Edward
Il
sole nell’immensa Chicago
splendeva alto nel cielo. Illuminava l’interno dei negozietti
per le vie, i
banchi di frutta e verdura, quelli di pesce e carne accostati ai
marciapiedi e
riscaldava i tetti spioventi delle case.
Ecco, proprio in una di quelle
abitazioni, viveva il sottoscritto.
Edward
Anthony Masen Junior.
A quei tempi ero un ragazzino, non
c’erano questioni tristi a tormentarmi, né tutti
quegli obblighi ei doveri
degli adulti, e mi godevo l’età
dell’innocenza e della spensieratezza. La mia
vita, per quel che ricordo –e che, oltretutto, ho tentato di
dimenticare-
poteva benissimo essere definita agiata. Mio padre, Edward
Senior, lavorava in una
piccola ma proficua casa editrice giornalistica.
Perciò,
eravamo sempre ben informati sulle ultime notizie
dall’Europa, grazie a lui.
Spesso
lo aiutavo a riordinare i numeri dei giornali a seconda delle datazioni
e mi
divertivo a sbirciare sulle prime pagine per sapere come andassero le
cose nei
luoghi così distanti da casa mia.
Accadde,
dieci giorni dopo il mio tredicesimo compleanno, che la mia attenzione
ricadesse su un titoletto scuro e in bella vista.
Era
il 30 giugno 1914.
L’articolo
recitava così:
28-
06- ’14: Uccisi l’erede al trono austriaco
Francesco
Ferdinando e sua moglie.
La cosa mi lasciò
perplesso, più
che sconvolto.
Tirai via il giornale dal resto
del mucchio e lessi attentamente. L’assassino era un
nazionalista serbo.
Non potevo neanche lontanamente
immaginare quello che avrebbe significato un atto del genere. Ero
troppo
giovane per prendere in considerazione una guerra e la mia mente
arrivava a
pensare che al massimo avrebbero condannato l’assassino.
-Hai trovato qualche articolo
interessante, Edward?- mio padre si era avvicinato poggiandomi una mano
sulla
spalla.
Mi ricordo bene di quel gesto…lo
faceva spesso; era il suo modo di dimostrarmi il suo affetto.
Non nascosi il giornale e lasciai
che anche lui leggesse. Voltai il capo per osservare la sua
espressione, perché
di colpo aveva sospirato e si era fatto scuro in viso.
-Brutto affare…questo gesto
potrebbe scaturire terribili conseguenze-.
Il volto era segnato da leggere
rughe d’espressione che, soprattutto, si notavano in modo
più vivido sulla
fronte corrucciata. Papà era ancora molto giovane, aveva
solamente trentasette
anni, come sua moglie.
La mia splendida madre, Elizabeth.
Dentro di me la curiosità si
accese come un fuoco d’artificio, così chiesi
–Che terribili conseguenze?-, ma
l’uomo mi sorrise in modo strano, come per rassicurarmi, e
disse in fretta
cercando di sviare il discorso –Niente figliolo. Non credo
che ci riguarderanno
mai direttamente-.
Restai in silenzio a fissarlo,
ripetendomi che aveva ragione. Niente avrebbe mai sconvolto la pace che
c’era
in America.
-Edward!
Aspettami!-.
Quando
sentii quella voce
chiamarmi, mi voltai subito.
Marianne
era costretta a correre per raggiungermi, con la gonna lunga che le
finiva
sotto i piedi sporcandosi di fango e polvere, i capelli biondo cenere
legati in
due treccie che arrivavano fino alle spalle e dondolavano
freneticamente a
causa del movimento.
Mi
ero fermato ad aspettarla
trattenendo un leggero sorriso. Quella ragazza era la mia migliore
amica.
Fece
due ultimi passi agili e mi
si fermò di fronte con lo sguardo serio e
l’espressione del piccolo e delicato
viso ovale tesa in una smorfia d’irritazione.
-Grazie
di esserti fermato- mi
lanciò un’occhiataccia e storse le piccole labbra
sottili.
Non
riuscii a resistere oltre,
scoppiai a ridere fragorosamente e la presi per mano senza crearmi
problemi –Di
niente-. Le sorrisi nel modo migliore e notai un leggero rossore
comparire
sulle sue guance.
Non
diedi molta attenzione alla
cosa e chiesi –Perchè mi stavi seguendo?-.
Rivolse
di nuovo i suoi occhi
azzurri a me e, ignorando completamente la mia domanda, rispose
–Non hai
sentito le ultime notizie?-.
Aggrottai
la fronte colto di
sorpresa. Mio padre non aveva ancora portato uno dei giornali a casa,
quindi
non potevo sapere cosa si stesse smovendo in Europa. Le ultime
novità di cui
ero venuto a conoscenza, erano che i due schieramenti, quello detto
degli
“Imperi Centrali” e la “Triplice
Intesa”, stavano continuando instancabilmente
la guerra.
Intese
il mio silenzio come un
“no” e disse in tono allarmato, con la voce
più alta di qualche ottava -I
tedeschi hanno colpito il transatlantico Lusitania, c’erano
più di centoventi
nostri connazionali a bordo-
Era
così afflitta che quasi mi
fece venire il dubbio che tra le vittime ci fosse qualcuno dei suoi
parenti.
Non
seppi subito cosa dire, così
rimasi in silenzio, mettendo insieme i pezzi e arrivando
all’unica conclusione possibile.
Le
terribili conseguenze avevano
coinvolto noi americani.
Fu
nel 1917, dopo la battaglia
navale dello Yutland, che gli U.S.A entrarono in guerra a fianco
dell’Intesa.
Ed
io avevo sedici anni.
Quella
stessa sera, dopo che ebbi
riaccompagnato Marianne a casa com’era mio solito fare,
tornai dai miei e
subito percepii un cambiamento nell’aria.
Varcai
la porta d’ingresso e
annunciai –Sono a casa…-, sentendo arrivare mia
madre dal piano di sopra di
corsa.
La
vidi venirmi incontro dal
corridoio e prima ancora di capire cosa stesse accadendo, mi strinse a
se.
Il
gesto mi mise in allerta. Per
quale motivo sembrava così tesa?
Le
accarezzai la schiena e la
scostai delicatamente. Mi arrivava alle spalle, e mi somigliava
tremendamente,
ma forse, dovrei dire che ero io a
somigliare a lei.
-Che
succede…?- stavo per
chiedere, ma lei mi zittì posando un dito sulle mie labbra e
parlò con la sua
voce dolce, bassa e sensuale –Ne parliamo a tavola tesoro,
è quasi ora di cena,
va a lavarti le mani intanto. Tuo padre è già in
salotto-.
Sospirai
e feci come mi disse.
Restai
per qualche minuto buono
con l’acqua fredda a scorrermi tra le dita, a scivolare sulla
pelle,
preparandomi ad affrontare qualsiasi tipo di discorso che,
già me l’aspettavo,
non doveva essere piacevole.
Ridiscesi
le scale lentamente,
tentando di dilungare l’attesa. Provavo una certa ansia, come
un sesto senso.
Varcai
la soia della stanza e
trovai papà a capotavola, coi gomiti poggiati alla
superficie del tavolo di
ciliegio, le mani congiunte come in segno di preghiera e la fronte
poggiata ad
esse.
Si
poteva notare perfettamente
l’espressione concentrata, l’attenzione che la
mente riversava su qualcosa,
facendolo estraniare da quello che lo circondava. Non si accorse di
fino a
quando non scostai la sedia dal lato sinistro e non mi accomodai in
silenzio.
Volse
i suoi occhi color nocciola
su di me e disse –Sono brutti tempi, Edward-.
Annuii,
ma dalle labbra non uscì
una sola parola. Quasi non respiravo. Mia madre comparì
dalla cucina, portando
rapida il cibo in tavola e accomodandosi.
Doveva
proprio essere un argomento
importante, se ci trovavamo tutti e tre riuniti con così
tanta urgenza.
I
due si guardarono, e lei tese
una delle sue mani piccole e diafane per sfiorare quelle di lui, che si
fece
forza e stringendola, parlò –Edward, figliolo,
sicuramente sei venuto a sapere
del fatto che la nostra nazione è entrata in guerra-.
Mi
sembrava sciocco non aprire
ancora bocca, così parlai –Sì, Marianne
mi ha accennato qualcosa-.
Nessuno
dei due parlò, allora, ed
io non compresi subito, arrivando a fare supposizioni errate. Iniziai a
parlare
nervosamente, alterato come non mai –Forse ho capito. Cercano
uomini per le
truppe, giusto? Papà, non voglio che tu vada in guerra.
Abbiamo bisogno di te,
qui. E’ vero, sei ancora giovane…ma
c’è così tanta gente che…-.
Cessai
di parlare di colpo.
I
miei genitori si lanciarono
sguardi eloquenti, poi fu il turno di mia madre di parlare,
interrompendo il
mio discorso infervorato –Tesoro, l’esercito sta
chiamando a combattere i
giovani, questo sì...ma non dell’età di
tuo padre-.
Mi
ammutolii deglutendo e
guardandoli entrambi ansioso di sentire il resto, visto che a quanto
pareva
avevo fatto un buco nell’acqua.
La
donna fece il gesto solito
–quand’era nervosa- di scostare una ciocca fluida e
mossa dei capelli ramati e
m’inchiodò coi suoi occhi color smeraldo,
più accesi dei miei -Sei vicino
all’età per arruolarti…-.
E
quegli occhi stavano diventando
umidi, mentre la voce si spezzava nella tristezza.
-Ma
ho sedici anni, mamma. E
questa guerra dura da tempo ormai. Finirà prima che io
arrivi ai diciotto, ne
sono certo- cercavo di rassicurarla, ma io per primo non ero convinto
di quel
che stavo affermando.
Il tempo
passò rapido, quasi come
se mi stesse deridendo e non attendesse altro che di vedermi finire su
un aereo
della milizia o nelle trincee.
Ero
arrivato al compimento dei
miei diciassette anni e la fine della quiete nella mia vita sembrava
vivida e
sicura.
Credevo
davvero che sarei morto da
soldato, ma il destino riserva strade infinite per ognuno di noi, e
quella non
era la fine che spettava a me.
Un
pomeriggio, mi recai a casa di
Marianne e la aspettai impaziente. Avevo bisogno di tenermi impegnato,
e la
ragazza era una compagnia squisita. Sapeva come farmi ridere, come
farmi
interessare anche all’argomento più banale e amava
inventare indovinelli da
propormi. Solitamente li risolvevo in pochissimo tempo causando le sue
smorfie
buffe, quelle che solcavano il suo viso grazioso quando fingeva di
essersi
offesa.
Quando
uscì dal piccolo giardino
che circondava l’abitazione, mi regalò un sorriso
raggiante.
Mi
strinse la mano senza chiedere
il permesso sapendo che, se non lo avesse fatto lei, sarei stato io a
compiere
il gesto.
Iniziammo
a passeggiare fino a che
non arrivammo al parco assolato a pochi isolati di distanza.
Il
cielo era coperto da soffici
nuvole candide, ed il calore del sole giungeva ovunque, tranne che
sotto le
fronde delle querce.
Ad
un certo punto, lei si stancò,
così decisi di trascinarla sull’erba soffice
illuminata dai raggi splendenti.
Io
mi distesi in modo da poter
ammirare l’azzurro del cielo, mentre Marianne, seduta al mio
fianco, si teneva
stretta alle gambe, col mento poggiato sulle ginocchia.
La
fissai ammirando lo scintillio
dorato dei suoi capelli sciolti e lisci.
Era
molto bella, devo ammetterlo
tutt’ora.
Quando
si accorse del mio sguardo
puntato su di lei, sorrise serena, facendo comparire due fossette rosee
sul
viso, ma d’improvviso si spense e notai lo scintillio delle
lacrime già pronte
a sgorgare dai suoi occhi chiari.
Mi
tirai di scatto sui gomiti e la
fissai preoccupato –Ehi…cosa
c’è che non va?-. Odiavo vedere la tristezza negli
altri, e ancora di più odiavo il fatto di non poter sapere
perché lo fossero.
-Lo spero anch’io…ma se dovesse
accadere il contrario, e tu dovessi andare, promettimi che tornerai da
me-.
Era
arrossita nel dirlo, ma non si
era tirata indietro. Era troppo decisa per trattenersi dal dire
qualsiasi cosa.
Aveva espresso in modo così diretto i suoi sentimenti per
me, che mi lasciò
perplesso, inizialmente; ma poi mi avvicinai a lei e le dissi tenendo
il volto
tra le mani –Te lo prometto, Marianne-.
Ma stavo sbagliando, un’altra
volta.
Nel 1918, la guerra aveva
acquisito sfumature diverse. Per prima cosa, la Russia si era ritirata
dal
conflitto esterno a causa di problemi che portarono poi alla
Rivoluzione
Sovietica -questo
già dall’anno
precedente- e, per seconda, una delle mie previsioni stava per
rivelarsi
esatta.
Tutto avrebbe avuto termine.
Anche la mia vita umana.
Da
qualche tempo infatti, una
strana epidemia si stava espandendo, anche a Chicago. La spagnola.
I
sintomi erano identici a quelli
di una qualsiasi influenza, solo più forti.
Si
poteva morire.
E,
come mi aspettavo, il tempo era
trascorso davvero
più velocemente solo per vedermi perire.
Venni
contagiato, come mia madre,
e mio padre, e ci ritrovammo tutti in quarantena. Di Marianne persi le
tracce.
Assieme
a noi, centinaia di
persone, tra cui molte donne e bambini. I meno resistenti.
I
miei ricordi di quel periodo
sono confusi, ma se c’è qualcosa che la mia
memoria non potrà mai cancellare,
fu l’espressione di mia madre, nel piccolo e scomodo letto
accanto al mio.
Vi
leggevo il dolore, la
sofferenza ma, ancor di più, l’ansia ogni volta
che i suoi occhi si fermavano
ad osservare me.
Non
le importava di abbandonarmi
per sempre, purché io vivessi. Spesso infatti, aveva
addirittura tentato di
alzarsi e sedermisi accanto per assistermi.
Mio
padre invece era stato
trasportato da qualche parte distante da me e lei, così non
potevo sapere se
fosse in fase di guarigione o meno. Non avrei mai potuto sapere se era
vivo o morto.
Per
quanto riguardava me, ero ogni
giorno più debole, e questo solo agli inizi. La mia salute
peggiorò man mano
più velocemente.
Ore,
minuti, secondi.
Sentivo
le forza abbandonarmi,
rendendo le mie membra pesanti, il freddo sempre più intenso
pur sapendo che la
mia temperatura superava i quarantadue gradi e che
l’organismo, prima o poi,
avrebbe ceduto.
E
poi, una sera, alle prime ore
del crepuscolo, mentre cercavo stancamente di udire i suoni confusi
intorno a
me e di riconoscere le figure umane che mi circondavano, soprattutto
quella di
mia madre, arrivò un medico che avevo iniziato a notare
frequentemente intorno
al suo capezzale ed al mio.
Non
ero a conoscenza del nome
dell’uomo, ma gli ero grato, perché sembrava molto
interessato alla nostra
salute.
Avevo
perso la cognizione del
tempo, e vivo in uno stato di vuoto, di buio e silenzio. La mia mente
si
chiedeva se non fossi già morto, senza rendermene conto.
Sentii
delle voci, vicinissime, e mi
parve di riconoscere quella fievole di mia madre.
-Salvalo!-
sì. Era la sua
splendida voce.
E
qualcun altro rispose. Immaginai
che fosse il medico sconosciuto e premuroso, col tono pacato, gentile
–Farò il
possibile-.
Mi
sentivo svenire, ma ero
intenzionato ad ascoltare, così cercai di concentrarmi. Solo
un flebile
sussurro arrivò dalle labbra di lei
–Devi…devi fare tutto ciò che puoi.
Ciò che
agli altri non è consentito, ecco cosa devi fare per il mio
Edward-.
Mi
spaventai. Per quale motivo
quella donna che amavo e rispettavo profondamente parlava a quel modo?
Era la
spagnola? La malattia a farla farneticare?
Non
potei mai saperlo.
Solo
più in là avrei scoperto che
morì un’ora dopo aver pronunciato quelle parole.
Ma
non era finita, per me.
Sarei
certamente morto, due ore,
massimo, dopo Elizabeth.
Già
mi preparavo a raggiungerla in
paradiso, perché non riuscivo a pensare che quella donna si
sarebbe meritata le
sofferenze dell’inferno.
Qualcuno
mi trasportò di peso
fuori dal letto, tenendomi senza difficoltà, come se non
pesassi niente.
Non
riuscii a capire. Mi
abbandonai all’oblio di quell’attimo che credei
l’ultimo.
Aria.
Aria intorno a me, e freddo.
Non mi trovavo più al chiuso,
stavo volando.
Aria.
Mi colpiva il volto con delle
sferzate.
Aria.
E
poi, di nuovo, la stabilità su
una superficie piana.
Avvertii
il
contatto gelido di qualcosa contro la carne del mio collo e di colpo,
il
dolore.
Ma quella
prima sofferenza fu
niente, paragonato a ciò che seguì.
Fuoco,
fuoco liquido in tutto il
corpo.
E
lo straziante silenzio di un
cuore. Del mio cuore.
Una
morte fasulla, bugiarda, meschina.
Sarei
rimasto a camminare su
questo mondo, mentre le persone che amavo mi avevano lasciato.
Per sempre.
Aprii
gli occhi non so dopo
quanto, ma ciò che vidi mi spaventò.
Io vedevo ogni cosa.
La polvere nell’aria, i granelli
invisibili ad occhio umano sul pavimento, le ragnatele agli angoli del
soffitto…
Feci il gesto di alzarmi in piedi,
ma l’azione venne fatta ancor prima di decidere di compierla
davvero.
Non ci volle che un secondo, per
ritrovarmi in piedi.
Restai esterrefatto, bloccato
dall’incredulità, e dal terrore. Cosa mi stava
accadendo?
E’ passata, finalmente. Ben
svegliato, Edward.
Scattai
indietro con la stessa rapidità con cui mi ero alzato e mi
ritrovai ad osservare
il volto di un uomo terribilmente bello.
Sembrava un angelo di quei
dipinti
che si vedevano solo sui quadri o sulle cupole delle chiese.
Ma non mi fidavo. Qualcosa mi
diceva di restare a distanza di sicurezza.
L’individuo sembrò studiarmi
attentamente, dandomi l’impressione che fosse incredulo per
un qualche motivo.
Aveva parlato, perché non lo rifaceva?
Sarà
difficile spiegarti,
figliolo, ma tenterò.
Sgranai
gli occhi e smisi di respirare.
Quell’uomo non aveva mosso le sue
labbra, era rimasto –apparentemente- in silenzio. Finalmente,
il mio
comportamento destò la sua confusione, così
disse, con una voce terribilmente
pacata…la stessa del medico con cui mia madre aveva
faticosamente dialogato –So
che in questo momento ti sentirai confuso, spaesato…ma non
devi temere. Ti
resterò accanto e ti insegnerò a convivere con
ciò che sei diventato-.
Sussultai soffermandomi su
un'unica parte di quel breve discorso.
Ciò che ero diventato.
Tremai.
Cosa
mi era accaduto? Chi ero io? Cosa
ero?
L’uomo mi si avvicinò, e di nuovo
fui travolto da parole. Miriadi di parole che non provenivano da
nessuno.
Nessuno in quella stanza, almeno.
E poi, c’era la voce
dell’individuo gentile ed enigmatico.
…C’è
qualcosa di diverso in
lui…
…Così
concentrato…
…Cosa sta ascoltando?
…Edward?
Scossi il
capo
e mi tappai scioccamente le orecchie, gridando –Via! Andate
via dalla mia
testa!-. Ma il frastuono restava lì, ronzava fastidiosamente
e ogni tanto si
accentuava.
Suoni
e
immagini che mi passavano davanti agli occhi come una diapositiva. Devo
essere
sincero, in un primo periodo ebbi paura di quel potere extra,
perché non
riuscivo a controllarlo.
Mi
tormentava
giorno e notte. Le gioie, le paure, i rancori delle persone e le scene
ricollegate a quei sentimenti. Le cause dei loro sbalzi
d’umore.
Era
l’inferno.
Ma
comunque,
torniamo a quell’istante di un secolo fa.
L’essere
si
tese e mi strinse le spalle in una stretta forte, decisa, iniziando a
chiedermi
cosa avessi, che problema ci fosse.
-Le
voci!
Tutte queste voci nella mia testa…- era straziante non
riuscire a far cessare
quel frastuono.
-Edward,
calmati e dammi ascolto. Rilassati,
figliolo…passerà- e lui che cercava di
darmi una mano! Lui, che era arrivato ad una semplice ipotesi!
…Una
capacità in più…
Con
tutte le
mie forze, mi decisi a togliere le mani da sopra le orecchie, capendo
che era
un gesto sciocco, privo di utilità, e guardai il mio
compagno.
-Cosa mi hai
fatto?-. La voce mi tremava. Avevo paura, di sentire la risposta.
Lui sospirò e
lasciando la presa si voltò dandomi le spalle e lo vidi
contemplare davanti ad
un lungo specchio sul quale il proprio riflesso ed il mio mostravano
dettagli
che ci rendevano simili.
Sgranai gli
occhi e ammirai quasi con incredulità la figura dietro a
quella dell’uomo. Era
un giovane che mi somigliava, ma i capelli avevano riflessi
più accesi, la
pelle era diafana, il corpo più robusto e, per
finire…
Lo sguardo.
Dov’erano finiti i grandi smeraldi ereditati da mia madre? Il
verde acceso,
simile all’erba illuminata dal sole? Quello sguardo color
vinaccia…era tetro,
inquietante, e apparteneva a me.
Crollai a
terra, poggiando il peso sui ginocchi e iniziai a singhiozzare, ma di
lacrime
da far sgorgare, nemmeno l’ombra.
-Ti ho…reso
immortale, Edward.
Perdonami se puoi, ma era l’unico modo per salvarti. Il mio
nome è Carlisle, e
come ho già detto, giuro che avrò cura di te. Ti
farò tornare ad avere una vita
normale, seppur con qualche restrizione-.
Carlisle parlò con un tono
comprensivo, protettivo…avrei potuto dire paterno.
Alzai gli occhi per osservarne il
volto e capii che quello era l’inizio di un qualcosa molto
peggiore della morte
stessa.
Sei
diventato un vampiro,
figliolo…
Sì.
Quel suo
pensiero flebile, appena accennato, mi colpì come una
frustata…e tutto poco a
poco diventò più chiaro.
Non
mi restava
niente. I miei genitori, la mia vita umana, Marianne. E la promessa che
le feci
svanì con tutto il resto.
Inizialmente
io e Carlisle ci
spacciavamo per fratelli. Essendo in due e molto giovani, potevamo
benissimo
ingannare gli umani con la quale entravamo in contatto.
Lui
continuava a lavorare come
medico, ed ogni tanto mi ero chiesto per quale motivo si ostinasse a
trattenere
i resti di un’esistenza passata.
L’amore,
la compassione.
Così
mi rispondeva attraverso i
pensieri, ed io non osavo ribattere alle sue teorie, alle sue idee
rivoluzionare e pure.
La
pietà per quelle che dovevano
essere vittime…non ne capivo il senso, e per un tempo, avrei
passato la mia
fase di ribellione, ma questa è un’altra
storia…
Dopo
un breve periodo che seguì
alla mia trasformazione, Carlisle “creò”
un’altra vampira, Esme. Quella donna
diventò una specie di madre e poi, si definì
tale, sposando colui che mi aveva
strappato dalle braccia della morte.
Non
eravamo più due fratelli, io
ed il mio compagno di viaggio. Il mio creatore.
Ma
bensì un piccolo nucleo
familiare, ed io ero loro figlio.
Le
cose si potere definire
migliori.
Adoravo
quei due vampiri e provavo
dell’affetto sincero, sapendo che non potevo contare su
nessuno al di fuori di
loro.
Esme
a quei tempi non lavorava. La
condizione delle donne era ancora sottovalutata. Se ne restavano in
casa a
badare ai figli, quelle umane, almeno…per quanto riguarda
me, mi dedicai
interamente agli studi, conquistandomi una delle prime lauree in
medicina.
…Ma
il tempo passa per i comuni
mortali, così eravamo sempre costretti a trasferirci di
luogo in luogo,
cercando posti abbastanza freddi ed umidi, dove il sole compariva poco
o
niente.
La
tappa migliore di tutte fu
Forks, una cittadina dello stato di Washington dove la definizione di
bel tempo
era sconosciuta agli uomini che la popolavano.
Ma
una volta giunti fin lì, il
nostro piccolo e intimo clan si era allargato, aggiungendo un altro
membro alla
famiglia:
Rosalie,
di una bellezza
indescrivibile, ma col carattere più acido che avessi mai
visto.
-Togliti
da quello sgabello e
lasciami il pianoforte, Edward Cullen-.
Sì,
mi odiava, e tutt’ora so che
non riesce a sopportarmi.
Alzai
gli occhi al cielo e cessai
di far scivolare le dita sullo strumento musicale. Lei si era
avvicinata, coi
capelli biondi e fluenti che ricadevano in tante morbide ciocche sulle
spalle,
le labbra carnose storte in una posizione di fastidio e gli occhi
ambrati che
mi fissavano tetri.
Mi
faceva senso osservarla.
In
quei piccoli dettagli, rivedevo
Marianne, ed ogni volta era una sofferenza dover ricacciare indietro il
ricordo
sfocato di quel piccolo viso perfetto e di quei grandi occhi azzurri.
-Avevamo
stabilito che avendolo
comprato con i miei soldi, la precedenza mi spettasse, Rose-. Era
così
divertente chiamarla a quel modo sapendo di non avere il suo permesso.
Sibilò
e mi si accomodò accanto
scocciata.
-Allora
suoniamo insieme, ma sappi
che sceglierò pezzi molto difficili per te-. Scosse
il capo in un gesto
terribilmente umano e l’oro dei capelli brillò.
Feci una
smorfia alla sua affermazione e capii che era una sfida.
…Se soltanto lei potesse
essere
una buona compagna per te…
Carlisle
l’aveva salvata non per un semplice fatto di
pietà, ma per tentare di farmi sentire
meno solo.
Una compagna.
Mi voleva
sistemato al più presto, ma Rosalie non era davvero la
persona con cui avrei
potuto convivere facilmente.
Troppo presa da se stessa.
L’amore per me era un punto
interrogativo. Attesi pazientemente, contando i giorni, i mesi, gli
anni…
Tempo. Un tempo
infinito in cui la ricerca scemò e mi ritrovai
senza più pensarci.
Stare da solo, alla fine, non
sembrava neanche così terribile.
E solamente molto, molto
più tardi, mi sarei sentito finalmente vivo grazie
all’amore di una
fragile ragazza umana…
[RISULTATO CONTEST E GIUDIZI]
Quarta classificata: Sammy Cullen con "Lo straziante silenzio di un cuore"
CallieAM:
Livello ortografico: grammatica sintassi 8/10
Lessico e stile 8/10
Originalità 7.5/10
Trama 7.5/10
Personaggi IC 4.5/5
Gradimento personale 4/5
Punti bonus: 0.5/1.25
Giudizio: Sicuramente una fan fiction molto sentita, ma ho notato una mancanza di approfondimenti. Certo, hai trattato i tre momenti fondamentali richiesti nel bando cioè il pre, il post e il durante la trasformazione ma non hai approfondito per bene nessuno dei tre punti e questo ti ha un po’ penalizzata a mio avviso. I personaggi sono abbastanza IC, Edward è molto introspettivo e non interagisce molto con gli altri personaggi per cui non posso dire se Rosalie, Esme e Carlisle siano completamente IC. Il livello grammaticale e sintattico ha risentito di piccole sviste ortografiche e alcune frasi, probabilmente non ricontrollate appieno, non avevano senso o non suonavano perfettamente nel contesto. L’originalità è stata un punto in tuo favore cioè parlare di Edward adolescente e del suo primo amore secondo me ti ha favorita solo che, la mancanza di approfondimenti, anche qui è stata penalizzante ai fini di un punteggio superiore. In sintesi è una bella storia che andrebbe approfondita di più.
Comunque complimenti^^
39.5 punti + 0.5 punti bonus = 40
SlytherinPrincess:
Livello ortografico: grammatica: (4) sintassi(4.5)
Lessico e stile (6.5)
Originalità (7.5)
Trama (5.5)
Personaggi IC (5)
Gradimento personale (4)
Punti bonus: 0.50/1.25
Giudizio: la storia non è male ti ha penalizzato molto la grammatica e non hai sviluppato appieno i vari momenti, non eri costretta a svilupparli tutti potevi sceglierne uno e focalizzarti su quello la storia mi è piaciuta anche per i riferimenti storici, ti do un consiglio la prossima volta vedi una beta per gli errori, che penso siano tutte sviste.
37.5 punti + 0.5 punti bonus = 38
Somma dei due giudizi 40 + 38 = 78