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Autore: Carla Marrone    11/05/2016    2 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.SHERAZADE

I gradini del Grande Tempio sembrano non finire mai. Accidenti! Devo vedere un tizio che si fa chiamare Gran Sacerdote… bello strambo. Spero solo che non sia un vecchio bavoso che vuole attaccar bottone.

Sono stata, letteralmente, reclutata. Il colpevole è un ragazzo, all’apparenza sulla ventina, abbigliato con una specie di tuta bianco-grigia ed un’ambigua placca di metallo legata da cinghie di cuoio alla spalla. Negli ultimi giorni è venuto spesso nel locale in cui mi esibisco. Sono una ballerina di danza orientale. Mi ha detto di essere “incaricato della circolazione di notizie” presso il Tempio. E, probabilmente, si aspettava che me la bevessi. Chissà quale sporca mansione svolge in realtà? Questo “luogo sacro” degli ateniesi mi puzza di brutto. E’ come se avesse una sorta di aura tutta bizzarra, o affascinante, o tutt’e due le cose, chissà. Comunque, Allen, (è questo il nome del messaggero), si presenta da me una notte, dopo lo spettacolo e mi pianta sotto il naso una strana ed alquanto sospetta pergamena. “Per caso, la sai leggere?” mi chiede subito dopo, trafelato e speranzoso. 

Gliela leggo. E’ tratta da un testo sanscrito. Credo sia originale, quindi, molto preziosa. Faccio attenzione a come la prendo tra le mani. E’ la lettera d’amore di un imperatore alla sua futura sposa. Il giovane appariva imbarazzato, mentre leggevo. Se è così puritano su certe cose, forse, una poi così cattiva persona non deve essere. Ci ho talmente tanto fatto il callo ad incontrare spostati, facendo questo lavoro, che ho praticamente perso la sensibilità. Dimenticavo di dirvi che sono una glottologa, esperta in lingue dell’antica Mesopotamia. Cosa che mi ha portato ad amare, e poi, apprendere la danza del ventre. 

“Non credevo potessi farlo davvero!- Mi ha detto al culmine della gioia. – il Gran Sacerdote sarà felice di saperlo. Allora posso contare sul tuo aiuto?” mi ha chiesto dopo un attimo di titubanza. Mi sono permessa di domandargli a cosa gli servisse il mio aiuto e lui mi ha risposto che non avrei dovuto far altro che tradurre una scrittura simile a quella che mi aveva propinato. Niente di ché, credo di poterlo fare, se ci tiene così tanto. Il modo in cui me l’ha proposto non mi è dispiaciuto del tutto. Si incontrano raramente persone così energiche e positive. Devo ammettere, però, che non avrei voluto mescolarmi troppo alla gente e agli affari di questi luoghi. Preferisco star lontana dai guai. E il Tempio mi puzza di guai.

Io non sono di qui. Un giorno mi sono avvicinata ad uno strano dipinto e, di punto in bianco, mi sono ritrovata qui. Niente più famiglia, niente amici, niente tecnologia! A volte, mi chiedo se, per caso, non sono capitata in un’altra dimensione. Ma, evito accuratamente di darmi la risposta. La cosa mi spaventa troppo. Davvero, non mi spiego perché, per quanto mi sforzi, non riesca a ricordare come sono finita qui. Sono convinta che, se soltanto riuscissi a ritrovare quel quadro… Su questo punto, ritornerò, indubbiamente, più avanti. Non abbiate paura. Comunque, mi sono adattata subito. A quanto pare, la gente che abita in questa parte della Grecia, non ha mai visto la danza orientale. Il ché, un po’ mi spaventa. Una sarta ha accettato di cucirmi dei costumi di scena, per il puro gusto di divertirsi a vedermi dei “cenci tanto strani” addosso mentre ballo. Mi sono sdebitata, che credete. Nel giro di una settimana, lavoravo già alla taverna di Zorba. Per fortuna, possiedono strumenti simili a quelli mediorientali, anche qui. Mi è bastato mostrare a un paio di musicisti spiantati qualche accordo, con la mia vaga conoscenza di darbuka e taksim e mi hanno colto al volo. Adesso sono Ivan e Paul i miei migliori amici. Ed anche, mi tocca ammetterlo, la mia nuova famiglia. Lavoriamo insieme alla taverna. Ci aiutiamo a vicenda. E questo mi rincuora. 

Ma per tornare a noi: Allen è venuto alla bettola, il giorno seguente, dicendomi che il Gran Sacerdote era pronto a ricevermi e che mi avrebbe condotto al Grande Tempio di Atene. C’è troppa roba dalle grandi dimensioni per i miei gusti. Grande errore seguirlo. Ma che ci volete fare, sono gentile. D’accordo, sono curiosa, va bene? 

 

Montiamo in cima a quello che mi appare come il milionesimo gradino. Davvero, capisco che a voi greci piaccia fare tutto in grande, ma questi gradini sono immensi. Ed anche infiniti. Ad un tratto, Allen si congela. Mi volto nella direzione in cui sta guardando, alla ricerca di una spiegazione. Che arriva subito, chiara e lampante. Dei tipi, vestiti con delle armature gialle, ci fissano da in fondo al cortile. Che strani… Tutti bei ragazzi, però. Se solo non avessero quelle armature. Vietato pensare male! Il giovane che è con me si prostra in un inchino rivolto a loro. I ragazzi dorati non dimostrano di averglielo visto fare. E non rispondono. Tutti molto simpatici, tra l’altro, devo dire. Io non li saluto. Punto e basta. S’incamminano, invece, verso una sala interna. 

Allen mi ha raccontato qualcosa sul Tempio venendo qui. L’ha fatto quando ha notato il mio stupore nel constatare che tutti i presenti del luogo sacro stavano combattendo, in una specie di arena. A quanto pare questi tizi, seppur poco simpatici, a differenza di Allen, sono dei veri e propri paladini dell’ordine e della giustizia. Quelli con le armature dorate, all’apparenza, solo dodici, (i meno simpatici), portano il rango più alto. Mmmm. Ma sarà oro vero? Altro non mi concerne. 

Ci dirigiamo anche noi verso lo stesso spazio chiuso. Per modo di dire. E’ talmente maestoso che sembra di stare all’aperto. Ma non appena metto piede sulla soglia, non è la disposizione della mobilia a colpirmi, come avrei creduto, ma quella degli esseri umani. Esseri umani? Siamo sicuri? Se ne stanno tutti ritti nella schiena con le facce abbassate e in silenzio (non credo nemmeno che sappiano parlare) in due ordinatissime file da sei. Ok, qui si rasenta la paranoia. Non mi piace la situazione. E se è così all’inizio, non oso immaginare gli sviluppi. Questo è il classico frangente in cui vorresti poter bussare ripetutamente e ponderatamente ad una porta. Che purtroppo, è già aperta. Mi faccio coraggio e do il primo passo avanti. Mi sento come una lillipuziana in un mondo di giganti. Sono alta solo un metro e cinquanta e secca come un chiodo. Mentre sfilo davanti agli eroi, noto i loro fisici scolpiti, le spalle grandi e la notevole altezza che pare accomunare tutti quanti, tranne uno. Apparentemente, il più giovane. Da lontano non sembravano così spaventosi. Adesso capisco perché il soffitto della stanza è così alto. Vedo Allen inginocchiarsi davanti a quello che ipotizzo essere il Patriarca. Per un qualche strano automatismo sono portata a farlo anch’io, quasi in sincrono. Allen tiene il mento schiacciato contro il petto di tanto piega la testa. Io mi limito a fissarmi la scarpa da ginnastica, corrispettiva al ginocchio sollevato. Indosso dei pantaloni alla turca con piccole righe verticali bianche, nere e rosse, una maglietta over-size bianca ed un ampio cardigan color fango, sormontato da una pashmina sabbia, lasciata morbida intorno al collo. Praticamente, una barbona in un mondo di nababbi. Ripeto: dovrebbero togliersi quelle dannate armature. So che posso suonare logorroica, ma mi farebbero davvero meno paura. Ed io, lo so, quando ho paura di qualcosa, butto tutto sulla scemenza, dicasi anche cazzeggio, più estremo. Temo per le loro orecchie…

“La signorina Sherazade, ipotizzo?” Una voce possente tuona sopra la mia testa. Ok, adesso me la faccio sotto. Ma mi viene automatico rispondere, apparentemente calma.

“Miranda è il mio vero nome. Sherazade è quello che uso quando mi esibisco.” Ebbene sì, ho una doppia identità, come i super eroi. La verità è che conciata così e con i miei lunghi capelli mori e mossi legati dal fermaglio, dietro la testa, quasi nessuno mi riconosce e a me conviene proprio di più. La verità: la gente non ha interesse ad identificare una ballerina mezza nuda con un maschiaccio troppo coperto. Suona molto “diva spezzata”, ma è così. Non ho fatto a tempo a dirlo ad Allen. Ci conosciamo da talmente poco.  

“Io sono il Patriarca di questo Tempio e loro sono i miei Cavalieri. – fico, si chiama Patriarca da solo! Quanto vorrei avere la sua autostima.- Immagino tu sappia perché sei stata portata qui.” Conclude infilando due sfere di ghiaccio nei miei occhi neri. No, sul serio…

“Perché so decifrare il sanscrito, giusto?” Mi accorgo che la mia voce vacilla. 

“Dunque è così che si chiama questa lingua?- sorride beffardo- è già un buon inizio.”

Mi prende per il culo? Forse lo fa a se stesso, tutto da solo. Mi tocca ammettere che mi sto rilassando man mano il tempo passa. E quando io mi rilasso, lo so, e credo che adesso lo sappiate anche voi. Esatto: cazzeggio! 

Mi accorgo, in un secondo durante il quale riesco a staccare gli occhi da quelli del Patriarca, di un piccolo tavolo di legno su cui sono posate diverse pergamene. 

“Quanto tempo pensi possa volertici per decifrarle tutte?” Mi domanda ancora, imperioso. Ed inquisitore, aggiungerei. 

“Quanto tempo ho?” Wow mi sento figa a fare questa domanda. Fa molto very professional. 

Avvicina il mento al collo e sorride ancora, sembrerebbe persino bonario. “Quanto te ne serve. Non siamo qui per metterti fretta, ma per collaborare.” 

Ho capito bene? Ha detto collaborare? Loro? Con me? Quindi, tutti questi bei ragazzi sarebbero a mia completa disposizione? Ok, basta con le domande. 

Non ricevendo una mia risposta, (scusate al momento sono un po’ persa nei meandri delle mie fantasie), conclude:- Lavorerai nella stanza adiacente questa, qualora tu avessi bisogno di protezione. –il suo tono si fa greve- hai rischiato che ti trovassero prima di noi. E qualora avessi bisogno, invece, di un supporto, diciamo, didattico, puoi recarti nella biblioteca di Dégel.-

Mi volto per cercare il soldato-bibliotecario di cui mi parla. Vedo un giovane dai lunghi capelli corvini chinare il capo. Dunque è lui. Mi inchino anch’io. Sono sempre più convinta che non sappiano parlare. Ma così disimparo anch’io. A pensarci bene, non c’è pericolo.  

E mi metto subito alla prova. “Immagino che dovrò lasciare il mio lavoro di ballerina alla locanda e vivere qui. Almeno a quanto ho capito.”

“Solo fin quando tutto non sarà concluso.” Grazie al cazzo. Il che mi porta a pensare che devo sbrigarmi. Voglio rivedere Ivan e Paul. Devo raccontargli tutto quanto. 

“Va bene- abbasso la testa rassegnata. Poi, dopo una breve pausa- cosa ho rischiato esattamente?”

Il Gran Sacerdote sospira profondamente. “Non so, con esattezza, come facessero a sapere della tua abilità. Sicuramente, stanno cercando persone come te… Quelle scritture ci indicheranno come arrivare ad un tesoro molto importante prima dei nostri nemici. Inutile dirti, che se quel tesoro, un’arma pericolosa, invero, dovesse cadere in mano ai nostri nemici, sarebbe nelle mani sbagliate.” Dice il tutto con lo stesso tono con cui chiederesti di passarti le zollette di zucchero da mettere nel tè. 

Un momento: io prima avevo una doppia identità come i super eroi… Adesso SONO un super eroe. Cioè, rasento l’eroismo, per dirla meglio. Ok, ci sto! Che mi frega, tanto qui sono praticamente in una botte di ferro. Non può accadermi assolutamente nulla. Che suonano un po’ come le ultime parole famose.

Ad ogni modo, sono felice.

“Va bene.- Dico tra il deciso e il rassegnato- In tal caso, non posso che aiutarvi volentieri.” 

“Molto bene- sentenzia soddisfatto il Patriarca- Allen ti mostrerà la stanza in cui potrai dormire.” 

Dormire? E chi vuole “dormire”! Devo lavorare alle pergamene. Essere un eroe è piacevole, ma sicuramente, stancante. Per questo voglio sbrigarmi a risolvere la faccenda. In realtà, sono fondamentalmente pigra… Sbriga in fretta oggi quello che non dovrai fare domani. Lo ripeto sempre a me stessa, è praticamente il mio motto. Perché i tuoi domani da fancazzista contano! Oddio, adesso sembra una pubblicità progresso. All’inverso, però. Una “pubblicità regresso”. Sto cazzeggiando, ma che ci posso fare, sono felice. E quando sono felice, lo so, lo sapete, lo sappiamo tutti. Possiamo continuare. 

Allen mi si avvicina, mi fa segno con un braccio di inginocchiarmi e poi, con lo stesso braccio, mi indica quando alzarmi ed inizia a condurmi via.

“C’è un’ultima cosa- il Patriarca sorride generoso- è da stamattina che camminate ed immagino non abbiate ancora mangiato. Permettetemi di proporvi di unirvi alla nostra umile cena.” 

Quanto mi piace quest’uomo. Se solo avesse qualche anno in meno… Aspettate tutti: io devo lavorare! Non ho tempo da sprecare in cose come il cibo. 

“Vorrei dare subito un’occhiata alle pergamene, se possibile. Più tardi, non mancherò di farle sapere- mi affretto a dire, cogliendo un suo sguardo- voi cenate pure.- Sento di doverci mettere della sana ironia per rompere tensione e ghiaccio. Due piccioni con una fava.- Sa, sono una ballerina, qualche pasto lo dovrò pur saltare, di tanto in tanto, diciamo, almeno una volta all’anno. Adesso sembro un attaccapanni senza i panni, ma qualche anno fa,- mi porto l’indice al mento e scandisco le parole pensierosa, quasi parlando tra me- la gente mi guardava come se non distinguesse il mio dritto dal rovescio.” 

Sento delle risa camuffate alle mie spalle. Mi volto. Un bellissimo ragazzo dai capelli neri e spettinati, alti sulla fronte, tenta invano di nascondere l’attacco di ridarella. Non sapranno parlare, ma almeno ridono. E delle mie battute, che è ancora meglio. Quanto vorrei avere più amici, ora che sono lontana da casa… Ma so che questo è un sogno impossibile.  Io e loro viviamo in due mondi diversi. Letteralmente.

Comunque il Patriarca lo fulmina con lo sguardo, e tanto basta a convincerlo a desistere.

   
 
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