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Autore: Elissa_Bane    16/05/2016    0 recensioni
Dopo "We Might Fall" il seguito-nonseguito che vi avevo promesso.
Tutti i ricordi di William, Elaine, Joanne, Greg, Alyssa e Jaime. Le loro storie, spezzettate e in disordine così come le ricordano loro, i loro momenti più felici e quelli più tristi.
I momenti che li hanno resi chi sono e che li hanno portati a sacrificare i loro ricordi per una nuova vita.
I loro amori.
Le loro famiglie.
I loro amici.
I loro sacrifici.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The World Around Us'
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Nda: Perdonatemi il ritardo, davvero, ma ieri ero fuori casa. Mi faccio perdonare (spero) perchè questa non è una vera e propria One-Shot, ma sono quattro, che però sono collegate e vorrei che leggeste insieme.
xxx
-Lizzie

THE WASTED YEARS
25 giugno 1671
Arthur sospirò, raggiungendo la sorella sul letto che avrebbero condiviso quella notte, come ogni volta che si ritrovavano. O meglio, che lei ritrovava lui, perché Arthur non sapeva mai dove fosse l'altra, né cosa stesse facendo. Quante vite stesse strappando. Quanti respiri stesse mozzando. Quante emozioni stesse soffocando mentre diceva a sé stessa che andava tutto bene, che era normale non voler provare nulla.
«Mi sei mancato.» un'ammissione quasi stupida, per chiunque altro, ma che lo fece precipitare al fianco di Elaine, preoccupato e speranzoso, osservando quel viso innaturalmente giovane eppure così vecchio. Sua sorella non era bella in maniera normale, non rispettava assurdi canoni di bellezza, ma lo era come poteva esserlo un baco non ancora tramutatosi in farfalla intrappolato nell'ambra: era cristallizzata, rigida come una roccia eppure così facilmente distruttibile. Gli sarebbe bastata una parola, una sola e l'ambra si sarebbe spaccata, lasciando libero un bozzolo che sarebbe potuto aprirsi e dare vita a qualcosa di meraviglioso. E in quell'ammissione Arthur lesse un'incrinatura sull'ambra, e le circondò le spalle con il braccio.
«Cosa è successo, Ellie?»
«Ho ucciso un uomo, Arthur.» mormorò. «E non mi dire che lo faccio spesso. L'ho ucciso dopo...aver giaciuto con lui. Dopo aver usato ciò che mi hai insegnato. Mi sento sporca, Arthur. Mi sento quasi male.» l'Angelo dalle ali d'oro la abbracciò stretta, pensando che magari quello era il momento, che magari la farfalla nell'ambra era ancora viva, che non aveva aspettato anni senza vederla per nulla. Che non aveva buttato via centinaia di possibilità solo perché sperava che sua sorella tornasse.
«Ti -» cercò di dire, ma il momento era passato, l'Angelo nero si era già alzato in piedi, lo sguardo nuovamente insondabile, la postura rigida di quando combatteva nell'Arena.
«Devo andare. Arrivederci, fratello» lo salutò, dandogli un bacio delicato sull'angolo delle labbra, proprio sulla fossetta che da piccola diceva di amare. Poi volò via, senza che Arthur nemmeno potesse fermarla.
L'ambra si era spaccata e lui si rese conto di aver speso anni inutili a sperare nella nascita di qualcosa che era già morto.

 
THE WASTED YOUTH
1 luglio 1671
Elaine osservò la bambina posare la mano nell'acqua limpida del laghetto per poi ritrarla e schizzare il viso del fratello maggiore. Magnus rise, prendendola in braccio, per poi guardare l'Angelo. Si era ritrovata a Venezia per caso, ritornando dopo tanti anni nella città in cui era nata. Aveva fatto il suo lavoro, ucciso un mercante di spezie, e poi aveva deciso di fermarsi. Solo per un po', si era detta. E quel po' era diventato una settimana, poi due e poi un mese. Era stata assunta da una ricca famiglia come bambinaia per la piccola della casa, una delicata creaturina di nome Emma che rideva spesso e volentieri, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchi dove spiccavano due spazi vuoti, che rendevano il sorriso della bambina più birichino di quanto già non fosse.
In realtà quella della bambinaia era solo una facciata di copertura: i bisnonni di Magnus ed Emma erano stati amici dei suoi genitori, degli Angeli, e quando il ragazzo l'aveva riconosciuta grazie ai racconti che gli venivano sussurrati la sera prima dal padre, che a sua volta li aveva sentiti da suo padre, che l'aveva conosciuta quando era solo una bambina, l'aveva fermata, prendendola per un braccio. Elaine aveva subito riconosciuto gli occhi castani che erano gli stessi del nonno di Magnus, col quale lei da piccola giocava, prima che la sua casa venisse bruciata e la sua vita distrutta, e, per una volta, Ash era riuscita ad andarsene, mentre passeggiavano insieme. Da lì allo scoprire che Elaine non sapeva dove andare, almeno per un po', il passo era stato breve, e così l'Angelo si trovava ospite a casa di persone che le volevano davvero bene. A volte ricordava il viso deluso di Arthur quando se n'era andata, ancora, e si sentiva in colpa per averlo abbandonato di nuovo, ma poi scacciava il ricordo dal fratello dalla mente. Lui le accendeva qualcosa dentro e Elaine sapeva bene quanto tutto ciò fosse pericoloso. I sentimenti erano un pericolo. L'amore, soprattutto.
«Elaine!» urlò Emma ridendo e schizzando anche lei con l'acqua gelida del laghetto artificiale. L'Angelo sorrise e quando si rese conto che nel suo cuore delle emozioni stavano nascendo, soprattutto l'affetto per Emma e il fratello, sentì una pugnalata. Era in pericolo.
 
Quando Emma, quella sera, si addormentò, lei uscì in giardino e sedette sull'altalena. Come ogni sera, Magnus la raggiunse poco dopo.
«Sapevo che ti avrei trovata qui.» mormorò, ponendosi alle sue spalle e lasciando scivolare le mani tra le piume lucide delle ali di Elaine. «Oggi sembravi distante... avrei voluto venire lì e stringerti, mi sembravi così triste. Io non voglio che tu sia triste.» continuò, non accennando nemmeno ad usare il voi che avrebbe dovuto.
L'Angelo si voltò a guardarlo. Magnus era davvero un bel ragazzo, con spalle grandi e occhi buoni e un sorriso che faceva sciogliere tutte le ragazze come neve al sole. Nemmeno Elaine, che pure sapeva perfettamente controllare il suo cuore, ne era immune. Si sorrisero e per un istante svanì ogni cosa: le regole che aveva imparato a memoria all'Arena, le lotte, il sangue, gli uomini uccisi, gli amanti avuti, Ash. Per una volta era solo una ragazza su un'altalena, che sorrideva ad un bel ragazzo sotto le stelle. Si mossero insieme, o così le parve, e le labbra di Magnus si posarono sulle sue. Il suo primo bacio.
Quel fuoco che la mattina le era parso appena appena una scintilla divampò nel suo petto: lei non amava Magnus, ma sicuramente gli voleva bene e lo desiderava, più di quanto avesse mai voluto qualcun altro, uno qualsiasi di quegli uomini che non aveva mai voluto baciare. Le labbra del ragazzo erano morbide e delicate sulle sue, senza metterle fretta, senza pressione. Elaine lo baciò e le sue mani corsero alla vita dell'Angelo, stringendola a sé, come se non volesse più lasciarla andare.
Quando, più tardi quella notte, Elaine fece scivolare il suo pugnale tra le costole di Magnus, tentò di convincersi che stava facendo la cosa giusta, che non poteva permettersi debolezze.
Ma le lacrime le riempirono gli occhi ugualmente, bagnando le labbra ormai fredde del suo primo bacio.

 
THE PRETTY LIES
23 giugno 1671
Alcuin si rigirò tra le lenzuola candide, abbracciando il corpo caldo che riposava accanto al suo. Si prese il tempo per sorridere contro la pelle candida della ragazza, prima di decidersi a parlare.
«Come mai sei tornata?». Aveva un buon odore, di mandorle, quasi. O forse era miele. Aprì un occhio con circospezione, sentendo un'ala nera sfiorargli uno zigomo mentre Elaine si voltava a guardarlo.
«Ne avevo bisogno» rispose l'Angelo, mettendo un po' di distanza fra loro e fermandosi ad osservarlo, i capelli scarmigliati e gli occhi lucidi che lo facevano sembrare più bello di quanto già non fosse. «Non sono qui per dirti che voglio restare».
«Lo immaginavo» sospirò il Drago, ma c'era un sorriso a macchiargli il volto, mentre nascondeva il volto fra le piume di Elaine, respirando piano. «Quanto pensi di fermarti?».
«Due giorni ancora. Ho un incarico.»
«El» sospirò, attirandosela ancora più vicino, «Dovresti davvero smetterla, lo sai?».
Percepì perfettamente il momento in cui Elaine aveva iniziato a scivolare via, e sentì con un brivido sulla pelle la voce di Ash che lo ammoniva a pensare ai suoi affari.
 
Rimasero in silenzio, una a pensare che sarebbe già dovuta andare via da ore, che la missione la aspettava, l'altro a godersi quel momento in cui lei era lì.
Non era innamorato di lei, no, ma nemmeno le voleva semplicemente bene. Era una sensazione complicata, di quelle che ti prendono alla bocca dello stomaco ma che non riescono ad arrivare fino al cuore. Elaine non era quella giusta. Non era la compagna per lui, lo sapeva bene. Fin da quando era piccolo, suo padre gli raccontava della sua razza e ormai avrebbe potuto ripetere a memoria le sue parole: noi ci innamoriamo una volta sola. Una sola, Alcuin, in tutta la vita. Elaine non era la sua unica volta, evidentemente. Eppure amava anche lei. Aveva sempre fatto attenzione a distinguere tra l'essere innamorato e l'amare e ne era certo: la amava e probabilmente sarebbe stato sempre così. La voleva proteggere, assecondando l'idea che in fondo lui era stato la sua prima volta e un legame del genere non poteva essere spezzato. La voleva possedere con l'avidità del collezionista che vede un'opera d'arte dal valore inestimabile. E voleva che lei fosse felice, anche se questo significava doverla allontanare da sé.
Sospirarono insieme e lui si ritrovò a sorridere di quei suoi sorrisi storti che piacevano tanto alle ragazze, pensando che probabilmente avevano avuto la stessa idea.
Era ora che Elaine volasse via. Era rimasta anche troppo per i suoi standard, e Alcuin era certo che l'unica cosa che desiderasse in quel momento fosse premergli un cuscino sulla faccia e soffocarlo, perché gli voleva bene. 
«Non vedi Arthur da un po'... dovresti andare da lui, terminato l'incarico», le consigliò, alzandosi dal letto e fermandosi ad osservare l'Angelo, immobile nella sua candida nudità.
«Forse lo farò» rispose lei, seduta, raccogliendosi i capelli su una spalla e avvolgendo le ali intorno al corpo.
«Io devo uscire. Ci vediamo quando torno?»
«Certo» mentì Elaine. Alcuin sorrise di quella bugia, che era sempre la stessa, sempre la solita. Elaine prometteva sempre di rimanere, prima di andarsene.
Le diede un ultimo bacio delicato sulla spalla, prima di finire di vestirsi e uscire di casa per raggiungere William. Mentre camminava all'aria aperta ripensò a tutte le loro bugie, il letto caldo che quella sera sarebbe stato vuoto e freddo, quegli sguardi, i “certo” dell'Angelo e il suo far finta che gli andasse bene vederla ogni tanto, quando capitava. Meglio, quando lei lo decideva.
Pensò alle loro verità, al fatto che non potessero fare a meno di allontanarsi, alla certezza che prima o poi si sarebbero rivisti. Al fatto che lui la amasse davvero.
Forse la cosa che gli faceva più male era il sapere che lei non lo amava allo stesso modo e non se ne rendesse nemmeno conto.


 
THE UGLY TRUTH.
4 agosto 1671
Le piaceva la pioggia. Il modo in cui scivolava, precipitando dal cielo plumbeo e atterrando con un piccolo scoppio sulle superfici. Le piaceva il modo in cui colorava il mondo, in varie tonalità di grigio, cosicché i suoi vestiti risaltassero come il sole nel cielo notturno. Magari era vanitosa, ma sapeva di essere bella. La sua pelle era spruzzata di lievissime efelidi ramate come i suoi capelli e i suoi occhi erano del colore dei prati spruzzati di brina. Senza contare che la bellezza non era la sola cosa che possedeva. Aveva la Vista, era una Veggente, e ne era fiera. Il suo dono le era stato utile molte volte, nella sua già lunga vita, e in quel momento sorrise orgogliosa al suo riflesso nella vetrina di un caffè di Roma, vedendola passare. L'aveva trovata. Aveva trovato l'Angelo che per così tante notti aveva tormentato i suoi sogni.
La prima volta che l'aveva sognata aveva percepito solo una macchia grigia sfocata, che la notte successiva era sfumata in nero e argento, per poi prendere, nel corso di una settimana, la forma di un paio di ali. Nel giro di un mese, Ursula conosceva il volto della ragazza. In due, sapeva il suo nome e parte della sua storia. L'aveva vista combattere in una visione sul suo passato e l'aveva vista fare altrettanto in una visione sul suo futuro. L'aveva sentita piangere in silenzio mentre si sforzava di essere immune al suo stesso cuore. L'aveva vista sorridere a uomini, molti uomini, e l'aveva vista diventare seria poco prima di ucciderli. L'aveva vista lavarsi le mani macchiate di sangue. L'aveva vista raggiungere un altro Angelo dalle ali d'oro per proteggerlo, prima ancora che lui si rendesse conto del pericolo. Ma non l'aveva mai vista ridere.
Poi le sue visioni erano diventate più frequenti: non solo di notte, ma anche di giorno, mentre passeggiava, leggeva o scriveva. E qualcosa le diceva di andare da quella ragazza, di raggiungerla, perché avevano bisogno l'una dell'altra. Perché i loro destini erano intrecciati, qualsiasi punto del Tempo cercasse di scrutare. Erano legate in ogni momento, anche in quelli passati.
Catturò una ciocca umida di pioggia tra le dita e la riportò al sicuro sotto il cappellino celeste, poi si alzò e se ne andò sotto la pioggia. In chiesa, ad attendere il suo destino.
 
Quando la raggiunse scoprì che le sue visioni erano state accurate: l'Angelo era davvero maestoso e malinconico. Forse era la pioggia, che illuminava di buio la chiesa, forse era il fatto che fosse rimasta seduta lì dov'era, sulla cima del loggione, mentre lei entrava e si fermava a fissarla dal basso. Ursula inarcò un sopracciglio e poi rise.
«Avevo immaginato sarebbe stato molto più difficile trovarvi.»
La ragazza si scostò una ciocca di capelli neri dal volto e guardò verso la Veggente. «Non vi ho ancora uccisa perché mi piace il vostro cappellino.»
«Non mi avete ancora uccisa perché siete sorpresa che io sia venuta a parlarvi, Elaine Grimaldi.»
«Non è questo il mio nome.»
«È vero, perdonatemi. Adesso siete Emma Falchi. Prima eravate Julie Lambert. Prima ancora, Diana Eyehawk. Per giunta, adorabile scelta, quest'ultima. Credo che rispecchi perfettamente le vostre doti. Ma il vostro vero nome è Elaine Grimaldi, anche se dopo che vi hanno catturata avete dovuto assumere il cognome De Santis.»
Con un balzo, l'Angelo si lasciò cadere e atterrò di fronte a lei. «Ho tre domande, mia signora. Se non mi piaceranno le risposte, immagino sappiate che non avrete possibilità di cambiarle, perché sarete passata oltre.» asserì con un sorriso ironico che nascondeva bene la paura.
Ma prima ancora che la ragazza potesse porle le domande, Ursula le rispose. «So della vostra vicenda per via di chi sono. Il mio nome è Ursula Rabini e sono un'Immortale come voi. Una Veggente, per essere precisi.»
«Una Veggente...» Elaine parve assaporare quelle parole sulle labbra, prima di continuare. «E ditemi, cosa vi ha portato da me?»
«I nostri destini sono indissolubilmente legati, mia cara amica.»
«Credo che vi sbagliate. Il mio destino non è legato a quello di alcuno.»
«Siete voi in errore. Il vostro destino è legato a quello di molte persone. Io so già la nostra storia, Elaine, e so che vi dovete fidare di me.»
L'Angelo si stiracchiò le ali, sorridendo di nuovo, ma questa volta più gentilmente. «Io non mi fido mai di nessuno.»
«Di me vi fiderete, siatene certa.» disse, sedendosi sui gradini dell'altare.
«Perché dovrei farlo?»
«Perché io sono l'unica che vi dirà sempre la verità. Voi cercate di frenare i vostri sentimenti, e non posso impedirvelo, né ci proverò, ma fallirete. Amerete delle persone, ad altre vorrete bene, ma fallirete nel rimanere sola. Continuate solo a raccontare a voi stessa una bugia, pretendendo che non sia così. Certamente è una menzogna piacevole, ma persiste nella sua natura.»
«Voi resterete al mio fianco?» mormorò l'Angelo, sedendosi accanto alla Veggente.
«Elaine, io sarò sempre al tuo fianco. Qualunque cosa accada, nemmeno la morte riuscirà a separarci. Non è destino che tu oltrepassi il confine tra la vita e la morte da sola: quando sarà il momento, non temere. Tutti coloro che avrai amato ti staranno aspettando e sarò io a porti la mano, per essere insieme ancora una volta. Non lascerò mai il tuo fianco.»
La mano gelida dell'Angelo si strinse sulla sua e Ursula avvertì distintamente i fili del destino di entrambe intrecciarsi, i suoi fili rosa con quelli neri di Elaine, indistricabilmente, e ogni secondo che passava il legame era più stabile, più sicuro. La Veggente sorrise all'Angelo, che le sorrise di rimando. Poi, fece una cosa che Ursula non si sarebbe mai aspettata: rise. E la Veggente rise con lei, di felicità, perché da quel momento nessuna delle due sarebbe più stata sola.
 
  
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