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Autore: alpha_blacky    15/05/2016    0 recensioni
"Sarei un ipocrita a definir cattivi i miei parenti, i miei concittadini, poiché anche io sono stato così, anche se probabilmente persone come loro hanno esultato nel vedere sul rogo streghe nel Medio Evo, e tutt’ora li soddisfa vedere come sia ancora praticata la discriminazione del diverso, l’indifferenza nei confronti del Male."
Un uomo si ritrova all'interno di un circuito più grande di lui, un insieme di fatti, storie, che lo porteranno a rinascere dall'indifferenza.
Scritto per la Giornata dell'Arte 2016 dell'Istituto Enrico Fermi di Gaeta (LT)
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eyes
Penso che la mia vita fino a questo momento sia stata crudelmente banale.
Sono nato nella stessa città dei miei genitori, dei miei nonni, dei miei bisnonni, da famiglie tanto simili nel modo di pensare, quanto nell’atteggiamento ostile nei riguardi del mondo esterno alla propria visione di vita.
Sarei un ipocrita a definir cattivi i miei parenti, i miei concittadini, poiché anche io sono stato così, anche se probabilmente persone come loro hanno esultato nel vedere sul rogo streghe nel Medio Evo, e tutt’ora li soddisfa vedere come sia ancora praticata la discriminazione del diverso, l’indifferenza nei confronti del Male.
Il riflesso di questi pensieri si percepisce nelle piazze, per le strade, quella tristezza perfida che aleggia nell’aria, pronta a colpire chiunque esca da questo contesto chiuso. Le stesse fabbriche intorno alla città creano un fumo che sembra racchiudere il tutto in una cupola asfissiante, generata dalla maligna e dalla falsità.
Non vivo in una cittadina molto aperta nei confronti dell’altro, come potete aver ben capito; per questo, la presenza di quel vecchio nero cieco fuori l’entrata della chiesa aveva suscitato molto scalpore, sin da quando si fece vedere per la prima volta lì.
Nessuno sapeva chi fosse, da dove venisse, dove alloggiasse; tuttavia, l’intera comunità si stava già muovendo per cacciarlo da lì; fissava, dicevano.
In realtà, non fissava. Scrutava con sguardo vuoto chiunque entrasse in chiesa, con fare indagatore, come se ci potesse vedere; nessuno lo aveva mai sentito proferir parola, eppure non taceva, poiché i suoi occhi parlavano già da se.
Forse non sapendolo nemmeno, ci giudicavano per i nostri peccati, più neri del colore della sua pelle; giudicavano le nostre anime, più logore dei suoi vestiti.
Mi pareva che li vedesse anche, tutti i miei peccati. Non che nessuno li conoscesse, ovviamente. In questa comunità dove tutti conoscono tutti, stupirebbe il contrario.
Non so cosa mi abbia reso così violento, se la rabbia, la paura o la semplice ignoranza. Le persone come me non possono cambiare, e non possono smettere di esistere. Il mondo, la vita è così, in bianco e nero, tra luce e oscurità. Possono solo essere individuate e distrutte. Ed è poi da quel momento che possono risorgere.
Proprio quello che è capitato a me.
Accadde quando, ieri sera, dopo l’ennesima sfuriata, uscii di casa alla ricerca di altro alcool, come se oramai non mi scorresse solo quello nelle vene, cambiò qualcosa. Non capivo cosa fosse, quella scia di calore nell’aria, quasi impercettibile. E poi capii, che non era altro che lo sguardo di qualcuno puntato su di me.
Non so se si potesse definire proprio sguardo, quello di un cieco, ma il modo in cui i suoi occhi erano tanto vicini ai miei, seppur lontani, mi turbò più di qualsiasi altra cosa. E fu a causa dello spavento che inciampai e caddi barcollante all’indietro, battendo la testa.
Non so di preciso quanto tempo ho passato incosciente… allora mi sembrava di aver dormito ore, ma, ripensandoci, probabilmente non ero rimasto senza sensi che un istante.
Aprire gli occhi fu comunque difficile. La luce accecante che mi circondava lo rese doloroso, ma quando mi abituai, ciò che vidi mi lasciò basito.
Mi trovavo in una casa, ma non la mia casa.
Avevo un corpo, ma non il mio corpo.
Avevo dei pensieri, ma non miei pensieri.
Era come vivere un sogno, nella testa di qualcun altro.
Il non-me si alzò per spegnere la sveglia che mi aveva portato in quella vita.
Le sue abitudini, le mie abitudini, mi incuriosivano e mi turbavano. Sentivo che c’era qualcosa che non andava. La sua colazione, la mia colazione, è diversa.
Beh, non mi sono mai abituato alle abitudini alimentari occidentali. Pensai, non pensai io, mangiando zuppa di miso.
Anche il camminare in calzini lo mi rendeva strano. E quella foto al muro, quei sorrisi bianchi e gli occhi a mandorla. Due sporchi cinesi adulti e un ragazzino. Probabilmente quella foto era di parecchi anni prima; allo specchio, non c’era un giovane, ma un uomo. Tuttavia, gli occhi allungati e vispi erano rimasti gli stessi; dell’espressione, solo il sorriso mancava.
Ben presto uscì di casa, solo.
Il suo mio lavoro non è appagante, non è la sua mia vita.
Gli occhi stretti su di lui, su di me, nonostante le ore dietro ad un bancone e il lavoro svolto impeccabilmente. Si sentiva nel vociare soffuso la parola “cinese” a tratti.
Sentii, non sentii io, il malessere crescere. Non era la prima volta, e non sarà neppure l’ultima. Eppure…
Dopo aver finito, tornò tornai a casa. Un altro cupo giorno come gli altri, infiniti, nell’attesa che qualcosa cambi. Anche se so bene che non cambierà nulla.
Pensavo di trovare lavoro qui in Italia, nel mio campo, l’arte. Questo luogo ha così tanto da offrire, ma, evidentemente, non a me. Non ad un giapponese. Chiusi gli occhi, pensando a quanto dovessero essere belli, in questa stagione, i ciliegi in fiore…
Mi svegliai stravolto e scombussolato, nella strada di fronte casa.
Cosa mi era capitato? Chi ero? Cosa ero?
Aprendo gli occhi, vidi tutto appannato di verde e celeste, quasi una foschia leggera intorno al mondo. Ricominciai però a muovermi, frastornato, probabilmente a causa dell’alcool e della caduta, e, barcollando, mi rimisi in piedi.
Mi prese il panico quando mi resi conto di continuare a vedere il mondo in quei colori stranamente opachi, tuttavia, il colpo che mi fece svenire per la seconda volta quella sera, fu il vedere la pelle della mia mano lacerarsi, come se fossi un serpente che stava facendo la muta. Non provai dolore però, bensì una sensazione di calore che mi riportò al mio sonno.
Quando mi svegliai per strada, non c’era più calore, solo un freddo gelido e destabilizzante.
Non sapevo dove mi trovassi, ma sapevo che non ero io.
Sapevo solo di essermi risvegliato in una vita non mia. Di nuovo.
E vidi chiaramente come la mia pelle non fosse solo sporca, ma anche molto scura. Mi specchiai in una pozzanghera e mi vidi, soggiogato da una volontà non mia. Gli occhi scuri, i capelli troppo lunghi, la barba incolta; ecco il suo mio volto.
Camminando scalzo per strada, non molti lo mi notano, troppo presi dalle loro vite, e chi lo fa, ignora il suo mio passaggio.
L’indifferenza davanti l’elemosina, i 3 euro racimolati in un giorno, per mangiare qualcosa.
Le madri che stringono i bambini a sé nel supermercato, appena lo mi vedono passare. E hanno ragione a diffidare di un nero sporco, malato, scalzo che si aggira per i supermercati frequentati da brave persone.
La sera, tornai nel mio vicolo, nella mia spazzatura e mi addormentai. Mi svegliai col sapore del sangue in bocca. Dei ragazzi si erano avvicinati e avevano iniziato a colpirmi. Poi il nulla.
Forse fu proprio il vivere la morte a riportarmi nella strada sotto casa mia. Ormai la mia vista era completamente in blu e verde, e il calore era scomparso, trasformandomi in ciò che sono ora.
Guardai il vecchio cieco, ormai avvicinatosi a me, rendendomi conto che i suoi occhi non erano ricoperti da una patina bianca, ma dalle sfumature del celeste e dell’erba; sembrano quasi due mondi e, molto probabilmente, anche i miei sono così.
La mia pelle, oramai sporca delle mie colpe, mi appariva più scura.
I miei vestiti, consumati dal mio stesso odio, erano logori.
Scomparvi da quel luogo, cercando altri come me, per punirli delle loro colpe e segnare la loro rinascita.
Tante cose ordinarie possono diventare straordinarie, guardandole e vivendole con occhi diversi; e voi non potete capire come sia, con quella sfumatura verde e blu circonda il mondo.
Forse, un giorno, lo capirete anche voi.
   
 
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