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Autore: DD_Diddi    18/05/2016    0 recensioni
Roxy non c'entrava nulla con le altre, era una bambola diversa. E il diverso spesso, troppo spesso ci fa paura. Lo si allontana. È inaffidabile, se non ci credete la storia di Roxy ne sarà la prova definitiva.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Roxy era diversa dalle altre. Era un punto nero nel bianco vuoto, letteralmente.

Sono stata una bambina viziata, mi bastava volere una cosa e i miei genitori me la davano. Attenzione però: un “voglio”=1 schiaffo, capricci=2 schiaffi, un “voglio”+capricci=tanti schiaffi. Mi bastava dire che una cosa mi piaceva e alla festività più vicina ce l’avevo. Nella mia infanzia compleanni e natali erano pieni di giocattoli; ricordo un natale in cui due sacchetti grandi -come quelli dell’Ikea che usi mentre sei nel negozio per intenderci- erano strapieni di giochi. Era stato un bel natale.

Avevo tante, troppe barbie. L’ultima volta che le ho contate erano più di cento. Non so come facessi a giocarci visto che ero sempre sola. So che era più il tempo impiegato per tirarle fuori dallo scatolone e quello per rimetterle dentro, che il tempo per giocarci. Nei fine settimana, libera dalla scuola, le tenevo fuori due giorni per non perdere tempo di gioco. Tutte lì sul tappeto del salotto le mie bambole: alte, magre, curve perfette e corpi così sottili.. Per non parlare dei loro lunghi capelli biondi, mossi o lisci non importa, forse tre di loro erano more; gli occhi chiari; le labbra rosa; infine un sorriso smagliante.

Un sorriso stupido, l’aria svampita direi ora. Un modello imposto nella mente delle bambine, preciso e solo uno, direi ora. Ieri era il sogno: ieri era “quando sarò grande mi tingerò i capelli di biondo e avrò gli occhi azzurri e sarò bellissima”.

Ed erano tutte lì, beh quasi tutte. All’appello ne mancava una, quella che odiavo. Quella troppo diversa per essere fra di loro, con i suoi capelli neri. Con i suoi occhi neri. Con il suo sguardo accigliato. Con le sue labbra bordaux che formavano un broncio. La odiavo, la odiavo sul serio. L’unica con i capelli neri, l’unica con la frangia e l’unica con quell’espressione. Stava da mia nonna, lontana dalle altre.

Ieri era “perché deve essere così brutta?”. Oggi è “vaffanculo”. Quella bambola è un “vaffanculo”.

Avevo cura dei miei giochi, gli altri non li sapevano curare come lo facevo io. Dopo anni ancora tutti intatti, dai peluche che sembrano nuovi alle bambole con i capelli ancora perfetti. Tranne lei: a lei avevo tagliato la frangia in un modo orribile, tutta storta senza una forma precisa; i capelli sono di uno scalato schifosamente asimmetrico. Comunque non mi curavo di dare loro un nome, lo scordavo tanti (troppi) che erano. Erano pochi favoriti ad averne uno fisso.

Un giorno però è cambiato qualcosa, non so quando né perché ma ero da mia nonna e con quella barbie diversa. L’ho guardata negli occhi e ho pensato “Roxy, il suo nome è Roxy”. Improvvisamente era entrata a far parte di quell’elité che possedeva un nome. Mi resi conto che Roxy dopo tutti quegli anni a essere esclusa, sfavorita, dispregiata aveva ancora quello sguardo duro. A lei non importava, lei era forte abbastanza da sopportarlo. Roxy aveva del carattere e quel giorno, in quel momento avevo capito che io volevo essere Roxy. Volevo non avere paura, volevo la grinta che aveva avuto lei per tutti quegli anni.

Roxy è il sogno di ieri e quello di oggi.

Roxy non è però il sogno di domani, perché domani è realtà.

  
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