accapponata la pelle. I suoi occhi sembravano del colore del ghiaccio, solo che il ghiaccio in quel momento mi sarebbe apparso più caldo. Finalmente avevo paura. “Io vivo nel modo che preferisco e non devo darne conto ad alcuno”. “Non appari felice”. “L’immortalità insegna che la felicità è un’illusione passeggera. Mi basta restare vivo”. “Ma se lasciassi andare i prigionieri…”. “Ucciderebbero i miei uomini e poi si rivolterebbero contro di me”. “Semplicemente non avresti dovuto cacciarti in questa situazione, allora”. “Lo so. Ora sono tenuto ad andare avanti comunque”. “Ti compatisco”. “Sbagli, dovresti compatire te stessa. Sto per ucciderti”. “Cosa?!”. “Voglio che gli altri continuino a pensare che sono il diavolo in persona. Voglio che mi vedano potente ed intangibile, che mi ritengano soddisfatto ed imperturbato. Tu conosci la verità e potresti smascherarmi”. “Non lo farei mai. Puoi fidarti di me”. “L’amore è un legame che tengo in poco conto. Potrei avvinghiarti con la paura, ma mi costerebbe troppa fatica ed impegno. E perseveranza. Non ti reputo incline alla sete di potere, quindi sarebbe inutile proporti il dominio… e c’è il problema che sono un solitario. Quindi non abbiamo molte alternative, mi pare”. “Esiste sempre una possibilità di scelta, non autogiustificarti. Fa’ come vuoi, adesso”. Mi ha guardato dritto negli occhi, serio. Quasi potevo vedere gli ingranaggi girare nella sua testa, febbrilmente. Il mio cervello mi diceva che per lui sarebbe stato più saggio eliminarmi, ma il mio cuore batteva con forza contro la gabbia toracica urlando che non poteva finire così. Non era giusto! “Ammetto di essere confuso. La razionalità è la mia grande guida, in genere, però questo problema risulta diverso. Temo di non avere una gran voglia di eliminarti, dopotutto”. Mi ha sfiorato la fronte e mi sono addormentata all’istante. Al risveglio, ho compreso che lui potrebbe benissimo cancellare i miei ricordi con una singola parola e che quindi quella storia dell’assassinarmi non stava in piedi. Ma allora perché?...


Ho trascorso gli ultimi quattro giorni piangendo. Sono reclusa in una cella. Mi trattano piuttosto bene e ho acqua e cibo in abbondanza; per giunta, non sono costretta a lavorare. E sto malissimo! Ho bisogno di aria pulita da respirare. Soprattutto, ho bisogno di rivederlo. Ho sempre davanti agli occhi un’immagine di folti capelli che adesso mi appaiono castani, quasi ramati- non più neri, come lui voleva farmi credere- che splendono di luce propria. I suoi occhi diventano sempre più profondi ed intensi, man mano che il ricordo si annebbia. Mi sono scagliata contro le sbarre con il solo peso del mio corpo, invano. Se non uscirò di qui in fretta, impazzirò. Magari è proprio quello che lui desidera: così non potrò certamente raccontare nulla a nessuno e lui non potrà nutrire il rimorso di avermi fatto del male. Quanto vorrei riuscire ad odiarlo! Al massimo riesco ad odiare me stessa per essermi gettata con gioia nella trappola, come una mosca stolta che si lancia contro la tela del ragno. E che tessitore è lui! Le donne che schiaccia sotto i suoi piedi con indifferenza lo invocano e gli uomini desiderano assomigliarli. Sciocchi quasi quanto me…


Il suicidio sarebbe una via d’uscita onorevole. Con il passare dei giorni, alla claustrofobia ed alla sofferenza per la sua lontananza si è aggiunta la vergogna di provare un sentimento tanto forte per un mostro. Sì, un mostro: finalmente riesco a chiamarlo con il suo vero nome. Se riuscirò nel mio intento, che il mio sangue ricada su di te, Alexis!


Non vogliono che io muoia. Avevo tracciato i tagli sui miei polsi con un frammento di specchio e una guardia è corsa a portarmi dal medico. Si trattava di uno strano ometto: più basso di me, con i capelli grigi scompigliati come per una folata di vento, gli occhi di un colore indefinibile ed una buffa barbetta a punta. Mi ha parlato con tanta pacatezza e umanità che sono stata costretta a piangere. Gli ho chiesto cosa ci facesse in quel luogo maledetto e per tutta risposta lui si è alzato una manica del camice, mostrandomi un braccio ricoperto di pelle verdastra e squamosa. Non era un uomo, era un’orrida creatura anche lui e stava fingendo. “Appartengo ad una razza non violenta, sono qui solo per curare” si è giustificato. “Sì, per curare persone che vengono torturate senza che tu alzi un dito per impedirlo”. “Alexis mi ha salvato la vita, sono in debito con lui. Non giudico i suoi metodi”. “Metodi per ottenere cosa? Cosa ricava da questo orrore?”. “Non lo sai? Allora non ti ha raccontato tutto, in fondo”. “Cosa mi ha celato?”. “Non sarò certo io a dirtelo. Agisce sempre con un piano ben chiaro in mente, lui”. Improvvisamente, il dottore non mi era più simpatico. Le parole che poco prima mi avevano commosso apparivano ora false ed inutilmente melense. Era un ipocrita: peggio che malvagio, per i miei standards. “Posso andare, ora?”. “Promettimi che non ritenterai di farlo”. “Perché ogni vita è preziosa ed è un dono divino?”. “Perché se tu ti ammazzi, Alexis ammazza me”. “Fino a questo punto arriverebbe?”. “Puoi starne certa. Non l’hai mai visto arrabbiato”. “Comincio a credere di non averlo mai visto e basta. Il suo aspetto è un’illusione, non è vero?”. “Cosa te lo fa pensare?”. “I suoi capelli. Prima mi apparivano neri, ora sono castani. E dubito fortemente che se li sia tinti”. “Sei riuscita a passare attraverso”. “Cosa?!”. “I suoi capelli sono davvero castani, solo che a voi umani appaiono diversi, perché lui vuole che sia così. Vuole che lo vediate come lui sogna di essere”. “In realtà è brutto, cioè? Si finge più attraente per suscitare ammirazione in noi?”. “Ho forse affermato questo? No. Alexis vuole sembrare identico all’uomo che lo ha umiliato, l’unico e il solo che gli abbia dimostrato la sua inferiorità”. “Vorrebbe essere come lui…”. “Già”. “Uomo, hai detto…Quindi è stato battuto da un umano”. “Mi sono espresso male. Colui che lo ha sconfitto non era più uomo di me”. “Descrivimi com’è in realtà”. “Non molto dissimile da quello che hai visto. E comunque ritengo che tu lo scoprirai presto”. “Ho capito tutto, vecchio. E’ stato suo padre a prevalere su di lui, non è vero? Mi ha mentito anche su questo…Ogni sua parola è una menzogna!”. “Ma tu come…”. “Come ho capito cosa mi stavi tenendo celato? Il merito è proprio di Alexis, credo. Non volendo, mi ha fatto qualcosa…mi sento diversa”. “Il cielo ci protegga se quello che dici è vero”. “Credi in Dio?”. “Qualcosa del genere…”. “Allora comincia a pregare, perché quando sarò diventata ciò che sto per diventare saranno guai grossi per te e per i mostri tuoi pari”. “Dovrai scontrarti con Alexis”. “Forse. Ma forse lui non avrà alcuna voglia di battersi con me. E tu sarai uno dei primi a pagarne le conseguenze”. “Non ti sono particolarmente simpatico, eh?”. “Libererò gli schiavi. Gli umani prima degli altri. Sicuramente tu mi sarai d’intralcio e non posso permettertelo”. “Il tuo piano è ambizioso. Rischi persino di avere successo”. “Intanto, a chi posso rivolgermi per avere un colloquio con lui?”. “Un colloquio? Non è così che funziona, Alexis non è un uomo d’affari, è un immortale e incontra chi vuole quando vuole”. “Incontrerà me quando voglio io. Prova a farlo chiamare. Avrai qualche contatto con lui, no?”. “Gli faccio rapporto una volta alla settimana. Nel caso specifico, dopodomani”. “Bene, posso aspettare. Torno nella mia cella e puoi stare tranquillo: non commetterò altri atti avventati. Comincio a capire meglio l’intera situazione, quindi non posso rinunciare adesso”. “Sono lieto per te”. “Sei convincente come un tennista sconfitto che si congratula con il suo rivale”. “Noi non siamo rivali”. “Condiscendenza…Cominci ad avere paura di me, noto”. Non mi è giunta risposta.


In realtà avevo bluffato parecchio. Le mie uniche certezze erano che Alexis fosse un personaggio costruito, che non mi avesse mostrato ancora la sua vera indole e che mi avesse fatto qualcosa che mi aveva reso meno umana e nello stesso tempo più forte. Non ero affatto convinta di poter liberare qualcuno, dubitavo anche di poter salvare me stessa! Però è meglio che il nemico non conosca le tue debolezze, quindi dovevo mostrarmi convinta di quello che stavo facendo, qualsiasi cosa fosse. E così, dopo essermi nascosta i fogli del mio diario in tasca ho abbandonato la cella, sperando di non farvi mai più ritorno. Stavo per vedere di nuovo Alexis.


L’ho visto! Ma l’ho visto veramente stavolta, così com’è! I suoi occhi non sono blu, ma di un verde intenso, come gli aghi di pino. I capelli sono castani, come avevo già scorto, ed il viso è sottile, con la fronte alta, il naso aggraziato e gli zigomi particolarmente evidenti, l’incarnato è pallido e quasi luminoso. Incredibilmente, è ancora più bello di quanto sembrasse quando portava il travestimento. Gliel’ho detto subito. Ha sorriso e non si è trattato della smorfia inquietante che temevo, bensì di un’espressione di gioia quasi infantile, pura, che gli ha rilassato tutti i lineamenti. “Non è per farmi i complimenti che hai voluto incontrarmi, immagino”. “Perché ora ti vedo con il tuo aspetto reale?”. “La risposta si trova in un’altra domanda”. “In quale modo mi hai trasformato? Cosa sono diventata?”. “Quella volta, mentre dormivi…” e si è fermato. Ho sentito un brivido percorrermi dalla testa ai piedi. “Continua”. “Ti ho donato una parte di me”. “Spiegati meglio, ti prego”. “E’ da secoli che desidero qualcuno che mi possa capire, ma nessuno di coloro che incontravo mi sembrava la persona giusta. Tu potresti esserlo, invece”. “Non hai spiegato proprio un bel niente”. La paura mi rendeva vagamente aggressiva, la mia voce suonava più irritata di quanto avrei voluto. “Ti ho semplicemente fatto un dono. Non possiedo la capacità di creare miei simili, a differenza dei vampiri, eppure posso…modellare uno spirito a me affine”. “Ti dispiacerebbe tanto smetterla di fare l’enigmatico? E’ di me che stai parlando, non di un tuo grazioso esperimento scientifico!”. “Non ti ritenevo tanto permalosa. Ho solo agito nel modo che appariva più opportuno”. “Senza il mio consenso”. “E’ necessario il consenso di una persona alla quale vuoi salvare la vita per fornirle la salvezza? Io non credo”. “Esiste anche un diritto di morire”. “Tu non volevi morire”. “Ma non volevo nemmeno essere tramutata in un mostro!”. Alexis mi ha rivolto uno sguardo assurdamente ferito, come un bambino che ha appena scoperto che Babbo Natale non esiste e che gli hai raccontato una montagna di frottole. “Io non sono un mostro” ha detto poi, con il labbro inferiore che tremava quasi impercettibilmente. ”E in ogni caso, non ti ho fatta diventare uguale a me. Ora possiedi parte della mia forza, quindi sei superiore agli umani, però non posso assicurarti che avresti la meglio contro uno dei miei amici. Sei solo una sorta di…supereroe, ti piace il paragone? Sei una donna, ma hai dei poteri che a nessun’altra donna competono: puoi leggere nel pensiero dei tuoi pari, puoi esercitare una forma di persuasione alla quale pochi sono in grado di resistere, hai acquisito forza fisica e velocità sovrumane…”. “E perché avresti compiuto questo? Per amore?”. “Ovviamente no, mia cara”. “So che mi hai mentito. Quella bella storiella sul modo in cui hai vissuto finora era tutta una montatura”. “Hai ragione”. “Avevi qualche buon motivo per contarmi frottole, mi auguro”. “Cercavo di ottenere il tuo sostegno. Il racconto delle vicissitudini di una povera anima derelitta non manca mai di toccare alcuni tasti del cuore di una donna…”. “Ti vanti della tua ipocrisia”. “La definirei piuttosto capacità inventiva. Hai realizzato solo adesso che si trattava di un inganno?”. “Avrei fatto finta di nulla, altrimenti? Adesso voglio la verità su di te, su tuo padre e sui motivi per cui hai bisogno di me”. “Oppure?”. “Ti renderò la vita difficile”. Mi ha sorriso e la mia determinazione ha vacillato: i denti erano bianchissimi e perfetti e gli zigomi si sollevavano allo stirarsi delle labbra, rendendo il volto più luminoso, più bello. “Sei ottimista ai limiti della follia se credi di potermi danneggiare. Eppure…sei divertente. E sei giovane, il che è una piacevole novità. Pertanto esaudirò la tua richiesta, se tornerai da me domani. No, adesso non posso trattenermi ulteriormente: ho un impegno. Perdonami”. “Luogo e ora dell’appuntamento?”. “Non dartene pensiero. Organizzerò ogni cosa al meglio”.


Gli ho dato fiducia, di nuovo, pur se la parte razionale di me era certa che mi avrebbe delusa, inevitabilmente. Ma in fondo sono sempre stata una ragazza sentimentale.


L’inchiostro resiste bene alle lacrime: deve essere speciale. Preferirei scrivere con il mio stesso sangue per placare il dolore che mi sta montando dentro, ma lui non me lo permetterebbe, mi fa la guardia. Che beffa! Il mostro si è dimostrato più umano dell’uomo e io sento che dovrei pagare per le colpe che non mi appartengono ma che in qualche modo sono collegate a me. Se io non fossi mai nata, Alexis soffrirebbe di meno. Il tiranno non è stato solo suo padre, bensì anche il mio: gli errori dei genitori ricadono sui figli. Se ora avessi davanti quell’egoista figlio di buona donna che si vanta di avermi dato la vita, lo squarterei con le mie stesse mani. La faccenda si è svolta così: ero nella mia nuova dimora, una stanzetta pulita ed ordinata, ammobiliata di bianco e nero, confortevole e tiepida. Un uomo è venuto a chiamarmi. Era abbronzato, nero di occhi e di capelli, con il collo grosso e gli occhi un po’ spenti. Mi ha detto che Alexis voleva vedermi, che mi attendeva in camera sua. L’ho seguito ed ero convinta che sarei stata portata nuovamente in quella casa in cui ero già stata ospite, invece sono giunta in un edificio dall’aspetto classicheggiante, dalle mura esterne di un bianco venato di blu. Sembrava uno di quei luoghi dove vengono solitamente ambientate le favole. L’uomo si è ritirato in buon ordine dopo avermi accompagnato appena oltre la soglia. Mi ha sussurrato qualcosa, ma io non ho recepito. Così, sono avanzata in solitudine. Ho aperto varie porte e ho sbirciato all’interno, sperando di trovarlo. Quel giochetto stava veramente cominciando a stufarmi, quando l’ho individuato: era sdraiato placidamente su un divano di pelle rossa, in un salottino in stile alta società, come se io non avessi passato un sacco di tempo ad affannarmi per causa sua. Indossava una giacca di pelle con la cerniera aperta su un paio di jeans vecchi e non sembrava minimamente curarsi di tenere gli stivali sulla stoffa bianca del rivestimento. Sebbene io fossi vestita meglio, grazie agli abiti che lui mi aveva fatto recapitare, mi sentivo a disagio, vagamente afflitta da un senso di inferiorità. “Sei qui, finalmente”. Si è alzato per accogliermi e mi ha stretto calorosamente la mano come se fossimo stati due buoni amici, non molto intimi, che si rivedevano dopo lungo tempo. “Aspetto risposte”. “Intanto accomodati”. Mi ha indicato una poltrona rivestita di velluto verde che sembrava comoda e soffice come una nuvola. Mi sono seduta e ho scoperto che non era né l’una né l’altra cosa: mi pareva di essere incastrata in una tagliola. “Rilassati e starai meglio. Ha percepito la tua tensione”. Non gli ho risposto. Non comprendevo le sue parole. “Comincia pure con le domande”. “Perché quel travestimento?”. “Non era ciò che mi aspettavo di sentirti dire… Ma risponderò comunque, senza più trucchi, senza più inganni. Stavolta, devi fidarti di me. Mio padre era uno stregone, potentissimo e determinato. Voleva scoprire il segreto della giovinezza eterna- no, non quello della vita eterna: lo possedeva già, però non riusciva ad impedire al suo corpo di decadere ed invecchiare, tanto che quando io ero ancora un bambino lui mi appariva come un orrendo vecchiaccio che avrebbe potuto benissimo essere il mio trisavolo, con la schiena curva, i denti rotti, i capelli radi e le unghie sporche. Mi rifiutavo di credere che l’uomo così bello ritratto nel salotto di casa fosse proprio lui. Faceva degli esperimenti per verificare la bontà delle sue pozioni su qualunque essere umano gli passasse accanto. Mia madre è morta in questo modo e non è stata l’unica delle sue mogli a subire questa orrenda fine. I servitori scomparivano in continuazione. E anch’io ero vittima di quel matto. Mi ha somministrato sostanze che mi hanno reso folle, furioso, depresso, sul ciglio del suicidio. E poi strane soluzioni che hanno reso la mia pelle verde, che mi hanno fatto colare il sangue dagli occhi, che mi hanno fatto vomitare per otto ore di fila. Però alla fine ci è riuscito: quando avevo venticinque anni, ho smesso di invecchiare. Nessuna nuova ruga è comparsa sul mio viso ,nessun segno dell’età mi ha scalfito. E lui aveva perso la formula! Aveva effettuato una delle più grandi scoperte della storia e non sapeva come! Beffa delle beffe… Alla fine non ha resistito alla vergogna e ha preferito uccidersi con le sue stesse mani. Si è impiccato. Ed io ho cominciato ad odiare il mio aspetto, questi lineamenti ingannevolmente giovani che mi rispondevano dallo specchio giorno dopo giorno, all’infinito. Non volevo più vederli e non volevo che gli altri li vedessero. Perciò mi sono ammantato di una magia che ingannasse lo sguardo, che mi facesse apparire come quello che giudicavo l’uomo più bello che avessi mai incontrato, lo stesso che odiavo più di ogni altro: mio padre…”. Finalmente iniziavo a capire: l’odio, non l’amore, spingeva Alexis nelle sue decisioni. “Perché mi hai ingannato?”. “Mi spaventi. Io cerco di illudermi da sempre che gli esseri umani non rivestano più alcun interesse per me, che non siano miei simili, anche se so benissimo che così non è. Quando ti ho conosciuto, ho capito che in te c’era qualcosa di me e ho cercato di illuderti e poi allontanarti, così che tu mi avresti odiato per sempre”. “Eppure mi hai fatto quel dono…”. “E’ stato l’istinto, non faceva parte del piano”. “Cosa hai visto in me che ti ha ricordato te?”. “Tuo padre”. “Non è un mago”. “No, infatti, per tua fortuna. Ma ambisce assai a diventarlo e ancor di più ambisce alla scoperta del mio segreto, il segreto della giovinezza eterna. Non immagina nemmeno che io non sia minimamente a conoscenza dell’arcano… però non ha esitato ad inviarti qui per carpirmi la preziosa informazione”. “Ti sbagli, sono venuta di mia spontanea volontà”. “Sei proprio certa che lui non abbia avuto alcun peso nella tua decisione?”. “Io…”. No, non ne ero affatto sicura. Mi aveva incoraggiato ad intraprendere quella spedizione? Sì, senz’altro. Conosceva i pericoli a cui sarei andata incontro? Forse sì. Mi aveva ingannato anche lui, allora, mi aveva usato… avevo davvero qualcosa in comune con Alexis, quindi. “Non esiste cura per il dolore che stai provando. Scoprire che tuo padre non ti ama affatto è tremendo… Non cercherò di consolarti. Però posso aiutarti a vendicarti, se vuoi”. “Non voglio vendetta. Voglio solo fuggire per sempre da quegli orrori”. “E chiederesti aiuto ad un mostro?”. “A questo punto sì. Non ho più alcuna certezza, Wilhelm…”. “Come mi hai chiamato?!”. “Non… non so perché…”. I suoi occhi sono diventati di fiamma ed il suo viso- quel viso bellissimo- per un attimo mi è sembrato il muso di un lupo. “Chi te l’ha detto?”. “Nessuno, te lo giuro!”. “Quello è il nome di mio padre. Non osare più pronunciarlo in mia presenza”. “Ti chiedo scusa, non intendevo ferirti…”. “Le scuse sono inutili. La nostra conversazione termina qui”. “Ma non puoi…”. “Che razza di demonio sei?” mi ha urlato in faccia. ”Ti mandano nel mio regno per succhiarmi notizie, poi mi ferisci incontro dopo incontro, nascondendoti sempre dietro il e mi fai dubitare di tutto quello in cui credo, compresa la mia stessa sanità mentale. Ti glori di amarmi, di amare un essere strano e crudele ma l’unica crudeltà che sta emergendo è la tua! Non ti rendi conto…”. “Di cosa?”. “Tu non sei umana. Volevi la verità, eccola. E’ per questo che mi è stato tanto facile farti il dono. Sei una vampira, non di quelle che succhiano il sangue, però: ti nutri di sentimenti ed emozioni. Possiedi già la vita eterna e poteri straordinari, solo che sei troppo giovane e sciocca per accorgertene. Ed ora va’ via, per il tuo bene, se non per il mio”.


Non ho ancora superato il trauma. I traumi, anzi. Vorrei vedere Alexis, ma nello stesso tempo ho paura di incontrarlo. Temo che non saprei cosa dirgli… e temo che lui saprebbe fin troppo bene cosa dire a me. Non voglio più sentire la verità, probabilmente. Di certo non la chiederò più insistentemente, a volte è di gran lunga preferibile l’ignoranza. Ho solo dubbi… E l’unica mia certezza ormai è questo amore malsano dal quale non riesco a fuggire.


Ed ancora l’ho rivisto. Ero convinta che mi avrebbe allontanata per sempre, ed invece…mi ha richiamato, aveva bisogno di me, diceva. E così ho varcato di nuovo quella soglia… “Come ti senti?”. “Come se mi avessero rivelato che sono un orrore”. “Avrei dovuto prepararti meglio alla notizia…ormai è tardi per rimediare”. “Non possiamo continuare così”. “In che senso?”. “Ci troviamo in un limbo. Dobbiamo uscirne, fare qualcosa…decidere cosa combinare delle nostre vite”. “Continuo a non seguirti”. “Io voglio unirmi a te, regnare al tuo fianco. Voglio essere la sovrana di questo inferno”. “Non compatisci più gli sventurati costretti a soffrire a causa mia?”. “Non soffriranno più. Le cose cambieranno, tutto cambierà da adesso in poi. Vedrai che sarai contento del risultato e nessun altro oserà lamentarsi. Per prima cosa, però, è necessario eliminare i tuoi assistenti demoni…”. “Cosa ti fa credere che io sia disposto a condividere il potere con te?”. “Sei solo ed infelice. Cosa hai da perdere? Fa’ un tentativo… se non ti piacerà, potrai sempre cercarti degli altri tirapiedi e ricominciare daccapo con loro. Non hai niente da perdere”. Mi ha sorriso. Ho notato particolarmente la piccola fessura tra gli incisivi superiori, l’unica, infima pecca in una dentatura altrimenti perfetta. Gli occhi sono diventati lucenti e vivi come il ghiaccio che sta per sciogliersi e gli zigomi sono diventati ancor più evidenti- quegli zigomi che sarebbero il vanto di qualsiasi chirurgo estetico. Ho sorriso di rimando, ma il mio cuore era stretto in una morsa di metallo.


Ci sono voluti solo tre giorni per trasformare questo inferno in una prigione dorata dalla quale nessuno vuole più allontanarsi. I carcerieri sono stati allontanati, spediti in una qualche dimensione demoniaca della quale preferisco non sapere nulla. Il mio amico medico è rimasto, però. In un certo senso sentivo di avere un debito con lui. Ed il nostro regno è diventato un Eden! Nemmeno sapevo che potesse esistere tanta bellezza, finché Alexis non l’ha creata davanti ai miei occhi…


Mio padre mi ha trovato. Non ritenevo che avrebbe avuto il fegato di venire a cercarmi di persona ed invece… Cosa può fare la promessa della giovinezza eterna! Alexis l’ha fatto portare dinanzi a me perché decidessi la sua sorte. Volevo punirlo come meritava per aver progettato di usare come cavia la persona che più amo al mondo, ma non ci sono riuscita. Il sangue mi vincola a lui ed ucciderlo o torturarlo mi è impossibile. Ho chiesto che fosse condotto in una celletta di pietra e fango, così che potesse meditare sui suoi errori durante una stretta dieta a base di pane ed acqua. Poi non ho più pensato a lui. Abbiamo ben altro di cui occuparci! Ho perdonato ad Alexis le bugie e gli inganni e mi sono fatta guidare da lui alla scoperta della mia vera essenza. Ho finalmente notato ciò che la parte razionale della mia mente continuava a rifiutarsi di ammettere: la mia pelle è liscia e priva di increspature come quella di una bambina e mai nel corso degli anni sono stata malata. Ho scoperto che risucchiando le emozioni- solo di tanto in tanto, e solo piccole cose: la gioia per un mazzo di fiori regalato da un innamorato, la paura del buio di un piccolino, la rabbia di una madre nei confronti del figlio arrivato tardi per cena…- divento più forte. E soprattutto mi piace, senza contare che in fondo non provoco danni. Gli umani sono talmente carichi di emozioni che non si accorgono nemmeno di perderne qualche brandello. Sono più felice di quanto si possa descrivere a parole… ho trovato la mia strada…


C’è un problema, un problema grosso che io non posso risolvere. Forse nemmeno Alexis può. Il periodo in cui sembra che l’amore possa risolvere qualunque cosa è tremendamente breve e presto la realtà torna ad affondare i suoi denti aguzzi, riducendo a brandelli la fragile nuvoletta del sogno. Gli uomini, lasciati liberi in un mondo incantato, cominciano a lamentarsi e diventano sempre più irrequieti, di momento in momento. Vogliono abbandonarci! La perfezione li ha stancati e ora desiderano movimento, azione, avventura. Stavano meglio quando erano costretti a lavorare. Sono delle bestie!


Li abbiamo lasciati andare, stanchi di sentirli rumoreggiare incessantemente e temendo che potessero arrivare ad usare metodi violenti. Non sentiamo la loro mancanza. Ma ora il nostro paradiso è completamente deserto…




Mi chiamo Alexis e sono un immortale. La mia vita è stata un succedersi di inutili giornate fino al mio incontro con lei. Però ormai è tutto finito. Lo specchio mi rimanda un’immagine nella quale non mi riconosco più. La mia pelle diafana e liscia, senza alcuna traccia di peluria, i miei occhi verdi grandi come quelli di un animale selvatico, le mie labbra rosse così gonfie da apparire pronte a spillare sangue mi inducono una sensazione di odio feroce. Prendo il rasoio e comincio a cancellare quest’orrore, con calma, partendo dalla fronte e scendendo verso il basso. Il sangue scorre abbondante e fluendo mi lascia man mano più debole e stanco. Tampono le ferite: non ho voglia di morire, voglio solo eliminare quest’apparenza inutile e insopportabile. E’ morta. Avevamo creato un paradiso… Ed io ero pronto a tutto pur di farla felice, ho realizzato ogni suo desiderio: fiumi di latte, dune graziosamente ondulate, monticelli di terra porpora, distese d’acqua pura e trasparente, animali docili e canterini… Siamo stati felici per cinque, brevissimi anni. Il tempo scorreva troppo veloce e io non possedevo artigli capaci di trattenerlo. Da quando lei è scomparsa, dieci giorni fa, ho tramutato il regno sotterraneo in un’azzurra distesa di ghiacci e ho ucciso e disintegrato gli animali. Ho ucciso anche suo padre: non sapevo più che farmene di lui e guardandolo non potevo fare a meno di pensare a lei e piangere, come un qualsiasi bambino patetico. Desidero solo essere lasciato in balia di me stesso nel mio inferno gelido; non intendo richiamare i miei collaboratori di un tempo, perché non potrebbero offrirmi nessuna consolazione. Ho rasato i miei lunghi capelli scuri che rappresentavano il mio orgoglio. Finalmente ciò che sono e ciò che sembro corrispondono: un mostro. Le cicatrici sono spaventose e solcano ogni pezzetto del mio corpo. Non ho più né occhi né labbra: lei adorava gli uni e le altre. Perché non mi uccido? Non lo so. Come è morta? Facile da dire, impossibile da scordare.


Era un pomeriggio assolato, come sempre, nell’Eden. Stavamo mangiando degli spicchi d’arancia- un’arancia dolce che non esiste in nessun altro luogo del mondo. Sorrideva e mi guardava da sotto quelle ciglia lunghissime. Io canticchiavo a mezza voce una cantilena della mia infanzia, qualcosa che mia madre sarebbe stata lieta di sentire. Insomma, eravamo un classico esempio dell’imbecillità che l’amore può causare. Eravamo felici ed ignari, cioè stupidi. Ad un certo punto, abbiamo udito uno strano rumore (brutto segno, sentire uno strano rumore in genere porta ad una morte dolorosa o peggio…) e ci siamo voltati di scatto. Non abbiamo visto nulla. Abbiamo ripreso le nostre amene attività e dopo un po’ abbiamo risentito lo stesso rumore. Lei ha cominciato ad inquietarsi, il suo intuito così spiccato le faceva intuire che qualcosa non andava. Mi si è avvicinata e mi ha guardato, speranzosa, come se io fossi stato il cavaliere capace di liberarla dal suo mostro. Mi sono alzato e mi sono diretto verso la fonte del suono. Non avevo paura, è assai difficile spaventarmi. Ero soltanto curioso. Ho trovato un animaletto dolcissimo, con la pelliccia viola e grandi occhi ambrati: era lui ad emettere lo strano verso, ma si trattava di un esserino completamente innocuo. L’ho preso in braccio e gliel’ho portato e lei ha riso delle sue paure avventate. La creaturina le ha leccato una guancia e ha emesso un verso di pura felicità. Poi ho percepito un vento freddo sulla mia pelle. Sono rabbrividito e sulle braccia nude mi è spuntata la pelle d’oca, quindi ho avvertito un breve dolore intenso alla spalla e quando l’ho guardata per capire cosa stesse accadendo ho visto un tatuaggio blu. Era un cuore. Sono rimasto spiazzato. Cos’era, un nuovo tipo di attacco? Volevano trasformarmi in un uomo blu? Si trattava forse di uno scherzo di cattivo gusto? E organizzato da chi e con quali mezzi e quali scopi? Niente aveva senso. Non c’era alcun ago avvelenato: avrei percepito la sostanza tossica. E allora cosa… “Insieme per sempre” mi ha detto lei. “Come?!”. “Romeo e Giulietta erano gli amanti perfetti. Non sono stati insieme abbastanza per potersi stancare l’uno dell’altra, hanno vissuto una storia da batticuore e hanno avuto la possibilità di trascorrere insieme l’eternità intera”. “Noi possiamo vivere insieme per sempre. Non è necessario il suicidio”. “Non mi riferivo a quello, infatti”. “Mi hai disegnato tu questo cuore?”. “Non avrei potuto farlo senza che tu te ne accorgessi. Mi sopravvaluti, Alexis”. Avrei voluto ribattere, ma le parole mi sono soffocate in gola per un improvviso sbocco di sangue. Ho percepito il denso fluido rosso che scorreva attraverso le mie labbra, confuso, mentre lei mi osservava angustiata e si curvava verso di me. Avevo la nausea e gli occhi mi bruciavano come se qualcuno vi avesse infilzato degli aghi roventi. “Cos’hai?”. “Non capisco. Non sono ferito e di sicuro non posso ammalarmi, quindi…”. “Hai il mio marchio” ha detto qualcuno. Procedeva verso di noi un essere umano, o qualcosa che gli somigliava, in groppa ad un enorme cane con le zanne affilate e le zampe robuste. Era vestito di nero e rosso, completamente coperto di drappi, dalla testa ai piedi. Si è fermato ad un metro da me. “Chi diavolo sei?”. “Ci sei vicino: con il diavolo ho qualche rapporto” . “Mi hai preso per un idiota?”. “No, ragazzo. Lascia che ti spieghi”. Ha sollevato il velo che le oscurava il capo, mostrando un volto di donna, estremamente giovane e gradevole. I capelli erano soffici ed ondulati, le labbra erano carnose, gli zigomi alti ed il mento perfetto, solo in un secondo momento ho notato che non aveva gli occhi, solo due strette fessure rossastre simili a ferite- perché non me ne fossi accorto all’istante resta un mistero. “Un demone”. “Più di questo, Alexis. Più di questo, Shannon”. “A volte l’amore ha due facce” ha detto lei. Quanto ero confuso! ”Noi ci concentriamo semplicemente sul piacere che esso può dare, ma in cambio…”. “In cambio vuole tutto. Tu hai già capito, bambina”. “Mi aspettavo qualcosa del genere”. “Non voglio morire” ho pensato improvvisamente. Avevo il sapore del pericolo in bocca. “Di cosa parli, Shannon?”. “Verresti con me nella tenebra?”. “Cosa?! Quale tenebra? Io… non capisco…”ho detto, sentendomi molto stupido. Sembravo un bambino smarrito; il labbro inferiore mi tremava e le lacrime stavano cominciando a formarsi nei miei occhi. “Tu hai troppa paura della morte, Alexis. Ascolta”. “Quando il mondo era giovane” ha ripreso quella creatura ”e gli uomini non erano ancora apparsi per invadere la Terra come voraci locuste, esistevano altri viventi. Le razze, in base alla nostra classificazione, erano tre: gli animali inferiori, gli esseri fatati del bene e i demoni. I primi non contavano ai fini della spartizione del potere, si occupavano solo di mangiare, dormire e riprodursi. Le altre due categorie, invece, lottavano aspramente per la supremazia e questa guerra si protrasse talmente a lungo da minacciare la stessa sopravvivenza dei contendenti, che si ridussero di numero al punto tale che gli uomini ebbero gioco facile nel colonizzare ampissimi territori. Dei figli della magia restava ben poco. Ma poco è sempre meglio di niente e io sono parte di quel poco. Sono il frutto della fusione delle due stirpi, avvenuta secoli fa: quando esse si sono rese conto di essere comunque destinate all’estinzione, hanno deciso di prendere qualche provvedimento in proposito e da ciò io derivo. Quando l’amore si unisce alla morte…nasco io”. “Stai delirando…”. “Non comprendi, Alexis, non vedi niente. Ti rifiuti di vedere, anzi. Io sono molto meno umana di voi, sono meno umana di chiunque tu abbia già conosciuto. Io sono la Morte, ma io sono anche l’Amore”. “Cosa vuoi da noi?”. “Le creature fatate devono proseguire nella loro storia, devono andare avanti nella loro vita. IO sono diventata il loro capo ed io devo assicurare la salvezza della razza. Pertanto, ho bisogno di tutta la forza possibile, devo guidarli, assisterli, sostenerli. Devo proteggerli dalle minacce e dai pericoli. Devo far loro da maestro. E ormai sono vecchia e stanca”. “Amore e Morte…cosa intendevi?”. “Lui, l’Amore, era il primogenito delle fate, un giovinetto roseo e pieno di gioia. Lei, la Morte, era la più bella delle ammaliatrici, pallida ed eterea, con gli occhi viola di tristezza. Entrambi toccavano gli uomini con le loro mani ogni volta che volevano, ogni volta che potevano e frantumavano i cuori o distruggevano i corpi. Erano vigorosi e coraggiosi. Quando i loro rispettivi popoli si stavano avviando al termine, li costrinsero a congiungersi perché vi fosse ancora una speranza per tutti. Da quella costrizione sono nata io, dotata delle caratteristiche di entrambi i miei genitori, che tanto dissimili in realtà non erano. E quando loro sono morti, io ho avuto l’incarico di proseguire la loro opera. La mia mano sinistra dispensa illusioni romantiche, sogni di lunghe passeggiate in spiaggia e serate passate a guardarsi occhi negli occhi, visioni di case accoglienti e bimbi felici, labbra rosse e occhi languidi. Con la mia mano destra spargo tenebre e nebbie, faccio sbocciare fiori di sangue e taglio, dilanio, spezzo, infrango. Le due cose sono indistinguibili nella mia mente e nel mio cuore e finiscono sempre per confondersi anche nella vita dei mortali. Questo è ciò che è destinato ad accadere anche a voi due. Per serbarmi forte, agisco non diversamente da Shannon: mi nutro di emozioni. Quelle di cui io ho bisogno, però, derivano soltanto dalle storie d’amore forti e disperate, in cui la nera signora fa sentire la sua presenza, allunga la sua ombra. Senza, sarei inerme come una neonata”. “Dove sono finiti i tuoi occhi?”. “Non ne ho bisogno. I sentimenti sono ciechi e la falce lo è altrettanto. Colpisco dove l’istinto mi porta, dove indovino una fusione di sacrificio e crudeltà, di speranza ed angoscia. Dove le sensazioni sono più forti, io compaio. E qui sono stata chiamata con forza irresistibile”. “Per fare cosa?”. “Nutrirmi, te l’ho già detto. Ne ho un bisogno disperato, per il bene comune. Adesso lo sai, Alexis: per la nostra comune sopravvivenza, voi due dovete morire. Per la prosecuzione della magia, voi dovete finire qui. Basta con le parole, la Morte urla nelle mie vene con una potenza che mi stritola. Avete solo la possibilità di scegliere se accettare il vostro destino tranquillamente o scalciare e frignare sino all’ultimo istante”. “Noi non intendiamo sacrificarci per te. Trovati delle altre vittime”. “Mi deludi, ragazzo. Mi deludi tremendamente. Fortuna che lei è diversa da te”. “Shannon?” ho chiesto, senza sapere il perché. “Shannon! Shannon!” ho chiamato poi, urlando, perché mi ero accorto che era sparita. Ho sentito una puntura alla base della nuca e mille lucciole mi sono esplose negli occhi. Avevo le vertigini e la nausea mi aveva afferrato. Non sentivo più il terreno sotto i piedi; mi sembrava di fluttuare e la mia testa era come imbottita d’ovatta. Ho percepito lacrime caldissime scorrermi sulle guance e solo quando le ho viste rotolare via ho capito che era sangue. Mi sono ritrovato in una stanza rossa, le cui finestre erano oscurate da pesanti tende di velluto. Il pavimento era a scacchi bianchi e neri e così freddo che la temperatura glaciale mi giungeva ai piedi attraverso le scarpe. Quel demonio era lì e rideva forsennatamente, con i denti scoperti e gli occhi opachi, coperti da una membrana che sembrava viva. I suoi capelli erano di stoppa gialla e la pelle era bluastra al pari di quella degli annegati. Ero spaventato. Shannon giaceva scompostamente su un divano di pelle, con indosso una vestaglietta bianca schizzata di rosso. Le palpebre erano abbassate, le gambe, inguainate in calze nere, erano molli e ciondolanti, il rossetto si era sbavato e la gola era tagliata da un orecchio all’altro. Sono caduto in ginocchio accanto a lei e ho cominciato ad urlare. Appena ho capito che le gambe avrebbero retto il mio peso, mi sono rialzato e ho caricato a testa bassa contro quel demone, come un animale. Non so cosa sperassi di ottenere; di certo, non c’è stato alcun impatto: non ho incontrato altro che aria ad oppormi resistenza e così, sbilanciato, sono caduto alla stregua di un ridicolo fantoccio. Ho preso a pugni le pareti fino a scorticarmi completamente le mani, ma il dolore nel mio nucleo più profondo era ancora molto più forte. E quella creatura dannata era sparita!


Ho ricomposto la salma, impiegando per questa attività il triplo del tempo che sarebbe stato necessario, non riuscendo a staccarmi da lei. Ma in fondo il tempo per me non costituisce alcun problema… non ho affatto fretta… due giorni o due secoli, qual è la differenza?


All’inizio credevo che il dolore mi avrebbe ucciso. Non ci ho messo tanto a realizzare che così non sarebbe stato: io ho un’ottima ragione per non lasciarmi andare, il mio lavoro su questa terra non è stato ultimato. Devo vendicarmi. L’orrore che mi ha portato via Shannon dovrà sperimentare la sofferenza sulla sua pelle, per una volta. Non ho creduto nemmeno per un attimo a quella storia sull’amore e sulla morte: un bugiardo è sempre in grado di riconoscerne un altro ed io sono un esperto in materia. Il mio sospetto è che in realtà si trattasse di una simile della mia amata perduta, una creatura della sua stessa razza. Voleva nutrirsi di lei per incrementare a dismisura il suo potere, suppongo, oppure semplicemente trovava seccante avere una concorrente in giro. Non lo so e non voglio saperlo. Mi sarà più facile ucciderla se la considero semplicemente un mostro. Sto dando fondo a tutte le mie risorse per individuarla e sono certo che la troverò. Non può essere altrimenti.


Non era difficile come sembrava. Ho capito perché era così potente, l’assassina: si trattava di mia sorella. Non l’avevo riconosciuta e non c’è da stupirsene, dato che è cambiata oltre l’immaginabile. L’essere che mi ha aiutato a rintracciarla, senza chiedermi nulla in cambio- non ha osato, dopo che io gli ho salvato la vita, quella volta… no, anche il solo ricordo mi suscita vergogna- mi ha spiegato che in realtà mio padre non aveva cessato i suoi esperimenti con me, bensì aveva continuato la sua ricerca creando mille creature dannate. Mia sorella era una di queste. Non aveva ottenuto l’immortalità, però era diventata spaventosamente longeva e decisamente forte. Aveva poi scoperto che il segreto del potere è nel nutrirsi di sangue: come i vampiri, ma diversamente da loro, perché lei non era costretta a seguire questa dieta, lo faceva solamente per il potere. Ho ascoltato con scarsa attenzione: neanche mi ricordavo più di lei. Sono andato nella sua bellissima villa e l’ho trovata a riposare nel suo letto dalle lenzuola di seta. So essere molto silenzioso quando voglio e lei non mi ha sentito arrivare. Le ho posato delicatamente una mano sulla spalla e l’ho scossa affinché si svegliasse. Ho visto i suoi occhi appannati dal sonno riempirsi di paura e le ho lanciato un unico sguardo con il quale ho tentato di farle comprendere ogni cosa. Quindi ho impugnato la mia spada e l’ho trafitta profondamente, fino ad incontrare la resistenza dello sterno. Ho pulito la lama dal sangue sulle lenzuola di seta, poi ho versato benzina in tutte le stanze e ho dato fuoco alla casa. Volevo che lei assaporasse le fiamme dell’inferno. Per un attimo ho riflettuto sul fatto che uno dovrebbe sentirsi in colpa nell’assassinare uno stretto congiunto, invece io provavo unicamente una grande indifferenza, la mia sete di vendetta non mi sorreggeva più ed inoltre non mi sentivo appagato, ma svuotato ed inutile come un guscio di noce. Shannon non sarebbe tornata in vita grazie al mio gesto. Ed io non avevo più alcuno scopo da perseguire. Così, sono tornato ai miei ghiacci. Ho messo in ordine la mia dimora fino all’angolo più remoto e ho creato un’azzurra luce indifferente. Ho sigillato gli ingressi al regno sotterraneo in modo tale che nessuno riuscirà più ad entrarvi. Sono rimasto in adorazione della tomba per lunghi istanti, maledicendo gli dei che abitano sopra e sotto la terra per il dolore che avevano voluto infliggermi e per la loro decisione di falciare via una donna eccezionale. Ho colpito le sporgenze del terreno con i pugni chiusi, cercando di sfogare la frustrazione. Infine, ho predisposto la conclusione della storia. Mi sono sdraiato accanto alla lapide di Shannon, con il viso contro il terreno e gli occhi chiusi. Ho ripensato ai momenti trascorsi insieme ed un sorriso mi è affiorato sulle labbra senza che lo volessi. A quel punto ero in pace. Avevo accettato la verità più difficile da digerire: la mia vita era ormai priva di senso e le mie ultime azioni erano state degli omicidi a sangue freddo. Potevo riscattarmi in un solo modo, un modo che mi avrebbe anche permesso di porre fine alla sofferenza. Ho avuto un piccolo fremito quando l’ago mi è penetrato nella pelle. Solo questo, un fremito, poi più nulla. Sapevo che finalmente stavo per rivederla… e l’oscurità si sarebbe conclusa con un’unica, grande fiammata…


Non è l’inferno, però di certo ci somiglia parecchio. Non ho mai creduto che esistesse una vita dopo la morte, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sono certa che questo non sia l’inferno solo perché Alexis è con me e se fossi stata dannata di certo non avrebbero permesso che restassimo insieme… Chiunque siano ”loro”… Siamo sottoterra, o almeno questo è l’effetto che l’ambiente produce. E’ buio e polveroso e c’è una sorta di nebbiolina granulosa, nerastra, che penetra dappertutto: nel naso, nelle orecchie, tra le labbra, nei pori della pelle…sembra viva e si agita come un’anima disperata. La odio con tutto il mio cuore. Non possediamo più i nostri corpi: abbiamo l’aspetto di efebici umanoidi allampanati con le labbra piegate all’insù e grosse ali di garza. Siamo osceni e ridicoli. E asessuati. Viviamo a gruppi di cinque o sei in casette di presunto legno, attorniati da strani animali che ci portano del finto cibo e ci donano delle bolle fatte di musica, che noi possiamo condividere spaccandole a metà. Alcuni di loro sono carini, ma alla maniera dei mostriciattoli dei cartoni animati; il mio preferito è una sorta di cane enorme, violaceo, con gli occhi incredibilmente sporgenti e le orecchie appuntite. Mi fa tenerezza perché gli altri lo schivano e lui è costretto a passare il suo tempo in un isolamento imposto che deve riuscirgli oltremodo doloroso. Mi pare di essere l’unica a curarmi di lui. Non abbiamo niente da fare, niente lavori forzati. Invece, il riposo più assoluto, il nulla. Vegetiamo. Parliamo moltissimo, però, dato che siamo sempre gli stessi, ad un certo punto gli argomenti di conversazione finiscono e noi possiamo solo girarci i pollici.


Sono ancora follemente innamorata di Alexis, ma il problema è che da quando siamo qui siamo enormemente cambiati. Siamo diventati appannati, stanchi, spenti, privi di ardore. La calma ci opprime come un sudario, non facciamo niente di appassionante e persino i pensieri più arditi sono stati cancellati dalle nostre menti. E’ come se ci avessero fatto il lavaggio del cervello. E per me è una sofferenza troppo grande vedere al posto dei suoi lineamenti bellissimi una piatta faccia da mozzarella con gli occhi vacui e le guance piene. Il nostro aspetto corrisponde esattamente al nostro spirito: fiacco e noioso. E’ peggio di qualsiasi orrore io riesca ad immaginare…e non ho nemmeno capito per quali peccati ci abbiano inviati qui.


Abbiamo chiesto di vedere il capo. Il cane enorme ha ascoltato le nostre lamentele ed ha giurato che provvederà in proposito. Io ci credo: mi fido di lui. I miei compagni sono scettici: si dimostreranno in errore. Stiamo per scoprire qualcosa…


Siamo andati, tutti e sei. Io ed Alexis guidavamo il gruppo, sicuri di noi, mentre gli altri ci seguivano un po’ titubanti. Il cagnone ci sorrideva e secondo me ci ha anche fatto l’occhiolino. Ci ha guidato lungo interminabili e buie gallerie illuminate a malapena da globi mollicci dallo strano odore fino ad una porta d’oro, assurdamente fuori contesto e protetta da un cancello, e ha bussato delicatamente. I battenti si sono aperti da soli e l’animale ci ha fatto cenno di entrare, per poi richiudere la porta alle nostre spalle senza fare alcun rumore. Siamo avanzati scivolando su un lucidissimo pavimento immacolato. L’onnipresente nebbiolina era scomparsa e le pareti ardevano di luce bianca e pura; vi erano due file di colonne che rastremavano verso l’alto fino a raggiungere lo spessore di un dito ed erano ornate da bassorilievi raffiguranti avvenimenti che non ero in grado di comprendere. La sala si stendeva immensa in tutte le direzioni. Ogni cosa al suo interno trasmetteva una sensazione di potere e di autorità: chiunque quel capo fosse, era di certo un abile tessitore di illusioni, mi sono trovata a pensare. Per qualche motivo, lo invidiavo. E mi vergognavo per questo. La donna dietro di me all’improvviso ha cominciato a tremare ed un istante dopo era esplosa. I brandelli di carne e gli schizzi di sangue- tutto ciò che restava di lei- sono scomparsi, come se il pavimento li avesse risucchiati. Un attimo dopo, la stessa cosa è accaduta all’uomo in fondo alla fila. A questo punto noi quattro eravamo terrorizzati. Sentivo le ginocchia che mi tremavano e i denti che mi battevano. Avrei voluto fuggire via… sentivo, d’altra parte, che se l’avessi fatto sarei morta immediatamente. Allora, ho proseguito il cammino con il passo più fermo possibile. Alexis mi ha stretto la mano e mi ha lanciato un’occhiata d’intesa. Noi non saremmo morti di nuovo. Non quel giorno. Le due donne che ancora ci seguivano, non reggendo la tensione, si sono lanciate simultaneamente verso la porta chiusa, in una corsa disperata. Non hanno fatto in tempo a raggiungerla. Restavamo solo noi due, come un tempo. Mi sono sentita immediatamente meglio, più sollevata e sicura. Io e Alexis… il destino continuava ad unirci, persino lì. In qualche modo, sarebbe andata bene. Non siamo scoppiati, non so perché. L’appannamento e l’ottusità che ci stavano facendo dannare svanivano, passo dopo passo. Ci sentivamo di nuovo noi stessi. Ci sentivamo vivi. E io ero felice! Singhiozzavo dalla gioia. Poco dopo mi sono accorta che la mia pelle si muoveva in strane onde e produceva un bizzarro rumore di risucchio: velocemente, il mio aspetto da dolcetto di zucchero ha ceduto il posto alla vera me stessa e con somma gioia i miei occhi hanno incontrato quelli verdissimi del mio amore, che aveva subito lo stesso processo. Finalmente eravamo vicini alla meta. Avremmo compreso la verità… e l’eternità non ci avrebbe più annichilito. Il senso della nostra comparsa in quel luogo stava per esserci svelato e l’ansia mi mozzava il respiro. Alexis aveva il viso più colorito del solito, acceso dall’emozione. I suoi denti scintillavano attraverso le labbra dischiuse. Evidentemente, percepiva la mia medesima sensazione. In fondo alla stanza vi era un trono di marmo, una delle opere più belle che avessi mai visto: era decorato oltre qualsiasi possibilità di descrizione e appariva morbido, caldo, pulsante, di mille colori e di nessuno, enorme ed accogliente. Il mio sguardo è salito ad osservare l’occupante dello stupendo manufatto. Ero mortalmente curiosa. Mi sono ritrovata ad osservare un comunissimo uomo di mezz’età, con lunghi capelli grigi, baffi ispidi, occhi vivaci e guizzanti, il mento volitivo ed il naso un po’ troppo grosso. Indossava una tunica di lana bianco- rosata orlata d’argento e portava dei sandali dalla suola di sughero. Un uomo comune, dunque. Somigliava un po’ ad un mio zio. Solo che, dopo un momentaneo appannamento mentale, ho compreso: mi trovavo faccia a faccia con Dio. Non eravamo finiti all’Inferno: quello era il Paradiso. La consapevolezza mi ha assalito, facendomi tremare le gambe e girare la testa. Avevo il forte impulso di vomitare. Alexis, accanto a me, sembrava sbriciolarsi sotto il peso della conoscenza. I suoi occhi sempre bellissimi erano sgranati e la pelle aveva assunto una tinta cerea- più cerea del solito, cioè – dalle preoccupanti sfumature verdastre. D’istinto, mi sono inginocchiata. Lui non mi ha seguito in quel gesto. E poi Dio ci ha parlato e quando ho sentito ciò che c’era da sentire la delusione, la disperazione, il senso di sconfitta e di perdita, l’aspro scontro con la realtà mi hanno lasciato muta, annichilita, mi hanno straziato come i denti di uno squalo. Piangevo. Alexis è diventato rosso come fuoco e si è scagliato contro… contro quello che c’era sul trono. Ero sicura che sarebbe stato colpito da un fulmine- non era forse in quel modo che Zeus manifestava la propria ira?- e ho pensato che sarebbe stato meglio per me finire nelle profondità dell’ Abisso, piuttosto che assistere alla scena. Ma cos’altro avrei potuto fare? Straordinariamente, però, non è stato incenerito. Egli non ha voluto punirlo in quel modo, evidentemente riteneva che la punizione assegnataci fosse già sufficiente. Alexis stava piangendo copiosamente e io mi sentivo il cuore trafitto da mille spilli. Basta sofferenza, era l’unico pensiero che avevo chiaro in testa. Se l’avessi visto versare anche solo un’altra lacrima sarei scoppiata come un palloncino, per la troppa pressione. Mi sono avvicinata al mio uomo per tentare di sussurrargli qualche parola di consolazione, sebbene fossi certa che l’assiso in trono mi avrebbe udito comunque. Senza capire come, ci ritrovammo in una stanza assurdamente bianca, con il soffitto altissimo. Eravamo completamente soli.


Mi chiamo Alexis e da tre mesi sono un angelo. Non ho grandi ali candide, non sono asessuato, non suono la cetra, non custodisco gli uomini proteggendoli dai pericoli. E non ho alcuna fede in Dio. Dico di essere un angelo perché sono stato chiamato così dai miei colleghi più anziani. Li odio dal primo all’ultimo. Io e Shannon abbiamo trascorso due settimane in isolamento (ah, a proposito: la storia che qui il tempo non conti nulla è falsa). Alla fine avremmo accettato anche di farci sbranare vivi dai lupi. L’amore a volte non basta. E ora, guardando nei suoi occhi, leggo la stessa verità che lei può scorgere nei miei: siamo stati imbrogliati e siamo condannati per l’eternità. Prego che la mia maledizione ricada su di loro. Ho rivisto mio padre: è finito al piano di sotto. Niente fiamme e diavoli saltellanti, però non se la sta passando bene. La decomposizione è una cattiva compagnia. L’ultima volta che mi hanno permesso di fargli visita non aveva neanche più la bocca per gridare. Mi dispiace per lui. Il padre di Shannon non è rintracciabile. Pare che sia precipitato in un posto che ci è interdetto… dovunque si trovi, dubito che ci siano spiagge e noci di cocco. Le destinazioni dei morti hanno ben poco di turistico. Quassù, ogni nostro singolo atto viene osservato e ponderato. Chi devia dai programmi prestabiliti viene gettato in basso, senza tanti complimenti. L’insubordinazione è la morte. Dobbiamo eseguire perfettamente gli ordini, per quanto essi ci appaiano privi di senso: alcuni di noi preparano enormi razioni di cibo, che non vengono mangiate da nessuno, altri si prendono cura di piante stentate e rachitiche, altri ancora ricopiano libri scritti in una lingua sconosciuta. Io e Shannon siamo addetti alla custodia di un grigio edificio abbandonato. Non vi si avvicina mai nessuno e comunque è completamente vuoto. Ho smesso di chiedere a cosa servisse sorvegliarlo dopo che mi hanno minacciato di separarmi da lei. E’ l’unica cosa che mi impedisce di impazzire del tutto. Una settimana fa sono arrivati i sogni. Continuavo a vedere fiamme altissime levarsi dalla casa che ho abitato da bambino, mentre le cornacchie starnazzavano ed il cielo si colorava di porpora. Ero nel corpo di una donna molto giovane ed avevo paura. Sentivo in bocca il sapore del sangue. Ne ho parlato a Shannon ed anche lei è rimasta perplessa: noi non possiamo sognare. E’ ritenuta un’attività sovversiva, pericolosa, quindi ci forniscono degli inibitori. Ma allora…? Non ho avvisato il nostro sorvegliante. Se lo scoprisse… beh, allora suppongo che sarei nei guai. Forse saremmo nei guai entrambi. Soltanto, NON DOVREBBE ESSERE MALEDETTAMENTE POSSIBILE che questo posto sia così repressivo, angosciante, antilibertario (anti qualsiasi cosa, in verità), pieno di fobie. Tutto è vietato. Esternamente va tutto bene: non abbiamo più necessità fisiche (anche se molti di noi continuano a dormire e a mangiare in mancanza di meglio da fare) abbiamo un posto dove stare, le famiglie sono in genere riunite ed i compiti affidatici non sono faticosi. Però Hitler sarebbe fiero dell’organizzazione. Appena capiranno che la penso così (e lo capiranno, quando sarà l’ora del mio controllo) mi puniranno. E se questo mi sembra l’inferno… beh, poi sarà peggio. Posso solo sperare che il mio amore non ne subisca le conseguenze.




Mi chiamo Shannon e da tre giorni non sono più un angelo. Alexis mi aveva confidato i suoi timori, in parte… purtroppo, ha la fastidiosa tendenza ad avere sempre ragione. Lo hanno scoperto. Ognuno di noi (anche se adesso sarebbe più corretto dire ”di loro”) viene sottoposto ad un check-up completo una volta all’anno. Più frequentemente sarebbe impossibile: siamo decisamente troppi. Hanno guardato nel suo cervello (o in qualsiasi altro equivalente sia presente in questi corpi che non sono corpi) e hanno letto ciò che non avrebbero mai dovuto leggere. Lo hanno catalogato come dissidente e lo hanno ”allontanato”. Mi hanno permesso di seguirlo solo perché sono riuscita in qualche modo ad infrangere il loro condizionamento, sorprendendo persino me stessa, e ho vituperato i guardiani in modo tale da far arrossire uno scaricatore di porto. Io non sono arrossita, però. Quando si tratta di Alexis, tutto il resto può andare anche in malora. Così, ci hanno scaricato di sotto. In senso letterale. Siamo atterrati su un materasso sporco di liquidi che abbiamo preferito non riconoscere. Siamo stati schiacciati da una sensazione molto simile ad una potente forza di gravità, che ci ha costretto a gattonare come due infanti. Sarebbe stato imbarazzante se non fosse stato spaventoso. Ci siamo trascinati fino ad una porta di ottone e lui ha girato la maniglia. Io stavo ansimando in modo ferino e temevo mi scoppiasse il cuore- solo che non avevo più un cuore e ad ogni modo non avrei potuto essere più morta di così. Una luce intensamente blu ci ha avvolti in un caldo abbraccio simile a quello di un amante e la pesantezza è svanita, lasciando solo una sensazione di benessere paragonabile all’effetto dell’alcol. Senza quasi rendermene conto, ho sorriso, e da sotto le palpebre quasi abbassate ho scorto il bianco lampeggiare dei denti di Alexis. Evidentemente, era contento anche lui. Ci siamo rialzati e abbiamo fatto il nostro ingresso. Subito siamo stati attorniati da una folla vociante che segnava a dito il mio uomo, emettendo esclamazioni soffocate. Gli ho rivolto uno sguardo interrogativo, ma lui si è limitato a scuotere la testa. Poi è giunto il padrone di casa. Sono rimasta sorpresa: non era un demone. Era uno spettro. Si era appropriato di un corpo, però ciò non serviva a nascondere la sua vera identità, quanto meno ai miei occhi. Il corpo era di un uomo giovane e decisamente bello, con profondi occhi viola sfumati di blu, lunghi capelli biondo fragola e gli zigomi alti. Mi ha stretto la mano e ho percepito una sorta di scossa elettrica, non destinata a far male. Quando è stato il turno di Alexis, ho notato un fuggevole lampo di stupore che gli attraversava il viso. Cosa diamine stava succedendo? “Vi aspettavamo” ha detto lo spettro. “Ah sì?” ha ribattuto Alexis con un’assoluta mancanza di garbo, totalmente insolita per lui. Ho capito che era spaventato. “Eravamo consapevoli che non vi sarebbe stato possibile restare a lungo ai piani altri. Troppa noia. Siete gente d’azione”. “Ti vanti di conoscerci…”. “E’ così. Per farla breve, esistono tantissimi luoghi diversi in cui è possibile finire dopo la morte, alcuni gradevoli, altri meno. Questo è l’Oltretomba Zann, altrimenti conosciuto come il Piccolo Paradiso. Qui potrete avere ogni cosa desideriate ad un piccolissimo prezzo…”. “Suona come un patto con il diavolo”. “Niente di melodrammatico, invece. Nessuno di noi ha mai visto il Diavolo, si tiene alla larga da queste zone…Ha un bel daffare a casa sua, non si preoccupa affatto di noi. No, la mia proposta è assai più vantaggiosa: dovete solo essere i miei discepoli ed il resto andrà da sé…”. “In che senso ?”. “Voglio essere onesto con voi: la mia casa appartiene ad uno dei gironi di ciò che voi chiamate … Ovviamente l’idea che voi avete del posto è completamente sbagliata: non ci sono sofferenze, qui, niente del genere. Niente sadismo ammantato di fiamme e forconi, niente dannazione eterna. Solo una concorrenza spietata: perché, in genere, le anime giunte da poco hanno la possibilità di scegliere dove trascorrere l’oltrevita. Sareste sorpresi dal numero di spiriti che scelgono proprio questo luogo… Però il da cui venite conserva una certa attrattiva, soprattutto per i religiosi praticanti, i vecchi e le famiglie. Io voglio diventare il numero uno, il più grande raccoglitore d’anime esistente…”. “A che pro?”. “Questo, se permettete, è soltanto affar mio. Voi dovete aiutarmi nel reclutamento. Si tratta di un lavoretto facile: poca fatica, grandi ricompense. E’ un’offerta che non potete rifiutare…”.




Stavo per rispondere di no a nome di entrambi, pur intuendo che le conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche. Ma poi mi sono fermato a riflettere un attimo e… Poteva funzionare, ne ero certo. Il mio piano avrebbe avuto successo e Shannon ed io avremmo avuto nuovamente la possibilità di calcare il suolo terrestre. Non più condannati a vagare in paradiso, non più sfruttati dall'inferno, saremmo stati di nuovo liberi. La felicità definitiva era ad un passo. Avremmo ingannato la Morte e per sempre, insieme, saremmo vissuti come Romeo e Giulietta se le cose non fossero andate storte. “Accettiamo di lavorare per te” dissi, dunque, a quello strano individuo. Shannon mi fissò, leggermente perplessa, ma in fondo ai suoi occhi scorgevo la scintilla della fiducia. “Bene bene bene. Ero certo che foste delle persone ragionevoli, contavo molto sulla vostra disponibilità. Visto che mi sembrate in forma e pimpanti, vi affido il vostro primo incarico immediatamente: dovete recarvi sull'amato globo terracqueo per convincere un uomo a sterminare la sua famiglia. Sapete, quelli lassù hanno la puzza sotto il naso e non accettano questo tipo di defunti-gli omicidi, intendo. Infatti, mi stavo proprio chiedendo come tu, Alexis, assassino e suicida, sia riuscito a farti accettare nei quartieri alti...”. “Non chiederlo a me, se avessi potuto scegliere sarei venuto qui subito: non apprezzo le forme di autorità troppo opprimenti e lì il capo era un po' troppo potente per i miei gusti”. “Tranquillo, qui non correrai questo rischio, siamo in democrazia”. “Ne sono lieto. Come facciamo a tornare nella dimora dei vivi? E soprattutto, come faremo a farci dare ascolto? Sotto quale forma appariremo? Non saremo dei fantasmi, suppongo...”. “Ovviamente no. I fantasmi sono soltanto povere anime prive di alcun potere, che non hanno ancora deciso da che parte stare...Voi siete miei stretti collaboratori, meritate di meglio. Potrete usufruire dei vostri corpi per il tempo necessario per lo svolgimento della missione; nessuno vi vieta di fermarvi a prendere un gelato o a bere una tazza di caffè, però cercate di non esagerare. Per salire verrete guidati da un mio servitore: inutile dirvi che sarete bendati, la via d'uscita deve restare segreta per ovvi motivi. Mi occuperò io di farvi rientrare nel momento opportuno, subito dopo il compimento dell'impresa... o il vostro fallimento. Non me la prenderò con voi se non andrà a buon fine, in fondo è ancora la prima volta. Avrete un'eternità per migliorare…”. Appena siamo giunti in superficie (in una squallida città uguale a mille altre) Shannon mi ha chiesto: ”E ora cosa hai intenzione di fare? Io non ho alcuna voglia di provocare un omicidio. E in verità non voglio nemmeno prendere un gelato...”. “Neanch'io. Sto cercando di fuggire”. “Sogni, Alexis. Quell'essere non ci avrebbe mai lasciati andare se non fosse stato più che sicuro della nostra impossibilità di abbandonarlo”. “Io invece credo che un modo ci sia. Lui non è un dio, Shannon, si atteggia a signore degli inferi ma appare chiaro che è solo un demone di mezza tacca. Con la nostra magia possiamo ingannarlo: creeremo dei simulacri e li invieremo al nostro posto, mentre noi saremo tranquilli e sicuri in tutt'altro posto”. “Non funzionerà mai”. “Beh, in fondo cosa ci costa provare?”. “Ci costa eccome. Non ho alcuna intenzione di trascorrere il resto dell'eternità con un demone che ho fatto arrabbiare”. “Prova ad essere un po' più ottimista. Eri una persona positiva, un tempo...”. “Non sono più una persona, Alexis, sono morta”. Un verme ha cominciato a passeggiarmi nel cuore, aprendomi tanti piccoli buchi molto dolorosi. Shannon non ci credeva. Aveva perso la speranza di tornare a vivere. Cosa aveva ammantato la sua brillantezza di quella triste patina di grigio? Di certo, senza il suo aiuto non sarei mai riuscito a farcela. Allora ho preso la mia decisione: se il lavoro andava fatto, valeva la pena di farlo bene.


Quando ho visto Alexis provocare e schernire quell'uomo che era già sull'orlo della follia, ho creduto che avesse perso la testa anche lui. Solo dopo ho compreso che in realtà stava cercando di ottenere una mia reazione; voleva che mi scuotessi dalla mia apatia e che cercassi insieme a lui il modo di tornare alla nostra vita. Povero sognatore... l'ho fermato, sì, e l'aspirante assassino, sconvolto e confuso, ha lasciato in pace la sua famiglia. Però noi non siamo stati lasciati in pace. Il “demone di mezza tacca”, che a parole era stato tanto comprensivo con i novellini, nei fatti ha mostrato la sua vera natura. Ora siamo davvero all'inferno. In uno dei pochi momenti di tregua abbiamo inciso, come degli scolaretti, i nostri nomi sull'arco di ferro che sovrasta le povere anime ribelli, che per non essersi volute piegare ai dettami dei mostri ora urlano e stridono. È un simbolo di amore eterno- l'ultima cosa in cui ancora credo, l'ultimo appiglio che mi impedisce di cedere alla disperazione più nera, l'ultima barriera che mi separa dall'abisso della follia. Perché, nonostante tutto, stiamo ancora insieme. Insieme, dannati, per l'eternità.
FINE
   
 
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