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Autore: Hudders_Umbrella    18/05/2016    3 recensioni
Sherlock ha sempre adorato stare al centro dell'attenzione e sminuire il prossimo. Stavolta, tuttavia, ha veramente superato il limite e Mycroft ne ha avuto abbastanza: è giunto il momento di ricordare al suo fratellino che non è il solo a saper giocare. Londra si prepari, la battaglia ha inizio.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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N/A: ecco l’aggiornamento con un ritardo mostruoso. Chiedo venia, ma per impegni vari ho dovuto posticipare. Spero di farmi perdonare.

Umbrella

 

VITA DA CELEBRITA’  

Mycroft aprì gli occhi e sorrise, trovandosi davanti il volto di Gregory, ancora profondamente addormentato. Lo osservò per alcuni istanti, poi spostò lo sguardo verso la finestra, attraverso la quale filtravano alcuni raggi di sole: a giudicare dall’angolazione e dall’intensità della luce, dovevano essere già passate le nove di quel sabato mattina, ma poco importava. L’ultima mossa di Sherlock, benché meschina, tutto sommato non era stata così tremenda come forse suo fratello aveva sperato che fosse: la polvere urticante, benché estremamente pruriginosa e fastidiosa, era stata la scusa perfetta che lui e Gregory avevano utilizzato per concedersi una giornata chiusi in casa, lontano da tutto e da tutti, a cercare di togliersi di dosso quella sostanza nella loro vasca da bagno. Ci avevano impiegato qualche ora più del necessario, ma nessuno dei due si era lamentato. Avevano poi trascorso una piacevole serata, godendo della reciproca compagnia, fino a quando non si erano addormentati l’uno accanto all’altro.

Sì, decisamente Sherlock aveva fatto a entrambi un meraviglioso, inconsapevole regalo, dato che era  raro che riuscissero a ritagliarsi momenti come quelli, a causa dei rispettivi lavori. Si sarebbero dovuti alzare, ma c’era tempo e Gregory sembrava così beato... guardando di nuovo il volto del compagno, non riuscì a trattenersi e gli accarezzò una guancia, ricevendo in risposta una specie di borbottio sconnesso. Ridendo tra sé, si sporse verso di lui, baciandogli la fronte.

“Buongiorno Gregory, dormito bene?” gli chiese, vedendolo stiracchiarsi.

“Mhm, sì, direi di sì.” Gli rispose l’Ispettore, aprendo gli occhi e guardandolo con aria assonnata. “Tu?”

“Anche io. Dovremmo scendere a fare colazione.

“Nah, prendiamoci ancora qualche minuto.” replicò Gregory, passandogli un braccio intorno alla vita per bloccarlo, guadagnandosi uno sbuffo da parte del politico.

“D’accordo, ma solo qualche minuto.” Gli disse, sorridendo, prima di aggiungere: “Sai, stavo pensando di smettere con gli scherzi.”

L’Ispettore lo guardò sorpreso.

“Smettere? Davvero? E come mai?” gli chiese, alquanto costernato: Mycroft era sembrato così deciso a vincere quella guerra e ora voleva chiuderla senza un’ultima contromossa?

“Beh, l’ultimo scherzo di Sherlock è stato una notevole caduta di stile. Insomma, polvere urticante? Come se fossimo ancora dei bambini? Pensavo di giocare contro un adulto, così non c’è molto gusto.”

“Forse non serve che te lo ricordi, ma tu hai ricoperto lui e John di letame.” Gli fece notare Gregory, ridendo.

“Era diverso, la mia idea è stata paradossalmente più raffinata.” Replicò Mycroft, facendo ridere di nuovo il compagno. “Sul serio, Gregory. Ho visto le registrazioni, avrebbe potuto evitarlo se avesse usato la logica al posto dell’irruenza di dimostrare che è più brillante di tutti.”

“Anche tu avresti potuto capire che si era nascosto nell’armadio, però.” Fu la risposta che ricevette e che gli fece inarcare un sopracciglio.

“Lo difendi ora? Non ho dedotto la sua presenza in quell’armadio perché, se ricordi bene, ero alquanto distratto al momento.” Gli disse.

L’Ispettore gli sorrise sornione.

“Tutto sommato hai le tue ragioni. Però devo ammetterlo, mi dispiace che tu abbia deciso di smettere.”

“Ma come? Proprio tu che all’inizio volevi che facessi l’adulto e ponessi una fine alla guerra, adesso sei dispiaciuto che ci metta un freno?”

“Beh, l’ultimo scherzo di Sherlock ci ha regalato questo” gli rispose Gregory, accarezzandogli un braccio. “E poi lo confesso, è bello vederti in azione su qualcosa che non sia il lavoro. È… sì, direi accattivante.”

Mycroft lo guardò, sorridendo.

“Quindi tu non vuoi che io smetta.” Affermò.

“No, in effetti no. Anche perché non mi è piaciuto per niente l’atteggiamento di John. Hai visto come era divertito di averci messi nel sacco?”

“Sì, il dottor Watson si è mostrato alquanto irriverente, ma vorrei ridimensionare tutta la situazione e ricordare a Sherlock che la sfida è tra me e lui.”

Gregory lo guardò, sospirando.

“Suppongo tu abbia ragione in fondo, ma… aspetta, questo vuol dire che hai già qualcosa in mente?” gli chiese. Mycroft gli rispose con un ghigno stampato sul volto.

“Oh sì, mi è venuta un’idea che credo possa andare e che possa far capire chi è che sta vincendo davvero. Certo, ci vorrà un po’ per realizzarla come si deve, ma l’attesa renderà ancora più bello vederne la realizzazione concreta.”

“Sembra promettente” commentò Gregory, sorridendo “suppongo però che non mi dirai nulla.”

“Esatto, credo sia meglio così. Mi fido di te, ma ho visto che ti diverte di più vedere il prodotto finito, per così dire. Tuttavia, stavolta avrò bisogno di un po’ di collaborazione.” Replicò Mycroft. L’Ispettore inarcò un sopracciglio.

“Collaborazione con chi? Anthea?” gli chiese infatti.

“Oh no. Se te lo dicessi, dubito che mi crederesti.”

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Qualche settimana dopo…

“Allora, è tutto pronto signor Anderson?”

“Tutto pronto, signor Holmes. Ho seguito le sue istruzioni alla lettera e il progetto è pronto a partire.”

“Molto bene, allora può inviare il comunicato. Mi raccomando, usi quello che le ho mandato io senza cambiarlo di una virgola.”

“Sarà fatto, e… ecco, è in rete. Adesso cosa facciamo?”

Mycroft ghignò tra sé, conscio che l’uomo all’altro capo del telefono non poteva vederlo.

“Adesso aspettiamo che mio fratello si decida ad uscire di casa. La ringrazio per il suo aiuto.”

“Si figuri, quello che me ne verrà è più di quanto potessi sperare. Grazie a lei per avermi contattato. Buona giornata.”

“Anche a lei.” Replicò il maggiore degli Holmes, interrompendo la chiamata. Bene, stava andando tutto secondo i piani. Adesso bastava fare in modo che Sherlock lasciasse l’appartamento per una qualche ragione, che fosse un caso o meno e il divertimento sarebbe cominciato.

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Due giorni dopo…

“Sherlock, dov’è finita la roba che era nel frigo?” chiese John, la testa infilata nel frigorifero.

“Avevo bisogno di spazio per i miei organi, l’ho data ai ragazzi della rete dei senzatetto.” Fu la risposta di Sherlock, mollemente sdraiato sul divano.

“L’hai… Sherlock, ma che ti salta in mente? Cosa mangiamo per cena?” gli chiese il dottore, indignato, andando verso di lui e fermandosi, le mani sui fianchi.

“Ah, non lo so. Perché non hai fatto la spesa, scusa?”

“Perché, caro il mio genio, pensavo che il frigo fosse pieno e invece qualcuno l’ha svuotato!” esclamò John, esasperato. Sherlock lo guardò, prima di mettersi a sedere.

“Vorrà dire che stasera andremo da Angelo.” Gli disse, alzandosi.

“Cosa? Ah no, non ho intenzione di tornare là dentro e cenare con una candela sul tavolo e le risatine dei camerieri in sottofondo. No, adesso tu prendi il tuo cappotto, ti alzi il colletto e vai a fare la spesa.” Gli ordinò il dottore, incrociando le braccia al petto. Il consulente lo guardò.

“E se mi rifiutassi?” gli chiese in tono di sfida, ricevendo un ghigno da John, che gli voltò le spalle e si diresse verso il frigorifero, aprendolo e prendendo un sacchetto.

“Se tu ti rifiutassi, io, tanto per usare uno dei giochi di parole dei quali mi accusi di abusare nei miei resoconti, rifiuterò i tuoi esperimenti dritti nel bidone dell’immondizia.” Gli disse, agitando il sacchetto in mano e sorridendo di fronte all’espressione orripilata del suo coinquilino.

“Non oseresti, non… non puoi. Sono importanti!” gli disse infatti, balzando verso di lui. John riuscì a schivarlo, spostandosi fuori dalla sua portata.

“Anche il mio stomaco è importante, quindi ora fila, prendi il portafogli e vai a fare la spesa! Ti manderò la lista per messaggio mentre sei per strada.”

Il consulente lo guardò, aprendo bocca un paio di volte per cercare di rispondere degnamente, poi, di fronte all’espressione perentoria dell’amico, sbuffò e si arrese.

“D’accordo, va bene. Come vuoi tu.” Disse, andando verso l’ingresso e recuperando la sciarpa e il cappotto. “Ma non ti lamentare se non prenderò le stesse cose che compri tu.”

“Sì sì, tanto lo so che prenderai prodotti diversi per farmi innervosire. Buona missione, Sherlock.” Gli disse John, spingendolo fuori dall’appartamento e chiudendo la porta dietro di lui. Il consulente sbuffò di nuovo, si strinse nel cappotto e scese i gradini fino a uscire su Baker Street. Scartò subito l’idea di prendere un taxi – d’altronde, il supermercato era solo a cinque minuti di distanza – e si incamminò verso la sua destinazione. A metà strada, il cellulare vibrò nella sua tasca, segnalando l’arrivo del messaggio annunciato da John. Scorse la lista, decidendo subito che si sarebbe preso tutto il tempo che avesse voluto per acquistare i prodotti, così il dottore avrebbe imparato a mandare lui a fare acquisti. Arrivato al supermercato, entrò e prese un cestino, cominciando a girare tra gli scaffali. Vista l’ora c’era parecchia gente, tutti evidentemente appena usciti dal lavoro e fermatisi a fare compere sulla strada del ritorno a casa. Impiegati, avvocati, infermieri… un vero potpourri di rappresentanza della società londinese. Dopo aver fatto un giro di esplorazione ed aver notato che erano già trascorsi quindici minuti, decise di cominciare a prendere qualcosa. Si stava giusto dedicando alla scelta del latte, quando sentì qualcuno, presumibilmente una ragazza, schiarirsi la voce alle sue spalle. Dubitava che, chiunque fosse, si stesse rivolgendo a lui, così continuò a leggere l’etichetta sulla bottiglia.

“Mi scusi, signor Holmes.”

Stavolta non potevano esserci errori, la ragazza stava cercando di attirare la sua attenzione. Si voltò, trovandosi di fronte un paio di occhi castani molto vivaci. La ragazza doveva avere poco più di vent’anni, studentessa che abitava ancora con i genitori e... oh no, pensò tra sé, quando l’occhio gli cadde su un particolare della giacca: attaccata sul petto, c’era una spilletta con su scritto I believe in Sherlock Holmes. Fantastico, doveva essere una delle socie dello stupido club di Anderson!

“Non concedo interviste e non ho intenzione di venire a uno dei vostri incontri, quindi non sprecare il tuo tempo.” Le disse, sperando così di troncare il discorso, ma rimase sorpreso quando la vide sorridere.

“No, vorrei solo fare una foto con lei. Ci vorrà un istante, poi la lascerò in pace.” Gli rispose lei, facendogli sgranare gli occhi. Una foto? Santo cielo, non poteva nemmeno uscire tranquillamente a fare la spesa senza che qualcuno lo assillasse per una foto? Ponderò l’idea di rifiutare, ma calcolando che doveva ancora finire di fare la spesa e che non poteva scappare dal supermercato, assentì con una sbuffata. Il viso della ragazza si illuminò.

“Ehi, Judy, vieni a farci una foto?” chiese poi a una ragazza che se ne stava qualche metro più in là ad osservare la scena. Quest’ultima, sorridendo, si avvicinò sfoderando un cellulare, mentre la ragazza che lo aveva interpellato gli si faceva più vicina e appoggiava la testa contro la sua spalla – gesto che lo fece irrigidire subito, come si permetteva? Non si sforzò nemmeno di sorridere e attese che il momento finisse e che Judy scattasse quella benedetta foto. Quando la vide sorridere e confermare che lo scatto era andato a buon fine, si rilassò, pronto a riprendere da dove si era fermato, quando si sentì richiamare di nuovo.

“Ci scusi ancora, anche Judy vorrebbe una foto. È una sua grande ammiratrice, conosce il blog del dottor Watson meglio di chiunque altro.” Gli disse la ragazza che lo aveva chiamato prima, un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Ancora una volta fu tentato di rispondere che non aveva tempo per simili fesserie, ma ancora una volta le obiezioni che si era posto prima tornarono a farsi prepotentemente spazio nella sua testa, così, a malincuore, accettò di nuovo. Scattata anche la seconda foto, rispose con un borbottio alle due ragazze e si stava giusto voltando vero il latte, quando le sentì dire qualcosa che catturò la sua attenzione.

“Due foto! Non vedo l’ora che gli altri lo sappiano, siamo in testa.”

“Già, siamo state sicuramente le prime!”

Sherlock si voltò per la terza volta, pronto a chiedere di cosa stessero parlando, ma le due ragazze se n’erano già andate. Rimuginò quelle frasi nella sua testa, cercando di trovare una spiegazione e guadagnando solo un brutto, bruttissimo presentimento. Desistendo dal suo intento precedente, prese due bottiglie di latte e cominciò a muoversi per i corridoi più velocemente che poteva per prendere tutto quanto richiesto e tornare a casa quanto prima.

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“Ma dove diavolo si sarà cacciato?” borbottò John.

Era passata quasi un’ora dal momento in cui Sherlock era uscito di casa per andare a fare la spesa. Era possibile che stesse ritardando per farlo irritare, ma così cominciava ad essere troppo. Stava per chiamarlo per l’ennesima volta quando vide il display del cellulare illuminarsi e il nome del consulente comparire sullo sfondo. Senza indugiare, rispose.

“Sherlock, ma dove ti sei cacciato? Se è una tattica per non mandarti più da Tesco, sappi che…”

“John, devi aiutarmi, sono nei guai.”

La voce terrorizzata del suo coinquilino pose fine alla sua predica. Nei guai? Possibile che non potesse nemmeno fare pochi passi a piedi senza cacciarsi nei guai? Certo era preoccupante che sembrasse così spavenato…

“Sherlock, ti giuro che se è uno scherzo io..”

“Non è uno scherzo, John! Mi danno la caccia!”

“Chi.. chi ti dà la caccia?” chiese il dottore, sempre più in allerta.

“Le socie della bara vuota”.

“…..”

A John ci vollero alcuni secondi per riuscire a far arrivare le parole di Sherlock alla sua mente, più un’altra manciata per essere in grado di connetterle e di capire cosa comportavano.

“Cioè, le ragazze del fan-club che Anderson ha creato in tuo onore ti stanno dando la caccia? Perché?”

“Non ne ho idea, ma credo di aver capito che si tratta di una specie di iniziativa e scommetto che c’è mio fratello dietro a tutto questo. Sembrano sempre sapere dove sono.”

“Sherlock, dubito che Mycroft si metterebbe in combutta con Anderson per..”

“Esatto, dubiti! Proprio per questo non sospetteremmo mai di lui!”

“Ora basta, stai diventando paranoico! Questa storia degli scherzi ti ha totalmente dato alla testa!”

“John, per una volta usa il cervello! Queste ragazze sanno esattamente dove mi trovo, sbucano dal nulla e riescono a rintracciarmi come se niente fosse!”

“Hai mai sentito parlare dei cellulari e della comunicazione del ventesimo secolo? Staranno facendo passaparola.”

“Ha poca importanza ora! John, devi aiutarmi!”

“E cosa diamine posso fare, scusa?”

“Devi venirmi a prendere!”

Il dottore sbuffò, passandosi una mano sulla faccia.

“Va bene, d’accordo. Dove sei?”

“Sono in un vicolo di Clay Street. Ora devo staccare, sento che si stanno avvicinando. Fai presto.”

John non fece neanche in tempo a chiedergli a quale altezza di Clay Street si trovasse che il consulente aveva interrotto la chiamata. Si mise il cellulare in tasca e andò a prendere la giacca, prima di uscire dall’appartamento.

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Venti minuti dopo….

“Sherlock, per l’ennesima volta, smettila. Non troverai niente in rete perché non c’è niente da trovare.” Disse John dalla poltrona su cui si era accomodato dopo il loro rocambolesco rientro a Baker Street. Le fan di Sherlock li avevano inseguiti e per poco non si erano fatte investire dal taxi sul quale erano a stento riusciti a salire. Avevano scattato anche diverse foto e il dottore non osava immaginare cosa ne avrebbero fatto.

“Mycroft deve entrarci qualcosa. Erano troppo ben organizzate.” Gli rispose Sherlock che, seduto al tavolo di cucina, ticchettava furiosamente sulla tastiera del portatile.

“Beh, questo capita quando sei una celebrità che si fa desiderare. Se decidono di braccarti, queste ragazzine ci riescono alla perfezione.”

“Non ci arrivi proprio! Sembrava che stessero facendo una classifica!”

John si passò una mano sulla faccia per l’ennesima volta.

“Stai cercando da tre quarti d’ora, avrai inserito trecentomila nomi e definizioni diverse, hai cercato la tua foto, e non è saltato fuori niente. Sarà una bravata tra ragazzine.”

“Proprio per questo sospetto che ci sia Mycroft dietro. È impossibile che ci sia un’organizzazione simile senza che io me lo sia perso!”

“Beh, grande detective, ogni tanto c’è qualcosa che sfugge anche a te, fattene una ragione.”

“Che hai detto?”

“Oh andiamo, non ti sarai mica offeso!”

“No, John” Sherlock smise di scrivere e si voltò a guardarlo. “Come mi hai chiamato?” chiese.

Il dottore inarcò un sopracciglio.

“Grande… detective?” ripeté con una lieve incertezza nella voce. Il consulente lo fissò per un secondo, poi batté le mani.

“Sono un tremendo idiota!” sbottò, mettendosi a digitare di nuovo. “È così ovvio!”

John gli si avvicinò.

“Cosa sarebbe ovvio?” gli chiese.

“Se tu vuoi comunicare con qualcuno senza che altri lo scoprano, cosa usi?”

“Un codice.”

“Esattamente. Ora, in questo caso le persone coinvolte sono molte, quindi mio fratello, Anderson o chiunque abbia dato avvio alla cosa deve aver utilizzato un linguaggio conosciuto da tutti gli affiliati e cosa meglio dei sinonimi per veicolare un messaggio senza che io me ne accorga?”

“Sembrerebbe un po’ macchinoso…” commentò John, pensieroso.

“Eppure è così semplice! Ecco, guarda qua, trovato!” esultò Sherlock, girando appena lo schermo in modo che anche il dottore potesse vedere. I due lessero un annuncio che era evidentemente stato pubblicato da Anderson e che parlava del consulente… senza però che il suo nome venisse fatto una volta che fosse una. Praticamente impossibile da trovare se non si sapeva cercare. Ciò che più colse la loro attenzione – e suscitò il loro orrore – fu che si trattava di una sorta di competizione tra fan pe chi riusciva a fare la foto migliore e che si sarebbe protratta per circa dieci giorni, data la sua elusività.

John si grattò la testa.

È un bel problema.” Commentò.

È una catastrofe!” esclamò Sherlock, alzandosi in piedi. “Dieci giorni senza uscire di casa, senza poter ricevere nessuno, senza potermi dedicare ai casi e… Signora Hudson, cosa c’è?!” sbottò, vedendo che la porta si apriva e che la signora stava entrando con un vassoio tra le mani.

“Cù-cù, ho sentito del trambusto e ho pensato di fare un po’ di tea.” Disse, sorridendo e andando a posare il vassoio con due tazze fumanti sopra sul tavolino da caffè davanti al divano. “Sherlock, caro, mi sembri molto agitato.” Aggiunse, sorridendogli e infilando le mani nelle tasche del grembiule.

“Lo sarebbe anche lei se si trovasse a dover subire una tortura come la mia!” replicò il consulente, appoggiandosi alla mensola del caminetto.

“Oh, ti farei convivere tutti i giorni con la mia anca, poi potremmo riparlarne.” Gli rispose lei con una risatina, muovendo di nuovo le mani.

“Non è la stessa cosa!” esclamò lui, voltandosi e trovandosi a dover chiudere gli occhi, accecato da quello che pareva un flash. “Ma cosa…”

“Ah!” esultò la padrona di casa, stringendo una piccola macchina fotografica tra le mani e rimirando il risultato. “Vi ho presi tutti e due, alla faccia di quelle adolescenti che si sono vantate di avervi rincorso ovunque. Oh, moriranno di invidia, ih-ih” rise tra sé, andando più velocemente che poté verso la porta, lasciandosi alle spalle i due uomini ancora shockati.

FINE DEL CAPITOLO

 

 

 

  

 

 

 

 

 

   
 
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