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Autore: Carla Marrone    17/05/2016    0 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.ATENA

Mi reco decisa nella stanza accanto, sicuramente, più umile e ristretta rispetto alla precedente, ma, comunque, confortevole. La mobilia scarseggia. Ci sono solo delle sedie ed una panca coperta da una specie di lenzuolo, probabilmente adibita a luogo di riposo temporaneo. Non posso certo supporre che dei soldati sappiano cosa sia un divano. E, anche se lo sapessero, non lo userebbero. Fa troppo mammoletta.

In una piccola libreria, sono appoggiati dei calamai, con tanto di piume d’oca. Che non imparerò mai ad usare, senza imbrattare un intero foglio, prima di moderare le macchie quanto basta per capire cosa scrivo, nel successivo. Forse, dovrei scrivere bianco su nero, invece che nero su bianco. Tecnica innovativa, ma fortemente più idonea alle mie attuali capacità.

Le mensole sembrano contenere, in prevalenza, documenti. Magari, più avanti, potrei dare una sbirciatina…

C’è anche del sale fissativo per inchiostro e dei bicchieri contenenti fluidi che, suppongo, siano utilizzati per pulire i pennini. Alla mia destra, un’ampia finestra senza tende. 

Nel guardarmi intorno, non mi rendo subito conto che Allen sta entrando nella camera, trasportando il tavolo su cui sono poggiate le pergamene. Ma, per fortuna, faccio a tempo ad afferrarne una, prima che cada a terra. 

“Lasciati aiutare.” Gli propongo. Ho gli occhi sgranati, per la paura che lasci scivolare altri scritti importanti, ma abbozzo un sorriso. 

“Non si preoccupi, signorina Miranda, ho fatto.” Risponde gentile, declinando il mio invito. La sua voce non sembra nemmeno affaticata. Ed il tavolo appare pesante. Questi cavalieri sono un portento. Se è così in gamba lui, che è un semplice messaggero, non oso immaginare i cavalieri d’oro, che stanno alle dirette dipendenze del Patriarca. Per non parlare dello stesso Patriarca. 

Mi affretto a raccogliere con delicatezza tutti i testi sanscriti per tenerli al sicuro, prima che Allen sistemi il tavolo accanto alla finestra, rischiando, di nuovo, di farli cadere. Sono, in tutto, cinque. Sembrerò strana, ma non vedo l’ora di tradurli. D’altronde, l’interesse è lecito. E’ il mio lavoro. Senza tralasciare il piccolo dettaglio che, ne va della salvezza del mondo. Almeno credo sia quello che fa questa gente: salvare il mondo. Ora che ci penso bene, credo di aver parlato ad alcuni clienti del locale, dove mi esibisco, dei miei studi sulle lingue antiche. Certo, non avrei mai immaginato che, simili informazioni sarebbero potute essere utilizzate contro di me. O, peggio, contro l'intera umanità. Ma, non posso fare a meno di sentirmi in colpa. Per tanto, lavorerò sodo per aiutare i Cavalieri. Il Patriarca ha riposto la massima fiducia in me. Ragione in più per sentirmi motivata. Non mi è mai capitato, prima d'ora, che qualcuno mi domandasse aiuto per una cosa di simile importanza. Una parte di me gli è grata, per averlo fatto. L'altra, vorrebbe tanto dei documenti falsi ed un biglietto di sola andata per l'Antartide.  

“Grazie Allen. Sei stato gentilissimo. Magari tutti gli uomini fossero come te!” Gli butto lì un complimento, mentre srotolo una delle pergamene e mi avvio verso il tavolo, per appoggiarla. Mi serve un calamaio per tenerla ferma. Ne cerco uno vuoto. Trovarlo mi porta via pochi secondi. Quando mi volto, noto che Allen è ancora paonazzo. Non credo, tuttavia, sia per lo sforzo. Probabilmente, è avvampato quando l’ho ringraziato. Infatti, balbetta un:- Ho solo spostato un tavolo, in fondo.- ed aggiunge, calmandosi un po’- se hai bisogno di me, sono nella biblioteca di Dégel, nell’undicesima casa. Quella che ti ho mostrato venendo qui.”

“Grazie ancora. Ma puoi stare tranquillo. A quanto vedo- dico leggendo qualche riga- mi ci vorrà solo un po’ di tempo e impegno; nient’altro. L’unica cosa che mi serve ora, è di rimanere sola con questi gioielli d’antichità.- gli strizzo l’occhio- il sogno di ogni glottologo, praticamente.” 

Allen si inchina cortesemente e, in un attimo, sparisce fuori dalla porta, dopo avermi augurato buon lavoro. 

Non mi disturbo nemmeno a chiuderla, la porta. Tanto, qui, regna un silenzio di tomba. 

Ok, al lavoro! Per prima cosa, devo capire cosa mi ritrovo davanti. 

Due delle pergamene sono di facile lettura e, ad una prima occhiata, apparirebbero come una cronaca storica. Ci sono delle date. Un diario? Le altre due, sono scritte in una lingua simile al sanscrito, per tanto, più difficili da tradurre. Accanto alle parole, si vedono spesso dei puntini, ad un occhio inesperto, messi a caso. Ma io so che non è così. Mi ricordano l’arabo moderno. Mmmm. Potrebbe volermici più di quanto credessi. Anche perché, è l’ultima pergamena a darmi da pensare: vi sono dei disegni seguiti da brevi frasi, all’apparenza codificate. Le lettere somigliano a ideogrammi complessi. Si tratta, probabilmente, dell’unione di più parole in un unico simbolo. Sono tutte parole che conosco, ma, decifrarle, sarà un po’ come risolvere una sorta di rebus. Senza contare che non capisco ancora l’utilizzo dei disegni. Non ne ho mai visti di simili…

“Signorina, mi scusi?” Una voce infantile e cristallina mi riporta alla realtà. Alzo lo sguardo. Una ragazzina dagli strani capelli, di un colore che non saprei definire, mi osserva intenta e apprensiva. E’ molto graziosa. Ha grandi occhi verde-azzurro e, per qualche astrusa ragione, mi riesce quasi difficile sostenere il suo sguardo. La prima persona, in questo mondo, col quale mi è capitata una cosa simile, è stato il Patriarca. Nella mia dimensione, mi era successo una sola volta, alla prima esibizione, in un teatro importante, con la compagnia di danza. Lo sguardo delle persone era talmente penetrante che quasi mi bruciava. Poi, ci ho fatto l’abitudine. Ecco, se potessi definire quello che provo adesso, davanti a questa ragazzina, direi che è come la sensazione di essere sotto esame. Oddio, ieri ho sognato che dovevo dare l’esame di etnologia all’università! Ma, allora, il mondo ce l’ha con me. 

“Ciao, dimmi tutto.” Le sorrido bonaria, dopo un attimo di esitazione. 

La giovane si copre la bocca con una mano, poi, arrossisce un po’. Ma qui non si può proprio parlare con qualcuno senza farlo avvampare? Dico sul serio, diventa imbarazzante anche per me. E io sono dura da mettere a disagio.  

“Eri talmente concentrata che non mi hai sentito quando ti chiamavo prima…” O, almeno, ipotizzo abbia detto questo, perché la mano camuffava i suoni che le uscivano dalla bocca. Pare decidere di aver coperto abbastanza il suo bel viso, così, sposta il braccio quel tanto che basta per rivelare un dolce sorrisetto da bambina. 

“Davvero?- faccio preoccupata- mi avevi già parlato ed io non ti ho risposto? Mi spiace…” Non è una novità, per me. Anche a casa, quando studio glottologia, entro completamente nel mio mondo, tanto da non notare più ciò che mi circonda. 

“Mn, non fa niente, vuol dire che tieni molto al tuo lavoro, no?” Piega la testa di lato e punta un incerto indice verso la scrivania. 

“Beh,- ok, per quanto ami i complimenti, devo ammettere che il suo candore ci è riuscito a mettermi a disagio. Come dire, non so cosa rispondere. – fa parte della mia sfera di interessi. Mi cattura. Non ti siedi?” Chiedo, infine, riuscendo a cambiare discorso.

La giovane prende posto di fronte a me alla scrivania. E mi fissa. 

“Tu sei una traduttrice?” Si risolve, infine, a domandarmi. Stavolta, non arrossisce. Meno male. 

“Nel posto dal quale vengo, sì. Diciamo che è quello che vorrei fare nella vita. Ma, qui, svolgo un altro lavoro.” Le sorrido.

“Quale lavoro? Se posso chiedere…” A quanto pare, la ragazzina è curiosa come una scimmietta.  E nonostante l’evidente timidezza che, tuttavia, sembra non essere sufficiente a frenarla. 

“Sono una ballerina.” Le rispondo tentando di sembrare il più modesta e normale possibile. Non vorrei mai darle uno shock. 

Lei sembra resuscitare ed accendersi di vita, come fosse la prima volta. “Davvero? Mi piacerebbe tantissimo vederti danzare!- appare pensierosa per qualche momento- Magari, potremmo organizzare qualcosa qui al Tempio.” Mi propone, infine, euforica. 

Non vorrei darle una delusione, ma… “Non saprei, qui sono quasi tutti uomini- mi gratto la testa, indecisa- non vorrei essere mal interpretata. Sai, ho questo lavoro importante da svolgere…” E spero che, sentendo l’aggettivo “importante”, decida di lasciarmi finire quello che stavo facendo, dopo essersi congedata. 

“Mal interpretata?” Sgrana quegli occhioni che sembrano due tappini dello yogurt e reclina di nuovo la testina nell’altra direzione. Ho come la sensazione di trovarmi davanti ad una tela bianca. Decorata con tante nuvolette rosa, fiorellini ed unicorni. Onestamente, non saprei come spiegarle. Quali parole scelgo? Dimostra di essere più piccola di me, di almeno dieci anni. Anche se mi fanno tutti più giovane, io ho venticinque anni. Forse, potrei provare a dirglielo. Magari, perderebbe interesse in me. 

Decido, invece, di cambiare argomento. “Tu lavori qui al Tempio? Sei un cavaliere?”

Scuote la testa, poi, si scusa. “Non ti ho chiesto ancora come ti chiami.” 

“Miranda.” Le sorrido. Sono contenta che siamo riuscite ad uscire dalla zona “argomenti a luci rosse”. Non mi sembrava il caso di trattarli con una bambina. 

Saputo il mio nome, si rianima e, apparentemente senza motivo, diventa di nuovo rossa come un semaforo. 

Capisco il perché, non appena balbetta un:- A-a-llora siamo amiche, Miranda? Possiamo?- 

Mi viene da ridere mentre le rispondo un genuino “certo”! Cosa ci fa una ragazzina del genere qui al Tempio? Deve sentirsi parecchio sola… 

“Sono contenta. Allora, ti lascio al tuo lavoro, buona fortuna.” Annuisce un paio di volte, poi, coprendosi il più adorabile dei sorrisi con una mano si alza dalla sedia e fa per andarsene. Arrivata alla soglia della porta, mi saluta con l’altra mano. 

“Non mi hai ancora detto come ti chiami tu, però!” Le faccio notare, canzonandola un po’. 

Per qualche astrusa ragione, il suo volto, si fa improvvisamente triste ed io ho come l’impressione di aver toccato l’argomento sbagliato. Per quale disperata ragione una persona tanto gioviale dovrebbe incupirsi quando gli si chiede come si chiama? 

“Io sono Sasha, puoi chiamarmi così, se vuoi. – abbassa il volto- anche se tutti, qui, mi chiamano Signora Atena…” 

Oh cazzo! Adesso capisco tutto. Allen mi ha detto che a capo del Tempio non vi è il Gran Sacerdote, come io pensavo, bensì, una donna ritenuta la reincarnazione della dea Atena. Quindi, è lei… 

“Avresti dovuto dirmelo subito, Sasha. Mi sarei rivolta a te con maggior rispetto.” Le dico alzandomi dalla sedia e protendendomi un po’ in avanti. 

Mi sorride, mesta. “E’ proprio per questo che non te l’ho detto.” 

Un silenzio carico di riflessioni crolla su di noi, dopo l’ultima affermazione della Dea. 

E’ lei stessa a romperlo. “Hai detto che non sei di qui? Da dove vieni?” 

Adesso tocca a me la faccia cupa. Riprendo posto sulla sedia. “Per quanto strano possa sembrarti, mi sono ritrovata qui dopo essere entrata in un quadro.” Se questa gente crede alla reincarnazione, crederanno pure in una sorta di magia che mi ha condotto qui. 

La sua espressione, ora, è stupefatta. “Io credo che il tuo essere qui sia un segno del destino.” Appunto. 

La mia faccia deve proprio virare sul depresso spinto, perché la giovane divinità si sente in dovere di dirmi:- Non temere, troveremo insieme il modo di riportarti a casa tua.”-   

Chissà, magari lei può davvero riuscirci. “Grazie, Sasha. E’ gentile da parte tua.” 

Stavolta, le sue gote si fanno rosa quasi impercettibilmente. “Adesso devo andare a studiare. Buon lavoro, Miranda. Ciao.” Mi fa un cenno con la manina. 

“Buon lavoro anche a te, Sasha.” 

La ragazza sparisce oltre la porta ed io rimango nuovamente sola. Mi fa piacere, comunque, avere un “compagno di studi”. O, per meglio dire, qualcuno che svolge il mio stesso compito, in simultanea, pur non stando con me. Se si preoccupano che abbia un’istruzione, probabilmente, non si approfittano semplicemente di lei. Forse, tengono davvero molto alla propria, delicata, gentile guida spirituale.

   
 
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