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Autore: aleinad93    16/05/2016    2 recensioni
Alec e Magnus sono un miracolo l’uno per l’altro, non pensavano si sarebbero trovati né innamorati né avrebbero superato il primo appuntamento né i pregiudizi né una ex particolarmente fastidiosa né le loro incomprensioni. Però così è successo, come sappiamo da TMI e ora convivono.
Non sanno però che sui gradini dell’Accademia li aspetta un nuovo miracolo.
Una raccolta di one shot, flashfic sui Malec e sulla loro vita post-Born to endless night.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Magnus Bane, Max Lightwood, Max Lightwood-Bane, Rafael Lightwood-Bane
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Meeting Rafael Santiago
 
A loro due che ci sono sempre
Anche quando a nessuno importa
 
 
 
«Muovetevi, muovetevi.»

«È piuttosto eccitato.» Alec camminava mano nella mano con Magnus. Erano appena entrati nel cortile dell’Istituto e Max si era svicolato dalla sua stretta con uno strillo di gioia e aveva afferrato la mano di quello che reputava a tutti gli effetti suo fratello. Lo tirava con quanto poteva e Rafael cercava di liberarsi per nulla entusiasta come l’altro.

«Non devi avere paura. Sono tutti simpatici.» Gridò Max, sperando di farsi capire da Rafe, che lo guardava confuso. 

«Tranne il nonno, che potrebbe tirare fuori qualche legge sul fatto che non si adottano i bambini Cacciatori senza l’autorizzazione del Conclave e spedirti dritto in Accademia senza passare dal Via!» commentò Magnus in un sussurro.
Alec sospirò e strinse più forte la mano di Magnus senza parlare. Di discorsi ne avevano anche fatti troppi prima di portare via Rafael da Buenos Aires e anche una volta arrivati a casa con il bambino.

«Sono tutti buoni. Nonna, nonno, zio Simon, zio Jace, zia Clary e zia Iz» Max non taceva un secondo e se ne stava fermo davanti ai gradini, facendo ondeggiare il suo braccio e quello di Rafael. «Poi ci sarà l’amica di Papa… c’è Catarina, Papa?»

«Credo di sì.» Magnus si era fermato e stava guardando Alec armeggiare con il cellulare. Si era fissato con le foto da quando avevano Max e ora con un altro bambino sembrava anche peggio. «Speriamo. Nel caso dovessimo scappare dalle grinfie di nonno Robert, sono sicuro ci coprirebbe con un diversivo.»

Alec ridacchiò e scattò un’altra foto ai due bambini girati di spalle. Erano adorabili nelle loro giacchette nuove e con i capelli sistemati con il gel.

«Daddy, Papa, vi muovete?» chiese Max, girandosi.

«Se Mr Fotografo ha finito, direi di sì.» Rispose Magnus al figlio, che picchiettava i piedi a terra entusiasta.

Alec gli fece la lingua e scattò ancora una foto a Rafael che continuava a stare girato verso l’Istituto, poi ripose il cellulare. «È la prima volta che Rafe viene qui.»

«E non sarà l’ultima.» Magnus riprese Alec a braccetto e camminarono fino ai bambini.

«Mi prendete in braccio?» chiese Max implorante. Aveva ancora difficoltà a fare quei gradini così alti. Erano antichi e chi li aveva costruiti non aveva di certo tenuto conto che dovesse salirli un bambino di appena tre anni.

Magnus si fece avanti e se lo caricò sulla spalla. «Sei diventato pesante, blueberry.»

«Non è vero.» Max sbuffò, contrariato e si sistemò con il mento sulla spalla del padre.

«Sarà colpa di nonna che ti rimpinza come un tacchino…»

Alec scosse la testa sentendoli battibeccare. Mentre Magnus iniziava a salire, appoggiò una mano contro la schiena di Rafe. Lo poté finalmente guardare in viso. Era un po’ pallido, nonostante la carnagione bruna, ma i suoi occhi erano pieni dell’Istituto.
Era affascinato da quell’edificio enorme, lo si vedeva da come seguiva le linee e scrutava la porta. Probabilmente ogni Cacciatore era consapevole che l’Istituto fosse una casa per randagi e Rafael che si sentiva ancora un po’ perso in quell’enorme metropoli e nel loro appartamento doveva sentirlo ancora di più.

«Andiamo» disse Alec incoraggiante. Si toccò la runa Speaks in tongue, che due volte al giorno rinnovava per comunicare con Rafe.

Rafael distolse lo sguardo dall’edificio e toccò con fare esitante la mano del padre adottivo. «Alec, posso provare ad aprire la porta?»

Alec gli sorrise e percorsero uno di fianco all’altro la scalinata, raggiungendo Magnus e Max già in cima.

Al tocco di Rafael la porta si aprì e Max proruppe in un’esclamazione che fece piegare in due dal ridere Magnus: «Fore (Avanti tutta)!»
Rafael ridacchiò, perché le prime parole di inglese che aveva imparato, dopo quelle semplici insegnategli da Alec e Magnus, erano state quelle del linguaggio piratesco.
 
 *********

Il sorriso di Rafael perdurò per tutto il mini tour dell’Istituto. Amò l’armeria. Guardava le spade con una luce brillante negli occhi e chiedeva ad Alec di dirgli i nomi degli strumenti che non conosceva.

Toccò il legno degli jo e dei bokken, soppesò il peso di un pugnale, che Alec gli diede in mano, dicendogli di usare cautela. Rimase incantato davanti alle frecce tutte ben allineate e si riempì i polmoni del profumo del metallo e del cuoio.

Magnus lo perquisì all’uscita, temendo avesse rubato qualcosa. Non era tanto per il furto in sé, ma quanto che Rafe si sentiva più al sicuro quando girava con un’arma in tasca.
A casa avevano dovuto mettere sotto chiave il pugnale con il quale Alec l’aveva trovato e anche l’arco e le frecce del Cacciatore adulto. Era stato un bel cambiamento, con Max non avevano mai dovuto chiudere nemmeno un mobiletto.

Continuarono a camminare per l’Istituto con Alec che raccontava ogni tanto qualche storia della sua infanzia, un po’ in spagnolo e un po’ inglese.

Quando arrivarono davanti a un grosso portone, Max saltellò entusiasta, rischiando di cadere e afferrò Rafe aggrappandosi con decisione al suo polso.
Rafael protestò appena, mugugnando.

«Ti faccio vedere.» Fece un segno per far capire quello che aveva detto all’altro bambino che si zittì e annuì.
Era affascinante vedere il loro modo di comunicare. Alec a volte non capiva come facessero a intendersi, ma accadeva. Pensò che era lo stesso modo in cui lui e Magnus riuscivano a capire Max, quando ancora non parlava, come comprendevano che Presidente Miao era annoiato o felice o come lui sentiva quando Magnus era alterato e Alec pensoso.  
La lingua non era l’unico strumento che usavano. C’erano i gesti, i movimenti, le azioni del corpo, le espressioni del viso. Anche se non parlavano, potevano percepire le sfumature della voce, si concentravano fino in fondo su ogni dettaglio dell’altro, per riuscire comunque a comprenderlo.

Max spalancò la porta muovendo le mani, da cui sprizzarono allegre fiammelle dorate.

La biblioteca si spalancò davanti ai loro occhi. Max amava quel posto e trascinò Rafael lungo il primo semicerchio di scaffali. Lo tirava e gli spiegava la sezione dei bambini, l’unica da cui poteva attingere, anche se sognava un giorno di aprire quei libroni finemente lavorati e copertinati in cuoio.
Rafe muoveva il naso, sentendo probabilmente il profumo della carta e dell’antichità. Non sembrava tanto interessato ai libri, quando al luogo. Gli sembrava rilassante e si mise sdraiato sul pavimento, guardando il soffitto conico.
Max sorpreso gli corse accanto e decise di imitarlo, gettandosi a terra ridacchiando. Non aveva mai pensato di sdraiarsi in mezzo alla stanza, di solito si sistemava sui divanetti accanto alla finestra o negli scaffali vuoti dove poteva sdraiarsi, leggere e dormire. Poi si rivolse a Magnus e Alec, che stavano in piedi a guardarli. «Venite a fare la nanna anche voi?»

«Miracolo che vuoi dormire!» esclamò Magnus divertito, abbracciando Alec da dietro e infilando le dita nei passanti dei suoi jeans. «Al pomeriggio non dormi, neanche se ti mettiamo a letto.»

«Però alla sera crolla presto.» Alec si lasciò andare contro il petto di Magnus e sentì il suo respiro sul proprio collo. Per di più il suo compagno tolse le dita dai passanti e gliele portò sui fianchi e lasciò scivolare un dito sotto la maglietta a contatto della pelle. Un’ondata di calore lo avvolse e abbassò un po’ la cerniera della sua felpa. Avevano lasciato le loro giacche all’ingresso.

«All’improvviso ti è venuto caldo, mio bel fiorellino?»

«Giusto un poco…» borbottò Alec che percepiva ogni spostamento delle dita di Magnus.  Si staccò a malincuore, sentendo il cellulare vibrare.
Era Izzy. Il messaggio era breve: Avete finito il tour?

«Mi sa che sono impazienti di conoscere Rafael.» Disse Alec, voltandosi a guardare il suo compagno.

Magnus fece una faccia eloquente. Quando non erano impazienti di qualcosa quei Lightwoods?
Era già tanto che non si fossero presentati a casa loro il giorno stesso che erano tornati via Portale con Rafael.
Avevano aspettato ben una settimana, perché Alec li aveva pregati e scongiurati di aspettare. Rafe era ancora un po’ confuso, non gli serviva anche trovarsi in mezzo a una folla curiosa e invadente.

«Piccoli cucciolotti, dobbiamo andare. So che desiderate pulire ogni centimetro di pavimento di questa meravigliosa biblioteca con i vostri vestiti nuovi, ma dovrete rimandare questa esaltante attività a un altro giorno.» Magnus si avvicinò ai due bambini ripetendo il discorso anche in spagnolo.
Rafe sentendo “piccoli cucciolotti” chiuse gli occhi irritato. Max non fece una piega, era abituato a essere chiamato in modi alquanto stravaganti e saltò in piedi, dopo aver rotolato sul pavimento. «Non possiamo stare qui?»
Rafe sembrava d’accordo, siccome non si era mosso di un millimetro.

Ci volle mezz’ora a uscire dalla biblioteca. Alec afferrò Rafe, prima che decidesse di arrampicarsi, dopo aver corso un quarto d’ora tutt’intorno agli scaffali. Magnus si occupò di Max che puntava i piedi e gridava. Aveva fatto scoppiare con la magia la lampadina dell’abatjour sulla scrivania. Quando si arrabbiava, capitava che accadesse. Succedeva sempre in meno in realtà, più diventava consapevole del suo potere, più lo controllava, anche nei momenti di rabbia.

«Era più facile quando ne avevamo solo uno» mormorò Magnus, tenendo in braccio Max che singhiozzava.

Alec assentì, cercando di mascherare il fiatone. Neanche i demoni lo facevano correre come Rafe.
Prese lo stilo e rinnovò la Runa della Resistenza, pensando che la prossima volta prima di rincorrere il bambino si sarebbe disegnato una Runa dell’Agilità e magari una della Super Velocità.

 Alec, riponendo lo stilo, decise che era il momento di raggiungere il salone principale. Prese per mano Max, che oppose appena di resistenza ancora risentito, e con l’altra scrisse un messaggio a sua sorella: Stiamo arrivando.
In realtà tra la biblioteca e il salone c’erano solo un paio di metri, ma Isabelle e Clary avevano insistito, perché Alec le avvisasse.

Dopo neanche due passi, sua sorella gli rispose: Siamo pronti per conoscere il nuovo membro della famiglia.

Alec ridacchiò nervoso e scambiò un’occhiata con Magnus, dopo che entrambi avevano soppesato Rafael, che sembrava più tranquillo di prima.

Max si era messo a cantare la canzone del suo cartone preferito, inventando parole a caso. Magnus era sicuro che non dicesse «ruggisci via, friggi zia, drillo cocodrillo».

«Coccodrillo» lo corresse Alec, non provando nemmeno a dare un senso al resto.

«Cocodrillo» ripeté soddisfatto Max, mettendosi in bocca un ditino.

«Amore, apprezzo il tentativo.» Magnus ridacchiò, dando una pacca nella schiena al suo compagno che non sembrava per niente soddisfatto.

Max scattò in avanti, tirando la mano ad Alec e indicò con il dito bavoso la porta del salone. «Ci siamo!»

«Fermati un attimo, blueberry.» Magnus prese un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e pulì la bocca e la mano del figlio che si dimenava entusiasta di essere un passo da quella che considerava a tutti gli effetti la sua famiglia. «Pulito, sono pulito. Lasciami, Papa.»

Alla fine Max tornò a rimettersi il dito in bocca e Magnus mormorò qualche imprecazione.

«È sempre meglio lasciarli sporchi, perché un attimo dopo lo saranno di nuovo» disse Alec con fare saccente, probabilmente riprendendo la citazione da uno di quei libri sui bambini che aveva sul comodino.
Magnus gli lanciò un’occhiataccia e agitò le dita, aprendo la porta.  
Alec alzò le spalle e entrò insieme a Max, mentre Magnus invitava con il capo Rafael a entrare, ma il bimbo ebbe un momento di esitazione. «Gli piacerò?»

«Sono un po’ difficili, poco tolleranti ai cambiamenti, ma con i bambini si sciolgono. E tu, ringrazia il tuo Angelo, sei un bambino.»

Rafe deglutì e si sistemò come un soldatino pronto alla battaglia.
«Gli Shadowhunters prendono tutto come se fosse la battaglia delle Termopili.» Magnus scosse la testa sconsolato, si diede una sistemata alla giacca e si affrettò a entrare.
Richiuse la porta e si trovò di fronte tutti i Lightwoods più Clary e Simon che ormai erano di famiglia tanto quanto lui
.
«Nonna, nonna, nonna.» Maryse fece un passo avanti per bloccare la corsa di Max, che appena l’aveva vista si era messo a urlare festante, lasciando la mano di Alec.
La vedeva ogni giorno, ma doveva viziarlo così tanto che molto spesso Max faceva i capricci quando lo andavano a recuperare. Tante volte Magnus tornava a casa senza bambino, ma con una scodella di pasta al sugo o una teglia di arrosto. Era un bel bottino, ma Alec non sembrava pensarla allo stesso modo. O meglio ne era felice per le prime tre sere, così potevano fare i fidanzatini, ma già alla quarta si notava la sua sofferenza. Alla quinta Alec si stancava e le sue azioni di recupero non fallivano mai.  
Il bambino tornava, ma non c’era niente da mangiare. Così Magnus era costretto a preparare la cena.

«Nonna, hai preparato il dolce cioccolatoso?»

«Certo e ci ho messo sopra la panna.»

Max esultò e poi si girò verso Alec, dicendo: «Te l’avevo detto che lo faceva…»

Jace ridacchiò, scendendo dal tavolo sul quale stava appollaiato fino a un attimo prima. Diede una pacca più o meno leggera sulla nuca di Simon, facendogli scendere gli occhiali lungo il naso e si avvicinò con uno sguardo curioso a Rafael, che si trovò molto probabilmente ad avere due braccia che pensava di non avere e iniziò a spostarle sul fianco, poi a farle scontrare davanti a sé e poi infine a intrecciarle dietro la schiena.

«Sei tu Rafael.» Non era per niente una domanda.

Gli occhi di tutti furono di nuovo su di lui e Rafael sembrò ancora più in imbarazzo.
Magnus sapeva cosa stavano vedendo i Lightwoods. Un bambino con una tuta verde piuttosto abbondante, perché era magro per i suoi cinque anni. Il volto scarno e la pelle intorno alle labbra leggermente screpolata.
I capelli erano stati fissati con il gel da Magnus stesso, perché solitamente erano liberi e ricadevano sulla fronte del bambino arrivando quasi a coprirgli quegli occhi immensi e scuri. Magnus aveva cercato di tagliarglieli, ma aveva incontrato l’opposizione di quel piccolo Cacciatore che, come forma di ribellione, aveva deciso di scalare il nuovo mobile del salotto.
Era una piccola scimmietta per come si arrampicava e come lo fissava con sguardo attaccabrighe. Magnus aveva già avuto dei racconti ravvicinati con i primati, però non erano mai stati proficui per lui o per quei mammiferi.
Così l’aveva lasciato vivere una mezza giornata sul mobile, finché Alec non era tornato e aveva dato di matto. Aveva urlato più forte della musica classica che Magnus aveva acceso per rilassare se stesso e la piccola scimmia, che picchiettava a tempo.

Rafael, però, in quel momento aveva un’espressione totalmente diversa da quella spavalda del ricordo. Lasciava trapelare tutta la sua timidezza e Magnus vide che Maryse era già stata conquistata dal piccolo, come Isabelle, che gli aveva sorriso fin dal primo momento con gli occhi leggermente umidi.

Max decise, probabilmente stanco di quel silenzio, di interromperlo in grande stile. «Quello è mio fratello!»

Magnus ringraziò che blueberry esistesse. E sembrò pensarlo anche Rafael, che puntò gli occhi su Max con gratitudine.
Rafe non chiamava Max fratello, lo chiamava per nome, come faceva con loro. Una volta l’aveva definito “bebé”. Magnus non sapeva se Rafael li avrebbe mai considerati i suoi papà e non voleva sperarlo. Lasciava il tempo scorrere e prendeva quello che veniva. Nel frattempo gli dava i soprannomi più assurdi per vedere il bambino mugugnare in spagnolo.
Alec provava ad essere più distaccato, invece, non ci riusciva. Spesso si doveva correggere, quando gli stava per scappare “figlio” ed era stato lui a scegliere di accorciare il nome Rafael in Rafe, al posto che Rafa come sarebbe stato più corretto in spagnolo.

Alec si lasciò andare a uno di quei suoi - sempre meno rari- sorrisi, mentre gli altri ridevano divertiti.

«Benvenuto all’Istituto, io e quella fantastica rossa, vicino all’occhialuto, siamo i capi. Per qualsiasi problema con Alec o Magnus o con entrambi, vieni qui e ne parliamo davanti a una tazza di cioccolata calda. Forse preferisci della sangria?»

«Che buona la cioccolata» si lasciò scappare Rafael, pensando alla notte che Magnus gliel’aveva fatta arrivare da qualche parte con la magia. Jace gli fece l’occhiolino e Rafael provò a ricambiare, finendo per chiudere tutti e due gli occhi. Ci riprovò e non riuscì a chiuderlo solo uno.

«Pensi di dare dell’alcol a un bambino di soli cinque anni?» gridò Alec comparendo indignato affianco a Jace. Magnus si meravigliò di quanto fosse rapido il suo compagno, quando doveva rimproverare il proprio parabatai.

Rafe, invece, fu travolto dall’uragano Isabelle, che si trascinò dietro Simon e iniziò a fargli tanti complimenti e a dirgli di chiamarla tranquillamente “Zia Izzy”.
 **********

Alec si andò a sedere dopo il secondo cocktail e decise che avrebbe bevuto solo il succo che Clary aveva comprato per Max e Rafael. Il suo parabatai doveva aver lievemente esagerato con le dosi di alcol e si sentiva un po’ confuso.
Era confuso ma felice e quello non era merito del liquore. La sua famiglia sembrava accettare il piccolo Cacciatore. Se lo spupazzavano, se lo litigavano l’uno con l’altro. Gli facevano i complimenti e gli avevano fatto anche qualche regalo. Sembrava di essere tornati a una notte di tre anni prima all’Accademia.

Rafe era intimidito dai complimenti, dalla curiosità e dalle domande, ma non sembrava più terrorizzato. Si divertiva a far esplodere palloncini, sedendosi sopra.
Aveva visto Jace e Simon giocare con un palloncino di colore rosso ed era rimasto affascinato quando questo era esploso finendo contro il lampadario, così si era messo a giocarci a sua volta e poi a farli scoppiare.
Gli occhi di Max erano sbarrati dall’orrore che si stava consumando davanti a lui e mormorava: «Palluncini

Magnus stava in piedi con un bicchiere in mano e chiacchierava tranquillamente con Catarina che era arrivata da circa mezz’ora. Aveva ritardato al lavoro, perché era entrato un codice rosso e aveva voluto dare una mano, anche se era in piedi da quella mattina.
Era sempre molto scrupolosa, “maniacale” la definiva, invece, Magnus. Alec sapeva il profondo affetto che legava il suo compagno alla stregona e poteva vederlo anche in quel momento. Catarina stava provando a rifiutare un piatto stracolmo di cibo che Magnus gli aveva fatto apparire in mano.

Si sistemò meglio contro la sedia e lasciò vagare lo sguardo sulla stanza. Clary stava ringraziando il suo parabatai per le due nuove magliette che gli aveva portato. Era una loro tradizione da quando Simon aveva iniziato a girare il mondo con Izzy per il suo lavoro da Reclutatore.

Jace si era unito a Rafael nell’ardua missione di far esplodere tutti i palloncini e Izzy sembrava propensa a seguirli. Maryse distraeva Max a un passo dalle lacrime con un pupazzetto.

Mancava solamente una persona e lo stava guardando dall’altro capo della sala. Suo padre aveva accolto Rafael con un “Benvenuto, giovanotto” e un colpetto sul braccio sinistro. Gli aveva anche sorriso e Alec era quasi scoppiato a ridere per la faccia shockata del suo compagno. 

«Dimmi che tuo padre soffre di un disturbo bipolare» l’aveva implorato Magnus, dopo averlo trascinato in un angolo. «Come può terrorizzare noi e buona parte del Conclave con la sua aria da Console intransigente e poi essere così dolce, amorevole… persino simpatico con i bambini? Perché, non so, magari tu non te sei accorto, ma io sì… Rafael ha riso! Non ride mai alle mie battute.»

Alec era scoppiato a ridere e Magnus l’aveva rimproverato, con gli occhi stretti. «Alexander, qualcosa non torna… ma li sta rapendo?»

Alec si era girato a quelle parole e suo padre teneva Max sulle spalle. Rafe era davanti a loro, eccitato per qualcosa. Parlava fitto, fitto, ma non riusciva a sentire esattamente cosa stesse dicendo per il chiacchiericcio degli altri.
Come se li avesse sentiti, Robert si era voltato verso di loro e aveva detto che portava i bambini in giro per l’Istituto, perché sembrava che il mini tour non li avesse soddisfatti.

Alec aveva annuito e Magnus gli aveva bisbigliato: «Non ci posso credere.»

«Alexander.» La voce imperiosa di suo padre risuonò chiara nella stanza e lui annuì con un sospiro. Aveva aspettato quel momento da quando aveva deciso che avrebbe salvato Rafael.

Non aveva paura di suo padre. Anche se avesse tirato fuori chissà quale legge avrebbe comunque lottato per tenersi Rafe, perché quel bambino aveva bisogno di una casa, di un letto caldo, di una famiglia.
Forse solamente di essere davvero un bambino.
Non era nemmeno sicuro che fossero loro la giusta famiglia per lui, ma per il momento voleva che Rafael stesse con loro, per dargli la possibilità di scegliere chi voleva diventare senza costrizioni. Alec vedeva che Rafael era uno Shadowhunter, per come si muoveva, come controllava lo spazio intorno a sé, come reagiva ai piccoli rumori, come guardava le armi, ma poi gli osservava il volto e scrutava in quei due specchi scuri, che aveva come occhi, e capiva che c’era un bambino spaventato, denutrito, terrorizzato dalla vita e privo di fiducia, dietro a quella superficiale sicurezza.
Probabilmente aveva visto morire i suoi genitori e i suoi familiari, sicuramente aveva dovuto combattere ogni giorno per rimanere vivo tra le strade di una città caotica.

Era quello che l’aveva fermato dal chiamare il Conclave. La mia gente non vede al di là del sangue che abbiamo nelle vene, aveva detto a Magnus una notte.

Sapeva di dover avvertire i suoi superiori fin dal primo istante, ma aveva preferito chiamare Magnus. Gli aveva lasciato un messaggio in segreteria.
Come allora, anche in quel momento Magnus, che si era congedato da Catarina, si catapultò al suo fianco. «Ti avverto che Catarina è una nostra alleata e penso che tua sorella ci aiuterebbe, da come sta guardando preoccupata te e tuo padre. Il tuo parabatai, invece, scoppia palloncini insieme a Rafe incurante del pericolo che sta correndo… sei sicuro di aver fatto la scelta giusta nell’affidare la tua vita a lui?»

«Mai fatta una scelta migliore» rispose Alec, poi fece scivolare la sua mano destra in quella dello stregone. «No, in realtà ne ho fatte altre tre.»

I loro occhi si incontrarono e Magnus sorrise, capendo a chi si stava riferendo.

«Ti bacerei, ma stiamo per affrontare il Padrino e non vorrei che avesse qualche strana regola, per cui davanti ai figli… uhm…»

Alec aveva afferrato Magnus e l’aveva baciato di impulso. Aveva passato tutta la vita a compiacere i suoi genitori, a cercare il loro appoggio, ora pensava a se stesso. Voleva baciare Magnus, baciava Magnus. Voleva adottare un bambino, adottava un bambino, sempre che il suo compagno fosse d’accordo.
Magnus sembrava leggermente sbalordito, ma anche parecchio compiaciuto. «Massì, hai ragione. Diamo un'altra ragione al Padrino per sgridarci.»

«Non credo ci siano regole del genere e se ci sono, non m’importa.» Alec assentì intensificando il contatto tra le loro mani. «Andiamo.»

Magnus si mise a canticchiare la colonna sonora del Padrino con un filo di voce, facendo ridacchiare Alec, che cercò di rimanere serio siccome il padre li stava osservando. Era un pezzo di marmo in mezzo alla stanza, con le spalle massicce sotto la giacca elegante, le braccia incrociate, il volto neutro e la mascella rigida.
Ad Alec ricordò l’Angelo Raziel con i suoi occhi di pietra inespressiva. 

«Padre» mormorò quando arrivarono davanti a lui. Erano solo sedici passi in diagonale, li aveva contati, mentre li faceva, come se stesse per andare al patibolo.
Era strano quanto ancora gli interessasse il giudizio di suo padre, nonostante fosse sicuro di chi era e delle sue scelte.

Magnus tamburellò con un dito sull’anello con le lettere LB, ricordandogli che era accanto a lui. Alec lo guardò con la coda dell’occhio e gli fece un cenno.

«Siete diventati di nuovo genitori» pronunciò suo padre con voce poco espressiva.

«Si potrebbe più che altro dire che Alec abbia salvato un bambino dalla strada e mi abbia convinto ad adottarlo» disse Magnus, facendo un gesto della mano. «Sono troppo tenero e suo figlio troppo testardo.»

Alec lanciò un’occhiata al suo compagno, che sorrise in modo affascinante.

«È un Nephilim» disse Robert, come se l’avesse sentito, ma avesse ben altro da dire.

Alec sospirò. Ci siamo. Merda, ci siamo. «Papà, l’ho trovato da solo, denutrito, sporco, pallido. Ha gli incubi tutte le notti e so che è un Nephilim, ma ha bisogno di una famiglia. So che avrò violato almeno cinque leggi e qualche morale a me ignota, ma…»

«Veramente io volevo dire che non è uno stregone.» Robert parve lievemente imbarazzato e Alec lo guardò confuso, bloccato a metà nella sua arringa.

«Cosa vuoi dire con questo?»

«Volevo dire che Magnus non l’ha fatto con la magia.» La statua di marmo ora si muoveva come se avessero trovato il suo punto debole e la stessero scalpellando un po’ di qui e un po’ di là.  Aveva sciolto le braccia e gesticolava con gesti secchi, ma comunque più disinvolti. «Poteva rifarlo, cioè… ero stato moderno una volta, potevo esserlo di nuovo. Te lo dissi, Magnus, non è vero?»

Alec guardò confuso Magnus che si passò una mano sulla fronte e borbottò qualcosa di simile a: «Ho cercato ogni giorno di rimuovere quella conversazione.»

Ad alta voce invece disse: «Non tutti possono raggiungere un tale grado di comprensione della modernità. Lei è veramente un uomo avanti anni luce.»

Alec percepì distintamente il sarcasmo di Magnus, cosa che non fece suo padre che sembrava quasi compiaciuto. Guardò il proprio compagno, che gli lanciò un’evidente occhiata che stava a dire che ne avrebbero parlato a casa.

Suo padre comunque non sembrava ancora soddisfatto. «Non posso dire che tu ti sia comportato completamente in modo corretto, perché avresti dovuto avvertire gli Istituti del Sud America, per non dire il Conclave e forse potresti aver infranto qualche legge…» Fissò Alec, che pensò di ribattere, ma l’altro riprese. «… ma Rafael mi sembra un bravo bambino e si merita di averti…» Si corresse, guardando verso Magnus e facendogli un cenno. «Avervi trovati sul suo cammino.»

Alec non sapeva cosa dire e Magnus sembrava altrettanto taciturno.

Suo padre si schiarì la voce e rincrociò le braccia. «Mi è sempre piaciuta la lingua spagnola.»

Nessuno degli altri due sembrava voler parlare, quindi continuò. «Volevo fare il mio anno di studio in Spagna, ma ero nel Circolo…»

«Robert, vecchio mio» Jace comparve in quel momento, dando una pacca al padre adottivo. «Non ci vediamo mai e ho bisogno di due o tre dritte per una o due faccende della massima importanza.»

Alec ringraziò mentalmente il suo parabatai.

«Ci siamo visti la scorsa settimana» provò a dire suo padre, guardando il figlio adottivo, che non demorse e tornò alla carica. «Robert, non sai quante scartoffie si accumulano sulla mia scrivania e quante diatribe avvengono tra i Nascosti di questa caotica città. Anzi lo sai, ci sei passato anche tu. Necessito di una di quelle conversazioni serie da ex Capo dell’Istituto ad attuale Capo dell’Istituto, quelle dove il più anziano dona ogni perla di saggezza al suo successore, perché possa lavorare al meglio per secoli e secoli.»

Magnus guardava Jace, come se non l’avesse mai visto prima. Sembrava che avesse realizzato che l’esistenza del parabatai del suo compagno non fosse poi una cosa negativa.

Jace trascinò suo padre fuori dal salone, non prima di aver fatto l’occhialino ad Alec e Magnus e aver sillabato: «Mi aspetto i vostri ringraziamenti.»

«Tuo padre è bipolare, il tuo parabatai ci ha salvati e noi siamo ancora vivi» mormorò Magnus, togliendo la mano dalla stretta di Alec e iniziando a toccarsi qui e là, come se fosse un miracolo. «Ogni conversazione con tuo padre si rivela sempre più imbarazzante e più pericolosa, perché un giorno, quando meno ce lo aspetteremo, attaccherà di nuovo, come fa il leone che osserva la gazzella e attende paziente finché lei si rimette a mangiare la sua erba, poi quando lei è totalmente inconsapevole del pericolo, la attacca. Me lo sento, Alec. Quindi ti prego, andiamo a casa e gioiamo del fatto che siamo ancora vivi.»

Alec scoppiò in una risata e incrociò le braccia al petto. Poi abbassò lo sguardo e pensò che lo stesso gesto lo faceva sempre suo padre, quindi le lasciò ricadere al lato del corpo. «Ora capisco dove volevi arrivare.»

«Volevo esattamente arrivare a letto con te» bisbigliò Magnus che aveva smesso di toccarsi e lo guardava con un ghigno enigmatico. «Ebbene mi hai scoperto, piccolo Cacciatore.»

Prima che Alec potesse rispondere, Magnus fece un salto cacciando un urlo. Rafael gli aveva esploso un palloncino proprio dietro i suoi piedi e se la rideva, sdraiato sul pavimento.

Catarina aveva gli occhi che lacrimavano per le risate e tra gli sghignazzi mormorava: «Ho… ampliato… il… suono… perdonami…»

 Anche Max per la prima volta sembrò divertito dallo scoppio di un palloncino.

«Magnus, stai bene?» chiese Alec, preoccupato gettandosi a terra vicino al suo compagno.

«Alexander…» boccheggiò Magnus con una mano sul cuore. «Non ti avevo detto che dovevamo gioire delle nostre vite? Per favore andiamo a casa e gioiamo, perché ci sono due minacce: tuo padre e Rafael Santiago Lightwood.»
 
 


 
Sono una personaccia. Dovevo pubblicare ieri, ma l’ultima parte della OS non era pronta.
Vi ho fatto aspettare, perché volevo regalarvi qualcosa di un po’ brioso rispetto ai drammi degli scorsi frammentini, quindi ho dovuto creare qualcosa di nuovo rispetto a tanto materiale già pronto. In realtà dovete ringraziare la Mia Prima Lettrice (MPL) che mi ha ordinato di mostrarvi il mio lato divertente e non solo quello tragico.
Rafael è un personaggio complicato per tanti aspetti. Prima di tutto non sappiamo praticamente nulla di lui se non quello che c’è scritto in A long conversation e in A History of Notable Shadowhunters, il libro con i disegni della Jean. Gli piace la musica, soprattutto le ninna nanne spagnole; ballare e nascondersi.
Per me Rafe è… un enigma. Non so come sarà quello della Clare, ma il mio ricalca una persona vicina a me per certi aspetti e per altri ne ha molto di Jace. Come Max ricalca in parte me e in parte un’altra persona a me cara. Però Max ama i pirati e io non ne so niente, per cui mi sono messa a fare qualche piccola ricerca. Ricerche molto vaghe a causa dello studio. La canzone che canta Max è quella del cartone di Jake e i Pirati dell’Isola che Non C’è.
Prima di lasciarvi con un piccolo botta e risposta tra i due fratellini LB (Lightwood-Bane), vi dico che ci sono alcuni particolari che evidenzierò in altre OS.

 
Un piccolo extra
Max: Anch'io voglio salire sul mobile.
Rafe: *gli dà giusto un’occhiata* Sali.
Max: Ma io sono piccolo e non ce la faccio.
Rafe: Allora stai giù.
 
   
 
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