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Autore: hedaelisa    17/05/2016    1 recensioni
Il Cancelliere Pike ha raso al suolo un intero villaggio di Grounders e Clarke, l'unica degli Skaikru a voler instaurare una pace duratura fra i due popoli, viene catturata e portata a Polis, dove lo spietato comandante dei Trikru l'attende per giustiziarla.
Ma proprio quando Lexa incrocia quei profondi occhi blu, tutto il suo mondo, basato sul motto "jus drein jus daun", ovvero "sangue chiama sangue", crolla inesorabilmente.
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Prima FF in assoluto, perciò siate buoni :) la storia è raccontata da entrambi i punti di vista.
Apprezzo tantissimo le vostre recensioni e critiche, poiché solo così posso superare i miei limiti e migliorare sempre di più! Buona lettura!
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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POV CLARKE

Quando la mattina seguente mi svegliai l'alba stava sorgendo e proiettava fasci di luce rosa e arancione in tutta la stanza. I miei occhi si posarono sul volto di Lexa, a poca distanza dal mio. Era rilassata e immobile, ma conservava quel che di regale e autoritario anche mentre dormiva. Mi tirai su, posandomi sui gomiti, e mi guardai intorno anche se, vista la debole luce, potevo vedere ben poco da quella distanza. Gettai un ultimo sguardo a Lexa e mi alzai definitivamente.
Iniziai a camminare lentamente nella stanza, osservando da vicino tutto ciò che la arricchiva. Mi soffermai soprattutto sulle candele, sugli scarabocchi sparsi sulla scrivania, sui quadri alle pareti, sulla finestra e sulle tende bordeaux, finché il mio piede non sfiorò qualcosa. Spostai allora lo sguardo sul piccolo carboncino abbandonato per terra. Lo raccolsi e iniziai a rigirarmelo fra le dita con estrema curiosità. Mi ricordava i pomeriggi passati nella mia cabina dell'Arca, quando disegnavo gli alberi e i fiori terrestri così come li avevo sempre immaginati.
Scorsi un piccolo foglio bianco sulla scrivania e mi sedetti scomposta su una delle poltroncine, vicino all'ampia finestra.
Iniziai a scarabocchiare qualcosa, ma non riuscivo a trovare la giusta ispirazione. Mi guardai intorno alla ricerca disperata di qualcosa da disegnare, e la prima cosa che i miei occhi scorsero furono le molteplici candele spente. Iniziai allora a disegnarle sul contorno del foglio, colorandole e sfumandole col polpastrello. Ma poi notai che mancava ancora qualcosa.
Fu allora che Lexa sospirò rumorosamente, cambiando posizione e voltandosi dall'altra parte, col viso rivolto proprio verso di me. Sorrisi tra me e me e iniziai a disegnare i suoi lineamenti. Non avevo mai ritratto una persona, ma come diceva sempre mia madre "un artista deve sempre spingersi oltre, superare il proprio limite, o non capirà mai la vera e pura essenza dell'arte".
E così le ore passarono, ma io nemmeno me ne accorsi. Il sole iniziava ad essere alto nel cielo, e la luce che proiettava era ormai vivida e intensa.
Stavo sfumando i contorni del volto di Lexa con le dita quando qualcuno bussò forte alla porta. La guardia irruppe con passo deciso nella stanza. Lexa aprì gli occhi, si mise seduta di scatto e fulminò il soldato con lo sguardo.
"Heda, mi dispiace disturbarti senza preavviso, ma gli Ambasciatori sono tutti riuniti nella Sala del Trono, in tua attesa. Il Fleimkepa ha tentato di covincerli a lasciar perdere, ma sono stati irremovibili. È richiesta immediatamente la tua presenza." E con ciò, fece un inchino e lasciò velocemente la stanza.
Lexa sbuffò rumorosamente e si alzò con fatica, lasciando scivolare le coperte a terra. Mi voltò le spalle e si stiracchiò vistosamente. Poi si bloccò a mezz'aria e iniziò a guardarsi intorno freneticamente.
"Sono qui." Mormorai, nel vano tentativo di mascherare il mio divertimento.
Al suono della mia voce lei rispose voltandosi di scatto e alzando gli occhi al cielo.
"Hai dormito bene?" Mi chiese a bruciapelo.
"Molto, ti ringrazio." Le sorrisi timidamente, ancora una volta sorpresa da quella gentilezza sincera.
"Che stavi facendo?" Si avvicinò lentamente, lasciando scivolare lo sguardo sul disegno che tenevo in grembo.
Arrossii di colpo. "Ehm, stavo disegnando... te. Non volevo svegliarti e così mi son messa quaggiù vicino alla finestra, nel tentativo di passare il tempo. E la tua espressione era così rilassata che il carboncino ha iniziato a muoversi da solo."
Lei mi fece un sorriso sghembo mentre si sporgeva per vedere il risultato delle ore passate a ritrarla. Spalancò gli occhi e mi rivolse uno sguardo di ammirazione.
"È... È bellissimo, Clarke. Sei un vero talento."
Abbassai gli occhi, intimidita dal suo sguardo. Le parole si rifiutarono di uscire, così le feci un cenno vago come per dire "niente di eccezionale, davvero".

Il lungo e improvviso sospiro di Lexa mi scompigliò i capelli.
"Hai sentito cos'ha detto il messaggero. Gli Ambasciatori hanno richiesto la mia presenza per una riunione. Dovrò sicuramente spiegare loro il nostro piano" mi sussurrò.
Io annuii in risposta, consapevole che avrebbero fatto di tutto per metterla in difficoltà.
Alzai lo sguardo, cercando di trasmetterle il mio dispiacere e la mia solidarietà, ma ciò che vidi mi stupì. Non era più sconsolata o preoccupata, ma anzi, stava ampiamente sorridendo, con l'aria di chi la sapeva lunga.

POV LEXA

I capelli mi ondeggiavano ritmicamente sulla schiena mentre avanzavo con passo deciso verso la Sala del Trono. Avevo scelto di indossare l'armatura e la fusciacca bordeaux che tanto mi piaceva. Mi sentivo invincibile, soprattutto grazie alla persona che camminava al mio fianco.
Clarke aveva subito accettato la mia richiesta di presenziare alla riunione, benché l'avesse fatto con una scintilla di preoccupazione negli occhi. L'avevo rassicurata che nessuno avrebbe osato alzare un dito, finché fosse rimasta sotto la mia protezione.
I piedi si muovevano da soli, diretti verso il piano inferiore, ma la mia testa era altrove. Ripensavo al momento in cui ero stata bruscamente costretta ad alzarmi. I miei occhi erano subito corsi alla parte di letto dove Clarke aveva riposato, ma lei non c'era. Avevo temuto che se ne fosse andata. Ma poi la sua voce divertita mi aveva richiamato all'attenzione e io non potetti che voltarmi nella sua direzione. Era seduta scomposta sulla poltrona verde bottiglia vicino alla portafinestra, le dita della mano destra tutte sporche di nero e un foglio bianco sulle ginocchia. Il ritratto che mi aveva fatto mi aveva stupito così tanto da lasciarmi totalmente e inesorabilmente senza fiato. Come potevo essere io il volto impresso sulla carta? La ragazza nel disegno sembrava una normalissima fanciulla addormentata, una di quelle che ha una bella casa adornata di fiori di tutti i tipi. Una di quelle le cui avventure si leggono nelle fiabe. Una di quelle che ha una lunga vita tranquilla insieme alla propria anima gemella, circondata da figli e animaletti domestici.

Le guardie spalancarono le porte e io entrai marciando, diretta verso il grande trono al centro. Gli Ambasciatori, prima in assoluto silenzio, iniziarono a parlottare fra di loro non appena entrò anche il mio seguito. I loro bisbiglii e gli sguardi torvi riguardavano ovviamente la giovane Skaikru.
Mi sedetti e mi voltai, richiamando tutti all'attenzione. Uno degli Ambasciatori, Johan, parlò per primo.
"Heda, non trovo sia appropriato che..."
Mi alzai di scatto e mi avvicinai a lui felina, fissandolo negli occhi.
"Mi avete chiamata per una riunione, e sono venuta per questo. Se qualcun altro ha intenzione di ribattere e giudicare i membri del mio seguito, quella è l'uscita."
Scandii le parole una ad una, mentre con la mano indicavo l'enorme porta finestra dietro di me. Alla mia risposta, qualcuno ebbe il coraggio di emettere un risolino, avendo capito perfettamente la mia "battuta": ci trovavamo al quarantaduesimo piano della torre.
Me ne tornai al mio posto, ma stavolta rimasi in piedi. Un altro Ambasciatore fece un passo in avanti e alzò la mano. Gli concessi la parola con un cenno del capo.
"Heda, ti abbiamo convocata qui oggi per discutere del piano per punire gli Skaikru coinvolti nell'omicidio di un intero villaggio." Si fermò un attimo, giusto il tempo per spostare lo sguardo e sbirciare l'espressione di Clarke. "Vorremmo infatti sapere cosa tu abbia intenzione di fare in merito."
Inclinai lievemente il capo e scesi uno scalino. "Io e la giovane Skaikru abbiamo discusso a lungo a questo proposito, e crediamo entrambe che ella debba tornare al suo accampamento e iniziare una rivolta interna contro il loro capo."
Tutti mi guardarono con aria perplessa, ma non detti loro il tempo di ribattere.
"So che non vi fidate minimamente, ma lei è l'unico modo che abbiamo. Non è giusto che altri innocenti paghino le conseguenze per le scelte di un singolo. Clarke, la Skaikru, potrà tornare alla base, e da lì inizierà a cercare informazioni e rimarrà segretamente in contatto con noi."
"In che modo riusciremo a comunicare?" Chiese uno dei presenti, attirando la mia attenzione. "Clarke ha detto che fra la sua gente esiste un mezzo di comunicazione a distanza. Un dispositivo che lei provvederà a procurarci senza destare sospetti."
"E cosa ne faremo di coloro che hanno partecipato all'omicidio?" Chiese un altro ancora.
"Strada facendo, Ambasciatore, decideremo le loro sorti. Al momento dobbiamo solo assicurarci che Clarke torni sana e salva dalla sua gente, e con una scusa valida che giustifichi la sua assenza."
Rimasi immobile, il mento alzato in segno di potere. Gli Ambasciatori si scambiarono piccoli mormorii. Titus, vicino a me, era più silenzioso di un topo. Se non fosse stato per i piccoli movimenti del suo petto ad ogni respiro, avrei detto che era una statua di sale.
Gli Ambasciatori tornarono a guardarmi, annuirono cauti e si inchinarono tutti insieme.
Poi se ne andarono velocemente, così come erano arrivati.
Titus fece un passo avanti, si voltò verso di me e fece lo stesso, prima di sgattaiolare fuori. Quando io e Clarke fummo rimaste sole, tirai un lungo sospiro di sollievo.
L'approvazione della mia gente era tutto quello che contava.
La giovane Skaikru si avvicinò incerta al trono, studiandolo con quei suoi immensi occhi blu. Quando alzò il capo verso di me le accennai un sorriso, che lei ricambiò prontamente.
Il suo piccolo sorriso però si spense, mentre formulava la domanda che mi trafisse il petto come una lancia.
"Quando devo partire?"
Dopo alcuni interminabili istanti, ricordai come connettere il cervello alla bocca e le risposi. "Bé... Quando vuoi, Clarke. Non sta a me costringerti a rimanere ancora."
Lei rimase in silenzio, soppesando le mie parole. Il suo sguardo era puntato sul mio viso, ma in realtà era altrove.

« Ti prego Clarke, non andartene, non così presto! »

E quello stupidissimo pensiero da dove arrivava?! Lexa, che diamine, devi darti un contegno. Scossi impercettibilmente la testa, nel tentativo di liberarmi delle voci interiori che mi stavano assillando.
Clarke non era una prigioniera, non era un Ambasciatore. Niente la costringeva a rimanere in questa dannatissima città, in questa dannatissima torre... purtroppo.
Avevo goduto così tanto della sua presenza, che non sapevo come avrei potuto reagire il giorno che avesse lasciato Polis.
Almeno avrei potuto sentire la sua voce tramite quello strano aggeggio. Avrei potuto essere sicura che stesse bene, che nessuno le facesse domande inopportune o peggio... che la torturasse.
La testa iniziava a scoppiarmi, ma qualcosa mi riportò violentemente alla realtà. Qualcosa di caldo aveva preso le mie mani e le stava stringendo. Clarke mi guardò profondamente negli occhi e, con le mani strette nelle mie, sussurrò: "Allora è bene che io parta domattina. Ti dispiace se dormo nuovamente nella tua stanza per stanotte? È l'unico posto in questa torre dove io mi senta davvero al sicuro..." Si interruppe bruscamente, non appena vide i miei occhi spalancarsi per lo stupore. "N-Naturalmente posso dormire anche sulla sedia della scrivania." Balbettò infine, abbassando lo sguardo.
Non ne sarò mai sicura, ma per un brevissimo attimo mi parve di vedere le sue guance tingersi di una lieve tonalità di rosso.
Le sorrisi tristemente e strinsi le sue mani fra le mie.
"Ma certo, Clarke. Tutto quello che vuoi."
   
 
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