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Autore: Magica Emy    18/05/2016    1 recensioni
Ricordate le vicende dei ragazzi di Hèléne e i suoi amici, simpatico telefilm andato in onda nell'ormai lontano 1995 per essere poi brutalmente interrotto solo poco tempo dopo? Bene, perchè in Francia invece non ha subìto alcuna interruzione bensì numerosi cambiamenti che lo hanno portato ad assomigliare a una specie di soap opera, con tanto di nuovi personaggi che mescolandosi agli storici si impegnano a vivere le proprie vite affrontando argomenti ben più seri di quelli a cui ci avevano abituati, poichè la storia continua 20 anni dopo. Attualmente in Francia sta andando in onda la settima stagione, ma gli attori son già pronti per l'ottava. Molte cose sono cambiate negli anni e questa fan fiction comincia proprio da qui... solo con qualcosa in più.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Se non ti vedo uscire da quella porta entro mezz’ora al massimo chiamo immediatamente la polizia e ti raggiungo.

Chiarì Nicolas, che pareva aver subito capito che dietro a quello strano e inquietante  messaggio si  nascondesse molto più di quanto riuscissero a immaginare, ragion per cui era meglio restare all’erta. Anche se alla fine, pur avendolo di nuovo accompagnato nel lungo viaggio verso Houston, aveva finito per cedere all’accorata richiesta di Christian. Ne sarebbe rimasto fuori, ma solo per un breve lasso di tempo. Poi sarebbe entrato a cercarlo e insieme avrebbero affrontato qualunque cosa li aspettasse lì dentro. L’uomo annuì brevemente, affrettandosi poi a voltargli le spalle per incamminarsi verso la porta d’ingresso, che trovò stranamente aperta…

***

Quando Johanna riaprì gli occhi era tutto buio intorno a lei. Provò lentamente a rialzarsi sollevando appena le spalle ma un violento capogiro la convinse ben presto a desistere, costringendola a rimanere nella stessa posizione. Sentiva la testa pulsare in maniera insopportabile e ogni piccolo movimento sembrava peggiorare irrimediabilmente quella fastidiosa situazione, tanto che più volte si vide costretta a reprimere gli improvvisi attacchi di nausea calda che l’assalivano, rendendola debole e vulnerabile a qualsiasi prossimo attacco esterno che di certo non poteva far altro che aspettarsi, specie dopo ciò che era accaduto. Sì, le ci era voluto qualche secondo per rimettere insieme i pezzi ma ora aveva finalmente ricordato tutto. Anche la richiesta di aiuto che aveva disperatamente lanciato e che sperò con tutta se stessa fosse arrivata a destinazione, anche se non poteva esserne sicura visto tutto ciò che era successo dopo. Si sfiorò piano il viso e le labbra, ancora tumide dalla violenza subìta, sussultando per il dolore. Ritrasse immediatamente la mano, scoprendo con orrore che era sporca di sangue. Era stanca, ferita e dolorante, ma ancora lucida. Fin troppo lucida, tanto da riuscire a percepire chiaramente anche l’impellente bisogno che puntualmente tornava a farsi sentire, rendendola schiava di un’orribile e disgustosa realtà che lei stessa rifiutava ma di cui ormai, lo sapeva bene, non sarebbe più riuscita a fare a meno. Comunque stessero le cose, però, non avrebbe permesso a se stessa di arrendersi. Si abbracciò il pancione, cullandolo dolcemente per un lungo momento mentre i suoi occhi si abituavano pian piano all’oscurità. Si trovava in cantina, quel mostro doveva avercela portata dopo che era svenuta, approfittando del  suo temporaneo stato di incoscienza. Si avvicinò lentamente alla porta chiusa, provando a forzare la maniglia in ogni modo possibile prima di arrendersi all’evidenza: era chiusa a chiave lì dentro e se non avesse subito provato a fare qualcosa sarebbe rimasta lì sotto per sempre, condannata a morire come un topo intrappolato in gabbia. No, non poteva arrendersi così, doveva assolutamente trovare una soluzione.

- Fammi uscire di qui, dannato figlio di puttana!

Gridò fino a lacerarsi i polmoni, picchiando forte sulla porta e cercando di ignorare le fastidiose vertigini che l’assalivano ogni volta che provava a muoversi. La testa continuava a pulsarle senza sosta mentre sottili stilettate di dolore si irradiavano lungo tutto il suo corpo. Il bambino si mosse con violenza dentro di lei costringendola ad accasciarsi su se stessa, sudata e priva di energie. Cominciava a fare decisamente caldo lì dentro e non c’era nemmeno una finestra dalla quale provare a fuggire.

- Non agitarti così, piccolo mio – disse con dolcezza, sfiorandosi la pancia – so che sei preoccupato ma fidati di me, la tua mamma tirerà entrambi fuori di qui il più presto possibile, ma tu adesso devi collaborare e cercare di stare buono. Non rinuncerò a te così facilmente, non senza lottare e non ora che so che sei vivo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia.

Si rimise faticosamente in piedi, concentrandosi al massimo e guardandosi attorno con gli occhi della mente.

- Coraggio, Johanna – disse ad alta voce – questa è la tua casa, la tua cantina. Dev’esserci un dannato modo per uscire da questo posto. Pensa, rifletti, tu sai cosa devi fare.

Fu allora che la sua mente confusa focalizzò un’immagine nitida e dai contorni precisi. Era lì, proprio di fronte a lei. Come aveva fatto a non pensarci prima?

- La cassetta degli attrezzi – realizzò all’improvviso – nell’armadio, secondo cassetto a sinistra.

Si diresse barcollando dall’altra parte della stanza, lanciandosi con mani tremanti alla frenetica ricerca di un qualsiasi oggetto che risultasse abbastanza pesante o contundente da aiutarla  finalmente a forzare la porta, distruggendola se necessario…

***

Quando Christian entrò, richiudendosi lentamente la porta alle spalle la stanza era immersa nella penombra.

- Vieni, vieni pure avanti Christian, ti stavo aspettando. Ti ho visto arrivare dalla finestra, così come un ottimo padrone di casa ho lasciato la porta aperta.

Quella voce…ma da dove proveniva? Sapeva solo che chiunque fosse, non riusciva proprio a individuarlo da nessuna parte.

- Cosa stai blaterando e come fai a conoscere il mio nome? Chi diavolo sei tu, si può sapere? Questa casa è di Johanna, e…

- Calma – lo interruppe la voce il cui accento fastidiosamente sogghignante, ora che lo ascoltava bene, gli parve stranamente familiare – una domanda alla volta. La tua non proprio fedele, ora ex fidanzata si sentiva lievemente indisposta oggi, perciò credo proprio che dovrai accontentarti di me per questa volta. Insomma, so essere affascinante anch’io, cosa credi?

- Justin…

Sussurrò, realizzando improvvisamente la verità. Ricordava ancora bene le lunghe conversazioni tra lui e Johanna, a volte carpite distrattamente attraverso il vivavoce di cui lei era solita fare uso quando doveva consultare dei documenti importanti per il suo lavoro. Ma ebbe appena il tempo di rendersene conto che lui gli fu subito alle spalle, cogliendolo di sorpresa.

- Bingo! I miei complimenti amico, per essere un idiota con la faccia da babbeo devo dire che sembri piuttosto furbo!

Considerò con accento mellifluo mentre si affrettava a stringere attorno al suo collo una corda sottile che immediatamente gli tolse il respiro, minacciando di soffocarlo.

- Vedi di non dimenarti troppo, ci vorranno solo pochi secondi e poi sarà tutto finito. Ti prometto che non sarà molto doloroso!

Christian lottò a lungo contro quella maledetta corda che ogni minuto che passava si stringeva sempre di più attorno al suo collo ormai chiazzato di rosso, riuscendo infine a schivare i colpi che l’uomo stava intanto cercando di infliggergli attraverso un rapido calcio ben assestato, che lo liberò definitivamente e con estremo sollievo da quella trappola mortale. Accidenti, ancora un po’ e sarebbe sicuramente morto nelle mani di quell’assassino.

- Dov’è Johanna? Che cosa le hai fatto, razza di stronzo psicopatico?

Gridò con quanto fiato aveva in corpo non appena fu di nuovo in grado di parlare. Intanto tentava disperatamente di sfuggire alla sua mano armata che adesso si divertiva a inseguirlo per tutta la stanza.

- Cavolo, tu e quella gattamorta in calore in quanto a educazione sembrate proprio fatti della stessa pasta! Non dirmi che la mamma non ti ha mai insegnato come ci si comporta in pubblico.

Rispose Justin sfidandolo con lo sguardo e approfittando di un suo piccolo momento di distrazione per colpirlo di striscio sul braccio, facendolo subito sanguinare. Christian imprecò dal dolore, continuando a schivare i suoi colpi e lanciandogli addosso qualunque oggetto gli capitasse a tiro durante il cammino, ma invano. Justin sembrava una furia, riuscire a fermarlo sarebbe stata dura. Ma doveva almeno provarci. Per lei. Ora sapeva che era in serio pericolo.  

- Dove si trova, dimmi immediatamente dove l’hai nascosta! Se le hai torto anche un solo capello giuro che te ne pentirai amaramente, mi hai sentito?

- Ehi vacci piano con le minacce, troglodita, la tua puttana è in un posto sicuro a fare un bel sonnellino in questo momento, e credo che ci resterà ancora per un bel po’ di tempo!

Lo afferrò per il bavero della giacca e atterrandolo gli fu subito sopra, puntandogli il coltello alla gola.

- Vediamo se così ti passa la voglia di fare il gradasso, coglione!

Gli sussurrò a pochi centimetri dal viso, premendo con forza crescente la lunga lama luccicante contro di lui mentre Christian, ansante e sudato si divincolava intanto  come impazzito, trattenendogli il braccio a mezz’aria per evitare di essere colpito di nuovo. La ferita, anche se per lo più superficiale aveva preso a sanguinare copiosamente, imbrattandogli la camicia, ma non era certo questo a preoccuparlo. I suoi pensieri in quel momento erano tutti per Johanna, che avrebbe voluto trovare al più presto. Prima che fosse troppo tardi.

Fu in quel preciso istante che con suo grande stupore vide l’uomo accasciarsi d’un tratto sul pavimento accanto a lui, chiaramente privo di sensi.  Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che Johanna, in piedi davanti a lui era appena riuscita a tramortirlo, colpendolo alla testa con l’aiuto di una bottiglia di vetro e che ora, ansante e sanguinante lo fissava con  gli occhi sgranati, trattenendo a stento un singhiozzo soffocato.

- Johanna…Oh Dio, tu sei…

Mormorò con voce rotta, senza tuttavia riuscire a finire la frase quando il suo sguardo attento scivolò sul suo pancione, cogliendolo completamente alla sprovvista. La vide crollare di colpo in ginocchio, stremata e sopraffatta dagli ultimi, orribili avvenimenti appena vissuti mentre le scivolava lentamente vicino, stringendola poi in un forte abbraccio che in un attimo servì a dissipare tutta la sua pena, trasformandola teneramente in pianto.

- Mi dispiace Christian, mi dispiace così tanto…

Non smise di mormorare rifugiandosi contro il suo petto e lasciandosi consolare dalle sue mani calde e familiari, che accarezzandole dolcemente le spalle scosse dai singhiozzi la fecero finalmente sentire a casa. Si aggrappò di più alla sua camicia, ormai  strappatasi irrimediabilmente durante la colluttazione, sussultando quando si accorse che era sporca di sangue.

- Sei ferito.

Disse, incrociando il suo sguardo.

- Sto bene, è solo un graffio. Non preoccuparti.

Rispose, prendendole delicatamente il viso pieno di lividi tra le mani e studiandolo a lungo, addolorato, prima di posarle un leggero bacio sulle labbra tumefatte, come a voler cancellare tutta quell’ingiusta sofferenza.  

- È finita amore mio, è finita. Sei al sicuro ora, nessuno ti farà mai più del male.

La rassicurò, ma d’un tratto notò le sue labbra stringersi in una smorfia di dolore e il respiro farsi via via più affrettato. Le mani, graffiate e tremanti scivolarono sulla sua pancia, accarezzandola a lungo quando sentì che le contrazioni si facevano via via più forti. Questo lo mise immediatamente in allarme.

- Che c’è, cosa succede?

- Il… bambino. Credo che sia il momento.

Intanto, in lontananza, le sirene della polizia ne annunciavano il provvidenziale arrivo. Nicolas aveva mantenuto la promessa, anche lui stava per raggiungerli…

 

 

   
 
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