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Autore: SamuelRoth93    19/05/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO OTTO

“WhAt’s Inside the Panic Room?”

 

TWO DAYS LATER…

 

Era il secondo giorno di fila che Eric non tornava a casa per stare accanto ad Alexis. Le teneva la mano, stretta nella sua, mentre la ragazza era in coma, la testa fasciata per via del trauma alla testa.

Dopo averla guardata a lungo con sguardo triste e stanco, il ragazzo spostò gli occhi sul suo telefono; lo stava stringendo nell’altra mano, il braccio disteso lungo la coscia.

Aveva ricevuto un messaggio alle prime luci dell’alba, che lo tormentò per ore e ore dalla prima lettura.

 

“Carpe diem, Eric: Ora c’è un posto di lavoro libero al Brew!”

-A

 

Provò rabbia nel rileggere nuovamente quel messaggio; tant’è che la forza con cui stava stringendo il telefono avrebbe potuto anche farlo a pezzi.

Improvvisamente ricevette una chiatamata. Eric si alzò, uscendo fuori in corridoio: era Rider.

“Ehi, sto andando a scuola. Si è svegliata?”

“Ehm… - si massaggiò le tempie – Forse oggi, non lo so. quando l’hanno indotta al coma farmacologico hanno detto che ci sarebbero voluti anche tre giorni affinchè si risvegliasse da sola.”

“Mio Dio… - era ancora sconcertato – Che razza di mostro investe una ragazza e poi scappa senza voltarsi indietro?”

Eric sapeva benissimo chi era, furente in volto: “…A!”

L’altro non credette alle sue orecchie: “Aspetta: COSA???”

“Fino a ieri pensavo fosse un pirata della strada, ma stamattina il mostro si è fatto vivo e mi ha scritto un messaggio assai lampante.”

“Perché A avrebbe dovuto investire Alexis? Ok che tormenta noi, ma che c’entra una persona innocente?”

“Quel mostro sapeva che cercavo lavoro per aiutare mia madre e così ha deciso di far fuori Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew.”

Rider era a dir poco scioccato: “E adesso che farai?”

“Prenderò quel posto, non ho altra scelta. – spiegò, provato e sofferente - Dopo di che lascerò Alexis, prima che festeggi il nostro primo mesiversario al suo funerale.”

“…Eric, so che adesso non vuoi lasciare Alexis da sola, ma devi passare da noi a scuola o almeno a casa mia. Julie ha modificato i braccialetti di A e tu lo devi assolutamente indossare.”

“Modificati come?”

“Non saremo più monitorati da A. Ogni volta che entreremo in una stanza o in un qualsiasi posto, se ci sarà una telecamera o un microfono nascosto o qualunque tecnologia da spionaggio, verrà automaticamente individuata e disattivata.”

“Bene, finalmente una buona notizia… – sospirò – E’ una fortuna che Julie abbia deciso di aiutarci con il rischio che sta correndo.”

“Già, ma deduco che ancora non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Spero che non si sganci da noi non appena l’avrà compreso.”


“Lo sai che Brakner farà di tutto per toglierla di mezzo, vero? Ci sta aiutando e questo non gli farà piacere.”

“Senti, devo andare. – fu evasivo – Vorrei stare qui a darti maggiori dettagli su quello che stiamo combinando, ma ho sempre paura che A ci ascolti e stavolta non possiamo fallire di nuovo. Morirei se fallissimo di nuovo, non ce la faccio più.”

“Già, - fu d’accordo, stanco del nemico - non possiamo fallire!”

“Salutami tanto Alexis, quando si risveglia, ok?”

“Certo, ciao!” sussurrò con un filo di voce.

Chiusa la chiamata, Eric tornò nella stanza. Con gran stupore, il ragazzo si fermò bruscamente, non appena superata la soglia: Alexis aveva gli occhi aperti.

“Oh mio Dio… - sorrise, emozionato – Sei già sveglia!” corse, scivolando sulla sedia, allungando il collo per baciarla.

Quella ricambiò il suo bacio, un accenno di sorriso, stordita. Il ragazzo si staccò da lei per darle subito spazio.

“Sei in ospedale, Alexis. Te lo ricordi, vero?”

“Sì, - tossì – ricordo… - quello le prese immediatamente un bicchiere d’acqua, che bevve a piccoli sorsi - Quindi è finita questa cosa del coma?”

Eric ritirò il bicchiere: “E’ finita, sì. Ora chiamo il Dottore, – si alzò, dirigendosi verso la porta – così ti da un’occhiata!” e si affacciò nel corridoio, cercando un infermiera con lo sguardo.

“Ehi, aspetta, vieni qui…” lo chiamò quella, che ogni tanto chiudeva gli occhi per via del dolore alla testa.

“Eccomi, sono qui! – si precipitò nuovamente da lei – Che c’è?”

“Ti ho sentito parlare al telefono, poco fa. Ero sveglia, ma non molto a dire il vero…Però ho sentito!”

Eric girovagò con lo sguardo: “Sentito cosa? Informavo solo Rider delle tue condizioni...”

“E come mai non mi guardi negli occhi, mentre me lo dici?” domandò, secca.

“Sono solo un po’ stressato, non dormo da due giorni, sono sempre stato qui!” si giustificò, mentre lo sguardo poco convinto della ragazza si intensificava.

“Che cos’hai detto alla polizia? Che fine ha fatto il mio aggressore?”

“Ho raccontato ciò che è accaduto. – spiegò, abbastanza teso, la fronte che sudava freddo – Cioè che, chi ti ha investita, è scappato e io non sono riuscito a prendere il numero di targa.”

Alexis, improvvisamente, iniziò a fissarlo a lungo: “…Che cos’è A?”

L’altro indietreggiò lievemente con il capo, fingendo di essere confuso: “Ehm…una lettera dell’alfabeto?” si lasciò scappare anche una finta piccola risata.

La ragazza, però, lo fissava seria.

“Tu e i tuoi amici la nominate spesso, questa lettera!”

“Che vuoi dire?”

“La settimana scorsa, ti stavo aspettando per il nostro primo appuntamento. Quella sera, due dei tuoi amici sono entrati al Brew con un atteggiamento alquanto nervoso e ti cercavano. Ovviamente ho spiegato che non c’eri e che te n’eri andato con Rider, ma che saresti tornato perché dovevi uscire con me. Hanno deciso, così, di aspettarti e io sono tornata a fare le mie cose e sono andata un attimo nel retro. Quando sono tornata, gli ho sentiti parlare di qualcuno o qualcosa che nominavano in continuazione: Questa A!...Perciò, Eric, chi o cosa è A?”

Quello deglutì, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo: “Ti assicuro che non so di cosa parli, Alexis.”

“Sei arrivato tardi quella sera; molto tardi. Avevi un odore strano addosso e le docce non durano un’ora!” continuò, imperterrita.

“Alexis, basta! – alzò lievemente la voce – Ti prego!”

“Temevano per la vostra vita, Eric! – andò avanti, insistente – Chi diavolo fa questi discorsi se non si tratta di una cosa seria?”

“Riposati, Alexis. – la ignorò – Vado a chiamare il dottore!”

Quella lo fissò, arrabbiata. Eric uscì dalla stanza, lasciandola così.

 

 

*

 

Nathaniel, ancora a casa sua, affrontava una sorta di dubbio davanti allo specchio. Continuava a tenere lo sguardo fisso sul suo corpo, mentre era in boxer e si guardava da tutte le angolazioni. Si toccò i pettorali, che sembravano meno tonici del solito. Si toccò il viso, poi la barba, quasi inesistente; giusto un accenno. Sospirò, turbato da qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire, pronto a rivestirti.

Improvvisamente, dopo aver bussato una volta sola, sua zia Courtney si fiondò nella stanza. Immediatamente, la donna si mise le mani davanti alla faccia e chiuse gli occhi, imbarazzata.

“Oh, cavoli, non ho visto niente! Lo giuro! – parlò poi tra sé e sé – Sarebbe alquanto inquietante fissare gli addominali del proprio nipote, desiderando che non sia tuo nipote, perversa di una Courtney!”

Nathaniel sorrise, divertito, mentre prendeva una maglietta: “Zia Courtney, rilassati. Non sarebbe la prima volta che mi vedi in boxer!”

Quella riaprì gli occhi, fulminandolo con il dito: “Oh, ma questo è incredibile! – sussultò con tono polemico - Non lo accetto, Nat. Non lo accetto! – si calmò, finalmente – E comunque vestiti, che aspetti? Pete sta arrivando!”

“Pensavo che mi avresti accompagnato con la tua auto, visto che la mia è a secco!”

“La mia è dal meccanico, perciò sbrigati!”

L’altro assunse subito un volto serio e preoccupato, facendo possedere nuovamente dalle sue ansie.

“Ehm…Zia Courtney… - la fissò, sudando – Non è che potresti…”

La donna era in attesa di una risposta, Nathaniel era assai frenato e si stava torturando le dita: “Potresti, cosa?”

“…Fissarmi attentamente? – completò, imbarazzato – Sai, come fai di solito con tutto il resto del genere maschile!”

Courtney spalancò leggermente la bocca, incantando il vuoto, confusa: “T-tu, COSA? Vuoi che ti guardi? – finalemente lo guardò, imbarazzata – Tua madre ha sempre pensato che io e te avessimo un rapporto strano per via delle nostre età così vicine e ti confesso che ora…lo sto pensando anch’io!”

“Non in quel senso!” esclamò, in una smorfia esagerata, quasi disgustata.

“Oh, grazie a Dio! – si mise una mano sul petto, buttando aria fuori dalla bocca, sollevata – Pensavo fossi impazzito o sessualmente attratto da me!”

“Zia Courtney! - la fissò a lungo, inebetito – Ti prego, smetti di parlare!”

“Ok ok, scusa! – si rese conto di aver esagerato – Spara, dimmi tutto!”

“Noti qualcosa di diverso in me? – con lo sguardo, costrinse sua zia a focalizzarsi sul suo corpo – Perché io sento di non essere più lo stesso, che qualcosa stia cambiando, ma non capisco cosa.”

L’altra, improvvisamente seria e preoccupata da quelle angoscianti parole, si avvicinò. Fece scivolare la sua mano lungo il suo petto, attenta. Poi diede il suo responso.

“Sei più…grosso, in effetti!”

“Le mie abitudini sono sempre le stesse, tengo il mio corpo costantemente allenato. Eppure, sembra che io stia…ingrassando e non in senso muscolare, ma grasso vero! Non lo so, i miei pettorali mi fanno anche male…”

“Male, come se…avessi delle tette?” azzardò la donna.

“Non stavo per dire quello, - replicò distrurbato - ma…non li sento più tonici come prima o forse è una mia impressione.” spiegò.

“Sei ancora un ragazzino, Nathaniel. Il tuo corpo è in costante cambiamento e alla tua età, credimi, io avevo ancora una seconda di reggiseno prima di esplodere in una terza e mezza verso i diciotto anni! – era comunque perplessa - Ametto, però, che da più vicino, non sembri lo stesso di qualche settimana fa… - lo fissò ancora, prendendolo per il mento – Non so, la tua faccia ha qualcosa di diverso…”

Nathaniel iniziò a fare avanti e indietro per la stanza, preoccupato: “Me l’ha detta anche un mio amico questa cosa, ma che mi sta succedendo?”

“Forse dovresti fare delle analisi! – suggerì – Facciamo un salto da Tyler, in ospedale? Così ci togliamo ogni dubbio? Eh? – cercò di convincerlo, mentre la fissava dubbioso – E’ tuo cugino, vedrai che saremo fuori nel giro di un’oretta o due.”

L’altro si annusò: “Forse dovrei farmi un’altra doccia, prima. Sto sudando tantissimo, ho delle vampate assurde da quando mi sono svegliato…”

“Hai davvero qualcosa che non va, tesoro. – ora si preoccupò davvero, sgranando gli occhi – Siamo a inizio Novembre, non fa così caldo.”

Ora era nel panico anche lui: “Senti, cerchiamo di non allarmare Mamma, ok?”

“Certo, ma lascia stare la doccia, corriamo in ospedale!”

“Va bene, andiamo! – si convinse che doveva andare a fondo alla cosa, mentre si vestiva – Però possiamo passare un’attimo dal mio amico Rider?”

“Certo!” annuì, per nulla contraria, mentre usciva dalla stanza. Lui la seguì subito dopo.

 

*

 

Più tardi, in seguito ad un messaggio d’avviso, Rider uscì fuori dalla sua abitazione, camminando in contro a Nathaniel, che stava uscendo dalla macchina di Pete. Confuso dalla situazione, Rider si fermò davanti all’amico, cercando di capire cosa stesse succedendo.

“Va tutto bene? Pensavo ci saremmo visti a scuola.”

L’altro, il cui volto non era per nulla sereno, fu rapido e poco esplicito: “Hai portato il braccialetto di Eric come ti ho scritto nel messaggio?”

“Sì, certo… - glielo allungò immediatamente, fissandolo, spaventanto dal suo palese nervosismo – Ma che succede?”

“Non ne sono sicuro, sto andando a fare delle analisi…Comunque, già che sarò in ospedale ho pensato che potevo dare il braccialetto ad Eric, visto che, giustamente, non vuole allontanarsi da Alexis.”

Rider era totalmente spaesato e ancora più preoccupato, ma non poteva farsi dire di più, dal momento che l’altro stava già indietreggiando: “Ok, d’accordo…”

“Ci sentiamo dopo la scuola!” lo salutò, correndo alla macchina.

L’altro restò lì, impalato, mentre la macchina ripartiva, divorato dal non sapere. Tuttavia, intuì che non era nulla di buono.

 

*

 

Anche Sam era appena uscito da casa sua. Suo padre lo rincorse fuori, poco prima che quello salisse in macchina.

“Sam, un secondo!” urlò, scendendo le gradinate del portico.

Quello continuò a camminare sperdito verso la macchina, ma alla fine, davanti alla portiera, dovette voltarsi, malgrado volesse evitarlo. Sapeva di cosa l’avrebbe rimproverato.

“Si?” rispose, facendo finta di nulla.

Suo padre lo raggiunse, con un po’ di fiatone: “Devo mandarti un altro messaggio o lo sai che oggi hai appuntamento con Wesam?”

“Si si, lo so! – esclamò scocciato, raccontanto l’ennesima bugia – Ti ho già detto che quel giorno dovevo stare con Chloe, era appena tornata dal South Dakota!”

L’altro lo fulminò immediatamente con uno sguardo acuto, come non convinto: “Come mai non la vedo più a casa nostra, ultimamente? Non avrete mica litigato, spero.”

“Pensi che me lo stia inventando? – sussultò, facilmente irritabile – Non ho saltato la seduta dallo psicologo apposta, ok? Ero davvero con Chloe! – spiegò, sentendosi oppresso – E se lei non viene più qui è perché è stata via per più di una settimana e in più siamo in pieno semestre, dobbiamo studiare!”

“Bhe, tu non sembri molto presente a casa per studiare!” puntualizzò.

Sam non ne potè più: “Me ne vado, sto facendo tardi…” aprì la portiera, dando le spalle.

L’uomo si rese conto di aver sbagliato, cercando di riparare subito, mentre la portiera si richiudeva: “Sam, scusa, non volevo…”

“Lascia stare! – lo interruppe, ormai dentro l’auto, le mani sul volante – Andrò all’appuntamento, promesso!”

“Bene, sono contento.  – annuì, cercando di essere meno severo – E’ per il tuo bene!”

“Lo so!” finalmente lo guardò un attimo, meno arrabbiato. Subito dopo, partì, abbassando il finestrino.

Mentre si allontanava, fissò suo padre, ancora in mezzo alla strada, attraverso lo specchietto retrovisore. Strinse le mani al volante, arrabbiato con sé stesso e con A per i problemi che stavano deteriorando il loro rapporto.

 

 

*

 

In ospedale, Nathaniel e sua zia, al quarto piano, stavano andando in contro ad Eric.

La donna, con la borsa che pendeva dal polso, lo squadrò, sorpassandolo, voltandosi verso il nipote, che si era appena fermato davanti all’amico.

“Carino questo…Meglio del secco!” commentò, continuando a camminare da sola.

Eric, dopo aver finito di fissarla, perplesso, si girò verso Nathaniel: “Chi sarebbe il secco?”

“Sam!”

“Ah, interessante…E che ci fai qui?”

“Analisi!” spiegò, turbandolo.

“Ehi, tutto bene?”

Nathaniel sospirò, abbracciandolo. I due si diedero delle pacche.

“Diciamo… - si staccò, poi – Mi dispiace per quello che è successo ad Alexis, come sta?”

“Si è svegliata, ma dobbiamo aspettare che il Dottore finisca il giro delle visite… - ora, però, era più preso dalla presenza dell’amico in ospedale – Comunque, analisi di cosa?”

“Il mio corpo sta subendo degli strani cambiamenti e devo capire cosa mi sta succedendo…” raccontò con una nota ansiosa nella voce, mentre l’altro lo ascoltava assai impressionato.

“Va bene, ma fammi sapere. Sembra una cosa seria!”

“Spero di no! – sospirò ancora, per poi ricordarsi del braccialetto – Ah, a proposito, ecco il tuo braccialetto. Rider ti ha spiegato a cosa serve, vero?”

“Si si, me l’ha detto. – annuì, mentre lo indossava – E’ bello poter parlare liberamente.”

“Già, a chi lo dici! – fu d’accordo – E comunque la polizia ha trovato il pirata della strada?”

Eric si guardò intorno, spiegando a bassa voce, tirando fuori il telefono: “Il pirata della strada è A!”

“Oh, cavoli! – esclamò, fissando il messaggio dalle mani di Eric, sconvolto – Non riesco a crederci, adesso colpisce anche le persone a cui teniamo?”

“La cosa sta diventando davvero insostenibile. – esternò, mettendo le braccia conserte - In più, Alexis comincia a fare domande!”

“Domande su cosa?”

“Su A!”

“Aspetta, - pensò di aver capito male - Alexis sa di A?”

“Stiamo così attenti a non farci sentire da A, che a volte ci dimentichiamo che anche le persone che ci circondano hanno le orecchie.”

“Ma come…???” non se ne capacitò.

“Ha sentito te e Sam, il giorno in cui siete venuti a cercarmi al Brew. Sai, quando io e Rider cercavamo di non affogare in un condotto fognario.”

Nathaniel si mise una mano sulla faccia, per poi passarsela velocemente tra i capelli, mortificato: “Credimi, non ne avevo idea. Eravamo così presi nel capire dove foste finiti, che non ce ne siamo accorti. E poi lei era andata nel retro, non immaginavamo che ci stesse ascoltando.”

“Rilassati, tanto ha sentito anche me parlarne con Rider al telefono. Non è colpa vostra, dovevamo aspettarcelo che prima o poi avremmo affrontato questo momento: Quello in cui qualcuno iniziasse a notare quanto siamo strani e agitati tutto il tempo.”

“Riesci a gestirla, finchè Julie non ci aiuta ad entrare nella panic room?”

“Ha una personalità abbastanza forte, ma ci provo… - poi si focalizzò su quanto detto – Quindi qual è il piano?”

“Ne so quanto te, credimi. Sono Rider, Sam e Julie che ci stanno pensando. Proveranno ad entrare nella panic room nelle ore di lezione di Brakner; così ho capito.”

Improvvisamente, Courtney si affacciò nuovamente nel corridoio, tornata a chiamare il nipote.

“Nathaniel, forza, Vieni!”

I due si voltarono, mentre quella gli faceva ancora cenno di muoversi.

“Devo andare, ci vediamo dopo!” esclamò, non facendola aspettare.

“Ok, a dopo!” si congedò anche Eric, tornando nella stanza di Alexis.

*

 

Più tardi, a scuola, Sam e Rider camminavano ai lati di Julie, con discrezione, per i corridoi della scuola.

“Ancora non riesco a credere che sei diventata la nostra consulente scolastica!” esclamò Sam, mentre la donna si sistemava continuamente il tailleur, nervosa per il suo primo giorno.

“Già, non ci credo neanche io!” ribattè quella, sarcastica. Gli occhi degli studenti puntati addosso.

“E io ancora non ci credo che ad Ackett sia bastata una gonna corta per assumerti!” pensò Rider, disgustato.

Julie lo fulminò con una lunga occhiataccia: “Ehi, io ho una laurea importante, non sono solo due belle gambe!”

“Peccato che ad Ackett importava di più delle tue gambe che della tua laurea. – puntualizzò Rider - Cerca di evitarlo: E’ scapolo e non gli intessano quelle della sua età!”

Quella sollevò le sopracciglia nauseata: “Interessante!”

I tre si fermarono davanti ad un’aula, ad un certo punto. Sam aprì la porta ed entrarono, chiudendosi dentro. Era vuota.

“Allora, ragazzi, veniamo al dunque… - Julie si fermò davanti a loro - A ha una lezione alla quinta ora, giusto?”

Quelli annuirono.

“Beh, scordatevelo che scenderò in quel seminterrato da sola. Uno di voi dovrebbe venire con me!”

“Pensavo fosse chiaro che muoio dalla voglia di entrare in quella panic room… - replicò Rider con ovvietà – Solo che dovrei trovare una scusa per lasciare la lezione di letteratura!”

Julie lo fissò perplessa: “Ehm…Professore, posso andare in bagno? Non mi sembra così difficile!”

Sam intervenne: “Non è così semplice! Per colpa di A, Rider non è più molto ben visto dal Professor Palmer.”

“Inoltre si suppone che dovrei tornare in classe entro due minuti, non ho la vescica di un orso!” aggiunse Rider.

“Allora ci viene Sam!”

Quello, però, non era alletato all’idea: “Non muoio proprio dalla voglia di venirci…”

Julie, a quel punto, si infuriò: “Ok, ragazzi, siete stati voi a chiedermi aiuto. In più, non volete dirmi cos’ha A di compromettente contro di voi e perché un professore di liceo dovrebbe tormentare quattro adolescenti!”

“Beh, il perché non lo sappiamo nemmeno noi. – commentò Rider – Anche per questo dobbiamo entrare nella panic room, sperando di trovare qualche indizio!”

“Dovete impegnarvi di più, sto rischiando molto!”

Sam, allora, ebbe un lampo di genio: “Usa il tuo potere di consulente scolastica!”

Rider si girò verso di lui, assumendo una smorfia confusa: “E quale sarebbe? Dare consigli ai disagiati?”

“No! – gli lanciò un’occhiataccia – Può semplicemente entrare in classe e chiedere a Palmer di prenderti in prestito un secondo. Ora sei un ragazzo problematico, non lo troverà strano.”

Stavolta fu Rider a guardarlo storto. Julie, però, la trovò una buona idea.

“Ok, faremo così, come dice Sam.”

Quello sorrise, dirigendosi alla porta: “Ora, se non vi dispiace, vado a cercare la mia amica Chloe!”

“Era ora!” esclamò Rider, cinico, guadagnandosi un’altra occhiataccia.

“Scusa tanto se A ha minacciato di farmi esplodere il braccio se le avessi detto anche solo ciao!”

“Siamo liberi dai braccialetti da due giorni, Sam!”

“Ma Julie ha finito di modificarli solo ieri, perciò ho preferito aspettare!” ribattè Sam.

La donna spostò lo sguardo tra i due, confusa: “Che ha di importante parlare con questa Chloe?”

“Affari nostri! – esclamò Rider, marcando un finto sorrisino e sollevando le sopracciglia – Tu pensa a scontare il tuo senso di colpa nei nostri confronti, facendoci entrare nella panic room!”

Quella roteò gli occhi, mettendosi a braccia conserte. A quel punto, Sam li lasciò.

“Io allora vado, a dopo!” e uscì.

 

*

 

Nel frattempo, in ospedale, il Dottore stava visitando Alexis, mentre Eric era in disparte, di spalle contro la finestra, nervoso per l’esito.

“E se faccio così, senti qualcosa?” domandò alla ragazza, mentre le toccava le dita dei piedi.

“No, niente.” rispose.

Eric si fece avanti: “Ma che significa, questo? Pensavo non avesse riportato gravi danni…”

“Mi scusi, Dottore… - Alexis lo chiamò alla sua attenzione, prima che potesse rispondere al ragazzo – Prima non sentivo nemmeno le dita dei piedi della gamba destra, ma ora le sento, perciò… è una cosa temporanea, giusto?”

“Lasciamo che passi questa giornata per poterlo dire con certezza. Lei ha subito un forte trauma, perciò la ripresa è graduale.” spiegò il dottore, apparentemente ottimista.

Il ragazzo, però, non fu dello stesso avviso: “E se non si riprende? Finirà su una sedia a rotelle?”

L’uomo lo fissò a lungo, quasi infastidito dal suo tono: “…Ho detto che ha subito un forte trauma, non saltiamo a conclusioni affrettate. Se Alexis non avrà ripreso la sensibilità agli arti inferiori entro domani mattina, faremo ulteriori controlli. Lei, invece, dovrebbe essere più d’aiuto, evitando di angosciare la sua ragazza.”

Eric si ammutolì, incrociando lo sguardo di Alexis, che si era improvvisamente abbassato, rendendosi conto di aver esagerato.

Il dottore tornò a rivolgersi a lei, sfoggiando un sorriso rassicurante: “Tornerò domani mattina, ok? Vedrai che andrà tutto bene.”

Quella annuì, ricambiando il sorriso, meno ampio. Quando il dottore uscì, Eric ruppe il silenzio che si era creato.

“Mi dispiace di aver detto quello che ho detto.”

“Beh, - quella aveva gli occhi lucidi, mentre sorrideva tristemente – questa potrebbe essere la realtà, se domani non riuscirò a muovere entrambe le gambe.”

Eric si avvicinò immediatamente a lei, prendendo le sue mani: “Ti starò accanto, ok? Non vado da nessuna parte, finchè non ti vedrò mettere un piede a terra.”

“Eric… - gli prese il viso con la mano, tenera – Va’ a casa, fatti una doccia e torna a scuola. Puoi venire a trovarmi alla fine della giornata, ma non serve che tu resta inchiodato a questo letto con me.”

Immediatamente, al ragazzo venne un forte magone, che a stento riusciva a trattenere. Tuttavia, accetto il consiglio della ragazza.

“Giuro che stasera sarò di nuovo qui…”

Lei sorrise: “Lo so…”

Il ragazzo la baciò a lungo, prima di staccarsi da lei e lasciare la stanza con un enorme senso di colpa.

 

*

 

Come da concordato, alla quinta ora, Julie si presentò nella classe dei ragazzi, bussando prima di entrare. Quelli sguardi puntati su di lei e l’iniziale silenzio che riempiva la stanza, la lasciarono un attimo impalata.

“Ehm, salve… - si rivolse a tutti, con un accenno di sorriso, per poi rivolgersi a Palmer – Non è che potrei rubare un secondo Rider Stuart?”

L’uomo la squadrò: “Lei è la consulente, vero?”

“Sì, proprio io! - esclamò, leggermente imbarazzata, facendo segno a Rider di sbrigarsi – Forza, Stuart!”

Quello si alzò, titubante, per non aver ancora ricevuto il permesso.

“Non abbiamo avuto modo di conoscerci, non l’ho mai vista durante la pausa caffè…” continuò Palmer, particolarmente affascinato dalla giovane.

“Beh, negli ultimi due giorni ho preferito decorare il mio ufficio. Magari più tardi!” esclamò lei, ridacchiando, evitando il suo sguardo, che sentiva troppo addosso e che la imbarazzava.

“Allora la aspetto!” sorrise lui, mentre Rider era giunto di fianco alla donna.

“Bene… - rimase ancora impalata, accorgendosi delle occhiate di Rider quando incrociò il suo sguardo – allora noi andiamo, buon proseguimento!” salutò la classe e, infine, il professore, fiodandosi subito fuori, Rider a seguito.

Dopo qualche passo, nel corridoio, il ragazzo la riprese.

“Che cos’era quel teatrino a cui ho appena assistito? Magari più tardi? Seriamente?”

L’altra era abbastanza tra le nuvole, trovandolo esagerato, mentre camminavano: “Perché no? E’ carino!”

“Ehm...hai tipo la metà dei suoi anni?”

“Pff, ma per favore! – minimizzò – L’ex moglie di Donald Trump va a letto con dei trentenni e io non posso prendere un caffè con il Jeffrey Morgan dei poveri?”

“Sam sarebbe fiero di te, hai appena citato il suo attore preferito! – commentò, amaramente – E comunque fai come ti pare, non sono affari miei ora che ci penso.”

“Certo che faccio come mi pare! Pensi di dettare legge con me, ragazzino?”

“Non sono così ragazzino, non più ormai!” sottolineò con foga.

“Sì che lo sei, Rider. Lo siete tutti voi… - ribattè, seria e comprensiva - Qualunque cosa abbiate passato, restate sempre dei ragazzini.”

Quello si limitò a fissarla, abbassando più volte lo sguardo, mentre proseguivano.

 

*

 

Più tardi, poco dopo mezzogiorno, Tyler aveva i risultati degli esami di Nathaniel. Il ragazzo, assieme a Courtney, erano seduti davanti alla sua scrivania, in attesa di sapere. Suo cugino sembrò abbastanza serio e preoccupato.

“Allora, Tyler? Non tenerci sulle spine, cos’è uscito?” domandò Courtney, ansiosa.

Tyler deglutì, lo sguardo basso, sulla scrivania, molto serio.

“Beh?” si inspazientì anche Nathaniel. Finalmente quello alzò lo sguardo, incredulo su ciò che stava per dire.

“Nat, stai per caso cercando di cambiare…sesso?”

“COSA?” urlò il diretto interessato, chinandosi in avanti.

Courtney sgranò gli occhi, per poi lasciarsi scappare una risata: “Tyler, ma di che stai blaterando?”

“Zia, sto blaterando ciò che ho scoperto, ciò che è uscito dagli esami!”

“Ok, prima di tutto mi chiami Courtney, perché la tua età è molto più vicina alla mia, rispetto a Nat. – si infuriò quella – E secondo, come diavolo puoi dire una cosa del genere?”

“Già! – replicò Nathaniel, che riuscì finalmente a trovare le parole – Sicuro che non hai confuso i miei esami con quelli di qualcun altro?”

“Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto la barba, Nat?” chiese quello, diretto.

“Ehm… - titubò, riflettendoci – l’ultima volta che sei venuto a casa mia, credo.”

“E’ stato almeno più di un mese fa, Nat…Non ti sei mai chiesto come mai la tua barba non cresca da settimane?”

Nathaniel, a quel punto, si toccò la faccia, seriamente turbato: “Ma…”

Tyler continuò, spiegando nel dettaglio: “ Gli esami riportano un calo drastico del testosterone, l’ormone follicolo stimolante in aumento e alterazioni a livello epatico… - fu coinciso, ad un certo punto – Nat, tu stai seguendo una vera e propria terapia ormonale a base di estrogeni per un vero e proprio cambio di sesso da uomo a donna!”

Nathaniel rimase pietrificato a fissare il vuoto, mentre Courtney sbatteva gli occhi senza parole, per poi alzarsi e raggiungere un angolo della stanza e riprendere fiato.

“Insomma, stai davvero cercando di cambiare sesso, Nat? – domandò quella, la voce che tremava – Cioè, sono una zia con una mentalità molto aperta e non ti giudicherei mai, ma è davvero quello che vuoi?”

“NO! – si alzò bruscamente dalla sedia, urlando, sconvolto quanto lei – Non voglio cambiare sesso, ma come ti viene in mente?”

L’altra si voltò, con una mano sul petto: “E allora come spieghi quello che ha appena detto Tyler, eh? Stamattina ti facevano male anche le tette! – si voltò verso Tyler, agitata – E’ un sintomo, quello, no?”

“SMETTILA, non ho le tette! – gridò Nathaniel, furioso, rivolgendosi poi ad entrambi – Io non ho mai desiderato cambiare sesso, né sto seguendo una terapia, ok? Ci dev’essere un errore!”

Tyler pensò che era meglio calmare gli animi e parlarne con più traquillità: “Ok, sedetevi un attimo… - suggerì, mentre quelli eseguivano, dopo una lunga occhiata tra loro – I sintomi più comuni, in genere, all’inizio di questo processo, sono: eccessiva sudorazione, vampate, stanchezza, sbalzi d’umore, dolori a livello locale, nella zona pettorale. Potrebbero esserci anche effetti collaterali come un improvviso aumento di peso, se i dosaggi della terapia non sono giusti. – fissò Nathaniel, notando il suo sguardo che incantava alla parete – Ti ritrovi in questi sintomi?”

Courteney rispose per lui, che era leggermente sotto shock: “Stamattina ha detto di essersi alzato con delle forti vampate ed è leggermente aumentato di peso, ho visto io.”

Nathaniel si mise le mani nei capelli, isolandosi nei suoi pensieri. Gli altri due smisero di parlare, fissandolo.

“Nat, se pensi di non aver assunto nulla, ma ne dubito…Come ti trovi in questa situazione?” continuò suo cugino.

Dopo qualche attimo, il ragazzo sembrò riprendersi, tornando a guardare suo cugino, serio: “E’ stato un errore mio…”

Sua zia non capì: “In che senso? Spiegati!”

“Volevo essere più informa per le gare, aumentare la massa muscolare. Così mi sono autoprescritto delle pillole, su internet…”

“E’ plausibile… - annuì Tyler, guardando Courtney, come per rassicurarla – Molte pillole sono fatte di estrogeni e chi va in palestra tende ad assumerle, ma è pericolosissimo!”

Quasi sollevata, Courtney si girò verso Nathaniel, per tranquillizzarsi del tutto: “Quindi non vuoi diventare un transessuale? Sicuro?”

“NO, ho detto!” confermò, seccato.

Quella si mise una mano sul petto, buttando fuori l’aria dalla bocca ad occhi chiusi: “Oh, grazie a Dio!”

Nathaniel roteò gli occhi, irritato da quella reazione esagerata, poi si rivolse a suo cugino, angosciato: “Se fermo tutto subito, tornerò normale, giusto? Insomma, si può sempre tornare indietro, no?”

“Beh, sì, sei ancora in tempo per tornare indietro. Fortuna che sei venuto subito!”

“Quindi mi basta smettere di prendere queste pillole e tutto questo processo si fermerà?”

“Assolutamente sì, butta quelle pillole!” gli suggerì.

Il ragazzo, però, aveva ancora qualche curiosità: “Ehm…se non fossi venuto qui, che sarebbe successo?”

“Credimi, saresti venuto prima o poi. Difficile non accorgersi di certe cose. L’importante è non aver superato i sei mesi. Dopo almeno sei o sette mesi di terapia, il processo diventa quasi irreversibile.”

“Ah…” mormorò, altamente turbato, incantando il vuoto ancora una volta. Improvvisamente, il telefono di Courtney squillo.

“E’ Pete dal parcheggio… - si alzò, dirigendosi alla porta – Vado a sentire cosa vuole, torno subito!”

Tyler le sorrise, mentre usciva. La sua espressione, però, cambiò radicalmente quando si chiuse la porta. Era a dir poco furioso.

“Ma sei impazzito??? – si chinò in avanti, gli occhi fuori dalle orbite – Come ti è venuto in mente di autoprescriverti delle pillole su internet???”

L’altro era mortificato: “E’ stato un errore, perdonami…”

“Un errore??? – urlò – Se ti fosse successo qualcosa, avrebbero scoperto del tuo problema al cuore, ti rendi conto? Nat, sanno tutti che sono il tuo medico!”

“Non accadrà più, te lo prometto.” non sapeva che altro dire, restando con lo sguardo basso.

Finalmente Tyler si calmò, poggiando di nuovo la schiena: “Va bene…tu, butta solo quelle pillole!”

“Adesso vado, - si alzò - grazie per avermi fatto avere subito le analisi…”

“Figurati, ma non farmi più questi scherzi!”

Nathaniel annuì, amereggiato, lasciando lo studio. Naturalmente aveva mentito, perché non si era assolutamente prescritto alcuna pillola su internet: l’artefice di ciò che gli stava capitando, sfortunatamente per lui, era qualcun altro.

 

*

 

Julie e Rider, nel frattempo, erano scesi nel seminterrato da qualche minuto. Avevano delle torce in mano, data la scarsa luminosità.

Rider faceva strada, mentre continuava a fissare la valigetta che la donna stringeva con l’altra mano.

“Cosa c’è lì dentro?”

“La mia attrezzatura, ovviamente… Pensavi che avrei aperto la panic room, urlando Apriti sesamo?”

L’altro si sentì stupido: “Giusto!”

Tuttavia, era la tensione a renderlo così nervoso e Julie la percepì, mentre continuavano a camminare.

“Tutto bene?”

Quello continuò a guardare avanti, senza voltarsi: “Ehm, sì…”

“Questa è la classica risposta da maniaco del controllo…” ribattè, cercando di farlo cedere.

“Cioè?” si voltò giusto un attimo.

“Non sono io il nemico, Rider. Io vi sto aiutando!”

“E quindi?” rispose, impassibile.

“Quindi puoi parlare con me. Insomma, anche io e Denna abbiamo fatto delle cose illegali…”

Rider si fermò bruscamente, puntandola con lo sguardo: “Cosa ti fa credere che abbiamo fatto qualcosa di illegale? Non siamo come voi!”

Sorrise cinicamente: “Però qualcosa avete fatto…E non ne vai fiero!”

“Sì, qualcosa è successo! – alzò lievemente la voce, infastidito dall’argomento – Ma è qualcosa che riguarda me, Sam, Nat ed Eric, ok? Smettila, per favore!”

Julie non aggiunse nulla, continuando a fissarlo. Quello riprese a camminare, ma lei spezzò nuovamente il silenzio.

“…Ed Anthony!”

Rider si voltò nuovamente, mentre quella continuava.

“Questa cosa riguarda anche il vostro amico morto, giusto?”

“Come sai di lui?”

“Ho visto quel video di insulti… - spiegò - In più, non mi avete ancora parlato di lui.”

Rider riprese a camminare, cercando di evitare il discorso: “Non c’è nulla da dire, era un pessimo amico. Fine!”

L’altra capì che era meglio non insistere: “D’accordo Rider, forse non ti senti ancora pronto a fidarti di me. Ti conosco da due giorni, quasi tre, e francamente ho capito che non ti fidi di nessuno, eccetto dei tuoi amici, ed è comprensibile dato quello che state passando…Sappi, però, che io mi sono fidata di voi e che vi ho detto tutto di me. E con tutto, non intendo cose come Ho rubato un frullatore, ma cose che possono far finire me e mia sorella dietro le sbarre.”

Il ragazzo deglutì, quasi stava per cedere e aprirsi, ma non lo fece: erano arrivati alla panic room e Rider illuminò la porta con la sua torcia, focalizzandosi su quella.

“Benvenuta nella tana di A!”

“Così sarebbe questa la panic room… – si avvicinò, toccando la superficie della porta, gelata – Sembra molto vecchia… - la scrutò attentamente – Ad occhio e croce, direi che è stata costruita prima del 2000, non credi?” si voltò verso Rider in cerca di conferma.

“Direi di sì… - riflettè – Quando questo posto è diventata una scuola, forse.”

“Prima non lo era?”

“Al secondo anno abbiamo fatto un saggio sugli edifici storici di Rosewood. Io l’ho fatto su questa scuola, che prima era un manicomio!” spiegò.

“Ah, interessante. – mormorò quella, rabbrividendo – E quando è diventata una scuola, esattamente?”


“Nel 1937!”

“E ora dove sono finiti i pazzi?”

“C’è il Radley, adesso. Fino al 36’ c’è stato il Wailord Sanitarium, ma fu chiuso quando si scoprì che i medici cercavano di curare l’insanità mentale con assurdi metodi di tortura.”

Julie rabbrividì ancora, tant’è che la luce della torcia tremava per via della sua mano: “Oookey, quindi la panic room dev’essere stata inserita nel nuovo progetto.”

“Sì, può essere…” aggiunse, mentre quella cercava un modo per aprire la porta, puntando la luce qua e là.

“Come puoi vedere, accanto alla porta non c’è alcuna tastiera o quadrante. Non c’è modo di entrare, a meno che questo non sia il covo di A e ci siamo sbagliati. Alla fine non l’abbiamo visto entrare qui con i nostri occhi.”

“Sì, ma avete detto che Eric ha sentito un forte rumore. – si avvicinò ad una pila di scatole attaccate alla parete, di fianco alla porta - Come quello di una porta che si chiude!”

“Questo seminterrato è enorme, potrebbero esserci tanti altri posti in cui Brakner può essersi nascosto.” ribattè, tenendendo la luce puntata sulla donna, che stava guardando dietro alle scatole, in difficoltà.

“Ehi, - si voltò verso di lui – mi aiuti a spostarle, sono pensanti. Voglio vedere cosa c’è dietro!”

Rider si avvicinò subito, poggiando la sua torcia su un’altra pila di cartoni. Insieme riuscirono a spostarle di qualche centimetro e Julie, nonostante avesse già il fiatone, riprese immediatamente la torcia e la puntò sulla parte di parete che le scatole comprivano.

Sorrise, per ciò che vide: “Bingo: una tastiera touchscreen!”

L’altro sgranò gli occhi: “Un po’ troppo in basso e lontana dalla porta, direi.”

Con un altro cenno della donna, spostarono ulteriormente la pila di scatole, per avere la piena mobilità in quel punto, senza quell’ingombro. Tuttavia, il pavimento ormai scoperto, riservò altre sorprese.

“Oh, cazzo! – Julie saltò indietro, spaventata, dopo aver guardato a terra – Un topo!”

Rider lo puntò con la torcia, indietreggiato anche lui in seguito all’urlo: “E’ morto… - mormorò disgustato – La settimana scorsa hanno disinfestato la scuola.”

“Beh, io non mi avvicino a quel coso, spostalo!” gli ordinò nervosamente, tenendosi a distanza.

Quello sgranò gli occhi: “CHE?? NO!” si rifiutò categoricamente, terrorizzato quanto lei.”

“Oh, ma che galante!” esclamò, prendendo in giro la sua mascolinità.

Improvvisamente, un rumore proveniente alle loro spalle. I due, spaventati, si voltarono immediatamente con le luci puntate verso la sorgente di quel suono.

Restarono rigiti per quasi venti secondi, gli occhi spalancati. Qualcuno girò l’angolo, restando accecato dalle luci: era Sam.

“Potete mettere giù le torce? Sto per perdere la vista!” ordinò, coprendosi a malapena gli occhi con le mani.

Quei due eseguirono, buttando fuori l’aria per lo spavento preso.

“Dio, pensavamo fosse Brakner con un coltello in mano!” esternò Rider, i cattivi pensieri che aveva fatto.

“No, ma potrebbe accadere. – si avvicinò – Ha lasciato la sua classe, l’ho visto.”

Julie trovò strana la sua presenza nel seminterrato, però: “Come sei uscito dalla lezione?”

“Ehm…Professore, posso andare in bagno? L’avevi suggerito tu!”

E mentre quella si autoelogiava con un espressione di compiacimento per quelli che pensava fossero ottimi suggerimenti, Rider era più preoccupato per la notizia appena recepita.

“E’ dove è andato di preciso?”

“In segreteria, ha ricevuto una chiamata!”

“Ok, dobbiamo sbrigarci! – pensò Julie, puntando la torcia verso la porta, restando impalata – Prima, però, Sam…potresti fare una cosa?”

Quello fece immediatamente una smorfia confusa: “Cioè?”

Fu Rider a continuare: “Dovresti togliere un topo! – lo illuminò, affinchè lo vedesse – Quello!”

Sam sollevò le spalle, trovandola una cosa da niente: “Tutto qui? Pff!” e si avvicinò, prendendolo per la coda e poggiandolo più lontano.

Gli altri due erano a dir poco nauseati.

“Ricordami di non stringerti più la mano, Sam.” Rider tratteneva a stento il vomito, mentre Julie si inginocchiava vicino alla tastiera, aprendo la sua valigetta.

“Tranquillo, Rider. Tanto non ci siamo mai stretti la mano!” esclamò, sereno.

Dopo una rapida occhiata tra loro, i due ragazzi restarono impalati a guardare Julie che faceva il suo lavoro.

“Cosa stai facendo di preciso?” domandò Sam, mentre quella rimuoveva la parte frontale della tastiera, rivelando i circuiti e le componenti del dispositivo.

“Collegherò questo apparecchio – lo mostrò, una volta tirato fuori dalla sua valigetta - e attraverso un programma ideato da Denna, ricaverò il codice d’accesso. Cifra per cifra!” spiegò, mentre tagliava i fili e collegava i due dispositivi.

“Fico! – Rider sollevò le sopracciglia, fingendosi entusiasta, quando in realtà voleva immediatamente entrare nella stanza – Comunque… – si rivolse a Sam, nell’attesa – strano che non sei preoccupato per Nat.”

“Ha accompagnato sua zia in ospedale, no? Che sarà mai!” esclamò, ignaro.

L’altro strinse i denti, rendendosi conto che l’amico aveva capito male: “Ehm, Sam, forse…Cioè, non è che ha accompagnato sua zia, ma è sua zia che ha accompagnato lui.”

“Rider! – sussultò, urlandogli contro – Perché non me l’hai detto stamattina?”

“Guarda che te l’ho detto!” si giustificò, sollevando le spalle.

Sam sbigottì qualche secondo, prima di lamentarsi istericamente: “Masticavi un cornetto, mentre me lo dicevi…Ne hai mangiati tre!

“Stavo morendo di fame, è risaputo che le vittime di A hanno bisogno di un apporto calorico in più rispetto a tutti gli altri!”

Julie, intanto, roteava gli occhi mentre il suo apparecchio aveva già decifrato parte della password.

“Ragazzi, ci siamo quasi!”

Quelli, però, continuarono a discutere, ignorandola.

“Ma sta bene? Cos’ha?” domandò Sam, altamente preoccupato.

“Niente, non mi ha detto niente. Solo che doveva fare delle analisi!”

L’altro sgranò gli occhi, pensando al peggio: “Oh mio Dio…”

Rider cercò subito di rassicurarlo: “Dai, vedrai che non è niente!”

“Non lo so… - iniziò a mordersi l’unghia del pollice, in ansia, mentre fissava il vuoto – Non riesco a stare molto tranquillo, ultimamente.”

Improvvisamente, l’apparecchio di Julie emise un suono continuo. Quella, poi, alzò in piedi, mettendosi davanti alla porta, iniziando a dare istruzioni.

“Appena la porta si apre, dobbiamo entrare tutti nello stesso momento. Scusate la volgarità, ma, in definitiva, dovete starmi attaccati al culo!.”

Sam fece una smorfia perplessa, oltre che basita: “Ehm, che succede se non entriamo tutti nello stesso momento?”

Quella si voltò, secca: “Vieni schiacciato dalla porta, ecco che succede! All’arpertura della panic room, ci saranno dei sensori di movimento che rileveranno il nostro passaggio. Dal momento in cui entro per prima, ci saranno almeno 860 millisecondi di stacco che non dovete superare, perchè corrispondono  davvero ad un battito cardiaco umano a riposo.”

“Cosa ti fa credere che sia così?” chiese Rider.

“La panic room sarà stata anche progettata più di un secolo fa, ma la tecnologia è nuova. Questa stanza blindata, ospita solo una persona, adesso.”

Sam e Rider annuirono, mettendosi dietro di lei. Julie osservò l’apparecchio, la password fu confermata.

“Dietro di me! – urlò – Non perdete tempo, dovete essere veloci!”

La porta si aprì, emettendo un suono meccanico. Julie ci saltò immediatamente dentro, seguita subito dai ragazzi che quasi saltarono con lei nello stesso istante per paura di soccombere.

Finalmente erano tutti dall’altra parte, la porta si chiuse rapidamente, come aveva detto Julie.

“Fiuu! – sospirò Rider – Giuro che me la sono fatta sotto!”

Sam fu d’accordo, la fronte sudata: “A chi lo dici!”

Julie, intanto, scrutò il piccolo spazio in cui si trovavano. Era un piccolo corridoio di 10 mq, stretto, illuminato da una luce forte, le pareti fatte di metallo arrugginito. C’era un’altra porta, molto più nuova rispetto alla prima, alla fine di quel corridoio.

“Deduco che non siamo ancora entrati nella panic room. – pensò la donna, buttando gli occhi in basso, ai lati della nuova porta – Ci sono altri due sensori di passaggio, ma la porta è diversa. Molto più ermetica. Il vostro professore deve aver fatto delle modifiche qua giù!”

Sam, dietro di lei come Rider, era a dir poco a bocca aperta: “E’ inquietante…Vi prego, facciamo presto.”

Julie non se lo fece ripetere due volte, mentre Rider deglutiva, pensando a cosa potesse esserci dietro a quella porta.

Il sensore rilevò immediatamente la gamba di Julie, non appena quella si fece avanti. Immediatamente si attivò l’apertura della porta che emise un suono simile all’aria pressurizzata.

Finalmente si trovarono davanti alla vera panic room, una luce meno forte e leggermente instabile. La prima cosa che poterono scrutare dall’ingresso, fu una tipica botola di metallo da terra, al centro della stanza, installata nel pavimento. La fissarono per qualche secondo, prima di fare un passo avanti.

Nell’istante in cui varcarono la porta, la porta si richiuse e i tre si voltarono, spaventati dal rumore che fece. Subito, poi, ripresero fiato e si concentrarono su ciò che li circondava, tra cui: fotografie appese alle pareti; una scrivania con sopra un computer acceso e una lampada spenta accanto; delle scatole sotto alla scrivania; un tavolo con sopra tre monitor accesi; un sistema di videosorveglianza vecchio e polveroso, appeso al muro e spento; un vecchio armadio marrone; una vecchia e piccola televisione impolverata sopra un mobiletto e un videoregistratore attaccato.

Dopo che Julie avanzò, diretta al computer, Sam avanzò verso le foto appese ai muri, dall’altro lato della stanza, che in fin dei conti non era assai grande. Rider seguì Julie, naturalmente. I tre erano abbastanza impressionati, non avevano parole.

A ci ha seguiti ovunque andassimo. Dal primo momento…” mormorò Sam, scioccato, mentre si osservava nelle foto.

Julie, intanto, si sedette al computer, Rider alle spalle: “Non c’è alcuna password, possiamo guardare tutte le cartelle che ci sono.”

“Sì, ma dobbiamo fare presto. La quinta ora sta per finire e Sam ha detto che Brakner è andato in segreteria, non sappiamo se sia ritornato in classe.” spiegò Rider, poco tranquillo.

“Merda! – Julie si colpì la fronte – Ho lasciato la valigetta fuori, avevo portato una pen drive…”

“Fa niente, iniziamo a guardare!” suggerì Rider.

Sam, intanto, stava continuando a visionare tutte le foto, sempre in disparte, finchè non vide quella del suo bacio con Nathaniel, davanti alla prigione di Philadelphia. Immediatamente sgranò gli occhi, staccandola dal muro e mettendola nelle mutande. Teso, si voltò verso gli altri due, tirando un sospiro di sollievo nello scoprire che non l’avevano visto; assieme a Nathaniel, mantenevano ancora segreta la loro visita a Jasper.

Facendo finta di niente, si avvicinò finalmente ai due, evitando la botola, sopra la quale era quasi inciampato.

“Perché solo io sembro incuriosito da questa vecchia botola?” 

Rider gli rispose subito, mantenendo gli occhi incollati sullo schermo: “Perché le cose più importanti sono nei computer. E’ la prima cosa da guardare, quando si ha poco tempo.”

“Per me va bene, non ho tanta voglia di scoprire cosa c’è dentro quel buco o quello che è… - pensò, intimidito, per poi voltarsi a guardare i tre monitor sull’altro tavolo – Dio, ha occhi su tutta la scuola…Saranno almeno…”

L’amico lo precedette: “Trentadue telecamere, le ho già contate!”

“Trentadue volte inquietante!” sollevò le sopracciglia, quello, guardandosi nuovamente attorno.

“Sam, ti dispiace fare qualche foto della stanza? – si voltò Rider a chiederglielo – Così vedono anche Nat ed Eric…”

“Certo! – esclamò, tirando fuori il telefono dalla tasca – Li avviso anche che siamo entrati…”

 

*

 

Nathaniel stava salendo le scale del portico di casa sua, dopo essere sceso dalla macchina di Pete. Era al telefono con Eric.

“Hai ricevuto il messaggio di Sam? Dice che sono entrati nella panic room.” esclamò, mentre prendeva le chiavi.

“Sì, l’ho ricevuto…E comunque sono al Brew, devo parlare con Todd!”

“Chi è Todd?”

“Il proprietario del Brew…”  mormorò con voce amareggiata e stanca.

“Pensavo sapesse dell’incidente di Alexis, no?” ribattè, entrando in casa.

“Lo sa, ma non è per quello che voglio parlare con lui…Stamattina, in ospedale, ho dimenticato di dirti che ho ricevuto un messaggio da parte di A. Ha investito Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew, sapeva che cercavo lavoro.”

“Ma è da malati… – pensò, gettando le chiavi sul tavolo della cucina e appogiandosi sopra con una mano per concentrarsi sulla converazione – E stai pensando di farlo davvero? Chiedere il posto di Alexis?”

“Che altro dovrei fare, Nat? – si agitò – Se non lo faccio, A potrebbe presentarsi nella stanza di Alexis con un cuscino puntato sulla sua faccia!”

Sospirò, rendendosi conto che era alle strette: “Scusa, mi dispiace…E’ davvero un gran casino!”

“Puoi dirlo forte…E in più sento che il peggio deve ancora arrivare, ma cosa può esserci di peggio? Cos’altro può fare una sola persona?”

Nathaniel rimase qualche secondo in silenzio, pensando a quello che stava accadendo a lui: “…Non so se ho mai avuto realmente paura, da quando è iniziata questa storia di A…Ora, però, credo di averla davvero…”

Eric comprese perfettamente, immaginando si riferisse in generale: “Io ho iniziato ad avere paura la settimana scorsa, quando sono rimasto bloccato in quella fogna. Davvero, ho pensato di non farcela… - preferì sorvolare quel ricordo, poi – Comunque hai fatto gli esami? Stai bene?”

“Preferisco parlarvene di persona…” rispose con un tono assai serio.

Eric si preoccupò: “Ok, però così mi stai spaventando…”

“Ne parliamo quando ci vediamo di persona, ora devo andare. Scusami.”

Poco convinto, l’altro non insistette: “Va bene, a dopo!”

Dopo aver terminato la conversazione, Nathaniel chiuse gli occhi, appoggiandosi con entrambe le mani sul tavolo, chinando la testa in basso, riprendendo un attimo fiato.

Si diresse, poi, verso il frigo, prendendo una bottiglietta d’acqua. La portò alla bocca, pronto a berne un sorso, ma si bloccò improvvisamente, portandola indietro; ripensò a quando Sam era stato drogato con l’acqua che aveva bevuto dal suo frigorifero, così la rimise al suo posto, richiudendo il frigo, indietreggiando spaventato.

Improvvisamente, sentì qualcuno entrare in cucina alle sue spalle e si voltò di scatto: era suo padre.

“E tu che ci fai qui? – aveva gli occhi leggermente chiusi, trasandato nell’aspetto – Pensavo fossi a scuola…”

“E io pensavo che tu fossi al ristorante…”

“Sono dovuto tornare. – si grattò il capo, una smorfia sofferente, mentre si avvicinava ad un mobiletto – Ho un gran mal di testa, non riuscivo a tenere gli occhi aperti!”

“E chi c’è al ristorante, adesso?”

“Jamie!” rispose, recuperando delle aspirine.

Nathaniel inclinò la testa, come un gufo, perplesso: “Ma lo conosci da meno di un mese, non puoi lasciarli in mano l’attività di famiglia!”

Quello si stava riempiendo un bicchiere d’acqua per mandare giù l’aspirina, massaggiandosi le tempie: “E’ un bravo assistente manager, Nathaniel. L’attività di famiglia non cesserà di esistere per un giorno che mi assento.”

“Vuoi che vada a controllare?” non si convinse tanto.

“No, se la caverà! E comunque… - continuò, dopo aver mandato giù l’aspirina – non hai risposto alla mia domanda. Perché non sei a scuola?”

“Ehm… io ho… - inventò, poi – accompagnato la zia Courtney in ospedale! Doveva fare delle analisi, ma non ha niente. Era preoccupata per qualcosa, ma falso allarme.”

“Mmmh, interessante… – disse, però, disinteressato, sollevando le sopracciglia – Con Courtney è sempre un falso allarme; come quella volta che mi fece girare tre volte davanti ad un negozio di porcellane perché pensava di aver visto Colin Firth!”

Nathaniel si lasciò sfuggire una piccola risata, poco vivace: “Che diavolo ci verebbe a fare Colin Firth a Rosewood!”

“Già, è quello che le ho detto anch’io! – fissò, poi, l’orologio della cucina – Ora devo uscire, tua madre mi ha chiesto di comprare alcune cose per l’inaugurazione del salone.”

“Ah, già, è domani! Sembra ieri che faceva la parrucchiera abusiva in casa, in attesa che i lavori finissero.”

“Vado allora… Poi vedrò di passare a controllare Jamie, al ristorante. L’aspirina fa già effetto!” si congedò.

“Ok, dì a Mamma di stare tranquilla, sarà un successone!”

“Ok!” esclamò quello, già fuori dalla cucina.

 

*

 

Nella panic room, intanto, i ragazzi stavano ancora esaminando le cartelle sul desktop. Rider sembrava alquanto seccato, alle spalle di Julie.

“Passa avanti, queste sono solo foto, foto e altre foto di noi. Stiamo solo perdendo tempo!” e quella passò immediatamente ad ispezionare un’altra cartella.

Sam, intanto, si era avvicinato alla piccola televisione, pulendo lo schermo polveroso con la mano. Più in basso c’era il tasto di accensione e lo premette. Immediatamente lo schermo si illuminò, mostrando delle immagini in bianco e nero. Il volume era inesistente. Quello subito si chinò in ginocchio, aprendo gli sportelli del mobiletto: c’erano undici videocassette.

“Non è buffo che un professore di matematica abbia una passione per i gialli di Agatha Christie? – condivise le sue perplessità, facendo voltare gli altri due – Qui c’è tutta la prima stagione di Miss Marple andata in onda dal 1984 al 1992 su BBC one!”

“…A me piace l’odore della benzina!” commentò Julie.

Quelli assunsero una smorfia confusa, fissandola.

“Che c’è? Ognuno ha le sue stranezze!” si giustificò quella, animatamente.

Rider scosse la testa, tralasciando: “Sam, spegni quel coso e vieni qui!”

Julie era tornata ad esaminare delle cartelle e finalmente sembrò aver trovato qualcosa, mentre Sam si avvicinava nuovamente a loro.

“Qui ci sono degli audio…” portò la freccia del mouse sopra una delle tracce.

Rider fece un rapido cenno a Sam: “Riprendi tutto con il telefono, mi raccomando!”

Quello eseguì immediatamente, mentre il primo audio era in riproduzione.

Rider: Ehi, Sam! – Sam: Stai leggendo anche tu i commenti? – Rider: Certo… E trovo incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa li passavano davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina, e adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono dediche…”

“Ma questa è una nostra vecchia conversazione telefonica. - ricordò Sam – L’abbiamo fatta dopo…”

“Il funerale di Anthony!” ricordò all’istante anche Rider.

Julie continuò ad ascoltare con attenzione, senza aprire bocca.

Sam: Ci sono commenti anche su Anthony…e anche qualcuno su di noi. – Rider: Beh, la morte non ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo! – Sam: Ho pianto per quasi venti minuti, dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente libero né felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo nel…”

Rider sgranò gli occhi, esattamente come Sam, ricordando per filo e per segno quella conversazione e quale parola sarebbe seguita. In un lampo, prese bruscamente le redini del mouse, selezionando l’audio successivo in maniera nervosa.

“Passiamo avanti, inutile ascoltare conversazioni che abbiamo già vissuto!”

Alquanto insospettita dal suo comportamento, Julie rimase rigida a fissarlo perplessa: “Ok, se lo dici tu…”

Lindsay: A proposito… Grazie per non aver detto nulla a nessuno. Insomma, so che mi hai vista quella notte.”

Rider sobbalzò: “Ma questa è la voce di mia sorella!”

Chloe: Q-quale notte?”

Sam si chinò in avanti, riconoscendo la seconda voce: “E questa è di Chloe…”

Lindsay: Avanti, lo sai. Non fingere. Quella in cui mi hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu. -Chloe: Ah, eri tu? – Lindsay: Chloe, ti sto facendo paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa mia, vero? -  Chloe:  No no, certo che no, ma… Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata l’ultima persone ad averlo visto? - Lindsay: Non ero da sola, quella notte. Sai, io frequento, diciamo…una persona più grande e… Insomma, non volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no? – Chloe: Sì si, certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era questa persona più grande con cui eravate?”

Julie sembrò sempre più perplessa, mentre gli altri due ascoltavano, assorti.

“Chi è questo Albert che nominano sempre?”

“Shhh!” borbottarono entrambi.

“Okeey, va bene!” esclamò quella, irritata.

Lindsay: Anthony dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! Hai presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la videocamera.”

Rider e Sam si guardarono, continuando ad ascoltare.

Chloe: Volevate che la scuola vedesse quel video? Ok che Albert volesse questo, ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa del genere?”

“Già, ottima domanda! Cento punti per Chloe!” commentò Rider.

Julie intervenne: “E zero punti per me: non ci sto capendo un tubo!”

Quelli la ignorarono nuovamente, interessati alla risposta.

Lindsay: Non volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che facesse tutto lui. – Chloe: Ma, aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la scomparsa di Albert. Sei stata tu? – Lindsay:No! Te l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di notte verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del ragazzo con cui ero e gli ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho più visto né sentito. Chloe: Ma… Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi è stato? – Lindsay: Non è evidente? E’ stato Albert!”

“Ehh???” Sam si guardò perplesso con Rider.

Julie spostò lo sguardo fra i due: “Che c’è? Che succede? Che avete capito?”

“Julie, potresti lasciarci ascoltare? – la richiamò Rider – E’ una questione nostra, grazie!”

Quella roteò gli occhi, dopo essere stata ammonita per l’ennesima volta.

Chloe: Sicura che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari è stato lui! – Lindsay: E’ stato tutto il giorno con me! L’unico ad avere quel video era Albert ed è stato lui! – Chloe: Quindi pensi che Albert sia nascosto qui a Rosewood? – Lindsay: Io penso che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire. Questo, però, non l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che l’hanno sempre sostenuto: mio fratello e i suoi amici… Albert sembrava un tipo instabile. L’ultima volta che l’ho visto non aveva una bella cera.”

“Perché sta dicendo queste cose a Chloe?” non capì Sam, rivolgendosi all’amico.

Rider scosse la testa, interessato ad ascoltare il resto.

Chloe: Se pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i ragazzi. – Lindsay: E se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed è stato qualcun altro, magari c’è molto di più dietro e io non voglio guai! Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”

La registrazione terminò, lasciando abbastanza perplessi i ragazzi; Julie in primo luogo.

“Volete spiegarmi perché siete così tanto presi da questa registrazione, quando chi vi sta tormentando è un professore di matematica?”

“Ci sono altre persone coinvolte!” si lasciò sfuggire Sam, subito rimproverato.

“Shhh, sta zitto! Lei non è tenuta a sapere queste cose… - tutelò la sorella, di cui non aveva rivelato la sua complicità con Brakner a Julie - E TU, - si rivolse a lei, ora, aggressivo – smettila di farci domande! Eri tenuta solo a farci entrare nella panic room per restituirci il favore, nient’altro!”

“Tua sorella parla di omicidi…E’ questo che A ha contro di voi? Siete coinvolti?” continuò Julie, testarda, sfidando la pazienza del ragazzo.

Sam cercò di spiegarle: “E’ stato un incidente, Anthony…”

“BASTA! – urlò Rider, fermandolo – Vuoi chiudere quella bocca?”

“E’ coinvolta, ormai!” ribattè con lo stesso tono.

“Già, sono coinvolta!” si aggregò Julie.

Rider continuò sulla difensiva, testardo: “Beh, dopo essere usciti da qui, non lo sarai più!”

Quella lo trovò ridicolo: “Ormai lavoro qui, non posso licenziarmi dopo il terzo giorno!”

Sam troncò immediatamente la conversazione, dopo aver guardato l’orologio: “Ehm, ragazzi, mancano dieci minuti alla fine della quinta ora.”

L’amico sbuffò, sedendosi al posto di Julie al computer: “Accidenti, non siamo nemmeno riusciti a trovare i nostri video, ci sono troppe cartelle… - continuò ad aprirne altre – Moltre contengono cose inutili e…” improvvisamente si bloccò.

“E, cosa??? – si pronunciò Sam, alle sue spalle, notando l’improvvisa interruzione – Rider??”

Quello non rispose, digitando qualcosa sulla tastiera.

“Lo sapevo! – si distanziò con la sedia dalla scrivania – Non c’è!”

Julie intervenne, curiosa: “Che succede?”

Rider si voltò a spiegare, spostando lo sguado tra i due; più verso Sam: “Tutto questo è un bluff, A sapeva che saremmo entrati qui!”

“E’ impossibile che potesse prevederlo. Julie ha modificato i nostri bracciali, non può più ascoltarci in nessun modo!”

“Dimentichi che A è in questo edificio con noi e che le porte sono molto sottili. Dovevamo fare più attenzione, mentre ne parlavamo.”

“Sì, ma come hai capito il bluff?” domandò Julie.

“Manca una cartella che dovrebbe esserci, chiamata Rosewood-riservato. Contiene delle cose che forse possono farci capire perché A ce l’ha con noi. In più, questo computer è stato riempito con molte cose. E’ una chiara messa in scena!” spiegò Rider.

Sam, facendo qualche improvviso colpo di tosse, si avvicinò al computer: “Ora che lo vedo meglio, non sembra uno dei computer che ci sono nell’aula di informatica?”

Quello si voltò a guardarlo nuovamente, facendo qualche colpo di tosse anche lui: “In effetti, si…Deve aver messo il suo vero computer da un’altra parte.

“Quindi… - Julie si mise la mano a pugno davanti la bocca, tossendo, prima di continuare - Siamo scesi qui al vuoto?”

Rider tossì ancora, prima di continuare: “A quanto pare…”

Sam, improvvisamente perplesso, spostò lo sguardo fra i due: “Perché stiamo tossendo tutti?”

Quelli si guardarono, facendo caso alla cosa.

Rider tossì ancora, per poi allarmarsi: “Ok, che sta succedendo?”

Julie, con lo sguardo fisso nel vuoto, riflettè, per poi voltare la testa verso la parete che aveva alle spalle, guardando in alto, verso una piccola grata: “Il condotto di aerazione… - fece notare – Quando siamo entrati, il filo annodato alle sbarre della grata ondeggiava…”

Sam, con un tono poco tranquillo, descrisse ciò che vedeva: “Ehm, ok, ma ora non ondeggia più e questo vuol dire che…”

Rider si affrettò a completare, una nota nervosa nel tono: “Non c’è più cambio d’aria, stiamo respirando anidride carbonica!”

Sam andò subito nel panico, mentre Julie iniziava ad agire.

“Ok, - tossì ancora, come gli altri - dobbiamo uscire immediatamente di qui, prima che non ci sia più ossigeno da respirare!” esclamò, dirigendosi alla porta, premendo più volte il pulsante verde d’uscita.

Nonostante l’avesse premuto più volte, la porta non si apriva.

“Beh?” domandò Sam, fissandola in maniera insistente, teso come una corda di violino.

L’altra si voltò, il panico nello sguardo: “Ehm, non si apre!”

“COSA?” urlarono entrambi, increduli.

“Deve aver interrotto il flusso di corrente da remoto!” spiegò quella, mentre lo schermo del computer diventava nero.

Quelli si voltarono a guardare e subito comparve una scritta.

 

“Quanti ficcanaso servono per finire l’ossigeno in una piccola stanza?”

-A

 

 

Rider, esplodendo in svariati colpi di tosse, si fece prendere dal panico più totale: “No, non morirò qui dentro!”

Corse immediatamente verso la porta, prendendola a calci. Sam, con il volto rigido per il terrore, si guardò attorno, mentre Julie teneva una mano davanti alla bocca e l’altra sul petto, tossendo.

“Che facciamo, adesso? – urlò Sam, gli occhi lucidi – E pensare che io ero in classe…”

Julie si fissò immediatamente a guardare la botola, pensando di poterla usare come via di fuga, avvicinandosi: “Ehi, aiutatemi qui!”

Rider accorse subito alla sua chiamata, stringendo il manubrio arrugginito con le mani e cercando di farlo sbloccare. Sam titubò, gli occhi sbarrati, lo sgomento che ormai l’aveva impossessato.

“E se non ci fosse una via d’uscita sotto quella botola? E se ci fosse solo un buco che ospita un cadavere?”  pensò a quello di Albert, che deteneva ancora A.

Julie alzò la testa, atterrita: “Un cadavere? – tossì - Quale cadavere?”

Rider fulminò l’amico, ancora una volta, per aver parlato troppo: “Niente, sta vaneggiando, continuiamo a girare. Sam, aiutaci!”

Serrando la bocca, quello esegui, inginocchiandosi assieme a loro, tra la fatica e la tosse sempre più insistente. Il manubrio iniziò a sbloccarsi, ma lentamente. Le mani di Sam scivolavano.

“Accidenti, ho le mani sudate!”

“Anch’io! – esclamò Rider, che subito ebbe un lampo un’idea, guardando l’armadio - Prova a vedere se c’è qualcosa lì dentro che possa aiutarci a migliorare la presa!”

Sam si alzò, traballando. Raggiunse l’armadio quasi senza fiato, per poi aprire le porte e restare esterrefatto.

“Un armadio vuoto? – si voltò verso gli altri due – Chi cavolo porta un armadio qua dentro per non metterci nulla?”

Improvvisamente, dopo una tosse esagerata, Julie svenì di colpo.

Entrambi i ragazzi sgranarono gli occhi.

“Oh no!” esclamò Sam, fissando subito Rider.

“Sam, sbrigati, torna qui prima che sveniamo anche noi!” gli urlò.

Quello corse immediatamente vicino a lui, tirando il manubrio con tutte le loro forze. Ad un certo punto, Rider si fermò, lo sguardo perso nel vuoto.

“Non… Non riesco a respirare…”

“Rider?” lo fissò Sam, spaventato.

Le pupille del ragazzo salirono verso l’alto e svenì anche lui.

“RIDER! – gridò Sam, sfociando in un espressione di panico assoluto, avvicinandosi a lui – No, Rider, ti prego, svegliati! – tossì, scuotendolo - SVEGLIATI!”

Quando comprese che sarebbe stato il prossimo, Sam si guardò attorno con il fiato corto, non sapendo cosa fare. Farfugliando cose.

“Ok, Sam, sta calmo... – chiuse gli occhi – sta calmo, sta calmo…”

Subito, poi, si tolse il maglione, mettendolo sul manubrio, stringendo le mani sopra di esso. Ora la presa era più salda e le mani non scivolavano più. Sam girò quel cerchio di metallo con tutte le sue forze, i denti stretti e il viso livido per lo sforzo. Man mano che girava il manubrio, quello si sbloccava sempre più, ruotando veloce. Era ormai al limite, stava per svenire anche lui, ma ce l’aveva fatta: sollevò immediatamente il portellone. L’aria stava finalmente entrando nella stanza. Sam si lasciò cadere all’indietro, esausto.

Julie e Rider ripresero a respirare, sollevandosi bruscamente, come fossero appena riemersi dall’acqua.

“Oh mio Dio, sono vivo!” esclamò Rider, prendendo grossi respiri, la mano sul petto.

“Avete aperto voi la botola? – domandò Julie, mentre si riprendeva anche lei – Io non ricordo…”

“Sono stato io! – Sam alzò la mano, mentre era ancora sdraiato a riprendere le forze – L’ho aperta io, ma c’è mancato poco.”

Rider, curioso, guardò subito dentro la botola, descrivendo ciò che vedeva: “C’è una scala che porta fino a giù e dall’odore…deduco porti alle fogne! – roteò gli occhi, seccato – Di nuovo!”

Julie non capì cosa intendesse: “Come sarebbe, di nuovo?”

“Benvenuta nel mondo delle trappole di A! – prese parola Sam, alzandosi – Questa non è la prima volta che tenta di ucciderci… - assunse un’espressione angosciata - A volte mi chiedo se sia solo un gioco in cui alla fine ci permette di salvarci o vuole realmente farci fuori e noi siamo tremendamente fortunati.”

Julie spostò lo sguardo fra i due: “Beh, non posso dire la mia se non conosco i fatti. Ma ha tutta l’aria di essere una vendetta, questa!”

“Lo è, infatti!” sottolineò Rider, con tono marcato.

La donna comprese il loro disagio e pensò che era meglio lasciare quel posto, entrando nella botola per prima: “Usciamo da qui e torniamo a scuola, prima che chiamino la polizia per accusarmi di rapimento di minori!” e iniziò a scendere, seguita dai due ragazzi.

Poco dopo, erano di sotto, nelle fogne. Sam aveva appena messo piede a terra, lasciando la scala. I tre si guardarono a destra e sinistra, l’acqua che scorreva al centro del tunnel.

“Rider, come ci muoviamo per tornare sopra?” gli domandò Sam a bruciapelo.

Quello gli lanciò un’occhiataccia, costringendo l’altro a giustificarsi subito.

“Che c’è? Tu conosci questi tunnel meglio di noi!”

Julie fece subito una supposizione, in merito a quel commento: “A ti ha intrappolato nelle fogne, ho capito bene?”

Rider si voltò a risponderle: “Ha attirato me ed Eric in un vicolo cieco e ha fatto esplodere la parete di una camera stagna. Saremmo morti affogati se Sam e Nat non ci avessero trovati, quando è successo.”

Quella scosse la testa, incredula e dispiaciuta: “…Beh, sarà meglio trovare il tombino più vicino e risalire.” prese, poi, a camminare, seguita dai due.

Sam, rimasto leggermente indietro per sua intenzione, si tolse la fotografia che aveva preso nella panic room dalle mutande e la gettò nel fiumiciattolo, alzando poi il passo.

 

*

Eric, intanto, era al Brew, in piedi davanti al bancone, che guardava Todd in fondo al locale, parlare con una cliente seduta ad un tavolo. Oscillava da destra a sinistra, traballante, cercando di fargli un cenno ogni volta che pensava l’avesse notato. Sfortunatamente, però, quello sorrideva, preso dalla conversazione, così Eric si arrese, guardando in basso, sbuffando, pronto a salire nel suo appartamento. Improvvisamente, quando risollevò lo sguardo, Todd stava arrivando verso di lui e colse l’occasione al volo.

“Ehi, Todd!”

“Ouh, ciao Eric!” si fece cogliere distratto, mentre pensava ancora alla conversazione appena avuta.

“Immagino tu abbia saputo di Alexis…” cominciò, leggermente nervoso.

“Ovviamente! Mi ha anche chiamato dall’ospedale, che triste storia…” cercò di mostrarsi dispiaciuto, mentre smanettava il suo telefono con un sorrisino lussurioso, voltandosi per un secondo a guardare la cliente con cui stava parlando poco prima; anche lei contraccambio quel sorriso.

Eric non si accorse di tutto ciò, impegnato a trovare le parole per chiedere il posto di Alexis, sudando: “Senti, Todd, mi chiedevo se…”

L’altro, troppo distratto, voleva tagliare corto: “Tranquillo, il posto di Alexis è al sicuro, non assumerò altre persone. E poi Pam ha accettato di fare anche i suoi turni: che ragazza!” agitò i pugni, con molto entusiasmo.

Eric si voltò a guardare Pam assieme a lui, mentre quella guardava loro, pulendo il bancone assai seccata.

Todd tornò serio, rendendosi conto dell’odio che stava palesemente ricevendo: “Beh, forse le ho dato un ultimatum, ma…Più soldi per Pam, no? Dovrebbe essere contenta, non capita tutti i giorni di poter fare turni extra perché la tua collega viene investita da un pirata della strada, dico bene?”

Eric annui, sforzando un sorriso alla sua superficialità, azzardando ciò che aveva da chiedere: “Senti, forse potrei occupare io il posto di Alexis!”

Quello rimase serio per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Smise di farlo, non appena si accorse che il ragazzo non stava per niente ridendo: “Ah, ma sei serio?”

“La mia ragazza è in un letto d’ospedale, potrei mai fare dell’ironia?”

“Ok, ma rientrerà al lavoro tra qualche giorno, no?”

“Ma se non cammina!” rivelò.

“Non cammina?? – rimase sorpreso – Ma al telefono ha detto che stava bene!”

“Beh, forse è una cosa temporanea… - si mostrò improvvisamente triste - E poi quei soldi li guadagnerei per lei, finchè non si rimette. Le serve questo lavoro. Fino all’ultimo centesimo!”

“Ascolta, Eric. – gli prese la spalla, il tono pacato – Assumo solo ragazze carine, qui al Brew: le ragazze carine attirano molti clienti. Capito?”

“Un po’ sessista, non trovi? – pensò, guardandolo male – Sono un bel ragazzo anch’io, non credi che potrei attirare tante ragazze? E poi a giudicare da come guardavi quella cliente, non preferiresti vedere tante ragazze anziché tanti ragazzi?”

Quello strinse gli occhi, mettendo le labbra a papera, notando i troppi clienti maschi in giro per il locale: “Non l’avevo vista sotto questo punto di vista… - disse, fissando poi il ragazzo – Sei assunto!”

“Cosa? Davvero?” sobbalzò, sorpreso.

“Sì, certo, quale turno vuoi?” voleva sbrigare in fretta quella formalità, ignorando la contentezza del ragazzo.

“Mi va bene quello dalle 18.00 alle 21.30!”

“Affare fatto, allora. – si congedò, allontanandosi – Vado a dare la notizia alla nostra Pam, inizi domani!”

Eric sorrise da solo per qualche attimo, felice di aver ottenuto il posto. Poi si rattristò immediatamente, pensando a come l’avrebbe spiegato alla sua ragazza.

 

*

Intanto, contrariamente a quanto detto dal padre, Nathaniel andò a controllare l’operato di Jamie al ristorante. Quando entrò, vide che c’erano molti clienti e che pranzavano tranquillamente. I camerieri stavano facevano il loro lavoro, prendendo gli ordini e tutto sembrò essere nella norma. Subito dopo, entrò nelle cucine, parlando con uno dei cuochi.

“Ehi, Ramon, va tutto bene qui?”

Quello si voltò, mentre agitava una padella sul fuoco alto: “Todo bien, Nathaniel. Su padre está aquí?”

“Ehm, no no… - si guardò attorno, vedendo che era tutto a posto - Ci sono solo io, sono venuto a controllare come stavano andando le cose…. – ovviamente notò tutti i dipendenti, tranne uno – Jamie dov’è?”

“Sul retro, ha ricevuto una chiamata!”

“Ok, Ramon, grazie. Buon lavoro!” si congedò, ricevendo un sorriso da parte dell’uomo, che tornò a concentrarsi su ciò che stava facendo.

Nathaniel, poi, si diresse fuori, a cercare Jamie. Lo vide in lontananza, impegnato in una conversazione abbastanza animata.

“Ti ho detto di darmi altre due settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due settimane, ok?”

Quando si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose, chiudendo in fretta la chiamata.

“Ti richiamo, ok? – si grattò il capo, nervoso – Ci sentiamo!”

Rimesso il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva fissato serio per tutto il tempo. Si vestì di un sorriso imbarazzato, arrivando accanto a lui con il fiatone.

“Ehi, tutto bene? Che ci fai qui?”

“Controllo!” esclamò, cinico.

“Ti ha mandato tuo padre?”

“A quanto pare, si… - mentì, guardandolo storto - Sai, mio padre ci tiene a questa attività, perciò…”

“Beh, come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando l’ostilità che percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena sentito, beh…Mia sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il classico rapporto conflittuale tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da queste parti ci sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due monete, si è fissata con il fatto che ce ne sono tipo altre nove per completare la collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di antiquariato!”

Nathaniel annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata: “Interessante… - il silenzio che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi che la mia supervisione è finita!”

Quello rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che aveva mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del nervosismo.

Nathaniel si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si posò sulla spazzatura di fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.

Immediatamente si rivoltò verso Jamie: “E tutte quelle bottiglie?”

Jamie rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un goccio di Vodka!”

“Un goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata nel dirlo – Sono quattro bottiglie, è una ricetta per alcolizzati per caso?”

“Devono essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho trovato parecchie cose che andavano buttate.”

“Mmmmh, – verseggiò, poco convinto – ok!” si girò nuovamente verso la spazzatura, poco prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle bottiglie; tant’è che gli tornò a galla un vecchio ricordo.

 

Flashback

 

Nathaniel e Anthony erano davanti al bagagliaio dell’auto, parcheggiata davanti alla casa di quest’ultimo. Dentro c’erano delle casse di alcolici vari e birre. I due le stavano spostando a terra.

“Non hai preso un pò troppa roba?” pensò Nathaniel, fermandosi, mentre l’altro continuava, gasato.

“Hai idea di quante persone ho invitato al party di stasera? Probabilmente questi alcolici non bastano; ai giocatori della squadra di football servirà molto più che qualche bottiglia di vodka per portarsi a letto le ragazze dell’ultimo anno!”

Nathaniel sembrò molto a disagio: “Non so se riesco a venire, Anthony…”

Quello si bloccò immediatamente, non molto contento della notizia: “Come? Perché?”

L’altro rimase in silenzio ed Anthony comprese subito.

“Ah, dimenticavo, è vero…E’ per quella cosa di tuo padre che mi hai raccontato?”

Nathaniel abbassò lo sguardo: “Ehm…Anthony, per me è ancora un problema vedere gente che si ubriaca, perdendo completamente la ragione. Quando mio padre beveva, non si rendeva conto di nulla e perdeva altissime somme di denaro alle slot machine per poi dimenticarlo il giorno dopo, perciò…Mi dispiace, ma quando gira troppo alcol ad una festa preferirei non trovarmi davanti a persone che possano ricordarmi com’era ridotto!”

“No, Nat! – la prese male – Tu devi esserci, questo è il primo party che do a casa mia e io vi voglio tutti con me. E poi tuo padre è stato in quel centro, hai detto. La cosa è finita, no?”

“Sì, adesso si, ma…” titubò.

“Ma: un bel niente, Nat! Saremo le star della serata!” gli sorrise.

“Beh, forse… - alla fine si arrese, sforzando un sorriso – D’accordo, ci vengo!”

Anthony riprese a tirar fuori altre casse, contento: “…Forse stasera si unisce al nostro gruppetto un altro ragazzo!”

“Chi?” domandò, aiutandolo.

“Sam Havery… - rivelò, mentre, ora, portavano le casse verso casa - Cerca di non farti docce troppo lunghe negli spogliatoi, qualche giorno fa l’ho beccato a guardarti.”

“A-a guardarmi? – balbettò, sorpreso – In che senso?”

“Nel senso che è gay e tu eri nudo, ma teniamocelo per noi questo suo piccolo segreto. Credo che il suo coming out sia ancora molto lontano. Probabilmente non ci sarà più Obama alla casa bianca per quel tempo…”

“Non starai esagerando? Adesso i ragazzi gay vengono allo scoperto più facilmente!”

“No, per niente. I ragazzi come Sam, sono troppo deboli. Non ha fegato per dire a tutti chi è in realtà…Io, però, lo cambierò. Conoscermi, sarà l’esperienza che stravolgerà per sempre la sua vita e dopo sarà abbastanza forte da essere chiunque lui voglia!”

Nathaniel continuò a camminare, ancora colpito da quella rivelazione, riflettendo, leggermente impressionato dall’immagine che aveva in testa di un ragazzo che lo spia segretamente.

“Non credo che potrei mai contraccambiare, perciò cerca di non mettere strane idee in testa a quel Sam. – rise al pensiero - Io non bacerò mai un altro ragazzo!”

“Se mai lo farai, mi sentirai mentre mi rivolto nella tomba!” concluse, mentre entravano in casa.

 

 

*

 

Dopo la pausa pranzo, Sam stava uscendo dalla mensa, ancora scosso per quanto accaduto nella panic room. Più avanti, nel corridoio, intravide Chloe e subito le corse dietro. Quando la raggiunse, la prese per un braccio, facendola voltare.

“Ehi, Chloe!”

Quella, non molto entusiasta di vederlo, stringeva dei libri al petto: “Ehi…”

Sam buttò leggermente indietro la testa, incredulo, nel sentire quel suo tono scialbo: “…Non ci vediamo da un bel pò, pensavo mi saresti saltata addosso.”

“Perché avrei dovuto?” rispose seria, leggermente arrabbiata.

“Ehm, perché siamo migliori amici?”

“Ed eravamo migliori amici quando mi hai lasciato fuori casa tua a suonare il campanello finchè non mi si è consumato il pollice?”

Sam fu messo all’angolo: “I-io…Chloe, io…”

“Mi spieghi perché non mi hai aperto? – si sentì offesa - Eri in casa, ho visto la tua macchina. Quando sono tornata il giorno dopo per dirti che partivo da mia madre, tuo padre mi ha detto che sei andato a dormire da un amico e non ti sei nemmeno fatto sentire.”

“Le ultime due settimane sono state un pò difficili per me…” rivelò, abbassando lo sguardo.

Quella si fece coinvolgere, notando che c’era qualcosa che non andava. Improvvisamente, il suo sguardo cadde sul suo braccio, la manica leggermente alzata, che mostrava un grosso cerotto bianco.

“Ehi, che ti sei fatto?” gli prese il braccio, sollevandolo.

Sam lo ritirò subito: “Ehm, niente, mi sono solo…tagliato!”

“Tagliato? – non capì – Tagliato come?”

“Me lo sono fatto da solo, ok?” spiegò, non riuscendo a guardarla negli occhi.

“COSA? – quasi urlò, sobbalzando – Perché avresti fatto una cosa del genere?”

“Perché la scuola è pensante, ok? Da quando siamo tornati, non fanno che trattarci male. E questo si ripercuote sul mio stato d’animo…e sul rapporto che ho con mio padre!”

L’altra era a dir poco scioccata: “Oh Dio, non pensavo che stessi così male… - lo fissò negli occhi, dimenticando quanto fosse furiosa con lui - V-vuoi che ci vediamo più tardi?”

“Ehm, ho il pomeridiano fino alle cinque e poi mi vedo con uno psicoterapeuta. E, subito dopo, mi vedo con Rider, Nat ed Eric…

“Ah… - si irrigidì, sentendosi messa al secondo posto – Beh, il mio numero ce l’hai, ora devo andare ad una riunione per discutere dei preparativi per l’Homecoming!”

Sam si focalizzò su quello, cercando di cambiare discorso: “Bello! E con chi ci andrai al ballo degli ex studenti?”

“Con Cameron! - esclamò, mostrandosi eccitata, per poi notare il cambio di espressione dell’amico – Già, lo so, non ci credo nemmeno io!”

“Chloe, perché proprio con lui?” si mostrò contrario, anziché sopreso e felice.

Lei continuò a sorridere, ignorando la sua reazione esagerata: “Ci siamo visti ad alcune riunioni e… Beh, io gliel’ho chiesto e lui ha accettato!”

Sam, allora, fu diretto: “Io credo che Cameron non sia la persona giusta per te, devi andarci con qualcun altro!”

“Come? – non credette alle sue orecchie, il sorriso scomparve – Io ti sto dicendo che Cameron, il ragazzo più fico della scuola, ha accettato di venire al ballo con me e tu mi chiedi di cercarmi un’altra persona?”

“Ti sto solo evitando l’ennesima delusione, Chloe. – insistette – Quella in cui ti fissi per un ragazzo e poi finisci a piangere sulla mia spalla perché non è andata come avevi immaginato nella tua testa.”

“Non è più come prima, Sam. – ribattè, cinica - Qualcosa è cambiato in questa scuola, tutti sono cambiati. Anch’io sono cambiata... – lo squadrò da capo a piedi, delusa – Ma vedo che tu e i tuoi amici siete rimasti abbastanza indietro rispetto a tutti noi. L’era di Anthony è finita ormai!”

“E’ gay, Chloe!” esclamò a bruciapelo.

Quella lo fissò a lungo, prima di lasciarsi scappare una risata isterica: “Questo è il colmo, Sam. – disse indietreggiando – Inizio a pensare che tu abbia davvero bisogno di questo psicologo!” e se ne andò indignata.

Sam rimase al centro del corridoio, da solo, soffrendo per quelle parole e di non essere stato creduto. Improvvisamente, alle sue spalle, sentì una voce che lo chiamava.

“Sam!”

Si voltò: Era Nathaniel; che quando si avvicinò a lui e lo vide con gli occhi lucidi, lo abbracciò immediatamente. Forte.

Sam ne rimase talmente sorpreso che sgranò gli occhi e le braccia rimasero tese.

“Ho incontrato Rider in cortile, mi ha detto tutto. Era sotto shock e immagino anche tu!”

“Ehm, sto bene… – Sam si staccò, le lacrime che gli scendavano lungo il viso – Credimi, quello che è successo nella panic room è l’ultima cosa a cui sto pensando, oltre al fatto che è stato un enorme buco nell’acqua… - poi si decise a spiegare per cosa era realmente angosciato - Ho appena perso la mia migliore amica, credo.”

“Di che stai parlando?”

“Io-io non credo di farcela più, Nat. – si sfogò, piangendo - Ogni giorno che passa, mi sento sempre più fuori posto in questa scuola e con le persone con cui un tempo avevo un rapporto stupendo. Poi c’è A che non fa altro che tentare di ucciderci nelle stazioni ferroviarie, nelle fogne, dentro stanze del panico, ovunque!”

“Se ci volesse davvero morti, non saremmo qui a parlarne.”

“E se si stesse stancando di noi? – andò nel panico al solo pensiero, gli occhi lucidi per il trauma - Credimi, Nat, sono rimasto conoscente sul filo del rasoio!”

“C’era quella botola, giusto? – lo prese per le spalle, cercando di tranquillizzarlo - E Rider ha detto che Brakner poteva controllare quel condotto d’aerazione da remoto; l’avrebbe senz’altro riacceso ad un certo punto.”

Sam ormai era poco fiducioso, troppo provato, mentre si asciugava le lacrime: “Vorrei tanto crederci…”

L’altro assunse un volto serio e preoccupante: “Ti basterebbe sapere cosa ha fatto a me per capire quanto in realtà ci voglia vivi e vegeti!”

Quel tono non lasciò indifferente Sam: “Perché? Che è successo? – poi ricordò, angosciato dai pensieri che gli stavano passando per la mente – A proposito, Rider mi ha detto che sei stato in ospedale. Riguarda quello?”

Nathaniel si guardò intorno prima di parlare e quando si accertò che non c’era proprio nessuno, tornò a fissarlo, cercando di trovare le parole: “Se esistesse una classifica dei peggiori colpi bassi di A, sarei nettamente in testa!”

“Che ti ha fatto? – domandò, impaziente di sapere - Qualcosa al cuore?”

“Ehm… - abbassò lo sguardo, torturandosi le dita  – Lui ha… Lui mi ha… - bisbigliò, la voce che tremava - fatto assumere degli ormoni per il cambio di sesso!”

Sam tenne la bocca aperta per qualche secondo, confuso, prima di dire qualcosa: “O-ormoni? – si fece scappare una piccola risata per l’assurdo, lasciandosi pervadere da una furia cieca – Ma da dove prende spunto per queste cose? E’ davvero questo il prezzo da pagare?”

“Non lo so, ma se per i prossimi cinque mesi non smetterò di assumere questa terapia, sarò costretto a diventare un fenomeno da baraccone!” esclamò nervosamente.

“Di che stai parlando?”

“Tyler ha detto che c’è un limite di sei mesi, oltre il quale il processo non sarà più reversibile.”

“Allora smetti di prendere la pillola. Sono pillole, giusto? Le avrà messe al posto di quelle che prendi per il cuore, no?” pensò.

“Non credo, conosco le mie pillole e non sono affatto uguali a quelle. Le ho viste su google!”

Sam non sapeva cosa dirgli per aiutarlo: “E allora…Beh, allora…”

“Allora niente, Sam. – affrontò la realtà – Dovrò stare attento a quello che mangio e bevo, iniziando ad evitare il frigorifero di casa, tanto per cominciare. Non so in che modo riesce a farmele ingerire.”

“Sì, forse è una buona idea, alla fine A non può sapere che l’hai scoperto. Inoltre era qui a scuola, mentre tu eri in ospedale, quindi…”

“Dovrò mangiare direttamente al supermercato, non ho altra scelta…” ribattè ancora, stanco e amareggiato.

Sam provò compassione per lui: “Mi dispiace così tanto, Nat…Come ti sei dovuto giustificare con tuo cugino?”

Sospirò: “Grazie a dio sono uno sportivo, esistono delle pillole a base di estrogeni che si prendono per aumentare la massa muscolare. Mi sono giustificato così e sia lui che mia zia ci hanno creduto.”

“A Rider l’hai detto?”

“No, c’era anche Julie e me ne sono un pò vergognato.”

“No, ti prego, anche tu? – si mostrò seccato – C’è già Rider che non fa altro che escluderla, nonostante sia l’unica che ci abbia aiutato fin’ora!”

“Non la volevo escludere, è solo che preferisco non parlare delle mie future tette ad un’estranea!”

“Non è più un’estranea se sa di A!”

“Ma non sa tutto quello che c’è da sapere e ha ragione Rider quando dice che dobbiamo tenere il becco chiuso; cosa che noi non abbiamo fatto con Jasper.”

“Ascolta, dico solo che dobbiamo tenerci strette le uniche carte buone che abbbiamo, ok? Se non era per Julie, adesso useremmo i gesti per comunicare.”

Nathaniel si rese conto che aveva ragione, non ribattendo.

I due presero a camminare, cambiando argomento.

“Pensavo non saresti venuto a scuola, oggi.”

“Scherzi? Abbiamo 188 ore di attività pomeridiane da portare a zero. Non mancherò un fottuto giorno! Per Gennaio voglio essere già libero; così potrò concentrarmi per le gare invernali.”

“Di Eric sai qualcosa?”

“Era già andato via quando ho lasciato lo studio di Tyler. Ha lasciato un messaggio a Rider, è andato a riposarsi a casa sua.”

Sam lo trovò comprensibile: “Beh, dopo due giorni passati a non dormire…”

“Comunque non so se Rider te l’ha detto, ma Alexis è stata investita da Brakner.”

L’altro si fermò bruscamente, sgranando gli occhi, tenendolo per un braccio: “COSA?”

“Ah, allora non lo sapevi per niente…”

“Beh, Rider o mi dice le cose in ritardo o si dimentica di dirmele!” esclamò con un tono irritato nei suoi confronti.

Nathaniel continuò, mentre prendevano a camminare nuovamente, diretti agli armadietti: “Ha ricevuto un messaggio di Brakner proprio questa mattina, dove, con una minaccia velata, lo invitava a prendere il posto di Alexis al Brew.”

“Tutto questo è assurdo… - riflettè a lungo, mentre Nathaniel prendeva alcuni libri dal suo armadietto – E ora che ci penso… - si appoggiò a quello di fianco, isterico - ho così tanto di quel materiale per la seduta con lo psicologo, che potrei guadagnarmi un posto sulla parete come paziente del mese o dell’anno o per sempre; figurati se c’è qualcuno messo peggio di me!”

L’altro richiuse lo sportello: “A che ora ci vai?”

“Fra due ore! – sbuffò, lasciando cadere la sua testa all’indietro – E in più, non potrò nemmeno finire su quella stupida parete perché di tutto il materiale che ho, non ne posso fare parola. In pratica dovrò inventarmi dei nuovi problemi esistenziali poco interessanti!”

“Essere gay non è poco interessante!”

Sam gli lanciò una lunga occhiata angosciata: “…Proprio ora che non ho nessun problema a manifestare la mia sessualità. Ho fatto coming out sia con la scuola che con mio padre. Mi sono sentito bene, devo ammetterlo.”

“Persino io ho fatto coming out!”

“Il tuo non è un vero coming out!” puntualizzò.

Ripresero a camminare, mentre Nathaniel accennava finalmente un sorriso.

“Devo dire che non è stato male fare coming out per finta. Mi sono sentito bene anch’io!”

Sam non replicò, fissandolo stranito per quella affermazione così assurda.

 

*

 

Più tardi, l’appuntamento con lo psicologo era arrivato e Sam non poteva non presentarsi questa volta. Era al telefono con Rider, mentre saliva le scale.

“Sei già uscito da scuola?”

“No, mancano ancora dieci minuti alla fine del supplizio e ho deciso che li trascorrerò con te, chiuso nel bagno dei maschi!”

“Non ho dieci minuti, Rider. Lo studio è al quinto piano, io sono già al secondo e godo di una buona salute: saranno si e no due minuti scarsi!”

“Allora parlami invece di perdere tempo!” urlò, isterico.

“Calmati, Mr. Nygma!” fece una smorfia, mentre continuava a salire lentamente.

“Beh, mi ci sento! In classe ho dovuto alternare una faccina sorridente ad una completamente disinteressata, ogni volta che la professoressa mi guardava e poi si girava!”

“Ascolta, ora smetto di perdere tempo perché sono quasi arrivato per davvero. Quando ci riuniremo più tardi, Nat dovrà dirvi una cosa, ma ho paura della vostra reazione e non voglio che si demoralizzi più di quanto non lo è già, perciò te lo dico…A li sta somministrando degli ormoni per il cambio di sesso.”

“COOOSA???” non credette alle sue orecchie.

“Ecco, era di questo che parlavo. Non ripetere questa tua reazione quando ve lo dirà Nat più tardi.”

“Ehi, aspetta aspetta! – ora era curioso – Allora non me l’ero immaginato, vedevo davvero qualcosa di diverso in lui ed era questo!”

“Forse hai l’occhio assoluto o roba simile. Sta di fatto che ora mi sorge un dubbio!”

“Quale?” rispose rapidamente, interessato a saperne di più.

“E’ possibile che…Cioè, io non sono un medico, ma…questi ormoni che praticamente sta assumendo da almeno un mese, potrebbero averli tipo confuso…la sessualità?”

“Ehm… - si prese un attimo, riflettendo sulla natura della domanda – Per caso mi stai chiedendo se Nat potrebbe essere diventato gay grazie a questa terapia? Mi sembra un discordo un pò malato, non lo starai mica sperando?”

“NO! – lo negò, disgustato – Ovvio che non lo sto sperando! Essere malati è più una caratteristica di A! - espose poi le sue perplessità – Dico solo che Nathaniel non è più lo stesso di prima.”

“Che ha di diverso, oltre al fatto che dovrà prenotare un pap-test annuale?”

Sam ignorò la sua battutina, continuando: “Quando Morgan Patterson gli tirò un pugno e io cercai di alleviare il suo dolore premendo un impacco di ghiaccio sulla sua faccia, quasi mi bruciò vivo con lo sguardo per averci provato. Ora mi prende la mano in pubblico di sua iniziativa, dice frasi strane…”

“E queste sarebbero le tue prove? Nathaniel è stato costretto da A a darti la mano in pubblico, non l’ha fatto di sua spontanea volontà!”

L’altro tacque, ma sentiva di avere ragione, così spuntò il rospo su qualcosa di più significativo: “Mi ha baciato e non era sotto ordine di A!”

“COOOSA??? – urlò incredulo – Quando? Dove?”

“Ehm… - se ne pentì quasi subito – E’ stato, ehm…Quando tu ed Eric eravate nelle fogne, ecco quando è stato!”

“Ok, ma dove?”

L’altro deglutì, non potendo rivelare che è successo davanti al penitenziario di Philadelphia: “C-che importa dove? – rispose isterico – Conta che lui mi ha baciato perché ero vulnerabile dopo che A mi aveva incollato la bocca e in più voleva darmelo per ripagarmi del fatto che gli avevo salvato la vita al lago.”

“Ok, so che quelle pillole sono fatte di estrogeni. Potrebbe essere solo infatuazione, non è gay!”

Sam, ormai, era arrivato al quinto piano: “Senti, sono davanti alla porta dello psicologo. Poi ne riparliamo!”

“No, ehi, aspetta! Non puoi sganciarmi la bomba e poi lasciarmi così, Sam. Voglio i dettagli!”

“Ora non posso, ho un’ora di strizzacervelli. Ciao!” e chiuse, lasciando Rider con un palmo di naso.

Dopo aver preso un grosso respiro, poi, si decise finalmente a suonare il campanello. La porta si aprì, emettendo il suono di una scossa ed entrò.

La sala d’attesa era vuota e Sam girò su se stesso al centro della stanza, per poi puntare un’altra porta, che si aprì all’improvviso. Ne uscì un anziano signore, alla quale Sam sorrise per educazione. La porta rimase aperta e così decise di affacciarsi.

“Posso?”

Un giovane ragazzo gli venne in contro, già pronto ad accoglierlo: “Certo, tu devi essere Sam Havery!” e chiuse la porta, mentre l’altro avanzava verso la poltrona con lo sguardo fisso su di lui.

“Ehm, sì, sono io!” esclamò abbastanza imbambolato, mentre l’uomo tornava verso di lui, tendendogli la sua mano.

“Molto piacere, Sam. Io mi chiamo Wesam Grimes!”

Sam strinse la sua mano, molto a lungo. Si era completamente perso nei suoi occhi verdi, trovandolo assai attraente e giovane.

Quello gli sorrise: “Ok, adesso, però, me la devi restituire…”

“Cosa?” gli domandò, abbastanza distratto.

“La mano, intendo.”

Sam spostò lo sguardo sulle loro mani ancora strette e la riprese immediatamente, mortificato: “Ouh, certo, scusi!”

Wesam rise, avvicinandosi alla sua postazione: “Oh, ti prego, puoi anche non usare un linguaggio formale. Non sono così vecchio, come puoi vedere. – si sedette, così come fece Sam – Fingi che sia un tuo amico più grande o un fratello maggiore!”

Ovviamente, Sam, era leggermente in imbarazzo: “Ehm, sta praticamente per entrare nella mia testa, quindi mi viene un pò difficile…”

Wesam accavallò le gambe, girando una piccola clessidra di vetro che segnava il tempo, poggiata sopra un piccolo e rotondo tavolino di legno che aveva accanto. Poi, sempre da lì sopra, prese una sorta di agenda, iniziando a scrivere.

Sam deglutì, sentendosi subito a disagio nell’aver seguito tutte le sue mosse: “Non ho detto ancora niente. – cercò di sbirciare – C-che sta scrivendo?”

L’altro sollevò lo sguardo, accennando un calmo sorriso: “Niente, ho scritto solo il tuo nome.”

“Ah… - si sentì stupido, mettendosi più comodo sulla poltrona, ma sempre teso – Ok, ho capito!”

L’uomo intuì immediatamente di doverlo tranquillizzare: “Ascolta, Sam, devi stare più rilassato, ok? – la sua voce divenne quasi un sussurro, tenue e rassicurante - Sei qui solo per parlare con me. Non c’è nulla di cui devi avere paura o timore. In questo momento ti trovi in una stanza completamente isolata da ciò che c’è fuori e sei davanti ad un persona neutra, incapace di giudicarti o guardarti in un certo modo se racconti i tuoi segreti più profondi…Sono qui solo per ascoltarti e aiutarti. Tutto qui.”

Sam fu talmente rapito da quelle parole, che si rilassò per davvero e gli occhi iniziarono a lacrimare, mentre lo fissava.

“Ora perché sembra che tu stia per piangere, Sam?”

“La sua voce è talmente convincente, che… - sorrise in maniera malincolica, per poi guardarlo finalmente negli occhi – sento davvero di aver lasciato la paura fuori da quella porta.”

Wesam lo fissò attentamente, rivolgendosi ancora a lui con quel tono pacato: “E cosa c’è fuori da quella porta? Di cosa è fatta questa paura? Descrivimela!”

“…Come tutti sanno, film horror sono fatti per provare un brivido di paura. – cercò di dare una sua interpretazione, distogliendo lo sguardo nuovamente – Poi ad un certo punto il film finisce, spegni la televisione e la paura svanisce. Ma questo con me è diverso…Non ho mai smesso di avere paura; come se il film andasse avanti all’infinito, senza che io riesca a smettere di guardarlo.”

“Quindi la tua è una paura diversa? Qualcosa che difficilmente gli altri possono trovarsi ad affrontare? Qualcosa di nuovo?”

Sam alzò lo sguardo, come se venisse capito in qualche modo: “Io credo di sì…”

“Beh, allora… - depennò qualcosa dall’agenda, facendo rumore con la penna – posso scartare l’omosessualità! – lo fissò negli occhi, poi, mentre l’altro sgranava leggermente gli occhi – L’omosessualità non è una cosa nuova, Sam. Non è una cosa che gli altri non possono trovarsi ad affrontare. Non sei l’unico ragazzo gay al mondo, perciò di quale paura si tratta la tua?”

Quello deglutì, tornando a disagio e con un tono nervosamente pretenzioso: “Scusi, ma che ne sa lei della mia sessualità?”

“Beh, non sono così bravo. Ovviamente è stato tuo padre a parlarmene. Dicendomi che era questo il problema che gli hai rifilato e che ti ha costretto a farti quel taglio la giù!” indicò con lo sguardo, il suo polso scoperto.

Sam si abbassò immediatamente la manica, muovendosi sulla poltrona come se fosse pizzicato dagli insetti. Nonostante sembrasse così trasparente, però, cercò comunque di nascondere l’evidenza.

“Avevo un amico, si chiamava Anthony. Giudicava chiunque li passasse accanto e aveva un nomignolo per ognuno. Nonostate fosse mio amico, era perfido fino al midollo e la paura di essere chi sono in realtà è nata grazie a lui. Ed è rimasta anche dopo la sua morte…La gente che prendeva di mira, non vede l’ora di ricambiare con la stessa moneta aspettando il mio primo segno di cedimento. Questo è il liceo, signor Grimes: E’ la paura di essere giudicati. La stessa che portavo a casa, continuando la recita con mio padre.”

Wesam annuì, sorridendo: “…Balle! E lo sappiamo entrambi, Sam. Non è questa la tua paura, o non avrei trovato una foto di te che ti tieni per mano con un altro ragazzo, condivisa sulla pagina della tua scuola, gestita da studenti.”

“Ma come si permette di violare la mia privacy? – assunse un’espressione furiosa – Sarebbe questo il suo aiuto?”

“Prima di tutto, io non ho violato nulla: E’ una pagina aperta a chiunque. Secondo, i pazienti tendono a raccontare bugie e io ho il mio metodo per non farmi imbrogliare da loro. Una volta che so chi è il mio paziente, faccio molte ricerche e dopo verifico se il titolo del libro corrisponde al contenuto. – lo fissò con aria di sfida – E in questo caso, il contenuto non corrisponde minimamente al titolo, non credi?”

“Mi sta giudicando come un bugiardo, quando lei ha detto che qui dentro non giudica nessuno? Nemmeno lei mi sembra sincero!”

“E io ti ho chiesto di non avere paura né timore. Di descrivermi la tua paura. Non l’hai fatto e quindi le regole di questa stanza sono crollate.” ribattè, restando irritabilmente composto.

Sam prese la sua tracolla dal pavimento, che aveva buttato davanti alla gamba della poltrona, e si alzò, esasperato, arrogante: “Allora me ne vado, prima che qualche maceria mi cada in testa. E non si disturbi a chiamare mio padre, gli dirò che sto bene, che una seduta mi è bastata e lui mi crederà.”

“Suppongo di sì, suo padre la asseconda molto essendo l’unico genitore presente.” aggiunse cinico.

Sam non ne potè più, quasi ringhiò, ma non aggiunse nulla, placando la sua rabbia e dirigendosi verso la porta. Wesam pensò di fermarlo.

“Un’ultima cosa, Sam. Prima che tu te ne vada.”

Quello si voltò, proprio mentre stava girando il pomello della porta.

“Sono gay anch’io!”

L’altro restò un attimo perplesso: “O-ok, c-che cosa c’entra questo adesso?”

Con molta indifferenza, scosse la testa: “Niente! – rise – Solo un motivo che ti costringerà a tornare qui, perchè, forse, ti piaccio un pò a giudicare dalla tua reazione iniziale.”

“Ho diciassette anni, ok? – gli rispose per i toni – Potrei farti arrestare, razza di pervertito!”

“Ok, ci vediamo alla prossima seduta… - controllò l’agenda con noncuranza, quasi beffardo – che è Martedì, sempre alla stessa ora. E non dimenticare un bel piatto di verità!”

Sam rimase di stucco di fronte alla sua faccia tosta e se ne andò sbattendo la porta. Wesam sogghignò, rimasto da solo, convinto che sarebbe tornato di sicuro.

 

*

 

Era calata la sera a Rosewood ed erano ormai diverse ore che Eric dormiva sul divano, esausto dai due giorni passati in ospedale. La stanza in cui si trovava era illuminata dalle luci che provenivano da fuori. Il suo braccio pendeva a terra, così come la gamba, mentre russava lievemente. Improvvisamente, si svegliò, iniziando a sollevarsi lentamente, sfociando in un enorme sbadiglio. Dopo di che controllò il telefono e si scrollò per svegliarsi meglio. Quando buttò gli occhi sulla porta d’ingresso, notò che era socchiusa e si irrigidì, guardandosi attorno.

“Mamma? Sei tornata?” chiese.

Nessuno rispose, così si avvicinò a piccoli passi verso la porta, vigile. Subito la aprì e guardò fuori, nessuno sul pianerottolo e nemmeno per le scale. Stranito, richiuse, restando impalato per qualche secondo davanti alla porta.

 

*

 

Intanto, Rider, a casa sua, era davanti al computer a studiare. Con la matita in bocca e tanti libri aperti sulla scrivania, in un batter d’occhio smise di pensare alle questioni politiche Francesi del cinquecento e iniziò a spulciare dentro qualche sua vecchia cartella. Precisamente, di un saggio che aveva fatto durante il secondo anno: Quello sugli edifici storici di Rosewood; di cui aveva parlato a Julie poco prima di entrare nella panic room.

Lesse rapidamente parte del testo, prima di arrivare alle immagini. Si trattava di una cianografia della scuola e di tutti i suoi piani. Compreso il seminterrato.

Quando si focalizzò proprio su quest’ultima, notò qualcosa che non lo lasciò per nulla indifferente.

“Oh mio Dio!” esclamò, prima di alzarsi ed iniziare a stampare le cianografie. Subito dopo, mentre i fogli uscivano dalla stampante, prese il telefono per contattare i suoi amici.

 

*

 

Sam era tornato a scuola, nel frattempo, facendo un salto in palestra, dove c’era Nathaniel che terminava la giornata con qualche vasca.

“Sapevo che eri ancora qui!” esordì, avanzando.

Nathaniel si fermò, notandolo: “E dove altro potrei essere? Ora più che mai devo tenere sottocontrollo il mio fisico!”

“E io devo trovare una macchina del tempo!” esclamò seccato, sedendosi a gambe incrociate sul bordo della piscina, gettando la tracolla accanto a sé.

“Per lo psicologo?” domandò, nuotando verso di lui.

“Vorrei non essermi tagliato il polso… - scosse la testa, pentito - Ora sono costretto ad andare da uno psicologo e questo psicologo è un vero stronzo!”

Nathaniel iniziò a fare delle bracciate al contrario, prendendola con filosofia: “E’ solo qualche seduta a settimana di sessanta minuti con un vecchietto, ce la puoi fare!”

“Ehm, non è proprio un vecchietto!” precisò, dopo una una lunga suspence.

“E’ una lei?”

“E’ un lui molto giovane e attrante, non avrà avuto nemmeno trent’anni.” spiegò.

L’altro si fermò di colpo in mezzo all’acqua, un espressione stupita e molto seria: “Giovane?”

“Mi ha fatto arrabbiare, è così cinico e sicuro di sè. – raccontò, gesticolando in maniera isterica - Sa che mento ogni volta che apro bocca e sa parlare così bene che ti viene voglia di urlare… - si calmò dopo un grosso sospiro - Poco prima di uscire, ho detto che non sarei mai più tornato e lui mi ha detto di essere gay e che per questo sarei ritornato.”

Nathaniel sembrò quasi turbato, mentre agitava le braccia in acqua più lentamente: “E tu ci tornerai?”

“Non ho altra scelta, Nat!” rispose, non badando alle sue reazioni.

“Aspetta, davvero ci torni? – ebbe da ridire – E’ praticamente un invito sessuale quello che ti ha fatto, è da malati!”

“E’ solo un gioco psicologico, ok? – minimizzò, più calmo – E poi quando è iniziata la seduta, devo ammettere di essermi sentito bene. Credo che sappia quello che fa.”

Nathaniel reagì sempre più acido: “Caspita, sei entrato qui che praticamente eri disgustato e ora hai cambiato idea?”

Ora, però, Sam, fece caso allo strano comportamento dell’amico, rispondendogli per le rime: “Mi stai parlando con questo tono per via degli ormoni? E’ una sorta di effetto collaterale?”

Nathaniel rimase a fissarlo, senza riuscire a replicare. Sam subito si pentì di ciò che aveva detto: “Ehm, Nat, scusa, non volevo dire quello che ho detto.”

L’altro scose la testa, fingendo di stare bene: “Senti fai come ti pare, Sam. Solo: non lamentarti con me del tuo sexy psicologo stronzo!” e riprese a nuotare.

Sam mise subito il broncio, rendendosi conto di aver esagerato, guardandolo nuotare in silenzio.

Improvvisamente, qualcuno entrò in palestra e attirò subito lo sguardo di Sam. Poi quello di Nathaniel, quando riemerse a bordo piscina. Si trattava di Morgan Patterson, che, con il borsone in mano, si stava dirigendo negli spogliatoi.

Mentre passava, non fu per niente intimorito da loro, reggendo lo stesso sguardo fulmineo che avevano. Il suo, però, sembrava pieno d’odio.

Quando entrò negli spogliatoi, i due ragazzi stavano ancora guardando verso quella direzione. Nathaniel si avvicinò lungo il bordo in cui si trovava Sam con un atteggiamento diverso. Più pacato.

“Puoi andare a prendere le mie cose? Credo che questa cosa degli sbalzi d’umore non sia del tutto una balla e se entrò lì dentro va a finire che gli metto le mani addosso. Ancora non ho digerito il pugno che mi ha dato il giorno in cui siamo stati sospesi.”

L’altro rabbrividì, ripensando al suo passaggio: “Hai visto come ci ha guardati? Sembra che nemmeno lui abbia ancora digerito noi e quello stupido video; come tutti del resto… - accentuò meglio il concetto, mentre si rialzava – Il Nord non dimentica!”

“…Eh??”

Sam roteò gli occhi, indignato dalla sua ignoranza sui telefilm: “Game of thrones, Nat!”

“Si si, ok… – starnazzò con le braccia, scocciato - Ora gioca a riprendere i miei vestiti dallo spogliatoio, combinazione 4493!”

“Vado, vado!” mormorò in maniera scialba, avviandosi.

Nathaniel, intato, uscì dalla piscina, scrollandosi di dosso l’acqua, per poi attendere.

Nello spogliatoio, giunto davanti all’armadietto, Sam inserì la combinazione e aprì lo sportello. Rapidamente, tirò fuori lo zaino che c’era dentro e richiuse.

Si udiva il rumore dell’acqua che colpiva il pavimento, provenire dalle docce. Sam sapeva che si trattava di Morgan, che aveva lasciato il suo borsone alla fine della panca che c’era lì, proprio accanto a lui.

Buttando un occhio verso il corridoio che portava alle docce, si avvicinò al borsone, spinto dalla curiosità. In un batter d’occhio, la lampo era aperta e Sam potè vedere cosa c’era dentro.

Ad una prima occhiata, fu una felpa nera a spiccare; il disegno di una tigre sopra. Con gli occhi sgranati, continuò di tanto in tanto a dare delle occhiate, mentre tirava fuori l’indumento con il cappuccio. D’istinto fotografò la felpa con il cellulare, pronto a rimetterla a posto subito dopo. Nel farlo, però, fece un’altra strana scoperta, che lo lasciò letteralmente scioccato: una piccola busta trasparente con dentro molte pillole; fotografò anche quelle.

Tremando, rimise tutto a posto, poi scappò dallo spogliatoio a gambe levate.

Con passò rapido, andò in contro a Nathaniel, che si era inspazientito.

“Ehi, Sam, da quanto tempo! – fu sarcastico - Come stai?”

L’altro, parecchio sconvolto e bianco come un cencio, ignorò completamente le sue battute: “Ehi, ti ricordi che disegno aveva la felpa di A, quando Eric l’ha inseguito nel seminterrato? – bisbigliò, guardandosi continuamente indietro – Allora?”

Quello lo fissò stranito, mentre tirava fuori i vestiti dallo zaino, che aveva appena preso dalle sue mani: “Una tigre, credo. Perché, cosa c’entra?”

Lo tirò per un braccio, più nervoso, dopo la sua risposta: “Dobbiamo parlare con gli altri. ORA!”

Letteralmente trascinato, quasi li cadevano le cose dalle mani, Nathaniel non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro.

 

*

 

Arrivato in ospedale, Eric guardando il video girato nella panic room, ricevuto da Rider, mentre percorreva il corridoio. Impressionato, rimase talmente colpito da un inquadratura che quasi andò a sbattere contro un infermiera, che lo distraette dallo schermo del telefono.

Senza nemmeno accorgersene, era già davanti alla stanza di Alexis e a quel punto fu lei ad attirare la sua attenzione: era in piedi, appoggiata ad una donna, che camminava.

La ragazza si voltò, accorgendosi subito di lui.

“Eric!” lo accolse con un grosso sorriso, non più arrabbiata come l’aveva lasciata diverse ore prima.

Quello entrò, spaesato sia dal suo stato che dalla misteriosa donna con lei.

“Ehi… - la fissò da capo a piedi, incredulo – Ma sei in piedi e riesci a camminare!”

“A quanto pare era una cosa temporanea, me lo sentivo. Questo pomeriggio già muovevo tutte le dita di entrambi i piedi!”

Eric sorrise, ma non con tutta sincerità; si sentì ancora più in colpa per aver preso il suo posto al Brew e non aveva la minima idea di come si sarebbe giustificato: “Ma è fantastico!”

La abbracciò, poi. E quando si staccarono, il silenzio fu tombale.

Alexis, spostando lo sguardo tra i due, capì che doveva presentarli.

“Oh, dimenticavo, questa è mia madre!”

“Ah, tua madre…” le sorrise imbarazzato.

Quella lo salutò con sufficienza, un sorrisino che sembrava alquanto forzato: “Piacere, Nora!”

Eric badò a quello strano atteggiamento di Nora, che Alexis non notò, per quasi una frazione di secondo. Un messaggio lo portò a spostare lo sguardo sullo schermo del telefono.

 

Da Rider:

“Sono all’ingresso dell’ospedale, scendi!”

 

“Ehm, devo andare un attimo di sotto. Torno subito!” avvertì la sua ragazza.

“Certo, vai pure, tanto qui c’è mia madre!”

“Ok…” disse guardando le due, per poi voltarsi e uscire dalla stanza.

Quando fu nel corridoio, Nora gli andò dietro.

“Eric, aspetta!”

L’altro, sorpreso, si fermò: “Si? Che succede?”

“Perché hai preso il posto di Alexandra al Brew?” domandò, seria e poco amichevole.

“Ehm… - quello fu colto alla sprovvista, entrando nel panico – I-io… Come l’ha saputo? Alexis lo sa?”

“No, non lo sa. Per quanto riguarda me, sono andata ad assicurarmi che il suo capo non la cacciasse e ho parlato con un certa Pam, l’altra ragazza che fa i turni con mia figlia e mi ha spiegato tutto.”

“Nora, io l’ho fatto perché stamattina Alexis non camminava per niente. Ho preso il suo posto solo per non farglielo perdere e tenerlo per quando si sarebbe rimessa.”

L’altra era ancora restia alle sue parole: “Beh, un lavoro ti farebbe comodo data la situazione della tua situazione famigliare. In più è un lavoro sotto casa, non male!”

Eric strinse gli occhi, serio: “Sta per caso insinuando che io mi sia approfittato dell’incidente che ha avuto Alexis per prendere il suo posto? Questa è follia!”

“Lei sembra amarti davvero. E quando Alexandra ama qualcuno, si apre completamente. Raccontando anche le parti buie della sua vita.”

“E infatti mi ha raccontato molte cose, durante i nostri vari appuntamenti, sulla vostra famiglia!”

“Bene. Allora se sai tutto, sai anche che quel lavoro le serve!”

“Ed per questo che il mio stipendio andrà a lei. Non ho mai avuto intenzione di rubarle il lavoro, Nora.” ribattè, sentendosi offeso dalla donna.

Quella si stupì, cercando di non darlo a vedere troppo: “Ah…Beh, il tuo è un bel gesto. Spero che rimanga tale fino in fondo. – decise di congedarsi, a quel punto – Ora torno da lei…”

“Bene!” esclamò quello, ancora provato dalle accuse ingiuste. Poi se ne andò anche lui.

 

*

 

Nel parcheggio dell’ospedale, davanti alla macchina di Rider, Eric era ancora frustrato da tutta la faccenda di Alexis.

A mi sta creando problemi con Alexis e ora anche con sua madre!”

Rider si guardava attorno, impaziente, dei fogli arrotolati con un elastico tra le mani: “Beh, tecnicamente Alexis ancora non sa che hai preso il suo al posto al Brew. Tuttavia, potrai giustificarti dicendole che non pensavi che si sarebbe ripresa così in fretta e che hai deciso di occupare il suo posto per non farglielo perdere. In più i soldi che guadagnerai, andranno a lei, hai detto.”

“Sì, le dirò così. Non ho altra scelta! – sbuffò – Però tra la scuola e il lavoro al Brew, non potrò cercarmi un lavoro mio e di conseguenza non potrò aiutare mia madre.”

L’altro gli mise una mano sulla spalla: “Dai, tanto tuo padre torna alla fine di questa settimana, no?”

“Si, per fortuna…” si consolò.

“Ma quanto ci mettono Sam e Nathaniel ad arrivare?” si inspazientì.

“Scusa, ma non puoi dire già a me quello hai scoperto?”

“No, dobbiamo esserci tutti!” insistè.

Eric, mettendo un piccolo broncio, cambiò discorso, tirando fuori il telefono: “…Comunque ho visto e sentito tutto il materiale che mi hai inviato e… - gli mostrò l’inquadratura che l’aveva colpito di più, indicandogli qualcosa con il dito – Vedi questo qui sotto? Sotto la scrivania? E’ il mio zaino! L’ultima volta che lo usai, uscì di notte per andare a bruciare gli abiti che Anthony mi aveva prestato. Sentì di non essere solo, quella notte, così rimontai subito in bici e abbandonai lì quello zaino.”

“E allora?” non capì cosa c’era di importante per soffermarsi a parlarne.

“Allora, niente! E’ solo che…Cosa diavolo se ne fa A del mio zaino? Perché rubarmelo?”

“Forse lo tiene come trofeo, Eric. Hai visto la panic room, no? Ci sono tante nostre foto. Brakner è una persona malata, non dimenticartelo!”

“Già, su questo non c’è dubbio. – rabbrividì - E quella panic room è così inquietante!”

“Non dirlo a me che ci sono entrato e ci sono quasi morto… - notò, poi, i loro amici in lontananza – Eccoli che arrivano… Ah, a proposito, A ha fatto assumere a Nat una terapia ormonale a sua insaputa. Sam ci ha detto di non esagerare con la nostra reazione!”

“COSA??? Ormoni?” non credette alle sue orecchie.

Finalmente quelli giunsero davanti a loro, mentre Eric fissava ancora Rider, completamente sotto shock.

“Ehi, Eric, che hai?” gli domandò Nat, subito.

Quello si voltò, cercando di rilassare il viso: “Ehm, niente, è solo che Rider mi ha raccontato quello che è successo nella panic room e…”

“Sì, tutto questo è terrificante…E non avete idea di cosa sta succedendo a me!”

Eric deglutì, fingendo di non sapere nulla: “Ah, a proposito, come sono andate le analisi?”

“E’ uscito che sto assumendo estrogeni, ragazzi. – raccontò, ancora incredulo – A mi sta facendo prendere queste pillole per il cambio di sesso da almeno un mese e non mi sono accorto di nulla!”

“M-ma, non è grave se te ne sei accorto dopo un mese, vero?” gli domandò Eric.

“No, sono ancora in tempo per fermare tutto, ma se A continua a somministrarmi queste pillole…dopo sei mesi, per me non sarà più possibile tornare come prima. Per ora il cambiamento non è evidente, ma tra un po’ potrebbe esserlo.”

Rider ed Eric si mostrarono basiti, mentre Sam era particolarmente nervoso.

“Ehi, tutto bene?” gli domandò Rider, spostando lo sguardo di tutti su di lui.

“E’ così da quando siamo usciti da scuola, ma non ha voluto dirmi niente durante il tragitto!”

Sam non riusciva a trovare le parole: “Ragazzi, io non so come dirvelo, ma forse ci siamo sbagliati di nuovo sull’identità di A!”

“Spiegati…” ribattè Eric, sgranando leggermente gli occhi.

Quello mostrò il suo telefono: “Queste le ho scattate nello spogliatoio, c’era il borsone di Morgan!”

“Ma quelle sono pillole!” notò Nathaniel.

Dopodichè, fu Rider a commentare, inquietato: “E’ quella è la stessa tigre disegnata sulla felpa di A, quando ci è sputanto davanti la scorsa volta!”

“Perché non me l’hai detto subito?” Nat rimproverò Sam.

“Perché l’avresti ucciso, Nat! E’ evidente che quelle sono le pillole che stai assumendo!”

Rider, intanto, non riusciva a metabolizzare la cosa: “No, mi rifiuto. Non può essere Morgan. Non può aver allestito quella panic room e averci fatto passare tutto quello che abbiamo passato!”

“Un momento! – Eric era confuso – Perché non stiamo prendendo in considerazione il fatto che Morgan possa essere il complice di A?”

“Te lo spiego io! – esclamò Sam – Nell’audio che abbiamo ascoltato nella panic  room, Lindsay confida a Chloe che, secondo lei, Albert  ha finto la sua scomparsa e che potrebbe essere l’assassino di Anthony e suo padre: Perché dire una cosa del genere a Chloe? Che senso ha? A non è nato per sporcare il nome di Albert, ma per sporcare il nostro. In più, perché A dovrebbe spiare la loro conversazione, quando si suppone che Lindsay sia il suo braccio destro?”

“Questo non solo scagionerebbe mia sorella, ma anche Brakner. Erano insieme quella sera, perciò Brakner non avrebbe potuto fare nulla senza che lei lo vedesse o partecipasse alla cosa.” pensò, iniziando a credere alle motivazioni di Sam.

Nathaniel disse la sua: “Si, ma non è un po’ strano che Lindsay pensi questo? Di quell’omicidio è già stato accusato Jasper. Dubito che non abbia visto un telegiornale, nell’ultimo mese!”

“Forse mia sorella sa qualcosa che noi non sappiamo…”

“O forse… - Sam prese il telefono, utilizzando maps – Lindsay e Brakner hanno incrociato Jasper quella notte. – mostrò loro il telefono – Lui era al Ginseng, un locale gay che è proprio vicino alla zona in cui eravamo, quando abbiamo investito Albert.”

Eric stranì assieme a Rider, mentre Nathaniel sbiancò: “E tu come fai a sapere che Jasper era in quel locale?”

Sam non badò alle sue parole, uscite senza pensare: “Ehm…Me l’ha detto mio padre, ovviamente.”

“Nel dettaglio?” anche Rider lo trovò strano.

“Beh, - Nathaniel intervenne per aiutare Sam - non eri tu che gli dicevi di sfruttare il suo padre poliziotto?”

“Già, l’ho tartassato molto!” aggiunse Sam, calmando finalmente gli altri due, che si guardarono apparentemente più convinti.

Eric, a quel punto, fece il punto della situazione: “Ok, la faccenda non sembra molto chiara, potrebbero esserci molte teorie dietro. Perciò, o Morgan gioca da solo o va ad aggiungersi alla squadra Brakner-Lindsay!”

“Se mia sorella e Brakner hanno davvero visto Jasper, non l’avranno detto per paura di esporsi troppo. La polizia avrebbe arrestato lui come minimo per la loro relazione!”

“E se fosse una messa in scena per metterci il dubbio? – pensò Nathaniel – A sapeva che sareste entrati nella panic room, perciò quello che avete trovato nel suo computer è ciò che voleva che voi guardaste. Magari la registrazione di quella conversazione è stata fatta apposta come precauzione, in modo che, ascoltandola, avremmo annullato i nostri sospetti su lei e lui.”

Rider decise di tagliare corto allora: “Se scopriamo che mia sorella e Brakner magari non c’entrano nulla, questo significherebbe che Morgan era nella macchina dietro di loro. Le telecamere di sorveglianza erano fuori posizione, ma dalle foto che abbiamo del fascicolo si vede chiaramente che c’era un'altra auto. L’unico modo che abbiamo per scoprire chi è davvero A tra loro tre o se lo sono tutti e tre è scoprire cosa c’è nella vera panic room!”

Tutti si guardarono, confusi. Sam fu il primo a prendere parola.

“Che intendi dire con la vera panic room?”

Rider si avvicinò al cofano della sua auto, srotolando i due fogli che aveva e posizionandoli lì sopra.

I ragazzi si raccolsero intorno a lui.

“Ho recuperato un mio vecchio saggio sugli edifici storici di Rosewood. Questa è la cianografia del seminterrato del Wailord Sanitarium nel 36’. – indicò un punto del foglio, dove quelli guardarono con attenzione – Vedete qui? Non c’è nulla! – spostò il dito sull’altro foglio, poi  – Invece qui, un anno dopo, c’è questo quadratino. L’unica cosa che può essere stata aggiunta in quel punto è la panic room!”

Nathaniel, però, non capì dove voleva arrivare: “Ok, ma… Quale sarebbe la scoperta?”

Prima che Rider potesse spiegarlo, Sam intuì immediatamente quale fosse: “E’ più grande!”

“Esatto! – confermò Rider – Quella in cui siamo entrati noi è almeno 1/3 della stanza.”

“Quindi che significa? – chiese Eric, confuso - Dov’è il resto della stanza?”

Rider tirò fuori un pennarello rosso dalla tasca del suo cappotto, dividendo il quadrato in due: “E’ semplicemente dall’altra parte del muro. La panic room è divisa in due da una parete!”

“Ok, ma non c’erano altre porte nella panic room. – puntualizzò Sam - In che modo accederebbe all’altra metà della panic room?”

“O c’è una botola anche lì e quindi ci passa risalendo dalle fogne o c’è un altro passaggio che non abbiamo visto!” spiegò Rider.

Improvvisamente, lo sguardo di Nathaniel cadde sul polso di Eric. Dopo averlo fissato a lungo, si accorse che qualcosa mancava: “Dov’è il tuo bracciale?”

Eric ci fece caso, sgranando gli occhi: “Ma che…???”

Rider si rivolse a lui abbastanza disorientato: “Come hai fatto a toglierlo?”

“Non l’ho tolto io!” esclamò con foga.

Sam fece una smorfia confusa: “Come sarebbe che non l’hai tolto tu?”

Eric allora riflettè, concretizzando un dubbio che ebbe: “Credo che A sia entrato in casa mia mentre dormivo…”

“E ce lo dici solo ora?” sobbalzò Nathaniel, sbigottito.

“Ho trovato la porta aperta, ma non ci ho pensato più di tanto. – cercò di giustificarsi, attaccato – Scusate se non ci sto con la testa dopo l’incidente di Alexis!”

Tutti si calmarono un attimo, poi.

“Ok, ma come ha fatto A a toglierlo? – domandò Sam, guardando tutti -  Julie ha cambiato la frequenza del suono di sblocco, no?”

Rider imbronciò, intuendolo: “Accidenti, deve aver recuperato la valigetta di Julie nel seminterrato. Dentro c’era l’apparecchio che sblocca i nostri bracciali.”

“Non ha ascoltato quello che ci siamo appena detti, vero? – chiese Sam, nel panico – Insomma, anche se avesse messo un microfono su Eric, i nostri bracciali sono in grado di disattivarlo. Giusto?”

Rider annuì, dopo qualche secondo di staticità nella sua espressione.

“Penso di sì!”

Improvvisamente, un messaggio arrivò a tutti e quattro.

Quelli si guardarono tra loro, prima di aprirlo.

 

“Vi sono mancato?”

-A


Eric andò subito nel pallone: “Che significa? Che ci ha ascoltati? Che non siamo più protetti?”

Rider scosse la testa, guardandosi attorno: “No, dev’essere qui intorno. Vuole farci credere che può ascoltarci, ma sappiamo benissimo che non può!”

Anche gli altri si guardarono intorno, mentre Sam arrancava verso le portiere.

“Sentite, andiamocene da qui!”

Dopo un’altra occhiata intorno, i tre lo raggiunsero, salendo in macchina.

 

SCENA FINALE

 

A era all’interno della panic room, il bracciale di Eric che girava intorno al suo dito, come se ci stesse giocherellando. Lo poggiò accanto al computer, subito dopo, poi si avvicinò all’armadio, che iniziò a spostare dalla parete con forza.

Dietro, c’era una porta d’acciao con una tastiera nera sopra; si trattava di un passaggio segreto. Quando digitò la password, essa si aprì e lui entrò in quella che era l’altra metà della panic room.

All’interno, c’era un’altra scrivania con sopra un altro computer, una telecamera sopra un treppiedi al centro della stanza, mentre in un altro angolo c’era un lungo congelatore di forma rettangolare in funzione. Infine, in quella stanza del tutto vuota, c’era una bacheca di vetro appesa alla parete; il vetro, però, era oscurato e al lato di questa bacheca c’era un tasto on/off per poterla illuminare.

A si sedette al computer, avviando un video: mostrava una persona con la testa coperta da un sacco per patate, seduta a gambe aperte sul pavimento, la schiena poggiata contro la parete di quella stessa stanza, le mani legate.

Si sentiva il suo respiro soffocato, mentre muoveva la testa dentro quel sacco, probabilmente disorientata. A avvicinò la mano, liberando chi c’era sotto: si trattava di Anthony, che lo guardò dritto in faccia, spaventato a morte.

“Ti prego, non farmi del male! – pianse disperato, una ferita sanguinante sulla testa - Farò tutto quello che vuoi, per favore!”

Subito dopo, volse lo sguardo alla destra di A. Sembrava guardare più verso terra che in alto, e sconvolto in maniera esagerata, tornò a fissare il suo rapitore: “C-chi è quello?”

A si limitò solo a fare un suono con la bocca: “Shhhh…”

Preso dal panico, il petto che si gonfiava e sgonfiava, Anthony lo fissava terrorizzato, perdendo la ragione: “AIUTOOO! – urlò a squarciagola, sbattendo più volte la testa contro la parete per fare rumore – AIUTATEMI, VI PREGOOO!”

A si avvicinò, pronto a rimettergli il sacco in testa, mentre lui urlava ancora. Il video si interruppe.

 

CONTINUA NEL NONO CAPITOLO…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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