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Autore: Willow Whisper    10/04/2009    2 recensioni
[Quarta Classificata al Contest "After the trasform" indetto da CallieAM e SlytherinPrincess]
Quando la vita ci sembra perfetta, vuol dire che è arrivato il momento di vederla cadere in pezzi.
Edward Anthony Masen scopre questa verità con la tristezza nel cuore...lo stesso cuore che smetterà di battere.
"Il sole nell’immensa Chicago splendeva alto nel cielo. Illuminava l’interno dei negozietti per le vie, i banchi di frutta e verdura, quelli di pesce e carne accostati ai marciapiedi e riscaldava i tetti spioventi delle case. Ecco, proprio in una di quelle abitazioni, viveva il sottoscritto. Edward Anthony Masen Junior..."
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Questioni di famiglia♥'
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lo straziante silenzio di un cuore


Edward

Il sole nell’immensa Chicago splendeva alto nel cielo. Illuminava l’interno dei negozietti per le vie, i banchi di frutta e verdura, quelli di pesce e carne accostati ai marciapiedi e riscaldava i tetti spioventi delle case.
Ecco, proprio in una di quelle abitazioni, viveva il sottoscritto.
Edward Anthony Masen Junior.
A quei tempi ero un ragazzino, non c’erano questioni tristi a tormentarmi, né tutti quegli obblighi ei doveri degli adulti, e mi godevo l’età dell’innocenza e della spensieratezza. La mia vita, per quel che ricordo –e che, oltretutto, ho tentato di dimenticare- poteva benissimo essere definita agiata. Mio padre,
Edward Senior, lavorava in una piccola ma proficua casa editrice giornalistica.
Perciò, eravamo sempre ben informati sulle ultime notizie dall’Europa, grazie a lui.
Spesso lo aiutavo a riordinare i numeri dei giornali a seconda delle datazioni e mi divertivo a sbirciare sulle prime pagine per sapere come andassero le cose nei luoghi così distanti da casa mia.
Accadde, dieci giorni dopo il mio tredicesimo compleanno, che la mia attenzione ricadesse su un titoletto scuro e in bella vista.
Era il 30 giugno 1914.
L’articolo recitava così:

28- 06- ’14: Uccisi l’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando e sua moglie.

La cosa mi lasciò perplesso, più che sconvolto.
Tirai via il giornale dal resto del mucchio e lessi attentamente. L’assassino era un nazionalista serbo.
Non potevo neanche lontanamente immaginare quello che avrebbe significato un atto del genere. Ero troppo giovane per prendere in considerazione una guerra e la mia mente arrivava a pensare che al massimo avrebbero condannato l’assassino.
-Hai trovato qualche articolo interessante, Edward?- mio padre si era avvicinato poggiandomi una mano sulla spalla.
Mi ricordo bene di quel gesto…lo faceva spesso; era il suo modo di dimostrarmi il suo affetto.
Non nascosi il giornale e lasciai che anche lui leggesse. Voltai il capo per osservare la sua espressione, perché di colpo aveva sospirato e si era fatto scuro in viso.
-Brutto affare…questo gesto potrebbe scaturire terribili conseguenze-.
Il volto era segnato da leggere rughe d’espressione che, soprattutto, si notavano in modo più vivido sulla fronte corrucciata. Papà era ancora molto giovane, aveva solamente trentasette anni, come sua moglie.
La mia splendida madre, Elizabeth.
Dentro di me la curiosità si accese come un fuoco d’artificio, così chiesi –Che terribili conseguenze?-, ma l’uomo mi sorrise in modo strano, come per rassicurarmi, e disse in fretta cercando di sviare il discorso –Niente figliolo. Non credo che ci riguarderanno mai direttamente-.
Restai in silenzio a fissarlo, ripetendomi che aveva ragione. Niente avrebbe mai sconvolto la pace che c’era in America.

-Edward! Aspettami!-.
Quando sentii quella voce chiamarmi, mi voltai subito.
Marianne era costretta a correre per raggiungermi, con la gonna lunga che le finiva sotto i piedi sporcandosi di fango e polvere, i capelli biondo cenere legati in due treccie che arrivavano fino alle spalle e dondolavano freneticamente a causa del movimento.
Mi ero fermato ad aspettarla trattenendo un leggero sorriso. Quella ragazza era la mia migliore amica.
Fece due ultimi passi agili e mi si fermò di fronte con lo sguardo serio e l’espressione del piccolo e delicato viso ovale tesa in una smorfia d’irritazione.
-Grazie di esserti fermato- mi lanciò un’occhiataccia e storse le piccole labbra sottili.
Non riuscii a resistere oltre, scoppiai a ridere fragorosamente e la presi per mano senza crearmi problemi –Di niente-. Le sorrisi nel modo migliore e notai un leggero rossore comparire sulle sue guance.
Non diedi molta attenzione alla cosa e chiesi –Perchè mi stavi seguendo?-.
Rivolse di nuovo i suoi occhi azzurri a me e, ignorando completamente la mia domanda, rispose –Non hai sentito le ultime notizie?-.
Aggrottai la fronte colto di sorpresa. Mio padre non aveva ancora portato uno dei giornali a casa, quindi non potevo sapere cosa si stesse smovendo in Europa. Le ultime novità di cui ero venuto a conoscenza, erano che i due schieramenti, quello detto degli “Imperi Centrali” e la “Triplice Intesa”, stavano continuando instancabilmente la guerra.
Intese il mio silenzio come un “no” e disse in tono allarmato, con la voce più alta di qualche ottava -I tedeschi hanno colpito il transatlantico Lusitania, c’erano più di centoventi nostri connazionali a bordo-
Era così afflitta che quasi mi fece venire il dubbio che tra le vittime ci fosse qualcuno dei suoi parenti.
Non seppi subito cosa dire, così rimasi in silenzio, mettendo insieme i pezzi e arrivando all’unica conclusione possibile.
Le terribili conseguenze avevano coinvolto noi americani.
Fu nel 1917, dopo la battaglia navale dello Yutland, che gli U.S.A entrarono in guerra a fianco dell’Intesa.
Ed io avevo sedici anni.
Quella stessa sera, dopo che ebbi riaccompagnato Marianne a casa com’era mio solito fare, tornai dai miei e subito percepii un cambiamento nell’aria.
Varcai la porta d’ingresso e annunciai –Sono a casa…-, sentendo arrivare mia madre dal piano di sopra di corsa.
La vidi venirmi incontro dal corridoio e prima ancora di capire cosa stesse accadendo, mi strinse a se.
Il gesto mi mise in allerta. Per quale motivo sembrava così tesa?
Le accarezzai la schiena e la scostai delicatamente. Mi arrivava alle spalle, e mi somigliava tremendamente, ma forse, dovrei dire che ero io a somigliare a lei.
-Che succede…?- stavo per chiedere, ma lei mi zittì posando un dito sulle mie labbra e parlò con la sua voce dolce, bassa e sensuale –Ne parliamo a tavola tesoro, è quasi ora di cena, va a lavarti le mani intanto. Tuo padre è già in salotto-.
Sospirai e feci come mi disse.
Restai per qualche minuto buono con l’acqua fredda a scorrermi tra le dita, a scivolare sulla pelle, preparandomi ad affrontare qualsiasi tipo di discorso che, già me l’aspettavo, non doveva essere piacevole.
Ridiscesi le scale lentamente, tentando di dilungare l’attesa. Provavo una certa ansia, come un sesto senso.
Varcai la soia della stanza e trovai papà a capotavola, coi gomiti poggiati alla superficie del tavolo di ciliegio, le mani congiunte come in segno di preghiera e la fronte poggiata ad esse.
Si poteva notare perfettamente l’espressione concentrata, l’attenzione che la mente riversava su qualcosa, facendolo estraniare da quello che lo circondava. Non si accorse di fino a quando non scostai la sedia dal lato sinistro e non mi accomodai in silenzio.
Volse i suoi occhi color nocciola su di me e disse –Sono brutti tempi, Edward-.
Annuii, ma dalle labbra non uscì una sola parola. Quasi non respiravo. Mia madre comparì dalla cucina, portando rapida il cibo in tavola e accomodandosi.
Doveva proprio essere un argomento importante, se ci trovavamo tutti e tre riuniti con così tanta urgenza.
I due si guardarono, e lei tese una delle sue mani piccole e diafane per sfiorare quelle di lui, che si fece forza e stringendola, parlò –Edward, figliolo, sicuramente sei venuto a sapere del fatto che la nostra nazione è entrata in guerra-.
Mi sembrava sciocco non aprire ancora bocca, così parlai –Sì, Marianne mi ha accennato qualcosa-.
Nessuno dei due parlò, allora, ed io non compresi subito, arrivando a fare supposizioni errate. Iniziai a parlare nervosamente, alterato come non mai –Forse ho capito. Cercano uomini per le truppe, giusto? Papà, non voglio che tu vada in guerra. Abbiamo bisogno di te, qui. E’ vero, sei ancora giovane…ma c’è così tanta gente che…-.
Cessai di parlare di colpo.
I miei genitori si lanciarono sguardi eloquenti, poi fu il turno di mia madre di parlare, interrompendo il mio discorso infervorato –Tesoro, l’esercito sta chiamando a combattere i giovani, questo sì...ma non dell’età di tuo padre-.
Mi ammutolii deglutendo e guardandoli entrambi ansioso di sentire il resto, visto che a quanto pareva avevo fatto un buco nell’acqua.
La donna fece il gesto solito –quand’era nervosa- di scostare una ciocca fluida e mossa dei capelli ramati e m’inchiodò coi suoi occhi color smeraldo, più accesi dei miei -Sei vicino all’età per arruolarti…-.
E quegli occhi stavano diventando umidi, mentre la voce si spezzava nella tristezza.
-Ma ho sedici anni, mamma. E questa guerra dura da tempo ormai. Finirà prima che io arrivi ai diciotto, ne sono certo- cercavo di rassicurarla, ma io per primo non ero convinto di quel che stavo affermando.

Il tempo passò rapido, quasi come se mi stesse deridendo e non attendesse altro che di vedermi finire su un aereo della milizia o nelle trincee.
Ero arrivato al compimento dei miei diciassette anni e la fine della quiete nella mia vita sembrava vivida e sicura.
Credevo davvero che sarei morto da soldato, ma il destino riserva strade infinite per ognuno di noi, e quella non era la fine che spettava a me.
Un pomeriggio, mi recai a casa di Marianne e la aspettai impaziente. Avevo bisogno di tenermi impegnato, e la ragazza era una compagnia squisita. Sapeva come farmi ridere, come farmi interessare anche all’argomento più banale e amava inventare indovinelli da propormi. Solitamente li risolvevo in pochissimo tempo causando le sue smorfie buffe, quelle che solcavano il suo viso grazioso quando fingeva di essersi offesa.
Quando uscì dal piccolo giardino che circondava l’abitazione, mi regalò un sorriso raggiante.
Mi strinse la mano senza chiedere il permesso sapendo che, se non lo avesse fatto lei, sarei stato io a compiere il gesto.
Iniziammo a passeggiare fino a che non arrivammo al parco assolato a pochi isolati di distanza.
Il cielo era coperto da soffici nuvole candide, ed il calore del sole giungeva ovunque, tranne che sotto le fronde delle querce.
Ad un certo punto, lei si stancò, così decisi di trascinarla sull’erba soffice illuminata dai raggi splendenti.
Io mi distesi in modo da poter ammirare l’azzurro del cielo, mentre Marianne, seduta al mio fianco, si teneva stretta alle gambe, col mento poggiato sulle ginocchia.
La fissai ammirando lo scintillio dorato dei suoi capelli sciolti e lisci.
Era molto bella, devo ammetterlo tutt’ora.
Quando si accorse del mio sguardo puntato su di lei, sorrise serena, facendo comparire due fossette rosee sul viso, ma d’improvviso si spense e notai lo scintillio delle lacrime già pronte a sgorgare dai suoi occhi chiari.
Mi tirai di scatto sui gomiti e la fissai preoccupato –Ehi…cosa c’è che non va?-. Odiavo vedere la tristezza negli altri, e ancora di più odiavo il fatto di non poter sapere perché lo fossero.
Se avessi saputo leggerle la mente, in quell’istante…La giovane ricacciò indietro quelle piccole gocce d’acqua salata prima ancora che fluissero emanando bagliori come perle e disse cercando di nascondere il tono amareggiato –Ho paura, Edward. Potresti essere chiamato nell’esercito…e non voglio-. Strinsi i pugni e dissi a denti stretti –Finirà prima…- mi ero attaccato a quella convinzione con tutto me stesso. Marianne mi sfiorò il viso con una mano tiepida. Ricordo così bene quel tocco…
-Lo spero anch’io…ma se dovesse accadere il contrario, e tu dovessi andare, promettimi che tornerai da me-.

Era arrossita nel dirlo, ma non si era tirata indietro. Era troppo decisa per trattenersi dal dire qualsiasi cosa. Aveva espresso in modo così diretto i suoi sentimenti per me, che mi lasciò perplesso, inizialmente; ma poi mi avvicinai a lei e le dissi tenendo il volto tra le mani –Te lo prometto, Marianne-.
Ma stavo sbagliando, un’altra volta.
Nel 1918, la guerra aveva acquisito sfumature diverse. Per prima cosa, la Russia si era ritirata dal conflitto esterno a causa di problemi che portarono poi alla Rivoluzione Sovietica -questo già dall’anno precedente- e, per seconda, una delle mie previsioni stava per rivelarsi esatta.
Tutto avrebbe avuto termine.

Anche la mia vita umana.
Da qualche tempo infatti, una strana epidemia si stava espandendo, anche a Chicago. La spagnola.
I sintomi erano identici a quelli di una qualsiasi influenza, solo più forti.
Si poteva morire.
E, come mi aspettavo, il tempo era trascorso davvero più velocemente solo per vedermi perire.
Venni contagiato, come mia madre, e mio padre, e ci ritrovammo tutti in quarantena. Di Marianne persi le tracce.
Assieme a noi, centinaia di persone, tra cui molte donne e bambini. I meno resistenti.
I miei ricordi di quel periodo sono confusi, ma se c’è qualcosa che la mia memoria non potrà mai cancellare, fu l’espressione di mia madre, nel piccolo e scomodo letto accanto al mio.
Vi leggevo il dolore, la sofferenza ma, ancor di più, l’ansia ogni volta che i suoi occhi si fermavano ad osservare me.
Non le importava di abbandonarmi per sempre, purché io vivessi. Spesso infatti, aveva addirittura tentato di alzarsi e sedermisi accanto per assistermi.
Mio padre invece era stato trasportato da qualche parte distante da me e lei, così non potevo sapere se fosse in fase di guarigione o meno. Non avrei mai potuto sapere se era vivo o morto.
Per quanto riguardava me, ero ogni giorno più debole, e questo solo agli inizi. La mia salute peggiorò man mano più velocemente.
Ore, minuti, secondi.
Sentivo le forza abbandonarmi, rendendo le mie membra pesanti, il freddo sempre più intenso pur sapendo che la mia temperatura superava i quarantadue gradi e che l’organismo, prima o poi, avrebbe ceduto.
E poi, una sera, alle prime ore del crepuscolo, mentre cercavo stancamente di udire i suoni confusi intorno a me e di riconoscere le figure umane che mi circondavano, soprattutto quella di mia madre, arrivò un medico che avevo iniziato a notare frequentemente intorno al suo capezzale ed al mio.
Non ero a conoscenza del nome dell’uomo, ma gli ero grato, perché sembrava molto interessato alla nostra salute.
Avevo perso la cognizione del tempo, e vivo in uno stato di vuoto, di buio e silenzio. La mia mente si chiedeva se non fossi già morto, senza rendermene conto.
Sentii delle voci, vicinissime, e mi parve di riconoscere quella fievole di mia madre.
-Salvalo!- sì. Era la sua splendida voce.
E qualcun altro rispose. Immaginai che fosse il medico sconosciuto e premuroso, col tono pacato, gentile –Farò il possibile-.
Mi sentivo svenire, ma ero intenzionato ad ascoltare, così cercai di concentrarmi. Solo un flebile sussurro arrivò dalle labbra di lei –Devi…devi fare tutto ciò che puoi. Ciò che agli altri non è consentito, ecco cosa devi fare per il mio Edward-.
Mi spaventai. Per quale motivo quella donna che amavo e rispettavo profondamente parlava a quel modo? Era la spagnola? La malattia a farla farneticare?
Non potei mai saperlo.
Solo più in là avrei scoperto che morì un’ora dopo aver pronunciato quelle parole.
Ma non era finita, per me.
Sarei certamente morto, due ore, massimo, dopo Elizabeth.
Già mi preparavo a raggiungerla in paradiso, perché non riuscivo a pensare che quella donna si sarebbe meritata le sofferenze dell’inferno.
Qualcuno mi trasportò di peso fuori dal letto, tenendomi senza difficoltà, come se non pesassi niente.
Non riuscii a capire. Mi abbandonai all’oblio di quell’attimo che credei l’ultimo.

Aria.
Aria intorno a me, e freddo.
Non mi trovavo più al chiuso, stavo volando.
Aria.
Mi colpiva il volto con delle sferzate.

Aria.
E poi, di nuovo, la stabilità su una superficie piana.
Avvertii il contatto gelido di qualcosa contro la carne del mio collo e di colpo, il dolore.
Ma quella prima sofferenza fu niente, paragonato a ciò che seguì.
Fuoco, fuoco liquido in tutto il corpo.
E lo straziante silenzio di un cuore. Del mio cuore.
Una morte fasulla, bugiarda, meschina.
Sarei rimasto a camminare su questo mondo, mentre le persone che amavo mi avevano lasciato.

Per sempre.

Aprii gli occhi non so dopo quanto, ma ciò che vidi mi spaventò.
Io vedevo ogni cosa.
La polvere nell’aria, i granelli invisibili ad occhio umano sul pavimento, le ragnatele agli angoli del soffitto…
Feci il gesto di alzarmi in piedi, ma l’azione venne fatta ancor prima di decidere di compierla davvero.
Non ci volle che un secondo, per ritrovarmi in piedi.
Restai esterrefatto, bloccato dall’incredulità, e dal terrore. Cosa mi stava accadendo?

E’ passata, finalmente. Ben svegliato, Edward.

Scattai indietro con la stessa rapidità con cui mi ero alzato e mi ritrovai ad osservare il volto di un uomo terribilmente bello.
Sembrava un angelo di quei dipinti che si vedevano solo sui quadri o sulle cupole delle chiese.
Ma non mi fidavo. Qualcosa mi diceva di restare a distanza di sicurezza.
L’individuo sembrò studiarmi attentamente, dandomi l’impressione che fosse incredulo per un qualche motivo. Aveva parlato, perché non lo rifaceva?

Sarà difficile spiegarti, figliolo, ma tenterò.

Sgranai gli occhi e smisi di respirare.
Quell’uomo non aveva mosso le sue labbra, era rimasto –apparentemente- in silenzio. Finalmente, il mio comportamento destò la sua confusione, così disse, con una voce terribilmente pacata…la stessa del medico con cui mia madre aveva faticosamente dialogato –So che in questo momento ti sentirai confuso, spaesato…ma non devi temere. Ti resterò accanto e ti insegnerò a convivere con ciò che sei diventato-.
Sussultai soffermandomi su un'unica parte di quel breve discorso.

Ciò che ero diventato.
Tremai.
Cosa mi era accaduto? Chi ero io? Cosa ero?
L’uomo mi si avvicinò, e di nuovo fui travolto da parole. Miriadi di parole che non provenivano da nessuno.
Nessuno in quella stanza, almeno.
E poi, c’era la voce dell’individuo gentile ed enigmatico.

…C’è qualcosa di diverso in lui…

…Così concentrato…

…Cosa sta ascoltando?

…Edward?

Scossi il capo e mi tappai scioccamente le orecchie, gridando –Via! Andate via dalla mia testa!-. Ma il frastuono restava lì, ronzava fastidiosamente e ogni tanto si accentuava.
Suoni e immagini che mi passavano davanti agli occhi come una diapositiva. Devo essere sincero, in un primo periodo ebbi paura di quel potere extra, perché non riuscivo a controllarlo.
Mi tormentava giorno e notte. Le gioie, le paure, i rancori delle persone e le scene ricollegate a quei sentimenti. Le cause dei loro sbalzi d’umore.
Era l’inferno.
Ma comunque, torniamo a quell’istante di un secolo fa.
L’essere si tese e mi strinse le spalle in una stretta forte, decisa, iniziando a chiedermi cosa avessi, che problema ci fosse.
-Le voci! Tutte queste voci nella mia testa…- era straziante non riuscire a far cessare quel frastuono.
-Edward, calmati e dammi ascolto. Rilassati, figliolo…passerà- e lui che cercava di darmi una mano! Lui, che era arrivato ad una semplice ipotesi!

…Una capacità in più…

Con tutte le mie forze, mi decisi a togliere le mani da sopra le orecchie, capendo che era un gesto sciocco, privo di utilità, e guardai il mio compagno.
-Cosa mi hai fatto?-. La voce mi tremava. Avevo paura, di sentire la risposta.
Lui sospirò e lasciando la presa si voltò dandomi le spalle e lo vidi contemplare davanti ad un lungo specchio sul quale il proprio riflesso ed il mio mostravano dettagli che ci rendevano simili.
Sgranai gli occhi e ammirai quasi con incredulità la figura dietro a quella dell’uomo. Era un giovane che mi somigliava, ma i capelli avevano riflessi più accesi, la pelle era diafana, il corpo più robusto e, per finire…
Lo sguardo. Dov’erano finiti i grandi smeraldi ereditati da mia madre? Il verde acceso, simile all’erba illuminata dal sole? Quello sguardo color vinaccia…era tetro, inquietante, e apparteneva a me.
Crollai a terra, poggiando il peso sui ginocchi e iniziai a singhiozzare, ma di lacrime da far sgorgare, nemmeno l’ombra.
-Ti ho…reso immortale, Edward. Perdonami se puoi, ma era l’unico modo per salvarti. Il mio nome è Carlisle, e come ho già detto, giuro che avrò cura di te. Ti farò tornare ad avere una vita normale, seppur con qualche restrizione-.
Carlisle parlò con un tono comprensivo, protettivo…avrei potuto dire paterno.
Alzai gli occhi per osservarne il volto e capii che quello era l’inizio di un qualcosa molto peggiore della morte stessa.

Sei diventato un vampiro, figliolo…

Sì. Quel suo pensiero flebile, appena accennato, mi colpì come una frustata…e tutto poco a poco diventò più chiaro.
Non mi restava niente. I miei genitori, la mia vita umana, Marianne. E la promessa che le feci svanì con tutto il resto.

[…]

Inizialmente io e Carlisle ci spacciavamo per fratelli. Essendo in due e molto giovani, potevamo benissimo ingannare gli umani con la quale entravamo in contatto.
Lui continuava a lavorare come medico, ed ogni tanto mi ero chiesto per quale motivo si ostinasse a trattenere i resti di un’esistenza passata.
L’amore, la compassione.
Così mi rispondeva attraverso i pensieri, ed io non osavo ribattere alle sue teorie, alle sue idee rivoluzionare e pure.
La pietà per quelle che dovevano essere vittime…non ne capivo il senso, e per un tempo, avrei passato la mia fase di ribellione, ma questa è un’altra storia…
Dopo un breve periodo che seguì alla mia trasformazione, Carlisle “creò” un’altra vampira, Esme. Quella donna diventò una specie di madre e poi, si definì tale, sposando colui che mi aveva strappato dalle braccia della morte.
Non eravamo più due fratelli, io ed il mio compagno di viaggio. Il mio creatore.
Ma bensì un piccolo nucleo familiare, ed io ero loro figlio.
Le cose si potere definire migliori.
Adoravo quei due vampiri e provavo dell’affetto sincero, sapendo che non potevo contare su nessuno al di fuori di loro.
Esme a quei tempi non lavorava. La condizione delle donne era ancora sottovalutata. Se ne restavano in casa a badare ai figli, quelle umane, almeno…per quanto riguarda me, mi dedicai interamente agli studi, conquistandomi una delle prime lauree in medicina.


Forks, 1933

…Ma il tempo passa per i comuni mortali, così eravamo sempre costretti a trasferirci di luogo in luogo, cercando posti abbastanza freddi ed umidi, dove il sole compariva poco o niente.
La tappa migliore di tutte fu Forks, una cittadina dello stato di Washington dove la definizione di bel tempo era sconosciuta agli uomini che la popolavano.
Ma una volta giunti fin lì, il nostro piccolo e intimo clan si era allargato, aggiungendo un altro membro alla famiglia:
Rosalie, di una bellezza indescrivibile, ma col carattere più acido che avessi mai visto.
-Togliti da quello sgabello e lasciami il pianoforte, Edward Cullen-.
Sì, mi odiava, e tutt’ora so che non riesce a sopportarmi.
Alzai gli occhi al cielo e cessai di far scivolare le dita sullo strumento musicale. Lei si era avvicinata, coi capelli biondi e fluenti che ricadevano in tante morbide ciocche sulle spalle, le labbra carnose storte in una posizione di fastidio e gli occhi ambrati che mi fissavano tetri.
Mi faceva senso osservarla.
In quei piccoli dettagli, rivedevo Marianne, ed ogni volta era una sofferenza dover ricacciare indietro il ricordo sfocato di quel piccolo viso perfetto e di quei grandi occhi azzurri.
-Avevamo stabilito che avendolo comprato con i miei soldi, la precedenza mi spettasse, Rose-. Era così divertente chiamarla a quel modo sapendo di non avere il suo permesso.
Sibilò e mi si accomodò accanto scocciata.
-Allora suoniamo insieme, ma sappi che sceglierò pezzi molto difficili per te-. Scosse il capo in un gesto terribilmente umano e l’oro dei capelli brillò.

Feci una smorfia alla sua affermazione e capii che era una sfida.

…Se soltanto lei potesse essere una buona compagna per te…

Carlisle l’aveva salvata non per un semplice fatto di pietà, ma per tentare di farmi sentire meno solo.
Una compagna.
Mi voleva sistemato al più presto, ma Rosalie non era davvero la persona con cui avrei potuto convivere facilmente.
Troppo presa da se stessa.
L’amore per me era un punto interrogativo. Attesi pazientemente, contando i giorni, i mesi, gli anni…

Tempo
. Un tempo infinito in cui la ricerca scemò e mi ritrovai senza più pensarci.
Stare da solo, alla fine, non sembrava neanche così terribile.
E solamente molto, molto più tardi, mi sarei sentito finalmente vivo grazie all’amore di una fragile ragazza umana…












[RISULTATO CONTEST E GIUDIZI]
Quarta classificata: Sammy Cullen con "Lo straziante silenzio di un cuore"

CallieAM:
Livello ortografico: grammatica sintassi 8/10
Lessico e stile 8/10
Originalità 7.5/10
Trama 7.5/10
Personaggi IC 4.5/5
Gradimento personale 4/5
Punti bonus: 0.5/1.25
Giudizio: Sicuramente una fan fiction molto sentita, ma ho notato una mancanza di approfondimenti. Certo, hai trattato i tre momenti fondamentali richiesti nel bando cioè il pre, il post e il durante la trasformazione ma non hai approfondito per bene nessuno dei tre punti e questo ti ha un po’ penalizzata a mio avviso. I personaggi sono abbastanza IC, Edward è molto introspettivo e non interagisce molto con gli altri personaggi per cui non posso dire se Rosalie, Esme e Carlisle siano completamente IC. Il livello grammaticale e sintattico ha risentito di piccole sviste ortografiche e alcune frasi, probabilmente non ricontrollate appieno, non avevano senso o non suonavano perfettamente nel contesto. L’originalità è stata un punto in tuo favore cioè parlare di Edward adolescente e del suo primo amore secondo me ti ha favorita solo che, la mancanza di approfondimenti, anche qui è stata penalizzante ai fini di un punteggio superiore. In sintesi è una bella storia che andrebbe approfondita di più.
Comunque complimenti^^

39.5 punti + 0.5 punti bonus = 40


SlytherinPrincess:
Livello ortografico: grammatica: (4) sintassi(4.5)
Lessico e stile (6.5)
Originalità (7.5)
Trama (5.5)
Personaggi IC (5)
Gradimento personale (4)
Punti bonus: 0.50/1.25
Giudizio: la storia non è male ti ha penalizzato molto la grammatica e non hai sviluppato appieno i vari momenti, non eri costretta a svilupparli tutti potevi sceglierne uno e focalizzarti su quello la storia mi è piaciuta anche per i riferimenti storici, ti do un consiglio la prossima volta vedi una beta per gli errori, che penso siano tutte sviste.

37.5 punti + 0.5 punti bonus = 38

Somma dei due giudizi 40 + 38 = 78

   
 
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