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Autore: MadAka    17/05/2016    1 recensioni
Logan Jackson Miller – a tutti noto come Jack – è un personaggio tormentato. Dipendente da droghe, omosessuale, con una vita sentimentale complicata e con un progetto che desidera portare a termine fin troppo ardentemente. Un ragazzo destinato all’autodistruzione.
A impedire che ciò accada – facendolo a sua stessa insaputa – c’è Riley, la ragazza della porta accanto.
Un’amicizia forte la loro, un legame saldo, che in un momento di duplice debolezza si incrina profondamente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Se c’era una cosa in cui Jack sapeva di essere bravo, quella era la capacità di organizzare party e feste a sorpresa. Probabilmente era in parte dovuta a questa consapevolezza la scelta di aprire un night club, anche se era sicuramente più legata al fatto di essere una persona che si trovava incredibilmente a proprio agio in ambienti come quello di un night.

L’appartamento di Connor non era mai stato tanto pieno. C’erano persone praticamente ovunque, intente a bere, conversare e ballare.

Grazie al finanziamento che il fratello gli aveva accordato sette giorni prima, il night club di Jack non era più un sogno. Nell’ultima settimana il ragazzo aveva lavorato parecchie ore per far sì che i suoi progetti – già ben strutturati da prima – diventassero il perfetto programma di lavoro per dare vita alla sua creazione. Lo stabile che aveva adocchiato da mesi era stato fermato e i lavori erano cominciati e tutto solo per merito di Connor e dei soldi che aveva anticipato a Jack.

Così, per sdebitarsi – almeno simbolicamente – Jack aveva chiesto ad Amber di poter organizzare nel loro appartamento una “piccola” festicciola a sorpresa in onore del fratello, come modesto regalo. Amber, circospetta nel primo momento, aveva dato la sua approvazione e nell’arco di un giorno Jack aveva trovato persone, alcol e musica a sufficienza per tirare avanti una notte intera.

Stava osservando compiaciuto quello che era riuscito a mettere in piedi e le espressioni soddisfatte dei partecipanti quando Amber gli si avvicinò, posando una mano sulla sua spalla e sovrastando il volume della musica. «Sta arrivando, ho visto la sua macchina.»

Informato dell’arrivo di Connor, Jack abbassò il volume dello stereo, sollevando proteste da parte dei partecipanti. Li calmò con un sorriso e un ampio gesto delle braccia: «Rilassatevi, riavrete la vostra musica. Mio fratello sta arrivando e sapete tutti che questa festa è per lui.»

Bastarono quelle poche parole per tranquillizzare i presenti. Amber abbassò le luci e le voci si acquietarono. Jack si sistemò davanti alla porta, in attesa del fratello.

Quando Connor entrò in casa rimase interdetto solo un momento alla vista delle luci spente, dopodiché la sua espressione si fece sorpresa quando un coro di grida di benvenuto si alzarono dietro alla figura che riuscì a riconoscere come quella di Jack. Si guardò intorno, incuriosito, mentre qualcuno tornava ad alzare il volume della musica e le voci riprendevano a sovrastarsi a vicenda.

«Che significa?» chiese Connor rivolto a Jack, il quale continuava a rimanere fermo davanti al fratello, un sorriso radioso in volto.

«È la tua festa» gli rispose. «Prendila come un semplice ringraziamento per il tuo finanziamento» concluse, stringendosi brevemente nelle spalle.

Connor lo squadrò per un lungo momento, un sorriso appena accennato in volto. Infine puntò lo sguardo sul suo appartamento per valutare il tipo di persone presenti alla “sua” festa. Riconobbe diversi volti, ma ne vide anche parecchi di sconosciuti.

«Come hai fatto a convincere Amber?» domandò poi, tornando a guardare Jack. Lui si esibì in un’ espressione contrariata, come se fosse appena stato offeso da quelle parole. «Le ho semplicemente chiesto il permesso e lei ha accettato.»

Connor gli scoccò un’occhiata diffidente. «Ah sì? Curioso. Di solito le feste che dai tu non sono fra le più tranquille e pulite. Semplicemente per questo motivo mi stavo chiedendo come mai Amber non avesse avuto problemi a lasciarti il nostro appartamento.»

Jack sospirò, passandosi una mano fra i capelli, impaziente. «Oh, andiamo. Perché per una volta tanto non ti rilassi e cerchi di divertirti? È la tua festa.»

«Festa a cui, sono abbastanza sicuro, non sta circolando solo alcol e testosterone.»

Le labbra di Jack si arricciarono, l’espressione di chi è appena stato colto in flagrante. Estrasse dalla tasca interna del suo giacchino di pelle – che portava sopra una camicia bianca in parte slacciata – una bustina trasparente, un paio di piccole capsule bianche contenute al suo interno. «Non so gli altri, io ho solo queste. E francamente stasera non ho voglia di usarle. Se non ti va di fare il moralista rompicoglioni posso darne una a te.»

Connor non reagì. Spostò lo sguardo alla sinistra di Jack dove era appena comparsa Amber, sorridente. Il fisico asciutto della ragazza era ben evidente sotto il vestito che indossava, i lunghi capelli neri le ricadevano morbidi fin sotto le spalle.

Guardò il compagno. «Stranamente sono d’accordo con Jack, dico sul serio. Non prendiamo mai parte a questo genere di cose, per una volta potresti anche lasciarti andare.»

La vellutata voce di Amber sortì l’effetto desiderato. Connor rilassò visibilmente le spalle, accontentandosi di ciò che la compagna gli aveva appena detto. Jack non aggiunse altro. Fece scivolare una delle due capsule sul palmo della mano, tendendola al fratello. «Se vuoi provare» gli disse.

Connor guardò la piccola pillola bianca, dubbioso. «Quanto dura l’effetto?»

«Direi tre ore. Al massimo quattro, ma è difficile» rispose, precedendo le parole da un’alzata di spalle.

Il fratello non si mosse, fu Amber a prendere l’iniziativa. Raccolse dal palmo di Jack la capsula e la mise in bocca, ondeggiando fino alle braccia di Connor e baciandolo immediatamente perché la pillola potesse passare dalla bocca di una a quella dell’altro. Jack li guardò divertito scambiarsi quel bacio, dopodiché si voltò verso il resto degli invitati così da poter finalmente prendere parte alla festa.

 

*

 

Jack cominciò a rivestirsi in piedi, leggermente instabile sulle proprie gambe, nel buio della camera. La stanza era quella degli ospiti dell’appartamento di Connor, sul letto alle sue spalle un ragazzo e una ragazza erano distesi vicini, i respiri lenti e soffusi nel sonno. Jack rimase a guardarli, prima spettinandosi i capelli, poi allacciandosi la camicia, lievemente sgualcita. Aveva la testa ancora leggera per via del molto alcol ingerito durante la serata, mentre l’eccitazione provata durante un rapporto a tre era prossima a esaurirsi.

Si avviò fuori dalla stanza, il passo trascinato e lo sguardo vacuo a scrutare intorno. In casa di Connor erano rimaste davvero poche persone. Suo fratello e Amber erano sicuramente chiusi nella loro camera da letto; nel soggiorno tre persone erano sedute sul divano, profondamente addormentate. Jack diede una rapida occhiata all’orologio posto sopra il televisore e si accorse che erano le tre passate. Si sentiva stanco e voleva tornare a casa, nient’altro.

Uscì dall’appartamento e si incamminò verso il suo quartiere lungo le strade quasi deserte della notte di Washington. Qua e là gli capitava di imbattersi in qualcuno, personaggi poco raccomandabili per lo più, a cui non prestava la minima attenzione, limitandosi a continuare a camminare. Come vide un taxi passargli accanto estrasse istintivamente la mano, facendolo fermare. Vi salì e si sedette, dicendo il proprio indirizzo di casa con voce strascicata. Infine appoggiò la testa contro il seggiolino e chiuse gli occhi.

Quando il tassista gli disse che erano giunti a destinazione Jack sollevò la testa troppo in fretta e si sentì sprofondare in un vortice. Cercò di ridestarsi in fretta, ignorando le vertigini e, appena ebbe pagato, scese dalla vettura e raggiunse il portone d’ingresso del condominio.

 

*

Riley fu svegliata di soprassalto. Ci mise un po’ a capire cosa fossero i rumori che stava sentendo, così ritmati e forti. Qualcuno stava bussando alla porta, con insistenza. I colpi erano ripetuti in modo frettoloso, separati fra loro solo da pochi istanti di silenzio. La ragazza controllò l’orario e notò che erano le quattro del mattino. Non aveva idea di chi potesse essere a bussare alla porta a quell’ora e un moto d’ansia l’assalì. Provò a ignorare i rumori provenienti dal soggiorno, ma chiunque stesse bussando non era minimamente interessato a smettere. Si alzò dal letto e afferrò la mazza da baseball che teneva accanto al comodino; dopo la visita ricevuta in casa propria da parte dei ladri, Riley aveva ben pensato che era meglio munirsi di qualcosa con cui difendersi nel caso ce ne fosse stato bisogno. Attenta a non far rumore si avvicinò alla porta d’ingresso, ancora percossa dai colpi. Sbirciò dallo spioncino con l’illusa speranza di vedere il volto della persona oltre la porta, ma come prevedibile le luci erano spente e lei riuscì solo a distinguere una confusa macchia scura. Strinse con forza maggiore la mazza d’alluminio nella mano destra e cercando di mantenere l’autocontrollo disse: «Chi è?»

La risposta tardò di pochi secondi e sembrava provenire da dentro la porta stessa: «Jack.»

Sorpresa, Riley allentò la presa dalla mazza da baseball, accese la luce della sala e aprì. Si trovò davanti il ragazzo, i capelli scompigliati, gli occhi lucidi dal troppo alcol e dalla stanchezza, l’alito di chi aveva bevuto ben più di un bicchiere di vino. Riley si scompose appena a quella vista. Jack aveva l’aspetto di uno che si stava lentamente distruggendo con le proprie mani – e la ragazza sapeva che, purtroppo, non si trattava solo di un’impressione – ma le fu impossibile non trovarlo dannatamente bello anche in quello stato. Un sorriso solcò il viso del ragazzo quando incontrò lo sguardo di Riley. «Non volevo svegliarti, scusa» disse. Masticava le parole e aveva bisogno di reggersi allo stipite della porta per evitare di perdere l’equilibrio, gli abiti disordinati a coprire il suo corpo.

«Stai bene?» gli chiese la ragazza, posando finalmente la mazza.

«Sì. Io… sì» fu la risposta. «Sono appena venuto via da casa di Connor. Ho dato una festa e, beh, credo sia andata piuttosto bene.»

Riley sapeva ciò di cui stava parlando. Jack l’aveva invitata a quella festa a sorpresa, ma lei aveva preferito non andare.

«Mi aspettavo di vederti» ammise Jack.

Lei abbassò lo sguardo. «Non sono il tipo da feste, dovresti saperlo. Avrei annoiato tutti.»

Jack la guardò, serio. Si avvicinò di un passo, fermandosi quasi a contatto con il corpo della ragazza. Inclinò la testa di lato e sollevò appena le spalle. «Sai che non è vero. Saresti sicuramente piaciuta.»

Riley preferì non rispondere. Distolse lo sguardo, facendolo scorrere lungo la zip aperta per metà della giacca del ragazzo. «Magari la prossima volta» mormorò.

Jack annuì lievemente con la testa, rimanendo a guardare la ragazza. Quando lei tornò a sollevare gli occhi per vederlo bene in faccia si aspettò una risposta da parte sua che non arrivò mai. Lui continuò a guardarla, in silenzio e Riley non poté fare a meno di notare i lineamenti sciupati dalla stanchezza. Con tutta probabilità era in piedi da molte più ore di quelle che un corpo normale era in grado di sopportare e la massiccia assunzione di alcol – e forse non esclusivamente quello – aveva contribuito a consumarlo ulteriormente.

«Dovresti andare a dormire. Mi sembri stanco» disse la ragazza a un certo punto.

Jack parve sorpreso. Si guardò un momento intorno, infine si stropicciò gli occhi con le dita e fece scorrere la mano fino al collo. «So che non sembra, ma non ho sonno.»

Prima che Riley potesse replicare il ragazzo riprese parola: «Ti andrebbe di farmi compagnia per un po’? Non…»

Inspirò a fondo: «Non ho molta voglia di stare da solo.»

Fu Riley a sorprendersi questa volta. Guardò Jack in modo confuso, chiedendosi quanto le convenisse seguire il ragazzo in quello stato. Tuttavia una parte di lei le fece capire che lasciare da solo Jack quella sera sarebbe potuto essere un grave errore. In fin dei conti si sentiva sveglia e aveva perso sonno per molto meno nelle settimane precedenti.

«Va bene» rispose alla fine. «Ti accompagno nel tuo appartamento?»

Jack annuì, sollevato. Mentre lei si infilava una felpa e prendeva le proprie chiavi di casa sentì il ragazzo aprire l’ingresso del suo appartamento. Entrandovi, Riley lo trovò più ordinato di quanto non fosse stato in precedenza, fatta eccezione per il tavolo, ingombro di carte, taccuini, penne e qualche bottiglia. Jack si era già tolto la giacca e si era sistemato sul divano, una bottiglia d’acqua stretta in una mano e l’altra sugli occhi. Sollevò lo sguardo su Riley quando la sentì chiudere la porta. «Fai come se fossi a casa tua. Come sempre.»

Le sorrise, un gesto che sembrò richiedergli un grande sforzo. Bevve un lungo sorso d’acqua mentre Riley andava a sedersi accanto a lui. La ragazza fece vagare lo sguardo per il soggiorno, soffermandolo nuovamente sul tavolo. Jack se ne accorse. «Sono i progetti del night» le disse, prima ancora che lei potesse pensare di chiederglielo.

«Come sta andando?» domandò.

«Piuttosto bene. Direi di essere a buon punto.»

Riley annuì con la testa, debolmente. Non chiese altro, così come Jack non aggiunse una parola a ciò che aveva appena detto. La ragazza continuava a sospettare che fosse successo qualcosa a Jack e che non si trattasse di ciò che era avvenuto fra loro. Si convinse che se non avesse voluto accontentarsi di supposizioni avrebbe dovuto chiederlo direttamente a lui e che quello poteva essere il momento migliore.

Sperando di non essere in procinto di compiere un grave sbaglio, Riley prese una boccata d’aria e disse: «Posso chiederti una cosa?»

Jack si voltò leggermente verso di lei. «Certo» rispose.

La ragazza impiegò un po’ a rispondere. Voleva trovare le parole più appropriate, consapevole che stava quasi certamente andando a toccare un nervo scoperto. «Quando sei dovuto rimanere dai tuoi, per quelle due settimane, hai presente? É successo qualcosa di grave?»

Ascoltò il silenzio grave che si era formato subito dopo le sue parole e si accorse che Jack aveva trattenuto il respiro per un momento. Quest’ultimo abbassò lo sguardo sulle proprie mani, stringendo la bottiglia d’acqua con forza maggiore. Nonostante la mente annebbiata da alcol e stanchezza rifletté con lucidità su quello che poteva fare. Era fortemente combattuto se dire o meno la verità a Riley su ciò che lo aveva tenuto due settimane lontano da casa. Infine si rese conto che per poter ricostruire il suo legame con la ragazza era necessario riconquistare la sua fiducia e decise di dirle come stavano le cose. Tuttavia non le disse esattamente tutto.

«Diciamo che la mia famiglia ha preferito tenermi sotto controllo per un po’. Avevano paura che potessi commettere qualche gesto piuttosto insano.»

Riley lo sguardò, sorpresa: «Perché avresti dovuto?»

Jack non ebbe la forza di alzare lo sguardo su di lei. Ricordare cosa gli era accaduto continuava a infastidirlo e lo rendeva instabile e frustrato.

«Louis… Beh, mi… mi ha lasciato. E i giorni successivi non sono stati molto semplici da affrontare, non da solo. Adesso almeno c’è Nathan.»

Riley non disse niente. Ripensò a quanto le era appena stato detto e si sentì impotente. Fra di loro scese un silenzio che aveva dell’inverosimile e che durò molto prima che la ragazza riprendesse a parlare: «Avevo intuito che tu e Louis non vi vedeste più. Effettivamente avevo iniziato a incontrare qualcun altro lungo i corridoi.»

Lo disse mormorando, ancora incredula alle parole di Jack. Il ragazzo finalmente sollevò lo sguardo dalle proprie mani e lo puntò sul soggiorno di casa sua, un leggero sorriso abbozzato sulle labbra, come se gli fosse tornato alla mente un dolce ricordo. «Sì, Nathan. È un bravo ragazzo, tiene veramente a me, a differenza di Louis. É solo che… Non è semplice dimenticarsi di qualcuno.»

La sua voce si era abbassata sul finire della frase e Riley poteva perfettamente capire perché: faceva male. Lei ci era passata fin troppe volte ed era consapevole che i ricordi riaffioravano ogni volta che ne avevano l’occasione e che il dolore e la rabbia li accompagnavano sempre. Non era ancora passato un mese da quanto Louis aveva piantato Jack e anche se, a sentire il ragazzo, Nathan era una bella persona, era ancora troppo presto perché fosse in grado di far dimenticare a Jack quel dolore.

«Lo so» disse lei in risposta.

Il ragazzo si voltò finalmente a guardarla. Riley teneva lo sguardo distante, puntato su uno dei tanti punti in penombra dell’angolo cottura. Jack sentì lo stomaco stringersi mentre osservava il profilo elegante di quella che per molto tempo era stata la sua più cara amica e con cui avrebbe voluto sistemare tutto. A quel pensiero si morse il labbro inferiore, rimanendo a guardarla. «Riley, mi dispiace così tanto per quello che è successo fra noi. Vorrei davvero che le cose tornassero come prima» disse in un sol fiato.

Lei lo guardò. Le venne spontaneo stringersi nelle spalle mentre la risposta le affiorava alle labbra con sorprendente sicurezza: «Ne abbiamo già parlato. Te l’ho detto, è impossibile che ciò che provo per te non influisca fra noi, lo sta già facendo.»

Quella frase fu un colpo al cuore per Jack, soprattutto perché era consapevole che si trattava della verità. Tuttavia Riley non aveva finito. Per lei il fatto che il ragazzo continuasse a cercarla era il chiaro segnale che lui non era disposto a perderla per colpa di una notte e lei aveva ormai superato una tale serie di delusioni da sapere che per quanto potesse apparire difficile non era certo mortale. Prima di essere l’uomo che amava, Jack era stato un caro amico e lei avrebbe fatto il possibile per recuperare quel legame.

«Comunque sia penso che riusciremo a sistemare le cose. Mi serve solo un po’ di tempo.»

Jack abbozzò un sorriso, incerto e stanco. Si sentì sollevato da quanto Riley aveva detto.

Lei rimase a guardarlo, sentendosi però improvvisamente preoccupata. Che gesto insano temevano che il ragazzo potesse compiere, i suoi genitori? Le venne un sospetto, ma lo cacciò via subito convinta che Jack non potesse mai essere in grado di compiere una simile follia.

Non era solo colpa della stanchezza, Jack le parve davvero tormentato da qualcosa e più intensamente del solito. Con molta probabilità Louis ne era la causa. Riley si lasciò andare all’istinto. Continuando a guardare Jack negli occhi portò una mano fra i suoi spettinati capelli corvini, facendo scorrere le dita fra le corte ciocche scure.

«Louis non ti meritava» dichiarò, con una sincerità tale da sorprendere perfino se stessa.

Il ragazzo rimase a guardarla. Inclinò leggermente la testa come un gatto che cerca le carezze del padrone, senza dire nulla. Appoggiò il capo alla spalla della ragazza e permise alla stanchezza di prendere il sopravvento. Si sentiva esausto e confuso e tutto sarebbe potuto diventare letale se accanto a lui non ci fosse stata Riley.

  
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