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Autore: DeniseCecilia    18/05/2016    7 recensioni
Una fanfic dedicata a Judy, a Nick e a un possibile "noi".
Alle scelte che il mondo ci chiede di fare e che non possiamo ignorare, se vogliamo crescere.
Ma che, in fondo, sono soltanto nostre, e di chi amiamo.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Hopps, Judy Hopps, Nick Wilde, Stu Hopps, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry, Tematiche delicate
Capitoli:
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Let's go on. In questo capitolo si conclude il piccolo esperimento di inserire un caso nella storia (la sparizione dei cuccioli di zebra), dopodiché tutto vira nuovamente, brutalmente verso il fluff - fluff è bello... questo capitolo ed il successivo, che pubblicherò in tempi più ravvicinati (entro una settimana), sono strettamente legati: entrambi raccontano la serata post-lavoro dei nostri adorati <3
Ancora mille grazie a chi sta seguendo e commentando, siete preziosi. A breve risponderò anche agli mp.
Non mi resta che augurarvi buona lettura :)
 

VII. Di più
 
Era venuto fuori che i tre cuccioli si erano allontanati da casa volontariamente. Da giorni si erano messi d'accordo per trovarsi in un parco che frequentavano, con l'intento di pagare un taxi grazie alle loro mance settimanali. Avevano raccontato al conducente di essere tre fratelli, e che dovevano visitare uno zio – Rosie aveva tentato di aggiungere altro, pensando che qualche dettaglio avrebbe reso più convincente la loro storia, ma era stata zittita: chiunque legge i libri gialli sa che i bugiardi raccontano troppi dettagli. E' così che si tradiscono; le avevano spiegato poi gli altri due.
La loro meta era una macchia di vegetazione nel bel mezzo di Foresta Pluviale, dove la domenica precedente avevano fatto un'esercitazione con gli Scout: e proprio questa era la loro tragedia, per usare le parole di Robbie. L'esercitazione era stata un fiasco – oltre a non essersi guadagnati la spilletta che attestava l'Abilità di Sopravvivenza nei Boschi, quest'ultimo aveva smarrito fra gli alberi un oggetto preziosissimo: l'orologio del padre, che era morto solo un mese prima.
Da lì gli era nata l'idea, che impulsivamente poi aveva comunicato agli altri e subito messo in pratica: incontrarsi, prendere il taxi, poi uno degli autobus serali nella stessa piazza da cui erano partiti con il gruppo Scout, tornare sul posto attrezzati (ciascuno aveva uno zaino con pila, coperta e altre simili cose). E, naturalmente, ritrovare l'orologio.
"Insomma, né Tomlinson, né quel SUV nero c'entravano nulla, alla fine. Sono entrati in questa storia per caso, e se i bambini non fossero stati in grado di ritornare sui propri passi al sorgere del sole, ora penseremmo tutti al peggio", riassunse Judy con un sospiro.
"Al sorgere del sole. Poetico, Carotina" replicò con un piccolo ghigno Nick. In risposta ricevette una gomitata nel fianco.
"Possibile che tu prenda sempre tutto alla leggera?!", sbuffò lei, nascondendo però un sorriso.
"Non tutto", fu pronto a rilanciare la volpe. "Tu, per esempio. Tu sei una cosa che prendo in modo tremendamente serio".
Judy stavolta non aveva nulla da contestare. "Suona troppo banale se dico che vale anche per me?". Si fermò in mezzo al marciapiede che stavano percorrendo, volgendosi verso Nick. Il loro turno era terminato un paio d'ore prima, e al momento stavano camminando senza una direzione – sembrava scontato a entrambi che avrebbero cenato insieme, ma non se l'erano precisato, ancora. "Oggi sei strano. Non in modo negativo. Ma è vero: ti ho visto raramente così serio. E' una bella sensazione, mi sembri... determinato. Sicuro di te. E' solo che, beh, ho paura, un po'. Sono felice e ho paura".
A Nick piaceva molto questa caratteristica di Judy, quest'onestà quasi sfacciata con cui si presentava al mondo – anche quello che non la accoglieva a braccia aperte.
"Ecco" le rispose "se vuoi della paura possiamo occuparci subito. Ce ne liberiamo, e poi andiamo a mettere qualcosa sotto i denti. Avrei dei programmi per la serata, e non prevedono musi lunghi e orecchie basse".
Judy inspirò piano. Le parole le uscirono insieme al fiato, soffiate con dolcezza. "Se credi che possiamo parlare, e sopravvivere abbastanza bene a quel che ne verrà fuori, mi fido di te. Ti seguo. Non so esattamente a che punto siamo, ora, ma non voglio perdere un amico. Non voglio perderti".
Per l'ennesima volta nell'arco dell'ultimo giorno Nick, invece di commentare, non rispose e le porse la zampa.
La coniglietta la strinse e si rimise a camminargli al fianco.
Mentre si inoltravano nei viali più trafficati di Downtown, Judy notò che l'aria di primavera trasportava parecchio polline, facendolo volteggiare poco più in alto del suo muso. Levò lo sguardo, e la visione del sole ancora bianchissimo nel pomeriggio in declino, circondato da una corona di morbida ovatta fluttuante, la rapì.
Sentiva la zampa di Nick, calda, circondare la sua; e confusamente percepì la felicità sovrastare la paura. C'era qualcosa di buono che la attendeva. Ma se voleva averlo per sé doveva trovare il coraggio di afferrarlo, più saldamente ancora di quanto aveva fatto quella notte.
 
Judy non conosceva quel posto – in fondo viveva a Zootropolis da poco.
Aveva seguito Nick dai grattacieli di Downtown fino al limitare di Sahara Square, dove avevano preso una funivia che portava vicino alle montagne innevate di Tundratown. Era impressionante quella varietà di ambienti e di climi tutti accostati l'uno all'altro, per lei che aveva sempre avuto attorno solo campagna. A Bunnyburrow le stagioni dettavano la differenza nel paesaggio, ma in città questa differenza era evidente e onnipresente.
Il belvedere in cui si erano rifugiati era piuttosto isolato, e riparato dai venti più freddi. La vista era mozzafiato: sulla destra si potevano scorgere i picchi più alti e più interni di Tundra, che dal livello della strada erano inarrivabili, e a sinistra lo sguardo attraversava l'intera Zootropolis, dal mare di sabbia sotto di loro all'intrico di vetro, acciaio e asfalto, e più in là ancora la distesa verdissima e rigogliosa di Foresta Pluviale.
Judy si stupì che bastasse un semplice sentiero stretto, quello che avevano percorso appena un attimo prima, ad impedire che quel posto meraviglioso venisse assediato dalla folla. "E' molto bello, qui", disse grata a Nick.
Si trovò, ancora una volta, la sua coda vicino. Entrambi guardavano lontano, verso i mammiferi minuscoli come formiche che brulicavano  centinaia di metri più giù, tenendo le zampe sul muro che proteggeva i rari visitatori dal fare un volo terribile.
Esitava a sollevare il discorso che sentiva lì, sospeso fra loro due, e che minacciava di destabilizzare il loro feeling. Come amici, come colleghi si erano messi alla prova in più di un'occasione. Persino i gesti di affetto che si scambiavano, nelle ultime ore anche più liberamente, erano parte delle regole del loro gioco, un modello di comportamento consolidato avrebbe detto lo psicologo del Dipartimento. Ma quello che le sembrava di desiderare adesso? Cosa avrebbe significato dirlo a voce alta?
"A che stai pensando, Carotina?", la colse sul fatto lui.
Gli aveva promesso che gli avrebbe dato retta, che si sarebbe fidata. Per vincere la propria resistenza gli si avvicinò di più, mettendoglisi sotto braccio e appoggiando la testa alla sua spalla.
"Sto pensando alle stesse cose che ti ho detto prima. Ma solo una è importante: non voglio perderti, non di nuovo. Ora che ci rifletto, quando sono tornata a cercarti al ponte avrei potuto capire che ero già andata oltre, con te". Prese un respiro profondo. "Voglio di più. Credo sia questo il punto. Ho altri amici in città, ma sono venuta da te, ieri sera. Non è un caso. Come non è stato un caso quella mia frase sull'avere una relazione con un collega", proseguì. Lo sentiva rilassato, ma poiché ancora non parlava, l'agitazione la spinse a continuare. "Insomma, avevano ragione i miei a trovarla strana. E avevi ragione tu a cr-" si dovette fermare, alla fine, perché stavolta era stato lui ad appoggiarle delicatamente una zampa sul muso. Se non si fosse già piacevolmente abituata a quell'odore ferino e un po' dolciastro impresso sui suoi cuscinetti plantari se ne sarebbe indispettita.
"Lo so, lo so. Sono una volpe mooolto astuta, è per questo che ho sempre ragione. O quasi, uhm", scherzò lui. "Ora lascia che ti dica una cosa io. Vuoi?".
Judy assentì con un lento cenno del capo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare, abbandonandosi nell'incavo tra collo e spalla. Pronta a ricevere. O quasi.
Ma Nick non parlò come pensava avrebbe fatto. Non subito, almeno.
Per prima cosa depositò un bacio leggero tra le sue orecchie, reclinate sulla nuca, una replica di quello della notte precedente. Poi le mise la zampa libera sotto il mento e le sollevò il muso: riaprendo gli occhi, dilatati per la sorpresa, se lo trovò vicino, tanto vicino da poterne sentire il respiro. I loro nasi erano prossimi a toccarsi, c'era tra essi una distanza tanto infinitesima quanto intenzionale. Uno iato, tra il tartufo di lui ed il vibrante nasino rosa chiaro di lei, trascurabile ma pieno di significato. Vuoi che mi avvicini ancora?, pareva urlare.
La coniglietta non resistette: in una frazione di secondo si alzò sulle zampe, colmò la distanza che li separava e, immediatamente, le orecchie le si alzarono senza chiedere permesso e si colorarono di un rosso leggero, ma inecquivocabile.
Nick teneva gli occhi, con le palpebre a mezz'asta, dritti nei suoi. Si mosse impercettibile, quanto bastava per imprimere una maggiore pressione in quel tocco; terribile e bellissimo.
Non era solo lei ad avere una certa paura, adesso.
Si separarono dopo quelli che parvero a entrambi dei minuti lentissimi.
"E' questo il di più che vuoi, Judy?", lui le chiese.
Judy inghiottì saliva. "Sì. Anche. E... anche altro".
Non ebbe il tempo di rimasticare le proprie parole nella mente: un niente, ed il muso di Nick le fu vicino – vicinissimo – addosso. Umido, salato, dolce, insistente e persistente. Stordita, formulò il pensiero quando già tutto era finito:  era un bacio. Mi ha baciata. A occhi spalancati, riusciva a malapena a ricordarsi di respirare.
"E' questo il di più che vuoi?", si sentì domandare nuovamente.
Non sapendo rispondere, e trovandolo per altro inutile, tacque.
"Tu hai paura di perdere la nostra amicizia, se dovessimo... beh, iniziare una relazione. E fallire. Hai paura che non funzioni. Ma io ti dico che funzionerà. Funzionerà perché ciò che abbiamo è già tutto ciò di cui abbiamo bisogno".
Ora Nick si era leggermente scostato da lei, sciogliendo ogni contatto; ma la sua voce suonava così delicata, e dolce – quasi innaturale – che Judy se ne sentì letteralmente avvolta.
"La cosa che abbiamo, che avevamo anche prima di stanotte, ha un nome", riprese lui. "Noi ci proteggiamo a vicenda. Siamo scappati insieme quando  potevamo, e siamo rimasti insieme quando dovevamo. Tu metti il mio bene davanti al tuo, ed io faccio lo stesso con te. Si chiama avere cura dell'altro. Si chiama amore" soggiunse più piano, distogliendo lo sguardo. "Tutto il resto, sai... frequentarsi, baciarsi, dormire insieme, tutte le belle cose che stanno passando nella tua fantasia di coniglietta emotiva... quelle non sono niente, credimi. Sono la parte facile", terminò abbozzando una risata.
Nick tornò a osservarla. Mosse un unico passo in avanti, e tese una zampa verso di lei. Judy gli andò incontro e gliela strinse.
Il tramonto si avvicinava e lentamente sfumava i colori del panorama che si stendeva più oltre, mentre per contrasto il biancore della neve sulle cime acquistava lucentezza.
Ancora un passaggio, un piccolo sforzo e Nick avrebbe potuto fermarsi, prendere fiato e affidarsi alla sua buona stella. O meglio, rimettersi alla decisione della sua compagna. Perché era sua, ormai. Fremeva. Trentasei anni di vita, buona parte dei quali per la strada, gli permettevano ora di gestire la situazione, di indirizzarla – ma non era padrone di sé come poteva sembrare a Judy. Solo, simulava bene.
"So che sei stufa di sentirtelo dire, Judy" – di nuovo il suo nome: la vide tendere le orecchie nell'ascoltarlo – "ma è il momento per noi di fare una scelta. O ci siamo dentro insieme... e portiamo avanti questa cosa, fino alle estreme conseguenze. O ci fermiamo qui, ora".
Judy non era certa di seguire il suo discorso. Anzi, era certa di stare perdendosi qualcosa.
"Che intendi con estreme conseguenze, Nick?".
Non era allarmata, ma impreparata sì. Impreparata a questo mammifero non solo aperto e sincero rispetto ai propri sentimenti – Nick sapeva esserlo, nelle giuste circostanze – ma anche... padrone di se stesso. Virile era forse il termine esatto: ma come lo pensò, Judy si sentì ancora più meravigliata. In ogni senso. Era stata lei a suscitarlo? E come?
"Niente di spaventoso, Carotina", le giunse la sua risposta in tono lieve. "Pazzesco e sicuramente impegnativo, ma non spaventoso. Ascoltami bene, perché per oggi ho parlato davvero, davvero tanto, e non ripeterò mai più quello che sto per dirti, nemmeno se Mr. Big dovesse minacciare di freddarmi per quella vecchia storia del tappeto... sì, insomma". Doveva concentrarsi, concentrarsi. "Non voglio stare con te per vedere come va. Niente esperimenti provvisori, niente marce indietro precipitose davanti alle difficoltà. Se vogliamo provarci, proviamoci sul serio. Non sei un passatempo per me, e non voglio essere un gioco per te. Sono la tua volpe? Allora tu sei la mia coniglietta. Da adesso, per sempre. Oppure niente".
"Sembrerebbe una proposta di matrimonio, Nick, se non ti conoscessi", scherzò Judy. Lassù l'aria era purissima ma decisamente rarefatta. O forse era soltanto una tensione fuori misura, la sua.
"Non lo è, non adesso. Ma è lì che arriveremo, per quanto mi riguarda".
Passarono interminabili secondi durante i quali Nick sentì fisicamente il peso di quelle ultime parole sedimentarsi nella sua bocca, le mascelle serrate fino a far male. Era troppo tardi per qualsiasi cosa: per sceglierne di migliori, per scegliere di non dirne nessuna, per evitare di vomitare fuori tutta la voglia tremenda e impetuosa che aveva di continuare ad esserci, ed essere insieme a lei.
Il cielo scuriva e le luci là sotto, in quel mondo lontano che era la normalità, andavano accendendosi a gruppi come sciami di lucciole.
Era tempo di tornare.
Stringendo più forte la zampa di Judy fece la sua prova del nove, la attirò a sé con garbo, ma senza esitazione. Lei si lasciò portare. Anche lui si sarebbe lasciato portare ora, dalla corrente, nella speranza di non finire contro a uno scoglio.
  
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