CAPITOLO
OTTO
“WhAt’s Inside
the Panic Room?”
TWO DAYS
LATER…
Era il secondo
giorno di
fila che Eric non tornava a casa per stare accanto ad Alexis. Le teneva
la
mano, stretta nella sua, mentre la ragazza era in coma, la testa
fasciata per
via del trauma alla testa.
Dopo averla
guardata a
lungo con sguardo triste e stanco, il ragazzo spostò gli
occhi sul suo
telefono; lo stava stringendo nell’altra mano, il braccio
disteso lungo la
coscia.
Aveva ricevuto
un messaggio
alle prime luci dell’alba, che lo tormentò per ore
e ore dalla prima lettura.
“Carpe
diem, Eric: Ora
c’è un posto di lavoro libero al Brew!”
-A
Provò
rabbia nel rileggere
nuovamente quel messaggio; tant’è che la forza con
cui stava stringendo il
telefono avrebbe potuto anche farlo a pezzi.
Improvvisamente
ricevette
una chiatamata. Eric si alzò, uscendo fuori in corridoio:
era Rider.
“Ehi,
sto andando a scuola.
Si è svegliata?”
“Ehm…
- si massaggiò le tempie
– Forse oggi, non lo so. quando l’hanno indotta al
coma farmacologico hanno
detto che ci sarebbero voluti anche tre giorni affinchè si
risvegliasse da
sola.”
“Mio
Dio… - era ancora
sconcertato – Che razza di mostro investe una ragazza e poi
scappa senza
voltarsi indietro?”
Eric sapeva
benissimo chi
era, furente in volto: “…A!”
L’altro
non credette alle
sue orecchie: “Aspetta: COSA???”
“Fino
a ieri pensavo fosse
un pirata della strada, ma stamattina il mostro si è fatto
vivo e mi ha scritto
un messaggio assai lampante.”
“Perché
A avrebbe dovuto investire Alexis?
Ok
che tormenta noi, ma che c’entra una persona
innocente?”
“Quel
mostro sapeva che
cercavo lavoro per aiutare mia madre e così ha deciso di far
fuori Alexis per
farmi prendere il suo posto al Brew.”
Rider era a dir
poco
scioccato: “E adesso che farai?”
“Prenderò
quel posto, non
ho altra scelta. – spiegò, provato e sofferente -
Dopo di che lascerò Alexis,
prima che festeggi il nostro primo mesiversario al suo
funerale.”
“…Eric,
so che adesso non
vuoi lasciare Alexis da sola, ma devi passare da noi a scuola o almeno
a casa
mia. Julie ha modificato i braccialetti di A
e tu lo devi assolutamente indossare.”
“Modificati
come?”
“Non
saremo più monitorati
da A. Ogni volta che entreremo in
una stanza o in un qualsiasi posto, se ci sarà una
telecamera o un microfono
nascosto o qualunque tecnologia da spionaggio, verrà
automaticamente
individuata e disattivata.”
“Bene,
finalmente una buona
notizia… – sospirò –
E’ una fortuna che Julie abbia deciso di aiutarci con il
rischio che sta correndo.”
“Già,
ma deduco che ancora
non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Spero che non si sganci da
noi non
appena l’avrà compreso.”
“Lo sai che Brakner farà di tutto per toglierla di
mezzo, vero? Ci sta aiutando
e questo non gli farà piacere.”
“Senti,
devo andare. – fu
evasivo – Vorrei stare qui a darti maggiori dettagli su
quello che stiamo
combinando, ma ho sempre paura che A ci
ascolti e stavolta non possiamo fallire di nuovo. Morirei se fallissimo
di
nuovo, non ce la faccio più.”
“Già,
- fu d’accordo,
stanco del nemico - non possiamo fallire!”
“Salutami
tanto Alexis,
quando si risveglia, ok?”
“Certo,
ciao!” sussurrò con
un filo di voce.
Chiusa la
chiamata, Eric
tornò nella stanza. Con gran stupore, il ragazzo si
fermò bruscamente, non
appena superata la soglia: Alexis aveva gli occhi aperti.
“Oh
mio Dio… - sorrise,
emozionato – Sei già sveglia!” corse,
scivolando sulla sedia, allungando il
collo per baciarla.
Quella
ricambiò il suo
bacio, un accenno di sorriso, stordita. Il ragazzo si staccò
da lei per darle
subito spazio.
“Sei
in ospedale, Alexis.
Te lo ricordi, vero?”
“Sì,
- tossì – ricordo… -
quello le prese immediatamente un bicchiere d’acqua, che
bevve a piccoli sorsi
- Quindi è finita questa cosa del coma?”
Eric
ritirò il bicchiere:
“E’ finita, sì. Ora chiamo il Dottore,
– si alzò, dirigendosi verso la porta –
così
ti da un’occhiata!” e si affacciò nel
corridoio, cercando un infermiera con lo
sguardo.
“Ehi,
aspetta, vieni qui…”
lo chiamò quella, che ogni tanto chiudeva gli occhi per via
del dolore alla
testa.
“Eccomi,
sono qui! – si
precipitò nuovamente da lei – Che
c’è?”
“Ti ho
sentito parlare al
telefono, poco fa. Ero sveglia, ma non molto a dire il
vero…Però ho sentito!”
Eric
girovagò con lo
sguardo: “Sentito cosa? Informavo solo Rider delle tue
condizioni...”
“E
come mai non mi guardi
negli occhi, mentre me lo dici?” domandò, secca.
“Sono
solo un po’
stressato, non dormo da due giorni, sono sempre stato qui!”
si giustificò,
mentre lo sguardo poco convinto della ragazza si intensificava.
“Che
cos’hai detto alla
polizia? Che fine ha fatto il mio aggressore?”
“Ho
raccontato ciò che è
accaduto. – spiegò, abbastanza teso, la fronte che
sudava freddo – Cioè che,
chi ti ha investita, è scappato e io non sono riuscito a
prendere il numero di
targa.”
Alexis,
improvvisamente,
iniziò a fissarlo a lungo: “…Che
cos’è A?”
L’altro
indietreggiò
lievemente con il capo, fingendo di essere confuso:
“Ehm…una lettera
dell’alfabeto?” si lasciò scappare anche
una finta piccola risata.
La ragazza,
però, lo
fissava seria.
“Tu e
i tuoi amici la
nominate spesso, questa lettera!”
“Che
vuoi dire?”
“La
settimana scorsa, ti
stavo aspettando per il nostro primo appuntamento. Quella sera, due dei
tuoi
amici sono entrati al Brew con un atteggiamento alquanto nervoso e ti
cercavano. Ovviamente ho spiegato che non c’eri e che te
n’eri andato con
Rider, ma che saresti tornato perché dovevi uscire con me.
Hanno deciso, così,
di aspettarti e io sono tornata a fare le mie cose e sono andata un
attimo nel
retro. Quando sono tornata, gli ho sentiti parlare di qualcuno o
qualcosa che
nominavano in continuazione: Questa A!...Perciò,
Eric, chi o cosa è A?”
Quello
deglutì, cercando di
non dare a vedere il suo nervosismo: “Ti assicuro che non so
di cosa parli,
Alexis.”
“Sei
arrivato tardi quella
sera; molto tardi. Avevi un odore strano addosso e le docce non durano
un’ora!”
continuò, imperterrita.
“Alexis,
basta! – alzò
lievemente la voce – Ti prego!”
“Temevano
per la vostra
vita, Eric! – andò avanti, insistente –
Chi diavolo fa questi discorsi se non
si tratta di una cosa seria?”
“Riposati,
Alexis. – la
ignorò – Vado a chiamare il dottore!”
Quella lo
fissò,
arrabbiata. Eric uscì dalla stanza, lasciandola
così.
*
Nathaniel,
ancora a casa
sua, affrontava una sorta di dubbio davanti allo specchio. Continuava a
tenere
lo sguardo fisso sul suo corpo, mentre era in boxer e si guardava da
tutte le
angolazioni. Si toccò i pettorali, che sembravano meno
tonici del solito. Si
toccò il viso, poi la barba, quasi inesistente; giusto un
accenno. Sospirò,
turbato da qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire, pronto a
rivestirti.
Improvvisamente,
dopo aver
bussato una volta sola, sua zia Courtney si fiondò nella
stanza.
Immediatamente, la donna si mise le mani davanti alla faccia e chiuse
gli
occhi, imbarazzata.
“Oh,
cavoli, non ho visto
niente! Lo giuro! – parlò poi tra sé e
sé – Sarebbe alquanto inquietante
fissare gli addominali del proprio nipote, desiderando che non sia tuo
nipote, perversa
di una Courtney!”
Nathaniel
sorrise,
divertito, mentre prendeva una maglietta: “Zia Courtney,
rilassati. Non sarebbe
la prima volta che mi vedi in boxer!”
Quella
riaprì gli occhi,
fulminandolo con il dito: “Oh, ma questo è
incredibile! – sussultò con tono
polemico - Non lo accetto, Nat. Non lo accetto! – si
calmò, finalmente – E
comunque vestiti, che aspetti? Pete sta arrivando!”
“Pensavo
che mi avresti
accompagnato con la tua auto, visto che la mia è a
secco!”
“La
mia è dal meccanico,
perciò sbrigati!”
L’altro
assunse subito un
volto serio e preoccupato, facendo possedere nuovamente dalle sue ansie.
“Ehm…Zia
Courtney… - la fissò,
sudando – Non è che potresti…”
La donna era in
attesa di
una risposta, Nathaniel era assai frenato e si stava torturando le
dita: “Potresti,
cosa?”
“…Fissarmi
attentamente? –
completò, imbarazzato – Sai, come fai di solito
con tutto il resto del genere
maschile!”
Courtney
spalancò
leggermente la bocca, incantando il vuoto, confusa: “T-tu,
COSA? Vuoi che ti
guardi? – finalemente lo guardò, imbarazzata
– Tua madre ha sempre pensato che
io e te avessimo un rapporto strano per via delle nostre età
così vicine e ti
confesso che ora…lo sto pensando
anch’io!”
“Non
in quel senso!”
esclamò, in una smorfia esagerata, quasi disgustata.
“Oh,
grazie a Dio! – si
mise una mano sul petto, buttando aria fuori dalla bocca, sollevata
– Pensavo fossi
impazzito o sessualmente attratto da me!”
“Zia
Courtney! - la fissò a
lungo, inebetito – Ti prego, smetti di parlare!”
“Ok
ok, scusa! – si rese
conto di aver esagerato – Spara, dimmi tutto!”
“Noti
qualcosa di diverso
in me? – con lo sguardo, costrinse sua zia a focalizzarsi sul
suo corpo –
Perché io sento di non essere più lo stesso, che
qualcosa stia cambiando, ma
non capisco cosa.”
L’altra,
improvvisamente
seria e preoccupata da quelle angoscianti parole, si
avvicinò. Fece scivolare
la sua mano lungo il suo petto, attenta. Poi diede il suo responso.
“Sei
più…grosso, in
effetti!”
“Le
mie abitudini sono
sempre le stesse, tengo il mio corpo costantemente allenato. Eppure,
sembra che
io stia…ingrassando e non in senso muscolare, ma grasso
vero! Non lo so, i miei
pettorali mi fanno anche male…”
“Male,
come se…avessi delle
tette?” azzardò la donna.
“Non
stavo per dire quello,
- replicò distrurbato - ma…non li sento
più tonici come prima o forse è una mia
impressione.” spiegò.
“Sei
ancora un ragazzino,
Nathaniel. Il tuo corpo è in costante cambiamento e alla tua
età, credimi, io
avevo ancora una seconda di reggiseno prima di esplodere in una terza e
mezza
verso i diciotto anni! – era comunque perplessa - Ametto,
però, che da più
vicino, non sembri lo stesso di qualche settimana fa… - lo
fissò ancora,
prendendolo per il mento – Non so, la tua faccia ha qualcosa
di diverso…”
Nathaniel
iniziò a fare
avanti e indietro per la stanza, preoccupato: “Me
l’ha detta anche un mio amico
questa cosa, ma che mi sta succedendo?”
“Forse
dovresti fare delle
analisi! – suggerì – Facciamo un salto
da Tyler, in ospedale? Così ci togliamo
ogni dubbio? Eh? – cercò di convincerlo, mentre la
fissava dubbioso – E’ tuo
cugino, vedrai che saremo fuori nel giro di un’oretta o
due.”
L’altro
si annusò: “Forse
dovrei farmi un’altra doccia, prima. Sto sudando tantissimo,
ho delle vampate
assurde da quando mi sono svegliato…”
“Hai
davvero qualcosa che
non va, tesoro. – ora si preoccupò davvero,
sgranando gli occhi – Siamo a
inizio Novembre, non fa così caldo.”
Ora era nel
panico anche
lui: “Senti, cerchiamo di non allarmare Mamma, ok?”
“Certo,
ma lascia stare la
doccia, corriamo in ospedale!”
“Va
bene, andiamo! – si
convinse che doveva andare a fondo alla cosa, mentre si vestiva
– Però possiamo
passare un’attimo dal mio amico Rider?”
“Certo!”
annuì, per nulla
contraria, mentre usciva dalla stanza. Lui la seguì subito
dopo.
*
Più
tardi, in seguito ad un
messaggio d’avviso, Rider uscì fuori dalla sua
abitazione, camminando in contro
a Nathaniel, che stava uscendo dalla macchina di Pete. Confuso dalla
situazione, Rider si fermò davanti all’amico,
cercando di capire cosa stesse
succedendo.
“Va
tutto bene? Pensavo ci
saremmo visti a scuola.”
L’altro,
il cui volto non
era per nulla sereno, fu rapido e poco esplicito: “Hai
portato il braccialetto
di Eric come ti ho scritto nel messaggio?”
“Sì,
certo… - glielo
allungò immediatamente, fissandolo, spaventanto dal suo
palese nervosismo – Ma
che succede?”
“Non
ne sono sicuro, sto
andando a fare delle analisi…Comunque, già che
sarò in ospedale ho pensato che
potevo dare il braccialetto ad Eric, visto che, giustamente, non vuole
allontanarsi da Alexis.”
Rider era
totalmente
spaesato e ancora più preoccupato, ma non poteva farsi dire
di più, dal momento
che l’altro stava già indietreggiando:
“Ok, d’accordo…”
“Ci
sentiamo dopo la
scuola!” lo salutò, correndo alla macchina.
L’altro
restò lì, impalato,
mentre la macchina ripartiva, divorato dal non sapere. Tuttavia,
intuì che non
era nulla di buono.
*
Anche Sam era
appena uscito
da casa sua. Suo padre lo rincorse fuori, poco prima che quello salisse
in
macchina.
“Sam,
un secondo!” urlò,
scendendo le gradinate del portico.
Quello
continuò a camminare
sperdito verso la macchina, ma alla fine, davanti alla portiera,
dovette
voltarsi, malgrado volesse evitarlo. Sapeva di cosa l’avrebbe
rimproverato.
“Si?”
rispose, facendo
finta di nulla.
Suo padre lo
raggiunse, con
un po’ di fiatone: “Devo mandarti un altro
messaggio o lo sai che oggi hai
appuntamento con Wesam?”
“Si
si, lo so! – esclamò
scocciato, raccontanto l’ennesima bugia – Ti ho
già detto che quel giorno
dovevo stare con Chloe, era appena tornata dal South Dakota!”
L’altro
lo fulminò
immediatamente con uno sguardo acuto, come non convinto:
“Come mai non la vedo
più a casa nostra, ultimamente? Non avrete mica litigato,
spero.”
“Pensi
che me lo stia
inventando? – sussultò, facilmente irritabile
– Non ho saltato la seduta dallo
psicologo apposta, ok? Ero davvero con Chloe! –
spiegò, sentendosi oppresso – E
se lei non viene più qui è perché
è stata via per più di una settimana e in
più
siamo in pieno semestre, dobbiamo studiare!”
“Bhe,
tu non sembri molto presente
a casa per studiare!” puntualizzò.
Sam non ne
potè più: “Me ne
vado, sto facendo tardi…” aprì la
portiera, dando le spalle.
L’uomo
si rese conto di
aver sbagliato, cercando di riparare subito, mentre la portiera si
richiudeva:
“Sam, scusa, non volevo…”
“Lascia
stare! – lo
interruppe, ormai dentro l’auto, le mani sul volante
– Andrò all’appuntamento,
promesso!”
“Bene,
sono contento. –
annuì, cercando di essere meno severo –
E’
per il tuo bene!”
“Lo
so!” finalmente lo
guardò un attimo, meno arrabbiato. Subito dopo,
partì, abbassando il
finestrino.
Mentre si
allontanava, fissò
suo padre, ancora in mezzo alla strada, attraverso lo specchietto
retrovisore.
Strinse le mani al volante, arrabbiato con sé stesso e con A per i problemi che stavano deteriorando
il loro rapporto.
*
In ospedale,
Nathaniel e
sua zia, al quarto piano, stavano andando in contro ad Eric.
La donna, con la
borsa che
pendeva dal polso, lo squadrò, sorpassandolo, voltandosi
verso il nipote, che
si era appena fermato davanti all’amico.
“Carino
questo…Meglio del
secco!” commentò, continuando a camminare da sola.
Eric, dopo aver
finito di
fissarla, perplesso, si girò verso Nathaniel: “Chi
sarebbe il secco?”
“Sam!”
“Ah,
interessante…E che ci
fai qui?”
“Analisi!”
spiegò,
turbandolo.
“Ehi,
tutto bene?”
Nathaniel
sospirò,
abbracciandolo. I due si diedero delle pacche.
“Diciamo…
- si staccò, poi
– Mi dispiace per quello che è successo ad Alexis,
come sta?”
“Si
è svegliata, ma
dobbiamo aspettare che il Dottore finisca il giro delle
visite… - ora, però,
era più preso dalla presenza dell’amico in
ospedale – Comunque, analisi di
cosa?”
“Il
mio corpo sta subendo
degli strani cambiamenti e devo capire cosa mi sta
succedendo…” raccontò con
una nota ansiosa nella voce, mentre l’altro lo ascoltava
assai impressionato.
“Va
bene, ma fammi sapere. Sembra
una cosa seria!”
“Spero
di no! – sospirò
ancora, per poi ricordarsi del braccialetto – Ah, a
proposito, ecco il tuo
braccialetto. Rider ti ha spiegato a cosa serve, vero?”
“Si
si, me l’ha detto. –
annuì, mentre lo indossava – E’ bello
poter parlare liberamente.”
“Già,
a chi lo dici! – fu
d’accordo – E comunque la polizia ha trovato il
pirata della strada?”
Eric si
guardò intorno,
spiegando a bassa voce, tirando fuori il telefono: “Il pirata
della strada è A!”
“Oh,
cavoli! – esclamò,
fissando il messaggio dalle mani di Eric, sconvolto – Non
riesco a crederci,
adesso colpisce anche le persone a cui teniamo?”
“La
cosa sta diventando
davvero insostenibile. – esternò, mettendo le
braccia conserte - In più, Alexis
comincia a fare domande!”
“Domande
su cosa?”
“Su A!”
“Aspetta,
- pensò di aver
capito male - Alexis sa di A?”
“Stiamo
così attenti a non
farci sentire da A, che a volte ci
dimentichiamo che anche le persone che ci circondano hanno le
orecchie.”
“Ma
come…???” non se ne
capacitò.
“Ha
sentito te e Sam, il
giorno in cui siete venuti a cercarmi al Brew. Sai, quando io e Rider
cercavamo
di non affogare in un condotto fognario.”
Nathaniel si
mise una mano
sulla faccia, per poi passarsela velocemente tra i capelli,
mortificato:
“Credimi, non ne avevo idea. Eravamo così presi
nel capire dove foste finiti,
che non ce ne siamo accorti. E poi lei era andata nel retro, non
immaginavamo
che ci stesse ascoltando.”
“Rilassati,
tanto ha
sentito anche me parlarne con Rider al telefono. Non è colpa
vostra, dovevamo
aspettarcelo che prima o poi avremmo affrontato questo momento: Quello
in cui
qualcuno iniziasse a notare quanto siamo strani e agitati tutto il
tempo.”
“Riesci
a gestirla, finchè
Julie non ci aiuta ad entrare nella panic room?”
“Ha
una personalità
abbastanza forte, ma ci provo… - poi si focalizzò
su quanto detto – Quindi qual
è il piano?”
“Ne so
quanto te, credimi.
Sono Rider, Sam e Julie che ci stanno pensando. Proveranno ad entrare
nella
panic room nelle ore di lezione di Brakner; così ho
capito.”
Improvvisamente,
Courtney
si affacciò nuovamente nel corridoio, tornata a chiamare il
nipote.
“Nathaniel,
forza, Vieni!”
I due si
voltarono, mentre
quella gli faceva ancora cenno di muoversi.
“Devo
andare, ci vediamo
dopo!” esclamò, non facendola aspettare.
“Ok, a
dopo!” si congedò
anche Eric, tornando nella stanza di Alexis.
*
Più
tardi, a scuola, Sam e
Rider camminavano ai lati di Julie, con discrezione, per i corridoi
della
scuola.
“Ancora
non riesco a
credere che sei diventata la nostra consulente scolastica!”
esclamò Sam, mentre
la donna si sistemava continuamente il tailleur, nervosa per il suo
primo
giorno.
“Già,
non ci credo neanche
io!” ribattè quella, sarcastica. Gli occhi degli
studenti puntati addosso.
“E io
ancora non ci credo
che ad Ackett sia bastata una gonna corta per assumerti!”
pensò Rider,
disgustato.
Julie lo
fulminò con una
lunga occhiataccia: “Ehi, io ho una laurea importante, non
sono solo due belle
gambe!”
“Peccato
che ad Ackett
importava di più delle tue gambe che della tua laurea.
– puntualizzò Rider -
Cerca di evitarlo: E’ scapolo e non gli intessano quelle
della sua età!”
Quella
sollevò le
sopracciglia nauseata: “Interessante!”
I tre si
fermarono davanti
ad un’aula, ad un certo punto. Sam aprì la porta
ed entrarono, chiudendosi
dentro. Era vuota.
“Allora,
ragazzi, veniamo
al dunque… - Julie si fermò davanti a loro - A ha una lezione alla quinta ora,
giusto?”
Quelli annuirono.
“Beh,
scordatevelo che
scenderò in quel seminterrato da sola. Uno di voi dovrebbe
venire con me!”
“Pensavo
fosse chiaro che
muoio dalla voglia di entrare in quella panic room… -
replicò Rider con ovvietà
– Solo che dovrei trovare una scusa per lasciare la lezione
di letteratura!”
Julie lo
fissò perplessa:
“Ehm…Professore, posso
andare in bagno?
Non mi sembra così difficile!”
Sam intervenne:
“Non è così
semplice! Per colpa di A, Rider non
è più molto ben visto dal Professor
Palmer.”
“Inoltre
si suppone che
dovrei tornare in classe entro due minuti, non ho la vescica di un
orso!”
aggiunse Rider.
“Allora
ci viene Sam!”
Quello,
però, non era
alletato all’idea: “Non muoio proprio dalla voglia
di venirci…”
Julie, a quel
punto, si
infuriò: “Ok, ragazzi, siete stati voi a chiedermi
aiuto. In più, non volete
dirmi cos’ha A di
compromettente
contro di voi e perché un professore di liceo dovrebbe
tormentare quattro
adolescenti!”
“Beh,
il perché non lo
sappiamo nemmeno noi. – commentò Rider –
Anche per questo dobbiamo entrare
nella panic room, sperando di trovare qualche indizio!”
“Dovete
impegnarvi di più,
sto rischiando molto!”
Sam, allora,
ebbe un lampo
di genio: “Usa il tuo potere di consulente
scolastica!”
Rider si
girò verso di lui,
assumendo una smorfia confusa: “E quale sarebbe? Dare
consigli ai disagiati?”
“No!
– gli lanciò
un’occhiataccia – Può semplicemente
entrare in classe e chiedere a Palmer di
prenderti in prestito un secondo. Ora sei un ragazzo problematico, non
lo troverà
strano.”
Stavolta fu
Rider a
guardarlo storto. Julie, però, la trovò una buona
idea.
“Ok,
faremo così, come dice
Sam.”
Quello sorrise,
dirigendosi
alla porta: “Ora, se non vi dispiace, vado a cercare la mia
amica Chloe!”
“Era
ora!” esclamò Rider,
cinico, guadagnandosi un’altra occhiataccia.
“Scusa
tanto se A ha minacciato di farmi
esplodere il
braccio se le avessi detto anche solo ciao!”
“Siamo
liberi dai
braccialetti da due giorni, Sam!”
“Ma
Julie ha finito di
modificarli solo ieri, perciò ho preferito
aspettare!” ribattè Sam.
La donna
spostò lo sguardo
tra i due, confusa: “Che ha di importante parlare con questa
Chloe?”
“Affari
nostri! – esclamò
Rider, marcando un finto sorrisino e sollevando le sopracciglia
– Tu pensa a
scontare il tuo senso di colpa nei nostri confronti, facendoci entrare
nella
panic room!”
Quella
roteò gli occhi,
mettendosi a braccia conserte. A quel punto, Sam li lasciò.
“Io
allora vado, a dopo!” e
uscì.
*
Nel frattempo,
in ospedale,
il Dottore stava visitando Alexis, mentre Eric era in disparte, di
spalle
contro la finestra, nervoso per l’esito.
“E se
faccio così, senti
qualcosa?” domandò alla ragazza, mentre le toccava
le dita dei piedi.
“No,
niente.” rispose.
Eric si fece
avanti: “Ma
che significa, questo? Pensavo non avesse riportato gravi
danni…”
“Mi
scusi, Dottore… -
Alexis lo chiamò alla sua attenzione, prima che potesse
rispondere al ragazzo –
Prima non sentivo nemmeno le dita dei piedi della gamba destra, ma ora
le
sento, perciò… è una cosa temporanea,
giusto?”
“Lasciamo
che passi questa
giornata per poterlo dire con certezza. Lei ha subito un forte trauma,
perciò
la ripresa è graduale.” spiegò il
dottore, apparentemente ottimista.
Il ragazzo,
però, non fu
dello stesso avviso: “E se non si riprende? Finirà
su una sedia a rotelle?”
L’uomo
lo fissò a lungo,
quasi infastidito dal suo tono: “…Ho detto che ha
subito un forte trauma, non
saltiamo a conclusioni affrettate. Se Alexis non avrà
ripreso la sensibilità
agli arti inferiori entro domani mattina, faremo ulteriori controlli.
Lei,
invece, dovrebbe essere più d’aiuto, evitando di
angosciare la sua ragazza.”
Eric si
ammutolì,
incrociando lo sguardo di Alexis, che si era improvvisamente abbassato,
rendendosi
conto di aver esagerato.
Il dottore
tornò a
rivolgersi a lei, sfoggiando un sorriso rassicurante:
“Tornerò domani mattina,
ok? Vedrai che andrà tutto bene.”
Quella
annuì, ricambiando
il sorriso, meno ampio. Quando il dottore uscì, Eric ruppe
il silenzio che si
era creato.
“Mi
dispiace di aver detto
quello che ho detto.”
“Beh,
- quella aveva gli
occhi lucidi, mentre sorrideva tristemente – questa potrebbe
essere la realtà,
se domani non riuscirò a muovere entrambe le
gambe.”
Eric si
avvicinò
immediatamente a lei, prendendo le sue mani: “Ti
starò accanto, ok? Non vado da
nessuna parte, finchè non ti vedrò mettere un
piede a terra.”
“Eric…
- gli prese il viso
con la mano, tenera – Va’ a casa, fatti una doccia
e torna a scuola. Puoi
venire a trovarmi alla fine della giornata, ma non serve che tu resta
inchiodato a questo letto con me.”
Immediatamente,
al ragazzo
venne un forte magone, che a stento riusciva a trattenere. Tuttavia,
accetto il
consiglio della ragazza.
“Giuro
che stasera sarò di
nuovo qui…”
Lei sorrise:
“Lo so…”
Il ragazzo la
baciò a
lungo, prima di staccarsi da lei e lasciare la stanza con un enorme
senso di colpa.
*
Come da
concordato, alla
quinta ora, Julie si presentò nella classe dei ragazzi,
bussando prima di
entrare. Quelli sguardi puntati su di lei e l’iniziale
silenzio che riempiva la
stanza, la lasciarono un attimo impalata.
“Ehm,
salve… - si rivolse a
tutti, con un accenno di sorriso, per poi rivolgersi a Palmer
– Non è che
potrei rubare un secondo Rider Stuart?”
L’uomo
la squadrò: “Lei è
la consulente, vero?”
“Sì,
proprio io! - esclamò,
leggermente imbarazzata, facendo segno a Rider di sbrigarsi –
Forza, Stuart!”
Quello si
alzò, titubante,
per non aver ancora ricevuto il permesso.
“Non
abbiamo avuto modo di
conoscerci, non l’ho mai vista durante la pausa
caffè…” continuò Palmer,
particolarmente affascinato dalla giovane.
“Beh,
negli ultimi due
giorni ho preferito decorare il mio ufficio. Magari più
tardi!” esclamò lei,
ridacchiando, evitando il suo sguardo, che sentiva troppo addosso e che
la
imbarazzava.
“Allora
la aspetto!”
sorrise lui, mentre Rider era giunto di fianco alla donna.
“Bene…
- rimase ancora
impalata, accorgendosi delle occhiate di Rider quando
incrociò il suo sguardo –
allora noi andiamo, buon proseguimento!” salutò la
classe e, infine, il professore,
fiodandosi subito fuori, Rider a seguito.
Dopo qualche
passo, nel
corridoio, il ragazzo la riprese.
“Che
cos’era quel teatrino
a cui ho appena assistito? Magari
più
tardi? Seriamente?”
L’altra
era abbastanza tra
le nuvole, trovandolo esagerato, mentre camminavano:
“Perché no? E’ carino!”
“Ehm...hai
tipo la metà dei
suoi anni?”
“Pff,
ma per favore! –
minimizzò – L’ex moglie di Donald Trump
va a letto con dei trentenni e io non
posso prendere un caffè con il Jeffrey Morgan dei
poveri?”
“Sam
sarebbe fiero di te,
hai appena citato il suo attore preferito! –
commentò, amaramente – E comunque
fai come ti pare, non sono affari miei ora che ci penso.”
“Certo
che faccio come mi
pare! Pensi di dettare legge con me, ragazzino?”
“Non
sono così ragazzino,
non più ormai!” sottolineò con foga.
“Sì
che lo sei, Rider. Lo
siete tutti voi… - ribattè, seria e comprensiva -
Qualunque cosa abbiate
passato, restate sempre dei ragazzini.”
Quello si
limitò a
fissarla, abbassando più volte lo sguardo, mentre
proseguivano.
*
Più
tardi, poco dopo
mezzogiorno, Tyler aveva i risultati degli esami di Nathaniel. Il
ragazzo,
assieme a Courtney, erano seduti davanti alla sua scrivania, in attesa
di
sapere. Suo cugino sembrò abbastanza serio e preoccupato.
“Allora,
Tyler? Non tenerci
sulle spine, cos’è uscito?”
domandò Courtney, ansiosa.
Tyler
deglutì, lo sguardo
basso, sulla scrivania, molto serio.
“Beh?”
si inspazientì anche
Nathaniel. Finalmente quello alzò lo sguardo, incredulo su
ciò che stava per
dire.
“Nat,
stai per caso
cercando di cambiare…sesso?”
“COSA?”
urlò il diretto
interessato, chinandosi in avanti.
Courtney
sgranò gli occhi,
per poi lasciarsi scappare una risata: “Tyler, ma di che stai
blaterando?”
“Zia,
sto blaterando ciò
che ho scoperto, ciò che è uscito dagli
esami!”
“Ok,
prima di tutto mi
chiami Courtney, perché la tua età è
molto più vicina alla mia, rispetto a Nat.
– si infuriò quella – E secondo, come
diavolo puoi dire una cosa del genere?”
“Già!
– replicò Nathaniel,
che riuscì finalmente a trovare le parole – Sicuro
che non hai confuso i miei
esami con quelli di qualcun altro?”
“Quand’è
stata l’ultima
volta che ti sei fatto la barba, Nat?” chiese quello, diretto.
“Ehm…
- titubò,
riflettendoci – l’ultima volta che sei venuto a
casa mia, credo.”
“E’
stato almeno più di un
mese fa, Nat…Non ti sei mai chiesto come mai la tua barba
non cresca da
settimane?”
Nathaniel, a
quel punto, si
toccò la faccia, seriamente turbato:
“Ma…”
Tyler
continuò, spiegando
nel dettaglio: “ Gli esami riportano un calo drastico del
testosterone,
l’ormone follicolo stimolante in aumento e alterazioni a
livello epatico… - fu
coinciso, ad un certo punto – Nat, tu stai seguendo una vera
e propria terapia
ormonale a base di estrogeni per un vero e proprio cambio di sesso da
uomo a
donna!”
Nathaniel rimase
pietrificato a fissare il vuoto, mentre Courtney sbatteva gli occhi
senza
parole, per poi alzarsi e raggiungere un angolo della stanza e
riprendere
fiato.
“Insomma,
stai davvero
cercando di cambiare sesso, Nat? – domandò quella,
la voce che tremava – Cioè,
sono una zia con una mentalità molto aperta e non ti
giudicherei mai, ma è
davvero quello che vuoi?”
“NO!
– si alzò bruscamente
dalla sedia, urlando, sconvolto quanto lei – Non voglio
cambiare sesso, ma come
ti viene in mente?”
L’altra
si voltò, con una
mano sul petto: “E allora come spieghi quello che ha appena
detto Tyler, eh?
Stamattina ti facevano male anche le tette! – si
voltò verso Tyler, agitata –
E’ un sintomo, quello, no?”
“SMETTILA,
non ho le tette!
– gridò Nathaniel, furioso, rivolgendosi poi ad
entrambi – Io non ho mai
desiderato cambiare sesso, né sto seguendo una terapia, ok?
Ci dev’essere un
errore!”
Tyler
pensò che era meglio
calmare gli animi e parlarne con più traquillità:
“Ok, sedetevi un attimo… -
suggerì, mentre quelli eseguivano, dopo una lunga occhiata
tra loro – I sintomi
più comuni, in genere, all’inizio di questo
processo, sono: eccessiva
sudorazione, vampate, stanchezza, sbalzi d’umore, dolori a
livello locale,
nella zona pettorale. Potrebbero esserci anche effetti collaterali come
un
improvviso aumento di peso, se i dosaggi della terapia non sono giusti.
– fissò
Nathaniel, notando il suo sguardo che incantava alla parete –
Ti ritrovi in
questi sintomi?”
Courteney
rispose per lui,
che era leggermente sotto shock: “Stamattina ha detto di
essersi alzato con
delle forti vampate ed è leggermente aumentato di peso, ho
visto io.”
Nathaniel si
mise le mani
nei capelli, isolandosi nei suoi pensieri. Gli altri due smisero di
parlare,
fissandolo.
“Nat,
se pensi di non aver
assunto nulla, ma ne dubito…Come ti trovi in questa
situazione?” continuò suo
cugino.
Dopo qualche
attimo, il
ragazzo sembrò riprendersi, tornando a guardare suo cugino,
serio: “E’ stato un
errore mio…”
Sua zia non
capì: “In che
senso? Spiegati!”
“Volevo
essere più informa
per le gare, aumentare la massa muscolare. Così mi sono
autoprescritto delle
pillole, su internet…”
“E’
plausibile… - annuì
Tyler, guardando Courtney, come per rassicurarla – Molte
pillole sono fatte di
estrogeni e chi va in palestra tende ad assumerle, ma è
pericolosissimo!”
Quasi sollevata,
Courtney
si girò verso Nathaniel, per tranquillizzarsi del tutto:
“Quindi non vuoi
diventare un transessuale? Sicuro?”
“NO,
ho detto!” confermò,
seccato.
Quella si mise
una mano sul
petto, buttando fuori l’aria dalla bocca ad occhi chiusi:
“Oh, grazie a Dio!”
Nathaniel
roteò gli occhi,
irritato da quella reazione esagerata, poi si rivolse a suo cugino,
angosciato:
“Se fermo tutto subito, tornerò normale, giusto?
Insomma, si può sempre tornare
indietro, no?”
“Beh,
sì, sei ancora in
tempo per tornare indietro. Fortuna che sei venuto subito!”
“Quindi
mi basta smettere
di prendere queste pillole e tutto questo processo si
fermerà?”
“Assolutamente
sì, butta
quelle pillole!” gli suggerì.
Il ragazzo,
però, aveva
ancora qualche curiosità: “Ehm…se non
fossi venuto qui, che sarebbe successo?”
“Credimi,
saresti venuto
prima o poi. Difficile non accorgersi di certe cose.
L’importante è non aver
superato i sei mesi. Dopo almeno sei o sette mesi di terapia, il
processo
diventa quasi irreversibile.”
“Ah…”
mormorò, altamente
turbato, incantando il vuoto ancora una volta. Improvvisamente, il
telefono di
Courtney squillo.
“E’
Pete dal parcheggio… -
si alzò, dirigendosi alla porta – Vado a sentire
cosa vuole, torno subito!”
Tyler le
sorrise, mentre
usciva. La sua espressione, però, cambiò
radicalmente quando si chiuse la
porta. Era a dir poco furioso.
“Ma
sei impazzito??? – si
chinò in avanti, gli occhi fuori dalle orbite –
Come ti è venuto in mente di
autoprescriverti delle pillole su internet???”
L’altro
era mortificato:
“E’ stato un errore,
perdonami…”
“Un
errore??? – urlò – Se
ti fosse successo qualcosa, avrebbero scoperto del tuo problema al
cuore, ti
rendi conto? Nat, sanno tutti che sono il tuo medico!”
“Non
accadrà più, te lo
prometto.” non sapeva che altro dire, restando con lo sguardo
basso.
Finalmente Tyler
si calmò,
poggiando di nuovo la schiena: “Va bene…tu, butta
solo quelle pillole!”
“Adesso
vado, - si alzò -
grazie per avermi fatto avere subito le analisi…”
“Figurati,
ma non farmi più
questi scherzi!”
Nathaniel
annuì, amereggiato,
lasciando lo studio. Naturalmente aveva mentito, perché non
si era
assolutamente prescritto alcuna pillola su internet:
l’artefice di ciò che gli
stava capitando, sfortunatamente per lui, era qualcun altro.
*
Julie e Rider,
nel
frattempo, erano scesi nel seminterrato da qualche minuto. Avevano
delle torce
in mano, data la scarsa luminosità.
Rider faceva
strada, mentre
continuava a fissare la valigetta che la donna stringeva con
l’altra mano.
“Cosa
c’è lì dentro?”
“La
mia attrezzatura,
ovviamente… Pensavi che avrei aperto la panic room, urlando Apriti sesamo?”
L’altro
si sentì stupido:
“Giusto!”
Tuttavia, era la
tensione a
renderlo così nervoso e Julie la percepì, mentre
continuavano a camminare.
“Tutto
bene?”
Quello
continuò a guardare
avanti, senza voltarsi: “Ehm,
sì…”
“Questa
è la classica
risposta da maniaco del controllo…”
ribattè, cercando di farlo cedere.
“Cioè?”
si voltò giusto un
attimo.
“Non
sono io il nemico,
Rider. Io vi sto aiutando!”
“E
quindi?” rispose,
impassibile.
“Quindi
puoi parlare con
me. Insomma, anche io e Denna abbiamo fatto delle cose
illegali…”
Rider si
fermò bruscamente,
puntandola con lo sguardo: “Cosa ti fa credere che abbiamo
fatto qualcosa di
illegale? Non siamo come voi!”
Sorrise
cinicamente: “Però
qualcosa avete fatto…E non ne vai fiero!”
“Sì,
qualcosa è successo! –
alzò lievemente la voce, infastidito
dall’argomento – Ma è qualcosa che
riguarda me, Sam, Nat ed Eric, ok? Smettila, per favore!”
Julie non
aggiunse nulla,
continuando a fissarlo. Quello riprese a camminare, ma lei
spezzò nuovamente il
silenzio.
“…Ed
Anthony!”
Rider si
voltò nuovamente,
mentre quella continuava.
“Questa
cosa riguarda anche
il vostro amico morto, giusto?”
“Come
sai di lui?”
“Ho
visto quel video di
insulti… - spiegò - In più, non mi
avete ancora parlato di lui.”
Rider riprese a
camminare,
cercando di evitare il discorso: “Non
c’è nulla da dire, era un pessimo amico.
Fine!”
L’altra
capì che era meglio
non insistere: “D’accordo Rider, forse non ti senti
ancora pronto a fidarti di
me. Ti conosco da due giorni, quasi tre, e francamente ho capito che
non ti
fidi di nessuno, eccetto dei tuoi amici, ed è comprensibile
dato quello che
state passando…Sappi, però, che io mi sono fidata
di voi e che vi ho detto
tutto di me. E con tutto, non intendo cose come Ho
rubato un frullatore, ma cose che possono far finire me e mia
sorella dietro le sbarre.”
Il ragazzo
deglutì, quasi
stava per cedere e aprirsi, ma non lo fece: erano arrivati alla panic
room e
Rider illuminò la porta con la sua torcia, focalizzandosi su
quella.
“Benvenuta
nella tana di A!”
“Così
sarebbe questa la
panic room… – si avvicinò, toccando la
superficie della porta, gelata – Sembra
molto vecchia… - la scrutò attentamente
– Ad occhio e croce, direi che è stata
costruita prima del 2000, non credi?” si voltò
verso Rider in cerca di
conferma.
“Direi
di sì… - riflettè – Quando
questo posto è diventata una scuola, forse.”
“Prima
non lo era?”
“Al
secondo anno abbiamo
fatto un saggio sugli edifici storici di Rosewood. Io l’ho
fatto su questa
scuola, che prima era un manicomio!” spiegò.
“Ah,
interessante. –
mormorò quella, rabbrividendo – E quando
è diventata una scuola, esattamente?”
“Nel 1937!”
“E ora
dove sono finiti i
pazzi?”
“C’è
il Radley, adesso.
Fino al 36’ c’è stato il Wailord
Sanitarium, ma fu chiuso quando si scoprì che i
medici cercavano di curare l’insanità
mentale con assurdi metodi di tortura.”
Julie
rabbrividì ancora,
tant’è che la luce della torcia tremava per via
della sua mano: “Oookey, quindi
la panic room dev’essere stata inserita nel nuovo
progetto.”
“Sì,
può essere…” aggiunse,
mentre quella cercava un modo per aprire la porta, puntando la luce qua
e là.
“Come
puoi vedere, accanto
alla porta non c’è alcuna tastiera o quadrante.
Non c’è modo di entrare, a meno
che questo non sia il covo di A e
ci
siamo sbagliati. Alla fine non l’abbiamo visto entrare qui
con i nostri occhi.”
“Sì,
ma avete detto che
Eric ha sentito un forte rumore. – si avvicinò ad
una pila di scatole attaccate
alla parete, di fianco alla porta - Come quello di una porta che si
chiude!”
“Questo
seminterrato è
enorme, potrebbero esserci tanti altri posti in cui Brakner
può essersi nascosto.”
ribattè, tenendendo la luce puntata sulla donna, che stava
guardando dietro
alle scatole, in difficoltà.
“Ehi,
- si voltò verso di
lui – mi aiuti a spostarle, sono pensanti. Voglio vedere cosa
c’è dietro!”
Rider si
avvicinò subito,
poggiando la sua torcia su un’altra pila di cartoni. Insieme
riuscirono a
spostarle di qualche centimetro e Julie, nonostante avesse
già il fiatone, riprese
immediatamente la torcia e la puntò sulla parte di parete
che le scatole
comprivano.
Sorrise, per
ciò che vide:
“Bingo: una tastiera touchscreen!”
L’altro
sgranò gli occhi:
“Un po’ troppo in basso e lontana dalla porta,
direi.”
Con un altro
cenno della
donna, spostarono ulteriormente la pila di scatole, per avere la piena
mobilità
in quel punto, senza quell’ingombro. Tuttavia, il pavimento
ormai scoperto,
riservò altre sorprese.
“Oh,
cazzo! – Julie saltò
indietro, spaventata, dopo aver guardato a terra – Un
topo!”
Rider lo
puntò con la
torcia, indietreggiato anche lui in seguito all’urlo:
“E’ morto… - mormorò
disgustato – La settimana scorsa hanno disinfestato la
scuola.”
“Beh,
io non mi avvicino a
quel coso, spostalo!” gli ordinò nervosamente,
tenendosi a distanza.
Quello
sgranò gli occhi:
“CHE?? NO!” si rifiutò categoricamente,
terrorizzato quanto lei.”
“Oh,
ma che galante!”
esclamò, prendendo in giro la sua mascolinità.
Improvvisamente,
un rumore
proveniente alle loro spalle. I due, spaventati, si voltarono
immediatamente
con le luci puntate verso la sorgente di quel suono.
Restarono rigiti
per quasi
venti secondi, gli occhi spalancati. Qualcuno girò
l’angolo, restando accecato
dalle luci: era Sam.
“Potete
mettere giù le
torce? Sto per perdere la vista!” ordinò,
coprendosi a malapena gli occhi con
le mani.
Quei due
eseguirono,
buttando fuori l’aria per lo spavento preso.
“Dio,
pensavamo fosse
Brakner con un coltello in mano!” esternò Rider, i
cattivi pensieri che aveva
fatto.
“No,
ma potrebbe accadere. –
si avvicinò – Ha lasciato la sua classe,
l’ho visto.”
Julie
trovò strana la sua
presenza nel seminterrato, però: “Come sei uscito
dalla lezione?”
“Ehm…Professore, posso andare in bagno?
L’avevi suggerito tu!”
E mentre quella
si autoelogiava
con un espressione di compiacimento per quelli che pensava fossero
ottimi
suggerimenti, Rider era più preoccupato per la notizia
appena recepita.
“E’
dove è andato di
preciso?”
“In
segreteria, ha ricevuto
una chiamata!”
“Ok,
dobbiamo sbrigarci! –
pensò Julie, puntando la torcia verso la porta, restando
impalata – Prima,
però, Sam…potresti fare una cosa?”
Quello fece
immediatamente
una smorfia confusa: “Cioè?”
Fu Rider a
continuare:
“Dovresti togliere un topo! – lo
illuminò, affinchè lo vedesse –
Quello!”
Sam
sollevò le spalle,
trovandola una cosa da niente: “Tutto qui? Pff!” e
si avvicinò, prendendolo per
la coda e poggiandolo più lontano.
Gli altri due
erano a dir
poco nauseati.
“Ricordami
di non
stringerti più la mano, Sam.” Rider tratteneva a
stento il vomito, mentre Julie
si inginocchiava vicino alla tastiera, aprendo la sua valigetta.
“Tranquillo,
Rider. Tanto
non ci siamo mai stretti la mano!” esclamò, sereno.
Dopo una rapida
occhiata
tra loro, i due ragazzi restarono impalati a guardare Julie che faceva
il suo
lavoro.
“Cosa
stai facendo di
preciso?” domandò Sam, mentre quella rimuoveva la
parte frontale della
tastiera, rivelando i circuiti e le componenti del dispositivo.
“Collegherò
questo
apparecchio – lo mostrò, una volta tirato fuori
dalla sua valigetta - e attraverso
un programma ideato da Denna, ricaverò il codice
d’accesso. Cifra per cifra!”
spiegò, mentre tagliava i fili e collegava i due dispositivi.
“Fico!
– Rider sollevò le
sopracciglia, fingendosi entusiasta, quando in realtà voleva
immediatamente
entrare nella stanza – Comunque… – si
rivolse a Sam, nell’attesa – strano che
non sei preoccupato per Nat.”
“Ha
accompagnato sua zia in
ospedale, no? Che sarà mai!” esclamò,
ignaro.
L’altro
strinse i denti,
rendendosi conto che l’amico aveva capito male:
“Ehm, Sam, forse…Cioè, non è
che ha accompagnato sua zia, ma è sua zia che ha
accompagnato lui.”
“Rider!
– sussultò,
urlandogli contro – Perché non me l’hai
detto stamattina?”
“Guarda
che te l’ho detto!”
si giustificò, sollevando le spalle.
Sam
sbigottì qualche secondo,
prima di lamentarsi istericamente: “Masticavi un cornetto,
mentre me lo
dicevi…Ne hai mangiati tre!
“Stavo
morendo di fame, è
risaputo che le vittime di A hanno
bisogno di un apporto calorico in più rispetto a tutti gli
altri!”
Julie, intanto,
roteava gli
occhi mentre il suo apparecchio aveva già decifrato parte
della password.
“Ragazzi,
ci siamo quasi!”
Quelli,
però, continuarono
a discutere, ignorandola.
“Ma
sta bene? Cos’ha?”
domandò Sam, altamente preoccupato.
“Niente,
non mi ha detto
niente. Solo che doveva fare delle analisi!”
L’altro
sgranò gli occhi,
pensando al peggio: “Oh mio Dio…”
Rider
cercò subito di
rassicurarlo: “Dai, vedrai che non è
niente!”
“Non
lo so… - iniziò a
mordersi l’unghia del pollice, in ansia, mentre fissava il
vuoto – Non riesco a
stare molto tranquillo, ultimamente.”
Improvvisamente,
l’apparecchio di Julie emise un suono continuo. Quella, poi,
alzò in piedi,
mettendosi davanti alla porta, iniziando a dare istruzioni.
“Appena
la porta si apre,
dobbiamo entrare tutti nello stesso momento. Scusate la
volgarità, ma, in
definitiva, dovete starmi attaccati al culo!.”
Sam fece una
smorfia
perplessa, oltre che basita: “Ehm, che succede se non
entriamo tutti nello
stesso momento?”
Quella si
voltò, secca:
“Vieni schiacciato dalla porta, ecco che succede!
All’arpertura della panic
room, ci saranno dei sensori di movimento che rileveranno il nostro
passaggio.
Dal momento in cui entro per prima, ci saranno almeno 860 millisecondi
di
stacco che non dovete superare, perchè corrispondono davvero ad un battito
cardiaco umano a
riposo.”
“Cosa
ti fa credere che sia
così?” chiese Rider.
“La
panic room sarà stata
anche progettata più di un secolo fa, ma la tecnologia
è nuova. Questa stanza
blindata, ospita solo una persona, adesso.”
Sam e Rider
annuirono,
mettendosi dietro di lei. Julie osservò
l’apparecchio, la password fu
confermata.
“Dietro
di me! – urlò – Non
perdete tempo, dovete essere veloci!”
La porta si
aprì, emettendo
un suono meccanico. Julie ci saltò immediatamente dentro,
seguita subito dai
ragazzi che quasi saltarono con lei nello stesso istante per paura di
soccombere.
Finalmente erano
tutti
dall’altra parte, la porta si chiuse rapidamente, come aveva
detto Julie.
“Fiuu!
– sospirò Rider – Giuro
che me la sono fatta sotto!”
Sam fu
d’accordo, la fronte
sudata: “A chi lo dici!”
Julie, intanto,
scrutò il
piccolo spazio in cui si trovavano. Era un piccolo corridoio di 10 mq,
stretto,
illuminato da una luce forte, le pareti fatte di metallo arrugginito.
C’era
un’altra porta, molto più nuova rispetto alla
prima, alla fine di quel
corridoio.
“Deduco
che non siamo
ancora entrati nella panic room. – pensò la donna,
buttando gli occhi in basso,
ai lati della nuova porta – Ci sono altri due sensori di
passaggio, ma la porta
è diversa. Molto più ermetica. Il vostro
professore deve aver fatto delle
modifiche qua giù!”
Sam, dietro di
lei come
Rider, era a dir poco a bocca aperta: “E’
inquietante…Vi prego, facciamo
presto.”
Julie non se lo
fece
ripetere due volte, mentre Rider deglutiva, pensando a cosa potesse
esserci
dietro a quella porta.
Il sensore
rilevò
immediatamente la gamba di Julie, non appena quella si fece avanti.
Immediatamente si attivò l’apertura della porta
che emise un suono simile
all’aria pressurizzata.
Finalmente si
trovarono davanti
alla vera panic room, una luce meno forte e leggermente instabile. La
prima
cosa che poterono scrutare dall’ingresso, fu una tipica
botola di metallo da
terra, al centro della stanza, installata nel pavimento. La fissarono
per
qualche secondo, prima di fare un passo avanti.
Nell’istante
in cui
varcarono la porta, la porta si richiuse e i tre si voltarono,
spaventati dal
rumore che fece. Subito, poi, ripresero fiato e si concentrarono su
ciò che li
circondava, tra cui: fotografie appese alle pareti; una scrivania con
sopra un
computer acceso e una lampada spenta accanto; delle scatole sotto alla
scrivania; un tavolo con sopra tre monitor accesi; un sistema di
videosorveglianza vecchio e polveroso, appeso al muro e spento; un
vecchio
armadio marrone; una vecchia e piccola televisione impolverata sopra un
mobiletto e un videoregistratore attaccato.
Dopo che Julie
avanzò,
diretta al computer, Sam avanzò verso le foto appese ai
muri, dall’altro lato
della stanza, che in fin dei conti non era assai grande. Rider
seguì Julie,
naturalmente. I tre erano abbastanza impressionati, non avevano parole.
“A ci ha seguiti ovunque andassimo. Dal
primo momento…” mormorò Sam,
scioccato, mentre si osservava nelle foto.
Julie, intanto,
si sedette
al computer, Rider alle spalle: “Non c’è
alcuna password, possiamo guardare
tutte le cartelle che ci sono.”
“Sì,
ma dobbiamo fare
presto. La quinta ora sta per finire e Sam ha detto che Brakner
è andato in
segreteria, non sappiamo se sia ritornato in classe.”
spiegò Rider, poco tranquillo.
“Merda!
– Julie si colpì la
fronte – Ho lasciato la valigetta fuori, avevo portato una
pen drive…”
“Fa
niente, iniziamo a
guardare!” suggerì Rider.
Sam, intanto,
stava
continuando a visionare tutte le foto, sempre in disparte,
finchè non vide
quella del suo bacio con Nathaniel, davanti alla prigione di
Philadelphia.
Immediatamente sgranò gli occhi, staccandola dal muro e
mettendola nelle
mutande. Teso, si voltò verso gli altri due, tirando un
sospiro di sollievo
nello scoprire che non l’avevano visto; assieme a Nathaniel,
mantenevano ancora
segreta la loro visita a Jasper.
Facendo finta di
niente, si
avvicinò finalmente ai due, evitando la botola, sopra la
quale era quasi
inciampato.
“Perché
solo io sembro
incuriosito da questa vecchia botola?”
Rider gli
rispose subito,
mantenendo gli occhi incollati sullo schermo:
“Perché le cose più importanti
sono nei computer. E’ la prima cosa da guardare, quando si ha
poco tempo.”
“Per
me va bene, non ho
tanta voglia di scoprire cosa c’è dentro quel buco
o quello che è… - pensò,
intimidito, per poi voltarsi a guardare i tre monitor
sull’altro tavolo – Dio,
ha occhi su tutta la scuola…Saranno
almeno…”
L’amico
lo precedette:
“Trentadue telecamere, le ho già
contate!”
“Trentadue
volte
inquietante!” sollevò le sopracciglia, quello,
guardandosi nuovamente attorno.
“Sam,
ti dispiace fare
qualche foto della stanza? – si voltò Rider a
chiederglielo – Così vedono anche
Nat ed Eric…”
“Certo!
– esclamò, tirando
fuori il telefono dalla tasca – Li avviso anche che siamo
entrati…”
*
Nathaniel stava
salendo le
scale del portico di casa sua, dopo essere sceso dalla macchina di
Pete. Era al
telefono con Eric.
“Hai
ricevuto il messaggio
di Sam? Dice che sono entrati nella panic room.”
esclamò, mentre prendeva le
chiavi.
“Sì,
l’ho ricevuto…E comunque
sono al Brew, devo parlare con Todd!”
“Chi
è Todd?”
“Il
proprietario del
Brew…” mormorò
con voce amareggiata e
stanca.
“Pensavo
sapesse
dell’incidente di Alexis, no?” ribattè,
entrando in casa.
“Lo
sa, ma non è per quello
che voglio parlare con lui…Stamattina, in ospedale, ho
dimenticato di dirti che
ho ricevuto un messaggio da parte di A.
Ha investito Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew, sapeva che
cercavo
lavoro.”
“Ma
è da malati… – pensò,
gettando le chiavi sul tavolo della cucina e appogiandosi sopra con una
mano
per concentrarsi sulla converazione – E stai pensando di
farlo davvero? Chiedere
il posto di Alexis?”
“Che
altro dovrei fare,
Nat? – si agitò – Se non lo faccio, A potrebbe
presentarsi nella stanza di Alexis con un cuscino puntato sulla sua
faccia!”
Sospirò,
rendendosi conto
che era alle strette: “Scusa, mi
dispiace…E’ davvero un gran casino!”
“Puoi
dirlo forte…E in più
sento che il peggio deve ancora arrivare, ma cosa può
esserci di peggio?
Cos’altro può fare una sola persona?”
Nathaniel
rimase qualche
secondo in silenzio, pensando a quello che stava accadendo a lui:
“…Non so se
ho mai avuto realmente paura, da quando è iniziata questa
storia di A…Ora,
però, credo di averla davvero…”
Eric
comprese perfettamente,
immaginando si riferisse in generale: “Io ho iniziato ad
avere paura la
settimana scorsa, quando sono rimasto bloccato in quella fogna.
Davvero, ho
pensato di non farcela… - preferì sorvolare quel
ricordo, poi – Comunque hai
fatto gli esami? Stai bene?”
“Preferisco
parlarvene di
persona…” rispose con un tono assai serio.
Eric
si preoccupò: “Ok,
però così mi stai
spaventando…”
“Ne
parliamo quando ci
vediamo di persona, ora devo andare. Scusami.”
Poco
convinto, l’altro non
insistette: “Va bene, a dopo!”
Dopo
aver terminato la
conversazione, Nathaniel chiuse gli occhi, appoggiandosi con entrambe
le mani
sul tavolo, chinando la testa in basso, riprendendo un attimo fiato.
Si
diresse, poi, verso il
frigo, prendendo una bottiglietta d’acqua. La
portò alla bocca, pronto a berne
un sorso, ma si bloccò improvvisamente, portandola indietro;
ripensò a quando
Sam era stato drogato con l’acqua che aveva bevuto dal suo
frigorifero, così la
rimise al suo posto, richiudendo il frigo, indietreggiando spaventato.
Improvvisamente,
sentì
qualcuno entrare in cucina alle sue spalle e si voltò di
scatto: era suo padre.
“E
tu che ci fai qui? –
aveva gli occhi leggermente chiusi, trasandato nell’aspetto
– Pensavo fossi a
scuola…”
“E
io pensavo che tu fossi
al ristorante…”
“Sono
dovuto tornare. – si
grattò il capo, una smorfia sofferente, mentre si avvicinava
ad un mobiletto –
Ho un gran mal di testa, non riuscivo a tenere gli occhi
aperti!”
“E
chi c’è al ristorante,
adesso?”
“Jamie!”
rispose,
recuperando delle aspirine.
Nathaniel
inclinò la testa,
come un gufo, perplesso: “Ma lo conosci da meno di un mese,
non puoi lasciarli
in mano l’attività di famiglia!”
Quello
si stava riempiendo
un bicchiere d’acqua per mandare giù
l’aspirina, massaggiandosi le tempie: “E’
un bravo assistente manager, Nathaniel. L’attività
di famiglia non cesserà di
esistere per un giorno che mi assento.”
“Vuoi
che vada a
controllare?” non si convinse tanto.
“No,
se la caverà! E
comunque… - continuò, dopo aver mandato
giù l’aspirina – non hai risposto alla
mia domanda. Perché non sei a scuola?”
“Ehm…
io ho… - inventò, poi
– accompagnato la zia Courtney in ospedale! Doveva fare delle
analisi, ma non
ha niente. Era preoccupata per qualcosa, ma falso allarme.”
“Mmmh,
interessante… –
disse, però, disinteressato, sollevando le sopracciglia
– Con Courtney è sempre
un falso allarme; come quella volta che mi fece girare tre volte
davanti ad un negozio
di porcellane perché pensava di aver visto Colin
Firth!”
Nathaniel
si lasciò
sfuggire una piccola risata, poco vivace: “Che diavolo ci
verebbe a fare Colin
Firth a Rosewood!”
“Già,
è quello che le ho
detto anch’io! – fissò, poi,
l’orologio della cucina – Ora devo uscire, tua
madre mi ha chiesto di comprare alcune cose per
l’inaugurazione del salone.”
“Ah,
già, è domani! Sembra
ieri che faceva la parrucchiera abusiva in casa, in attesa che i lavori
finissero.”
“Vado
allora… Poi vedrò di
passare a controllare Jamie, al ristorante. L’aspirina fa
già effetto!” si
congedò.
“Ok,
dì a Mamma di stare
tranquilla, sarà un successone!”
“Ok!”
esclamò quello, già
fuori dalla cucina.
*
Nella
panic room, intanto, i
ragazzi stavano ancora esaminando le cartelle sul desktop. Rider
sembrava
alquanto seccato, alle spalle di Julie.
“Passa
avanti, queste sono
solo foto, foto e altre foto di noi. Stiamo solo perdendo
tempo!” e quella
passò immediatamente ad ispezionare un’altra
cartella.
Sam,
intanto, si era
avvicinato alla piccola televisione, pulendo lo schermo polveroso con
la mano.
Più in basso c’era il tasto di accensione e lo
premette. Immediatamente lo
schermo si illuminò, mostrando delle immagini in bianco e
nero. Il volume era
inesistente. Quello subito si chinò in ginocchio, aprendo
gli sportelli del
mobiletto: c’erano undici videocassette.
“Non
è buffo che un professore
di matematica abbia una passione per i gialli di Agatha Christie?
– condivise
le sue perplessità, facendo voltare gli altri due
– Qui c’è tutta la prima
stagione di Miss Marple andata in
onda dal 1984 al 1992 su BBC one!”
“…A
me piace l’odore della
benzina!” commentò Julie.
Quelli
assunsero una
smorfia confusa, fissandola.
“Che
c’è? Ognuno ha le sue
stranezze!” si giustificò quella, animatamente.
Rider
scosse la testa,
tralasciando: “Sam, spegni quel coso e vieni qui!”
Julie
era tornata ad
esaminare delle cartelle e finalmente sembrò aver trovato
qualcosa, mentre Sam
si avvicinava nuovamente a loro.
“Qui
ci sono degli audio…”
portò la freccia del mouse sopra una delle tracce.
Rider
fece un rapido cenno
a Sam: “Riprendi tutto con il telefono, mi
raccomando!”
Quello
eseguì immediatamente,
mentre il primo audio era in riproduzione.
“Rider: Ehi,
Sam! – Sam: Stai leggendo
anche tu i
commenti? – Rider: Certo…
E trovo
incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono
le
stesse persone che fino ad una settimana fa li passavano davanti,
ignorandolo
come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina, e adesso
tutti vogliono
essere suoi amici, gli scrivono dediche…”
“Ma
questa è una nostra
vecchia conversazione telefonica. - ricordò Sam –
L’abbiamo fatta dopo…”
“Il
funerale di Anthony!”
ricordò all’istante anche Rider.
Julie
continuò ad ascoltare
con attenzione, senza aprire bocca.
“Sam: Ci sono commenti anche su Anthony…e
anche qualcuno su di noi. – Rider:
Beh, la morte non ripulisce la
tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo!
– Sam: Ho pianto per
quasi venti minuti,
dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che
potevamo essere
liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non
mi sento per niente libero né
felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo
nel…”
Rider
sgranò gli occhi,
esattamente come Sam, ricordando per filo e per segno quella
conversazione e
quale parola sarebbe seguita. In un lampo, prese bruscamente le redini
del
mouse, selezionando l’audio successivo in maniera nervosa.
“Passiamo
avanti, inutile
ascoltare conversazioni che abbiamo già vissuto!”
Alquanto
insospettita dal
suo comportamento, Julie rimase rigida a fissarlo perplessa:
“Ok, se lo dici
tu…”
“Lindsay: A
proposito… Grazie per non aver detto nulla a nessuno.
Insomma, so che mi hai
vista quella notte.”
Rider
sobbalzò:
“Ma questa è la voce di mia sorella!”
“Chloe: Q-quale notte?”
Sam
si chinò in avanti, riconoscendo la seconda voce:
“E
questa è di Chloe…”
“Lindsay:
Avanti, lo sai. Non fingere. Quella in cui mi hai visto assieme ad
Albert.
Nella macchina blu. -Chloe: Ah, eri
tu? – Lindsay: Chloe, ti
sto facendo
paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa
mia,
vero? - Chloe: No
no, certo che no,
ma… Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata
l’ultima persone ad averlo
visto? - Lindsay: Non ero da sola,
quella notte. Sai, io frequento, diciamo…una persona
più grande e… Insomma, non
volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la
faccenda.
Lo capisci, no? – Chloe:
Sì si,
certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi
era questa persona più
grande con cui eravate?”
Julie
sembrò
sempre più perplessa, mentre gli altri due ascoltavano,
assorti.
“Chi
è questo
Albert che nominano sempre?”
“Shhh!”
borbottarono entrambi.
“Okeey,
va bene!”
esclamò quella, irritata.
“Lindsay: Anthony
dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! Hai
presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su
Anthony, mio
fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta
dell’aula in
cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da
quel corridoio,
per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da
domandargli
cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando
i ragazzi se ne andarono,
entrammo e prendemmo la videocamera.”
Rider
e Sam si
guardarono, continuando ad ascoltare.
“Chloe:
Volevate che la scuola vedesse quel video? Ok che Albert
volesse questo, ma
tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa
del genere?”
“Già,
ottima domanda! Cento punti per Chloe!” commentò
Rider.
Julie
intervenne: “E zero punti per me: non ci sto capendo un
tubo!”
Quelli
la ignorarono nuovamente, interessati alla risposta.
“Lindsay: Non
volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in
pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva
lasciarci in
pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe
preoccupato lui di
parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e
lasciare che
facesse tutto lui. – Chloe:
Ma,
aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la
scomparsa di Albert. Sei
stata tu? – Lindsay:
“No! Te l’ho detto, non
volevo farlo. Dopo la
scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai
che girava di notte
verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto
del ragazzo con cui ero e gli
ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era
tutto
risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho
più visto né sentito. Chloe:
Ma… Se non sei stata tu a
divulgare il video, allora chi è stato? – Lindsay:
Non è evidente? E’ stato Albert!”
“Ehh???”
Sam si guardò perplesso con Rider.
Julie
spostò lo sguardo fra i due: “Che
c’è? Che succede? Che avete capito?”
“Julie,
potresti lasciarci ascoltare? – la richiamò Rider
– E’ una questione nostra,
grazie!”
Quella
roteò gli occhi, dopo essere stata ammonita per
l’ennesima volta.
“Chloe: Sicura
che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert,
nel corso della giornata? Magari è stato lui! – Lindsay: E’ stato tutto il
giorno con me! L’unico ad avere quel
video era Albert ed è stato lui! – Chloe:
Quindi pensi che Albert sia nascosto qui a Rosewood? – Lindsay: Io penso che Albert
abbia ucciso Anthony e suo padre e
che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire.
Questo, però, non
l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che
l’hanno sempre sostenuto:
mio fratello e i suoi amici… Albert sembrava un tipo
instabile. L’ultima volta
che l’ho visto non aveva una bella cera.”
“Perché
sta dicendo queste cose a Chloe?” non capì Sam,
rivolgendosi all’amico.
Rider
scosse la testa, interessato ad ascoltare il resto.
“Chloe: Se pensi che si nasconda qui,
allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i
ragazzi. –
Lindsay: E se mi sbagliassi? Albert
ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato
davvero
lui? Magari è davvero scomparso ed è stato
qualcun altro, magari c’è molto di
più dietro e io non voglio guai! Ora devo
andare…In ogni caso, grazie di non
aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”
La
registrazione terminò, lasciando abbastanza perplessi i
ragazzi; Julie in primo
luogo.
“Volete
spiegarmi perché siete così tanto presi da questa
registrazione, quando chi vi
sta tormentando è un professore di matematica?”
“Ci
sono altre persone coinvolte!” si lasciò sfuggire
Sam, subito rimproverato.
“Shhh,
sta zitto! Lei non è tenuta a sapere queste cose…
- tutelò la sorella, di cui
non aveva rivelato la sua complicità con Brakner a Julie - E
TU, - si rivolse a
lei, ora, aggressivo – smettila di farci domande! Eri tenuta
solo a farci
entrare nella panic room per restituirci il favore,
nient’altro!”
“Tua
sorella parla di omicidi…E’ questo che A
ha contro di voi? Siete coinvolti?”
continuò Julie, testarda, sfidando la
pazienza del ragazzo.
Sam
cercò di spiegarle: “E’ stato un
incidente, Anthony…”
“BASTA!
– urlò Rider, fermandolo – Vuoi chiudere
quella bocca?”
“E’
coinvolta, ormai!” ribattè con lo stesso tono.
“Già,
sono coinvolta!” si aggregò Julie.
Rider
continuò sulla difensiva, testardo: “Beh, dopo
essere usciti da qui, non lo
sarai più!”
Quella
lo trovò ridicolo: “Ormai lavoro qui, non posso
licenziarmi dopo il terzo
giorno!”
Sam
troncò immediatamente la conversazione, dopo aver guardato
l’orologio: “Ehm,
ragazzi, mancano dieci minuti alla fine della quinta ora.”
L’amico
sbuffò, sedendosi al posto di Julie al computer:
“Accidenti, non siamo nemmeno
riusciti a trovare i nostri video, ci sono troppe cartelle…
- continuò ad
aprirne altre – Moltre contengono cose inutili
e…” improvvisamente si bloccò.
“E,
cosa??? – si pronunciò Sam, alle sue spalle,
notando l’improvvisa interruzione
– Rider??”
Quello
non rispose, digitando qualcosa sulla tastiera.
“Lo
sapevo! – si distanziò con la sedia dalla
scrivania – Non c’è!”
Julie
intervenne, curiosa: “Che succede?”
Rider
si voltò a spiegare, spostando lo sguado tra i due;
più verso Sam: “Tutto
questo è un bluff, A sapeva
che
saremmo entrati qui!”
“E’
impossibile che potesse prevederlo. Julie ha modificato i nostri
bracciali, non
può più ascoltarci in nessun modo!”
“Dimentichi
che A è in questo
edificio con noi e
che le porte sono molto sottili. Dovevamo fare più
attenzione, mentre ne
parlavamo.”
“Sì,
ma come hai capito il bluff?” domandò Julie.
“Manca
una cartella che dovrebbe esserci, chiamata Rosewood-riservato.
Contiene delle
cose che forse possono farci capire perché A
ce l’ha con noi. In più, questo computer
è stato riempito con molte cose.
E’ una chiara messa in scena!” spiegò
Rider.
Sam,
facendo qualche improvviso colpo di tosse, si avvicinò al
computer: “Ora che lo
vedo meglio, non sembra uno dei computer che ci sono
nell’aula di informatica?”
Quello
si voltò a guardarlo nuovamente, facendo qualche colpo di
tosse anche lui: “In
effetti, si…Deve aver messo il suo vero computer da
un’altra parte.
“Quindi…
- Julie si mise la mano a pugno davanti la bocca, tossendo, prima di
continuare
- Siamo scesi qui al vuoto?”
Rider
tossì ancora, prima di continuare: “A quanto
pare…”
Sam,
improvvisamente perplesso, spostò lo sguardo fra i due:
“Perché stiamo tossendo
tutti?”
Quelli
si guardarono, facendo caso alla cosa.
Rider
tossì ancora, per poi allarmarsi: “Ok, che sta
succedendo?”
Julie,
con lo sguardo fisso nel vuoto, riflettè, per poi voltare la
testa verso la
parete che aveva alle spalle, guardando in alto, verso una piccola
grata: “Il
condotto di aerazione… - fece notare – Quando
siamo entrati, il filo annodato
alle sbarre della grata ondeggiava…”
Sam,
con un tono poco tranquillo, descrisse ciò che vedeva:
“Ehm, ok, ma ora non
ondeggia più e questo vuol dire che…”
Rider
si affrettò a completare, una nota nervosa nel tono:
“Non c’è più cambio
d’aria, stiamo respirando anidride carbonica!”
Sam
andò subito nel panico, mentre Julie iniziava ad agire.
“Ok,
- tossì ancora, come gli altri - dobbiamo uscire
immediatamente di qui, prima
che non ci sia più ossigeno da respirare!”
esclamò, dirigendosi alla porta,
premendo più volte il pulsante verde d’uscita.
Nonostante
l’avesse premuto più volte, la porta non si apriva.
“Beh?”
domandò Sam, fissandola in maniera insistente, teso come una
corda di violino.
L’altra
si voltò, il panico nello sguardo: “Ehm, non si
apre!”
“COSA?”
urlarono entrambi, increduli.
“Deve
aver interrotto il flusso di corrente da remoto!”
spiegò quella, mentre lo
schermo del computer diventava nero.
Quelli
si voltarono a guardare e subito comparve una scritta.
“Quanti
ficcanaso servono per finire l’ossigeno in una piccola
stanza?”
-A
Rider,
esplodendo in svariati colpi di tosse, si fece prendere dal panico
più totale:
“No, non morirò qui dentro!”
Corse
immediatamente verso la porta, prendendola a calci. Sam, con il volto
rigido
per il terrore, si guardò attorno, mentre Julie teneva una
mano davanti alla
bocca e l’altra sul petto, tossendo.
“Che
facciamo, adesso? – urlò Sam, gli occhi lucidi
– E pensare che io ero in classe…”
Julie
si fissò immediatamente a guardare la botola, pensando di
poterla usare come
via di fuga, avvicinandosi: “Ehi, aiutatemi qui!”
Rider
accorse subito alla sua chiamata, stringendo il manubrio arrugginito
con le
mani e cercando di farlo sbloccare. Sam titubò, gli occhi
sbarrati, lo sgomento
che ormai l’aveva impossessato.
“E
se non ci fosse una via d’uscita sotto quella botola? E se ci
fosse solo un
buco che ospita un cadavere?”
pensò a
quello di Albert, che deteneva ancora A.
Julie
alzò la testa, atterrita: “Un cadavere?
– tossì - Quale cadavere?”
Rider
fulminò l’amico, ancora una volta, per aver
parlato troppo: “Niente, sta
vaneggiando, continuiamo a girare. Sam, aiutaci!”
Serrando
la bocca, quello esegui, inginocchiandosi assieme a loro, tra la fatica
e la
tosse sempre più insistente. Il manubrio iniziò a
sbloccarsi, ma lentamente. Le
mani di Sam scivolavano.
“Accidenti,
ho le mani sudate!”
“Anch’io!
– esclamò Rider, che subito ebbe un lampo
un’idea, guardando l’armadio - Prova
a vedere se c’è qualcosa lì dentro che
possa aiutarci a migliorare la presa!”
Sam
si alzò, traballando. Raggiunse l’armadio quasi
senza fiato, per poi aprire le
porte e restare esterrefatto.
“Un
armadio vuoto? – si voltò verso gli altri due
– Chi cavolo porta un armadio qua
dentro per non metterci nulla?”
Improvvisamente,
dopo una tosse esagerata, Julie svenì di colpo.
Entrambi
i ragazzi sgranarono gli occhi.
“Oh
no!” esclamò Sam, fissando subito Rider.
“Sam,
sbrigati, torna qui prima che sveniamo anche noi!” gli
urlò.
Quello
corse immediatamente vicino a lui, tirando il manubrio con tutte le
loro forze.
Ad un certo punto, Rider si fermò, lo sguardo perso nel
vuoto.
“Non…
Non riesco a respirare…”
“Rider?”
lo fissò Sam, spaventato.
Le
pupille del ragazzo salirono verso l’alto e svenì
anche lui.
“RIDER!
– gridò Sam, sfociando in un espressione di panico
assoluto, avvicinandosi a
lui – No, Rider, ti prego, svegliati! –
tossì, scuotendolo - SVEGLIATI!”
Quando
comprese che sarebbe stato il prossimo, Sam si guardò
attorno con il fiato
corto, non sapendo cosa fare. Farfugliando cose.
“Ok,
Sam, sta calmo... – chiuse gli occhi – sta calmo,
sta calmo…”
Subito,
poi, si tolse il maglione, mettendolo sul manubrio, stringendo le mani
sopra di
esso. Ora la presa era più salda e le mani non scivolavano
più. Sam girò quel
cerchio di metallo con tutte le sue forze, i denti stretti e il viso
livido per
lo sforzo. Man mano che girava il manubrio, quello si sbloccava sempre
più,
ruotando veloce. Era ormai al limite, stava per svenire anche lui, ma
ce
l’aveva fatta: sollevò immediatamente il
portellone. L’aria stava finalmente
entrando nella stanza. Sam si lasciò cadere
all’indietro, esausto.
Julie
e Rider ripresero a respirare, sollevandosi bruscamente, come fossero
appena
riemersi dall’acqua.
“Oh
mio Dio, sono vivo!” esclamò Rider, prendendo
grossi respiri, la mano sul petto.
“Avete
aperto voi la botola? – domandò Julie, mentre si
riprendeva anche lei – Io non
ricordo…”
“Sono
stato io! – Sam alzò la mano, mentre era ancora
sdraiato a riprendere le forze
– L’ho aperta io, ma c’è
mancato poco.”
Rider,
curioso, guardò subito dentro la botola, descrivendo
ciò che vedeva: “C’è una
scala che porta fino a giù e
dall’odore…deduco porti alle fogne! –
roteò gli
occhi, seccato – Di nuovo!”
Julie
non capì cosa intendesse: “Come sarebbe, di
nuovo?”
“Benvenuta
nel mondo delle trappole di A!
–
prese parola Sam, alzandosi – Questa non è la
prima volta che tenta di
ucciderci… - assunse un’espressione angosciata - A
volte mi chiedo se sia solo
un gioco in cui alla fine ci permette di salvarci o vuole realmente
farci fuori
e noi siamo tremendamente fortunati.”
Julie
spostò lo sguardo fra i due: “Beh, non posso dire
la mia se non conosco i
fatti. Ma ha tutta l’aria di essere una vendetta,
questa!”
“Lo
è, infatti!” sottolineò Rider, con tono
marcato.
La
donna comprese il loro disagio e pensò che era meglio
lasciare quel posto,
entrando nella botola per prima: “Usciamo da qui e torniamo a
scuola, prima che
chiamino la polizia per accusarmi di rapimento di minori!” e
iniziò a scendere,
seguita dai due ragazzi.
Poco
dopo, erano di sotto, nelle fogne. Sam aveva appena messo piede a
terra,
lasciando la scala. I tre si guardarono a destra e sinistra,
l’acqua che
scorreva al centro del tunnel.
“Rider,
come ci muoviamo per tornare sopra?” gli domandò
Sam a bruciapelo.
Quello
gli lanciò un’occhiataccia, costringendo
l’altro a giustificarsi subito.
“Che
c’è? Tu conosci questi tunnel meglio di
noi!”
Julie
fece subito una supposizione, in merito a quel commento: “A ti ha intrappolato nelle fogne, ho
capito bene?”
Rider
si voltò a risponderle: “Ha attirato me ed Eric in
un vicolo cieco e ha fatto
esplodere la parete di una camera stagna. Saremmo morti affogati se Sam
e Nat
non ci avessero trovati, quando è successo.”
Quella
scosse la testa, incredula e dispiaciuta: “…Beh,
sarà meglio trovare il tombino
più vicino e risalire.” prese, poi, a camminare,
seguita dai due.
Sam,
rimasto leggermente indietro per sua intenzione, si tolse la fotografia
che
aveva preso nella panic room dalle mutande e la gettò nel
fiumiciattolo,
alzando poi il passo.
*
Eric,
intanto, era al Brew, in piedi davanti al bancone, che guardava Todd in
fondo
al locale, parlare con una cliente seduta ad un tavolo. Oscillava da
destra a
sinistra, traballante, cercando di fargli un cenno ogni volta che
pensava
l’avesse notato. Sfortunatamente, però, quello
sorrideva, preso dalla
conversazione, così Eric si arrese, guardando in basso,
sbuffando, pronto a
salire nel suo appartamento. Improvvisamente, quando
risollevò lo sguardo, Todd
stava arrivando verso di lui e colse l’occasione al volo.
“Ehi,
Todd!”
“Ouh,
ciao Eric!” si fece cogliere distratto, mentre pensava ancora
alla
conversazione appena avuta.
“Immagino
tu abbia saputo di Alexis…” cominciò,
leggermente nervoso.
“Ovviamente!
Mi ha anche chiamato dall’ospedale, che triste
storia…” cercò di mostrarsi
dispiaciuto, mentre smanettava il suo telefono con un sorrisino
lussurioso,
voltandosi per un secondo a guardare la cliente con cui stava parlando
poco
prima; anche lei contraccambio quel sorriso.
Eric
non si accorse di tutto ciò, impegnato a trovare le parole
per chiedere il
posto di Alexis, sudando: “Senti, Todd, mi chiedevo
se…”
L’altro,
troppo distratto, voleva tagliare corto: “Tranquillo, il
posto di Alexis è al
sicuro, non assumerò altre persone. E poi Pam ha accettato
di fare anche i suoi
turni: che ragazza!” agitò i pugni, con molto
entusiasmo.
Eric
si voltò a guardare Pam assieme a lui, mentre quella
guardava loro, pulendo il
bancone assai seccata.
Todd
tornò serio, rendendosi conto dell’odio che stava
palesemente ricevendo: “Beh,
forse le ho dato un ultimatum, ma…Più soldi per
Pam, no? Dovrebbe essere
contenta, non capita tutti i giorni di poter fare turni extra
perché la tua
collega viene investita da un pirata della strada, dico bene?”
Eric
annui, sforzando un sorriso alla sua superficialità,
azzardando ciò che aveva
da chiedere: “Senti, forse potrei occupare io il posto di
Alexis!”
Quello
rimase serio per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Smise di
farlo,
non appena si accorse che il ragazzo non stava per niente ridendo:
“Ah, ma sei
serio?”
“La
mia ragazza è in un letto d’ospedale, potrei mai
fare dell’ironia?”
“Ok,
ma rientrerà al lavoro tra qualche giorno, no?”
“Ma
se non cammina!” rivelò.
“Non
cammina?? – rimase sorpreso – Ma al telefono ha
detto che stava bene!”
“Beh,
forse è una cosa temporanea… - si
mostrò improvvisamente triste - E poi quei
soldi li guadagnerei per lei, finchè non si rimette. Le
serve questo lavoro.
Fino all’ultimo centesimo!”
“Ascolta,
Eric. – gli prese la spalla, il tono pacato –
Assumo solo ragazze carine, qui
al Brew: le ragazze carine attirano molti clienti. Capito?”
“Un
po’ sessista, non trovi? – pensò,
guardandolo male – Sono un bel ragazzo
anch’io, non credi che potrei attirare tante ragazze? E poi a
giudicare da come
guardavi quella cliente, non preferiresti vedere tante ragazze
anziché tanti
ragazzi?”
Quello
strinse gli occhi, mettendo le labbra a papera, notando i troppi
clienti maschi
in giro per il locale: “Non l’avevo vista sotto
questo punto di vista… - disse,
fissando poi il ragazzo – Sei assunto!”
“Cosa?
Davvero?” sobbalzò, sorpreso.
“Sì,
certo, quale turno vuoi?” voleva sbrigare in fretta quella
formalità, ignorando
la contentezza del ragazzo.
“Mi
va bene quello dalle 18.00 alle 21.30!”
“Affare
fatto, allora. – si congedò, allontanandosi
– Vado a dare la notizia alla
nostra Pam, inizi domani!”
Eric
sorrise da solo per qualche attimo, felice di aver ottenuto il posto.
Poi si
rattristò immediatamente, pensando a come
l’avrebbe spiegato alla sua ragazza.
*
Intanto,
contrariamente a quanto detto dal padre, Nathaniel andò a
controllare l’operato
di Jamie al ristorante. Quando entrò, vide che
c’erano molti clienti e che
pranzavano tranquillamente. I camerieri stavano facevano il loro
lavoro,
prendendo gli ordini e tutto sembrò essere nella norma.
Subito dopo, entrò
nelle cucine, parlando con uno dei cuochi.
“Ehi,
Ramon, va tutto bene qui?”
Quello
si voltò, mentre agitava una padella sul fuoco alto:
“Todo bien, Nathaniel. Su
padre está aquí?”
“Ehm,
no no… - si guardò attorno, vedendo che era tutto
a posto - Ci sono solo io,
sono venuto a controllare come stavano andando le cose….
– ovviamente notò
tutti i dipendenti, tranne uno – Jamie
dov’è?”
“Sul
retro, ha ricevuto una chiamata!”
“Ok,
Ramon, grazie. Buon lavoro!” si congedò, ricevendo
un sorriso da parte dell’uomo,
che tornò a concentrarsi su ciò che stava facendo.
Nathaniel,
poi, si diresse fuori, a cercare Jamie. Lo vide in lontananza,
impegnato in una
conversazione abbastanza animata.
“Ti
ho detto di darmi altre due
settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due
settimane,
ok?”
Quando
si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose,
chiudendo
in fretta la chiamata.
“Ti
richiamo, ok? – si grattò il
capo, nervoso – Ci sentiamo!”
Rimesso
il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva
fissato serio per
tutto il tempo. Si vestì di un sorriso imbarazzato,
arrivando accanto a lui con
il fiatone.
“Ehi,
tutto bene? Che ci fai qui?”
“Controllo!”
esclamò, cinico.
“Ti
ha mandato tuo padre?”
“A
quanto pare, si… - mentì, guardandolo storto -
Sai, mio padre ci tiene a questa
attività, perciò…”
“Beh,
come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando
l’ostilità che
percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena
sentito, beh…Mia
sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il
classico rapporto conflittuale
tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da
queste parti ci
sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due
monete,
si è fissata con il fatto che ce ne sono tipo altre nove per
completare la
collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di
antiquariato!”
Nathaniel
annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata:
“Interessante… - il silenzio
che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi
che la mia supervisione è
finita!”
Quello
rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che
aveva
mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del
nervosismo.
Nathaniel
si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si
posò sulla spazzatura di
fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.
Immediatamente
si rivoltò verso Jamie: “E tutte quelle
bottiglie?”
Jamie
rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un
goccio di Vodka!”
“Un
goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata
nel dirlo – Sono quattro
bottiglie, è una ricetta per alcolizzati per caso?”
“Devono
essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho
trovato
parecchie cose che andavano buttate.”
“Mmmmh,
– verseggiò, poco convinto –
ok!” si girò nuovamente verso la spazzatura, poco
prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle
bottiglie;
tant’è che gli tornò a galla un vecchio
ricordo.
Flashback
Nathaniel
e Anthony
erano davanti al bagagliaio dell’auto, parcheggiata davanti
alla casa di
quest’ultimo. Dentro c’erano delle casse di
alcolici vari e birre. I due le
stavano spostando a terra.
“Non
hai preso un pò
troppa roba?” pensò Nathaniel, fermandosi, mentre
l’altro continuava, gasato.
“Hai
idea di quante
persone ho invitato al party di stasera? Probabilmente questi alcolici
non
bastano; ai giocatori della squadra di football servirà
molto più che qualche
bottiglia di vodka per portarsi a letto le ragazze
dell’ultimo anno!”
Nathaniel
sembrò molto
a disagio: “Non so se riesco a venire,
Anthony…”
Quello
si bloccò
immediatamente, non molto contento della notizia: “Come?
Perché?”
L’altro
rimase in
silenzio ed Anthony comprese subito.
“Ah,
dimenticavo, è
vero…E’ per quella cosa di tuo padre che mi hai
raccontato?”
Nathaniel
abbassò lo
sguardo: “Ehm…Anthony, per me è ancora
un problema vedere gente che si ubriaca,
perdendo completamente la ragione. Quando mio padre beveva, non si
rendeva
conto di nulla e perdeva altissime somme di denaro alle slot machine
per poi
dimenticarlo il giorno dopo, perciò…Mi dispiace,
ma quando gira troppo alcol ad
una festa preferirei non trovarmi davanti a persone che possano
ricordarmi
com’era ridotto!”
“No,
Nat! – la prese
male – Tu devi esserci, questo è il primo party
che do a casa mia e io vi
voglio tutti con me. E poi tuo padre è stato in quel centro,
hai detto. La cosa
è finita, no?”
“Sì,
adesso si, ma…”
titubò.
“Ma:
un bel niente,
Nat! Saremo le star della serata!” gli sorrise.
“Beh,
forse… - alla
fine si arrese, sforzando un sorriso – D’accordo,
ci vengo!”
Anthony
riprese a tirar
fuori altre casse, contento: “…Forse stasera si
unisce al nostro gruppetto un
altro ragazzo!”
“Chi?”
domandò,
aiutandolo.
“Sam
Havery… - rivelò,
mentre, ora, portavano le casse verso casa - Cerca di non farti docce
troppo
lunghe negli spogliatoi, qualche giorno fa l’ho beccato a
guardarti.”
“A-a
guardarmi? –
balbettò, sorpreso – In che senso?”
“Nel
senso che è gay e
tu eri nudo, ma teniamocelo per noi questo suo piccolo segreto. Credo
che il
suo coming out sia ancora molto lontano. Probabilmente non ci
sarà più Obama
alla casa bianca per quel tempo…”
“Non
starai esagerando?
Adesso i ragazzi gay vengono allo scoperto più
facilmente!”
“No,
per niente. I ragazzi
come Sam, sono troppo deboli. Non ha fegato per dire a tutti chi
è in realtà…Io,
però, lo cambierò. Conoscermi, sarà
l’esperienza che stravolgerà per sempre la
sua vita e dopo sarà abbastanza forte da essere chiunque lui
voglia!”
Nathaniel
continuò a
camminare, ancora colpito da quella rivelazione, riflettendo,
leggermente
impressionato dall’immagine che aveva in testa di un ragazzo
che lo spia
segretamente.
“Non
credo che potrei
mai contraccambiare, perciò cerca di non mettere strane idee
in testa a quel
Sam. – rise al pensiero - Io non bacerò mai un
altro ragazzo!”
“Se
mai lo farai, mi
sentirai mentre mi rivolto nella tomba!” concluse, mentre
entravano in casa.
*
Dopo
la pausa pranzo, Sam stava uscendo dalla mensa, ancora scosso per
quanto
accaduto nella panic room. Più avanti, nel corridoio,
intravide Chloe e subito
le corse dietro. Quando la raggiunse, la prese per un braccio,
facendola
voltare.
“Ehi,
Chloe!”
Quella,
non molto entusiasta di vederlo, stringeva dei libri al petto:
“Ehi…”
Sam
buttò leggermente indietro la testa, incredulo, nel sentire
quel suo tono
scialbo: “…Non ci vediamo da un bel pò,
pensavo mi saresti saltata addosso.”
“Perché
avrei dovuto?” rispose seria, leggermente arrabbiata.
“Ehm,
perché siamo migliori amici?”
“Ed
eravamo migliori amici quando mi hai lasciato fuori casa tua a suonare
il
campanello finchè non mi si è consumato il
pollice?”
Sam
fu messo all’angolo: “I-io…Chloe,
io…”
“Mi
spieghi perché non mi hai aperto? – si
sentì offesa - Eri in casa, ho visto la
tua macchina. Quando sono tornata il giorno dopo per dirti che partivo
da mia
madre, tuo padre mi ha detto che sei andato a dormire da un amico e non
ti sei
nemmeno fatto sentire.”
“Le
ultime due settimane sono state un pò difficili per
me…” rivelò, abbassando lo sguardo.
Quella
si fece coinvolgere, notando che c’era qualcosa che non
andava. Improvvisamente,
il suo sguardo cadde sul suo braccio, la manica leggermente alzata, che
mostrava
un grosso cerotto bianco.
“Ehi,
che ti sei fatto?” gli prese il braccio, sollevandolo.
Sam
lo ritirò subito: “Ehm, niente, mi sono
solo…tagliato!”
“Tagliato?
– non capì – Tagliato come?”
“Me
lo sono fatto da solo, ok?” spiegò, non riuscendo
a guardarla negli occhi.
“COSA?
– quasi urlò, sobbalzando –
Perché avresti fatto una cosa del genere?”
“Perché
la scuola è pensante, ok? Da quando siamo tornati, non fanno
che trattarci
male. E questo si ripercuote sul mio stato
d’animo…e sul rapporto che ho con
mio padre!”
L’altra
era a dir poco scioccata: “Oh Dio, non pensavo che stessi
così male… - lo fissò
negli occhi, dimenticando quanto fosse furiosa con lui - V-vuoi che ci
vediamo
più tardi?”
“Ehm,
ho il pomeridiano fino alle cinque e poi mi vedo con uno
psicoterapeuta. E,
subito dopo, mi vedo con Rider, Nat ed Eric…
“Ah…
- si irrigidì, sentendosi messa al secondo posto –
Beh, il mio numero ce l’hai,
ora devo andare ad una riunione per discutere dei preparativi per
l’Homecoming!”
Sam
si focalizzò su quello, cercando di cambiare discorso:
“Bello! E con chi ci
andrai al ballo degli ex studenti?”
“Con
Cameron! - esclamò, mostrandosi eccitata, per poi notare il
cambio di
espressione dell’amico – Già, lo so, non
ci credo nemmeno io!”
“Chloe,
perché proprio con lui?” si mostrò
contrario, anziché sopreso e felice.
Lei
continuò a sorridere, ignorando la sua reazione esagerata:
“Ci siamo visti ad
alcune riunioni e… Beh, io gliel’ho chiesto e lui
ha accettato!”
Sam,
allora, fu diretto: “Io credo che Cameron non sia la persona
giusta per te,
devi andarci con qualcun altro!”
“Come?
– non credette alle sue orecchie, il sorriso scomparve
– Io ti sto dicendo che
Cameron, il ragazzo più fico della scuola, ha accettato di
venire al ballo con
me e tu mi chiedi di cercarmi un’altra persona?”
“Ti
sto solo evitando l’ennesima delusione, Chloe. –
insistette – Quella in cui ti
fissi per un ragazzo e poi finisci a piangere sulla mia spalla
perché non è
andata come avevi immaginato nella tua testa.”
“Non
è più come prima, Sam. –
ribattè, cinica - Qualcosa è cambiato in questa
scuola, tutti sono cambiati. Anch’io sono cambiata...
– lo squadrò da capo a
piedi, delusa – Ma vedo che tu e i tuoi amici siete rimasti
abbastanza indietro
rispetto a tutti noi. L’era di Anthony è finita
ormai!”
“E’
gay, Chloe!” esclamò a bruciapelo.
Quella
lo fissò a lungo, prima di lasciarsi scappare una risata
isterica: “Questo è il
colmo, Sam. – disse indietreggiando – Inizio a
pensare che tu abbia davvero
bisogno di questo psicologo!” e se ne andò
indignata.
Sam
rimase al centro del corridoio, da solo, soffrendo per quelle parole e
di non essere
stato creduto. Improvvisamente, alle sue spalle, sentì una
voce che lo
chiamava.
“Sam!”
Si
voltò: Era Nathaniel; che quando si avvicinò a
lui e lo vide con gli occhi
lucidi, lo abbracciò immediatamente. Forte.
Sam
ne rimase talmente sorpreso che sgranò gli occhi e le
braccia rimasero tese.
“Ho
incontrato Rider in cortile, mi ha detto tutto. Era sotto shock e
immagino
anche tu!”
“Ehm,
sto bene… – Sam si staccò, le lacrime
che gli scendavano lungo il viso –
Credimi, quello che è successo nella panic room è
l’ultima cosa a cui sto
pensando, oltre al fatto che è stato un enorme buco
nell’acqua… - poi si decise
a spiegare per cosa era realmente angosciato - Ho appena perso la mia
migliore
amica, credo.”
“Di
che stai parlando?”
“Io-io
non credo di farcela più, Nat. – si
sfogò, piangendo - Ogni giorno che passa,
mi sento sempre più fuori posto in questa scuola e con le
persone con cui un
tempo avevo un rapporto stupendo. Poi c’è A
che non fa altro che tentare di ucciderci nelle stazioni
ferroviarie, nelle
fogne, dentro stanze del panico, ovunque!”
“Se
ci volesse davvero morti, non saremmo qui a parlarne.”
“E
se si stesse stancando di noi? – andò nel panico
al solo pensiero, gli occhi
lucidi per il trauma - Credimi, Nat, sono rimasto conoscente sul filo
del
rasoio!”
“C’era
quella botola, giusto? – lo prese per le spalle, cercando di
tranquillizzarlo -
E Rider ha detto che Brakner poteva controllare quel condotto
d’aerazione da
remoto; l’avrebbe senz’altro riacceso ad un certo
punto.”
Sam
ormai era poco fiducioso, troppo provato, mentre si asciugava le
lacrime: “Vorrei
tanto crederci…”
L’altro
assunse un volto serio e preoccupante: “Ti basterebbe sapere
cosa ha fatto a me
per capire quanto in realtà ci voglia vivi e
vegeti!”
Quel
tono non lasciò indifferente Sam:
“Perché? Che è successo? –
poi ricordò,
angosciato dai pensieri che gli stavano passando per la mente
– A proposito,
Rider mi ha detto che sei stato in ospedale. Riguarda quello?”
Nathaniel
si guardò intorno prima di parlare e quando si
accertò che non c’era proprio
nessuno, tornò a fissarlo, cercando di trovare le parole:
“Se esistesse una
classifica dei peggiori colpi bassi di A,
sarei nettamente in testa!”
“Che
ti ha fatto? – domandò, impaziente di sapere -
Qualcosa al cuore?”
“Ehm…
- abbassò lo sguardo, torturandosi le dita –
Lui ha… Lui mi ha… - bisbigliò, la
voce che
tremava - fatto assumere degli ormoni per il cambio di sesso!”
Sam
tenne la bocca aperta per qualche secondo, confuso, prima di dire
qualcosa:
“O-ormoni? – si fece scappare una piccola risata
per l’assurdo, lasciandosi
pervadere da una furia cieca – Ma da dove prende spunto per
queste cose? E’
davvero questo il prezzo da pagare?”
“Non
lo so, ma se per i prossimi cinque mesi non smetterò di
assumere questa
terapia, sarò costretto a diventare un fenomeno da
baraccone!” esclamò
nervosamente.
“Di
che stai parlando?”
“Tyler
ha detto che c’è un limite di sei mesi, oltre il
quale il processo non sarà più
reversibile.”
“Allora
smetti di prendere la pillola. Sono pillole, giusto? Le avrà
messe al posto di
quelle che prendi per il cuore, no?” pensò.
“Non
credo, conosco le mie pillole e non sono affatto uguali a quelle. Le ho
viste
su google!”
Sam
non sapeva cosa dirgli per aiutarlo: “E
allora…Beh, allora…”
“Allora
niente, Sam. – affrontò la realtà
– Dovrò stare attento a quello che mangio e
bevo, iniziando ad evitare il frigorifero di casa, tanto per
cominciare. Non so
in che modo riesce a farmele ingerire.”
“Sì,
forse è una buona idea, alla fine A
non
può sapere che l’hai scoperto. Inoltre era qui a
scuola, mentre tu eri in
ospedale, quindi…”
“Dovrò
mangiare direttamente al supermercato, non ho altra
scelta…” ribattè ancora,
stanco e amareggiato.
Sam
provò compassione per lui: “Mi dispiace
così tanto, Nat…Come ti sei dovuto
giustificare con tuo cugino?”
Sospirò:
“Grazie a dio sono uno sportivo, esistono delle pillole a
base di estrogeni che
si prendono per aumentare la massa muscolare. Mi sono giustificato
così e sia
lui che mia zia ci hanno creduto.”
“A
Rider l’hai detto?”
“No,
c’era anche Julie e me ne sono un pò
vergognato.”
“No,
ti prego, anche tu? – si mostrò seccato
– C’è già Rider che non fa
altro che
escluderla, nonostante sia l’unica che ci abbia aiutato
fin’ora!”
“Non
la volevo escludere, è solo che preferisco non parlare delle
mie future tette
ad un’estranea!”
“Non
è più un’estranea se sa di A!”
“Ma
non sa tutto quello che c’è da sapere e ha ragione
Rider quando dice che
dobbiamo tenere il becco chiuso; cosa che noi non abbiamo fatto con
Jasper.”
“Ascolta,
dico solo che dobbiamo tenerci strette le uniche carte buone che
abbbiamo, ok?
Se non era per Julie, adesso useremmo i gesti per comunicare.”
Nathaniel
si rese conto che aveva ragione, non ribattendo.
I
due presero a camminare, cambiando argomento.
“Pensavo
non saresti venuto a scuola, oggi.”
“Scherzi?
Abbiamo 188 ore di attività pomeridiane da portare a zero.
Non mancherò un
fottuto giorno! Per Gennaio voglio essere già libero;
così potrò concentrarmi
per le gare invernali.”
“Di
Eric sai qualcosa?”
“Era
già andato via quando ho lasciato lo studio di Tyler. Ha
lasciato un messaggio
a Rider, è andato a riposarsi a casa sua.”
Sam
lo trovò comprensibile: “Beh, dopo due giorni
passati a non dormire…”
“Comunque
non so se Rider te l’ha detto, ma Alexis è stata
investita da Brakner.”
L’altro
si fermò bruscamente, sgranando gli occhi, tenendolo per un
braccio: “COSA?”
“Ah,
allora non lo sapevi per niente…”
“Beh,
Rider o mi dice le cose in ritardo o si dimentica di
dirmele!” esclamò con un
tono irritato nei suoi confronti.
Nathaniel
continuò, mentre prendevano a camminare nuovamente, diretti
agli armadietti:
“Ha ricevuto un messaggio di Brakner proprio questa mattina,
dove, con una
minaccia velata, lo invitava a prendere il posto di Alexis al
Brew.”
“Tutto
questo è assurdo… - riflettè a lungo,
mentre Nathaniel prendeva alcuni libri
dal suo armadietto – E ora che ci penso… - si
appoggiò a quello di fianco,
isterico - ho così tanto di quel materiale per la seduta con
lo psicologo, che
potrei guadagnarmi un posto sulla parete come paziente del mese o
dell’anno o
per sempre; figurati se c’è qualcuno messo peggio
di me!”
L’altro
richiuse lo sportello: “A che ora ci vai?”
“Fra
due ore! – sbuffò, lasciando cadere la sua testa
all’indietro – E in più, non
potrò nemmeno finire su quella stupida parete
perché di tutto il materiale che
ho, non ne posso fare parola. In pratica dovrò inventarmi
dei nuovi problemi
esistenziali poco interessanti!”
“Essere
gay non è poco interessante!”
Sam
gli lanciò una lunga occhiata angosciata:
“…Proprio ora che non ho nessun
problema a manifestare la mia sessualità. Ho fatto coming
out sia con la scuola
che con mio padre. Mi sono sentito bene, devo ammetterlo.”
“Persino
io ho fatto coming out!”
“Il
tuo non è un vero coming out!”
puntualizzò.
Ripresero
a camminare, mentre Nathaniel accennava finalmente un sorriso.
“Devo
dire che non è stato male fare coming out per finta. Mi sono
sentito bene
anch’io!”
Sam
non replicò, fissandolo stranito per quella affermazione
così assurda.
*
Più
tardi, l’appuntamento con lo psicologo era arrivato e Sam non
poteva non
presentarsi questa volta. Era al telefono con Rider, mentre saliva le
scale.
“Sei
già uscito da scuola?”
“No,
mancano ancora dieci minuti alla fine del supplizio e ho deciso che li
trascorrerò
con te, chiuso nel bagno dei maschi!”
“Non
ho dieci minuti, Rider. Lo studio è al quinto piano, io sono
già al secondo e
godo di una buona salute: saranno si e no due minuti scarsi!”
“Allora
parlami invece di perdere tempo!” urlò, isterico.
“Calmati,
Mr. Nygma!” fece una smorfia, mentre continuava a salire
lentamente.
“Beh,
mi ci sento! In classe ho dovuto alternare una faccina sorridente ad
una
completamente disinteressata, ogni volta che la professoressa mi
guardava e poi
si girava!”
“Ascolta,
ora smetto di perdere tempo perché sono quasi arrivato per
davvero. Quando ci
riuniremo più tardi, Nat dovrà dirvi una cosa, ma
ho paura della vostra
reazione e non voglio che si demoralizzi più di quanto non
lo è già, perciò te
lo dico…A li sta
somministrando
degli ormoni per il cambio di sesso.”
“COOOSA???”
non credette alle sue orecchie.
“Ecco,
era di questo che parlavo. Non ripetere questa tua reazione quando ve
lo dirà
Nat più tardi.”
“Ehi,
aspetta aspetta! – ora era curioso – Allora non me
l’ero immaginato, vedevo
davvero qualcosa di diverso in lui ed era questo!”
“Forse
hai l’occhio assoluto o roba simile. Sta di fatto che ora mi
sorge un dubbio!”
“Quale?”
rispose rapidamente, interessato a saperne di più.
“E’
possibile che…Cioè, io non sono un medico,
ma…questi ormoni che praticamente
sta assumendo da almeno un mese, potrebbero averli tipo
confuso…la sessualità?”
“Ehm…
- si prese un attimo, riflettendo sulla natura della domanda
– Per caso mi stai
chiedendo se Nat potrebbe essere diventato gay grazie a questa terapia?
Mi
sembra un discordo un pò malato, non lo starai mica
sperando?”
“NO!
– lo negò, disgustato – Ovvio che non lo
sto sperando! Essere malati è più una
caratteristica di A! - espose poi
le
sue perplessità – Dico solo che Nathaniel non
è più lo stesso di prima.”
“Che
ha di diverso, oltre al fatto che dovrà prenotare un
pap-test annuale?”
Sam
ignorò la sua battutina, continuando: “Quando
Morgan Patterson gli tirò un
pugno e io cercai di alleviare il suo dolore premendo un impacco di
ghiaccio
sulla sua faccia, quasi mi bruciò vivo con lo sguardo per
averci provato. Ora
mi prende la mano in pubblico di sua iniziativa, dice frasi
strane…”
“E
queste sarebbero le tue prove? Nathaniel è stato costretto
da A a darti la mano in pubblico,
non l’ha
fatto di sua spontanea volontà!”
L’altro
tacque, ma sentiva di avere ragione, così spuntò
il rospo su qualcosa di più
significativo: “Mi ha baciato e non era sotto ordine di A!”
“COOOSA???
– urlò incredulo – Quando?
Dove?”
“Ehm…
- se ne pentì quasi subito – E’ stato,
ehm…Quando tu ed Eric eravate nelle
fogne, ecco quando è stato!”
“Ok,
ma dove?”
L’altro
deglutì, non potendo rivelare che è successo
davanti al penitenziario di
Philadelphia: “C-che importa dove? – rispose
isterico – Conta che lui mi ha
baciato perché ero vulnerabile dopo che A
mi aveva incollato la bocca e in più voleva
darmelo per ripagarmi del fatto
che gli avevo salvato la vita al lago.”
“Ok,
so che quelle pillole sono fatte di estrogeni. Potrebbe essere solo
infatuazione, non è gay!”
Sam,
ormai, era arrivato al quinto piano: “Senti, sono davanti
alla porta dello
psicologo. Poi ne riparliamo!”
“No,
ehi, aspetta! Non puoi sganciarmi la bomba e poi lasciarmi
così, Sam. Voglio i
dettagli!”
“Ora
non posso, ho un’ora di strizzacervelli. Ciao!” e
chiuse, lasciando Rider con
un palmo di naso.
Dopo
aver preso un grosso respiro, poi, si decise finalmente a suonare il
campanello. La porta si aprì, emettendo il suono di una
scossa ed entrò.
La
sala d’attesa era vuota e Sam girò su se stesso al
centro della stanza, per poi
puntare un’altra porta, che si aprì
all’improvviso. Ne uscì un anziano signore,
alla quale Sam sorrise per educazione. La porta rimase aperta e
così decise di
affacciarsi.
“Posso?”
Un
giovane ragazzo gli venne in contro, già pronto ad
accoglierlo: “Certo, tu devi
essere Sam Havery!” e chiuse la porta, mentre
l’altro avanzava verso la
poltrona con lo sguardo fisso su di lui.
“Ehm,
sì, sono io!” esclamò abbastanza
imbambolato, mentre l’uomo tornava verso di
lui, tendendogli la sua mano.
“Molto
piacere, Sam. Io mi chiamo Wesam Grimes!”
Sam
strinse la sua mano, molto a lungo. Si era completamente perso nei suoi
occhi
verdi, trovandolo assai attraente e giovane.
Quello
gli sorrise: “Ok, adesso, però, me la devi
restituire…”
“Cosa?”
gli domandò, abbastanza distratto.
“La
mano, intendo.”
Sam
spostò lo sguardo sulle loro mani ancora strette e la
riprese immediatamente,
mortificato: “Ouh, certo, scusi!”
Wesam
rise, avvicinandosi alla sua postazione: “Oh, ti prego, puoi
anche non usare un
linguaggio formale. Non sono così vecchio, come puoi vedere.
– si sedette, così
come fece Sam – Fingi che sia un tuo amico più
grande o un fratello maggiore!”
Ovviamente,
Sam, era leggermente in imbarazzo: “Ehm, sta praticamente per
entrare nella mia
testa, quindi mi viene un pò difficile…”
Wesam
accavallò le gambe, girando una piccola clessidra di vetro
che segnava il
tempo, poggiata sopra un piccolo e rotondo tavolino di legno che aveva
accanto.
Poi, sempre da lì sopra, prese una sorta di agenda,
iniziando a scrivere.
Sam
deglutì, sentendosi subito a disagio nell’aver
seguito tutte le sue mosse: “Non
ho detto ancora niente. – cercò di sbirciare
– C-che sta scrivendo?”
L’altro
sollevò lo sguardo, accennando un calmo sorriso:
“Niente, ho scritto solo il
tuo nome.”
“Ah…
- si sentì stupido, mettendosi più comodo sulla
poltrona, ma sempre teso – Ok, ho
capito!”
L’uomo
intuì immediatamente di doverlo tranquillizzare:
“Ascolta, Sam, devi stare più
rilassato, ok? – la sua voce divenne quasi un sussurro, tenue
e rassicurante -
Sei qui solo per parlare con me. Non c’è nulla di
cui devi avere paura o
timore. In questo momento ti trovi in una stanza completamente isolata
da ciò
che c’è fuori e sei davanti ad un persona neutra,
incapace di giudicarti o
guardarti in un certo modo se racconti i tuoi segreti più
profondi…Sono qui
solo per ascoltarti e aiutarti. Tutto qui.”
Sam
fu talmente rapito da quelle parole, che si rilassò per
davvero e gli occhi
iniziarono a lacrimare, mentre lo fissava.
“Ora
perché sembra che tu stia per piangere, Sam?”
“La
sua voce è talmente convincente, che… - sorrise
in maniera malincolica, per poi
guardarlo finalmente negli occhi – sento davvero di aver
lasciato la paura
fuori da quella porta.”
Wesam
lo fissò attentamente, rivolgendosi ancora a lui con quel
tono pacato: “E cosa
c’è fuori da quella porta? Di cosa è
fatta questa paura? Descrivimela!”
“…Come
tutti sanno, film horror sono fatti per provare un brivido di paura.
– cercò di
dare una sua interpretazione, distogliendo lo sguardo nuovamente
– Poi ad un
certo punto il film finisce, spegni la televisione e la paura svanisce.
Ma
questo con me è diverso…Non ho mai smesso di
avere paura; come se il film
andasse avanti all’infinito, senza che io riesca a smettere
di guardarlo.”
“Quindi
la tua è una paura diversa? Qualcosa che difficilmente gli
altri possono
trovarsi ad affrontare? Qualcosa di nuovo?”
Sam
alzò lo sguardo, come se venisse capito in qualche modo:
“Io credo di sì…”
“Beh,
allora… - depennò qualcosa dall’agenda,
facendo rumore con la penna – posso
scartare l’omosessualità! – lo
fissò negli occhi, poi, mentre l’altro sgranava
leggermente gli occhi – L’omosessualità
non è una cosa nuova, Sam. Non è una
cosa che gli altri non possono trovarsi ad affrontare. Non sei
l’unico ragazzo
gay al mondo, perciò di quale paura si tratta la
tua?”
Quello
deglutì, tornando a disagio e con un tono nervosamente
pretenzioso: “Scusi, ma
che ne sa lei della mia sessualità?”
“Beh,
non sono così bravo. Ovviamente è stato tuo padre
a parlarmene. Dicendomi che
era questo il problema che gli hai rifilato e che ti ha costretto a
farti quel
taglio la giù!” indicò con lo sguardo,
il suo polso scoperto.
Sam
si abbassò immediatamente la manica, muovendosi sulla
poltrona come se fosse
pizzicato dagli insetti. Nonostante sembrasse così
trasparente, però, cercò
comunque di nascondere l’evidenza.
“Avevo
un amico, si chiamava Anthony. Giudicava chiunque li passasse accanto e
aveva
un nomignolo per ognuno. Nonostate fosse mio amico, era perfido fino al
midollo
e la paura di essere chi sono in realtà è nata
grazie a lui. Ed è rimasta anche
dopo la sua morte…La gente che prendeva di mira, non vede
l’ora di ricambiare
con la stessa moneta aspettando il mio primo segno di cedimento. Questo
è il
liceo, signor Grimes: E’ la paura di essere giudicati. La
stessa che portavo a
casa, continuando la recita con mio padre.”
Wesam
annuì, sorridendo: “…Balle! E lo
sappiamo entrambi, Sam. Non è questa la tua
paura, o non avrei trovato una foto di te che ti tieni per mano con un
altro
ragazzo, condivisa sulla pagina della tua scuola, gestita da
studenti.”
“Ma
come si permette di violare la mia privacy? – assunse
un’espressione furiosa – Sarebbe
questo il suo aiuto?”
“Prima
di tutto, io non ho violato nulla: E’ una pagina aperta a
chiunque. Secondo, i
pazienti tendono a raccontare bugie e io ho il mio metodo per non farmi
imbrogliare da loro. Una volta che so chi è il mio paziente,
faccio molte
ricerche e dopo verifico se il titolo del libro corrisponde al
contenuto. – lo
fissò con aria di sfida – E in questo caso, il
contenuto non corrisponde
minimamente al titolo, non credi?”
“Mi
sta giudicando come un bugiardo, quando lei ha detto che qui dentro non
giudica
nessuno? Nemmeno lei mi sembra sincero!”
“E
io ti ho chiesto di non avere paura né timore. Di
descrivermi la tua paura. Non
l’hai fatto e quindi le regole di questa stanza sono
crollate.” ribattè,
restando irritabilmente composto.
Sam
prese la sua tracolla dal pavimento, che aveva buttato davanti alla
gamba della
poltrona, e si alzò, esasperato, arrogante:
“Allora me ne vado, prima che
qualche maceria mi cada in testa. E non si disturbi a chiamare mio
padre, gli
dirò che sto bene, che una seduta mi è bastata e
lui mi crederà.”
“Suppongo
di sì, suo padre la asseconda molto essendo
l’unico genitore presente.”
aggiunse cinico.
Sam
non ne potè più, quasi ringhiò, ma non
aggiunse nulla, placando la sua rabbia e
dirigendosi verso la porta. Wesam pensò di fermarlo.
“Un’ultima
cosa, Sam. Prima che tu te ne vada.”
Quello
si voltò, proprio mentre stava girando il pomello della
porta.
“Sono
gay anch’io!”
L’altro
restò un attimo perplesso: “O-ok, c-che cosa
c’entra questo adesso?”
Con
molta indifferenza, scosse la testa: “Niente! –
rise – Solo un motivo che ti
costringerà a tornare qui, perchè, forse, ti
piaccio un pò a giudicare dalla
tua reazione iniziale.”
“Ho
diciassette anni, ok? – gli rispose per i toni –
Potrei farti arrestare, razza
di pervertito!”
“Ok,
ci vediamo alla prossima seduta… - controllò
l’agenda con noncuranza, quasi
beffardo – che è Martedì, sempre alla
stessa ora. E non dimenticare un bel
piatto di verità!”
Sam
rimase di stucco di fronte alla sua faccia tosta e se ne
andò sbattendo la
porta. Wesam sogghignò, rimasto da solo, convinto che
sarebbe tornato di
sicuro.
*
Era
calata la sera a Rosewood ed erano ormai diverse ore che Eric dormiva
sul
divano, esausto dai due giorni passati in ospedale. La stanza in cui si
trovava
era illuminata dalle luci che provenivano da fuori. Il suo braccio
pendeva a
terra, così come la gamba, mentre russava lievemente.
Improvvisamente, si
svegliò, iniziando a sollevarsi lentamente, sfociando in un
enorme sbadiglio.
Dopo di che controllò il telefono e si scrollò
per svegliarsi meglio. Quando
buttò gli occhi sulla porta d’ingresso,
notò che era socchiusa e si irrigidì,
guardandosi attorno.
“Mamma?
Sei tornata?” chiese.
Nessuno
rispose, così si avvicinò a piccoli passi verso
la porta, vigile. Subito la
aprì e guardò fuori, nessuno sul pianerottolo e
nemmeno per le scale. Stranito,
richiuse, restando impalato per qualche secondo davanti alla porta.
*
Intanto,
Rider, a casa sua, era davanti al computer a studiare. Con la matita in
bocca e
tanti libri aperti sulla scrivania, in un batter d’occhio
smise di pensare alle
questioni politiche Francesi del cinquecento e iniziò a
spulciare dentro
qualche sua vecchia cartella. Precisamente, di un saggio che aveva
fatto
durante il secondo anno: Quello sugli edifici storici di Rosewood; di
cui aveva
parlato a Julie poco prima di entrare nella panic room.
Lesse
rapidamente parte del testo, prima di arrivare alle immagini. Si
trattava di
una cianografia della scuola e di tutti i suoi piani. Compreso il
seminterrato.
Quando
si focalizzò proprio su quest’ultima,
notò qualcosa che non lo lasciò per nulla
indifferente.
“Oh
mio Dio!” esclamò, prima di alzarsi ed iniziare a
stampare le cianografie.
Subito dopo, mentre i fogli uscivano dalla stampante, prese il telefono
per
contattare i suoi amici.
*
Sam
era tornato a scuola, nel frattempo, facendo un salto in palestra, dove
c’era
Nathaniel che terminava la giornata con qualche vasca.
“Sapevo
che eri ancora qui!” esordì, avanzando.
Nathaniel
si fermò, notandolo: “E dove altro potrei essere?
Ora più che mai devo tenere
sottocontrollo il mio fisico!”
“E
io devo trovare una macchina del tempo!” esclamò
seccato, sedendosi a gambe
incrociate sul bordo della piscina, gettando la tracolla accanto a
sé.
“Per
lo psicologo?” domandò, nuotando verso di lui.
“Vorrei
non essermi tagliato il polso… - scosse la testa, pentito -
Ora sono costretto
ad andare da uno psicologo e questo psicologo è un vero
stronzo!”
Nathaniel
iniziò a fare delle bracciate al contrario, prendendola con
filosofia: “E’ solo
qualche seduta a settimana di sessanta minuti con un vecchietto, ce la
puoi
fare!”
“Ehm,
non è proprio un vecchietto!” precisò,
dopo una una lunga suspence.
“E’
una lei?”
“E’
un lui molto giovane e attrante, non avrà avuto nemmeno
trent’anni.” spiegò.
L’altro
si fermò di colpo in mezzo all’acqua, un
espressione stupita e molto seria:
“Giovane?”
“Mi
ha fatto arrabbiare, è così cinico e sicuro di
sè. – raccontò, gesticolando in
maniera isterica - Sa che mento ogni volta che apro bocca e sa parlare
così
bene che ti viene voglia di urlare… - si calmò
dopo un grosso sospiro - Poco
prima di uscire, ho detto che non sarei mai più tornato e
lui mi ha detto di
essere gay e che per questo sarei ritornato.”
Nathaniel
sembrò quasi turbato, mentre agitava le braccia in acqua
più lentamente: “E tu
ci tornerai?”
“Non
ho altra scelta, Nat!” rispose, non badando alle sue reazioni.
“Aspetta,
davvero ci torni? – ebbe da ridire – E’
praticamente un invito sessuale quello
che ti ha fatto, è da malati!”
“E’
solo un gioco psicologico, ok? – minimizzò,
più calmo – E poi quando è iniziata
la seduta, devo ammettere di essermi sentito bene. Credo che sappia
quello che
fa.”
Nathaniel
reagì sempre più acido: “Caspita, sei
entrato qui che praticamente eri
disgustato e ora hai cambiato idea?”
Ora,
però, Sam, fece caso allo strano comportamento
dell’amico, rispondendogli per
le rime: “Mi stai parlando con questo tono per via degli
ormoni? E’ una sorta
di effetto collaterale?”
Nathaniel
rimase a fissarlo, senza riuscire a replicare. Sam subito si
pentì di ciò che
aveva detto: “Ehm, Nat, scusa, non volevo dire quello che ho
detto.”
L’altro
scose la testa, fingendo di stare bene: “Senti fai come ti
pare, Sam. Solo: non
lamentarti con me del tuo sexy psicologo stronzo!” e riprese
a nuotare.
Sam
mise subito il broncio, rendendosi conto di aver esagerato, guardandolo
nuotare
in silenzio.
Improvvisamente,
qualcuno entrò in palestra e attirò subito lo
sguardo di Sam. Poi quello di
Nathaniel, quando riemerse a bordo piscina. Si trattava di Morgan
Patterson,
che, con il borsone in mano, si stava dirigendo negli spogliatoi.
Mentre
passava, non fu per niente intimorito da loro, reggendo lo stesso
sguardo
fulmineo che avevano. Il suo, però, sembrava pieno
d’odio.
Quando
entrò negli spogliatoi, i due ragazzi stavano ancora
guardando verso quella
direzione. Nathaniel si avvicinò lungo il bordo in cui si
trovava Sam con un
atteggiamento diverso. Più pacato.
“Puoi
andare a prendere le mie cose? Credo che questa cosa degli sbalzi
d’umore non
sia del tutto una balla e se entrò lì dentro va a
finire che gli metto le mani
addosso. Ancora non ho digerito il pugno che mi ha dato il giorno in
cui siamo
stati sospesi.”
L’altro
rabbrividì, ripensando al suo passaggio: “Hai
visto come ci ha guardati? Sembra
che nemmeno lui abbia ancora digerito noi e quello stupido video; come
tutti
del resto… - accentuò meglio il concetto, mentre
si rialzava – Il Nord non
dimentica!”
“…Eh??”
Sam
roteò gli occhi, indignato dalla sua ignoranza sui telefilm:
“Game of thrones,
Nat!”
“Si
si, ok… – starnazzò con le braccia,
scocciato - Ora gioca a riprendere i miei vestiti
dallo spogliatoio, combinazione 4493!”
“Vado,
vado!” mormorò in maniera scialba, avviandosi.
Nathaniel,
intato, uscì dalla piscina, scrollandosi di dosso
l’acqua, per poi attendere.
Nello
spogliatoio, giunto davanti all’armadietto, Sam
inserì la combinazione e aprì
lo sportello. Rapidamente, tirò fuori lo zaino che
c’era dentro e richiuse.
Si
udiva il rumore dell’acqua che colpiva il pavimento,
provenire dalle docce. Sam
sapeva che si trattava di Morgan, che aveva lasciato il suo borsone
alla fine
della panca che c’era lì, proprio accanto a lui.
Buttando
un occhio verso il corridoio che portava alle docce, si
avvicinò al borsone,
spinto dalla curiosità. In un batter d’occhio, la
lampo era aperta e Sam potè
vedere cosa c’era dentro.
Ad
una prima occhiata, fu una felpa nera a spiccare; il disegno di una
tigre
sopra. Con gli occhi sgranati, continuò di tanto in tanto a
dare delle
occhiate, mentre tirava fuori l’indumento con il cappuccio.
D’istinto fotografò
la felpa con il cellulare, pronto a rimetterla a posto subito dopo. Nel
farlo,
però, fece un’altra strana scoperta, che lo
lasciò letteralmente scioccato: una
piccola busta trasparente con dentro molte pillole;
fotografò anche quelle.
Tremando,
rimise tutto a posto, poi scappò dallo spogliatoio a gambe
levate.
Con
passò rapido, andò in contro a Nathaniel, che si
era inspazientito.
“Ehi,
Sam, da quanto tempo! – fu sarcastico - Come stai?”
L’altro,
parecchio sconvolto e bianco come un cencio, ignorò
completamente le sue
battute: “Ehi, ti ricordi che disegno aveva la felpa di A, quando Eric l’ha inseguito
nel seminterrato? – bisbigliò,
guardandosi continuamente indietro – Allora?”
Quello
lo fissò stranito, mentre tirava fuori i vestiti dallo
zaino, che aveva appena
preso dalle sue mani: “Una tigre, credo. Perché,
cosa c’entra?”
Lo
tirò per un braccio, più nervoso, dopo la sua
risposta: “Dobbiamo parlare con
gli altri. ORA!”
Letteralmente
trascinato, quasi li cadevano le cose dalle mani, Nathaniel non ebbe
nemmeno il
tempo di aggiungere altro.
*
Arrivato
in ospedale, Eric guardando il video girato nella panic room, ricevuto
da Rider,
mentre percorreva il corridoio. Impressionato, rimase talmente colpito
da un
inquadratura che quasi andò a sbattere contro un infermiera,
che lo distraette
dallo schermo del telefono.
Senza
nemmeno accorgersene, era già davanti alla stanza di Alexis
e a quel punto fu
lei ad attirare la sua attenzione: era in piedi, appoggiata ad una
donna, che
camminava.
La
ragazza si voltò, accorgendosi subito di lui.
“Eric!”
lo accolse con un grosso sorriso, non più arrabbiata come
l’aveva lasciata
diverse ore prima.
Quello
entrò, spaesato sia dal suo stato che dalla misteriosa donna
con lei.
“Ehi…
- la fissò da capo a piedi, incredulo – Ma sei in
piedi e riesci a camminare!”
“A
quanto pare era una cosa temporanea, me lo sentivo. Questo pomeriggio
già
muovevo tutte le dita di entrambi i piedi!”
Eric
sorrise, ma non con tutta sincerità; si sentì
ancora più in colpa per aver
preso il suo posto al Brew e non aveva la minima idea di come si
sarebbe
giustificato: “Ma è fantastico!”
La
abbracciò, poi. E quando si staccarono, il silenzio fu
tombale.
Alexis,
spostando lo sguardo tra i due, capì che doveva presentarli.
“Oh,
dimenticavo, questa è mia madre!”
“Ah,
tua madre…” le sorrise imbarazzato.
Quella
lo salutò con sufficienza, un sorrisino che sembrava
alquanto forzato:
“Piacere, Nora!”
Eric
badò a quello strano atteggiamento di Nora, che Alexis non
notò, per quasi una
frazione di secondo. Un messaggio lo portò a spostare lo
sguardo sullo schermo
del telefono.
Da
Rider:
“Sono
all’ingresso dell’ospedale, scendi!”
“Ehm,
devo andare un attimo di sotto. Torno subito!”
avvertì la sua ragazza.
“Certo,
vai pure, tanto qui c’è mia madre!”
“Ok…”
disse guardando le due, per poi voltarsi e uscire dalla stanza.
Quando
fu nel corridoio, Nora gli andò dietro.
“Eric,
aspetta!”
L’altro,
sorpreso, si fermò: “Si? Che succede?”
“Perché
hai preso il posto di Alexandra al Brew?” domandò,
seria e poco amichevole.
“Ehm…
- quello fu colto alla sprovvista, entrando nel panico –
I-io… Come l’ha
saputo? Alexis lo sa?”
“No,
non lo sa. Per quanto riguarda me, sono andata ad assicurarmi che il
suo capo
non la cacciasse e ho parlato con un certa Pam, l’altra
ragazza che fa i turni
con mia figlia e mi ha spiegato tutto.”
“Nora,
io l’ho fatto perché stamattina Alexis non
camminava per niente. Ho preso il
suo posto solo per non farglielo perdere e tenerlo per quando si
sarebbe rimessa.”
L’altra
era ancora restia alle sue parole: “Beh, un lavoro ti farebbe
comodo data la
situazione della tua situazione famigliare. In più
è un lavoro sotto casa, non
male!”
Eric
strinse gli occhi, serio: “Sta per caso insinuando che io mi
sia approfittato
dell’incidente che ha avuto Alexis per prendere il suo posto?
Questa è follia!”
“Lei
sembra amarti davvero. E quando Alexandra ama qualcuno, si apre
completamente.
Raccontando anche le parti buie della sua vita.”
“E
infatti mi ha raccontato molte cose, durante i nostri vari
appuntamenti, sulla
vostra famiglia!”
“Bene.
Allora se sai tutto, sai anche che quel lavoro le serve!”
“Ed
per questo che il mio stipendio andrà a lei. Non ho mai
avuto intenzione di
rubarle il lavoro, Nora.” ribattè, sentendosi
offeso dalla donna.
Quella
si stupì, cercando di non darlo a vedere troppo:
“Ah…Beh, il tuo è un bel
gesto. Spero che rimanga tale fino in fondo. – decise di
congedarsi, a quel
punto – Ora torno da lei…”
“Bene!”
esclamò quello, ancora provato dalle accuse ingiuste. Poi se
ne andò anche lui.
*
Nel
parcheggio dell’ospedale, davanti alla macchina di Rider,
Eric era ancora
frustrato da tutta la faccenda di Alexis.
“A mi sta creando problemi con Alexis e
ora anche con sua madre!”
Rider
si guardava attorno, impaziente, dei fogli arrotolati con un elastico
tra le
mani: “Beh, tecnicamente Alexis ancora non sa che hai preso
il suo al posto al
Brew. Tuttavia, potrai giustificarti dicendole che non pensavi che si
sarebbe
ripresa così in fretta e che hai deciso di occupare il suo
posto per non farglielo
perdere. In più i soldi che guadagnerai, andranno a lei, hai
detto.”
“Sì,
le dirò così. Non ho altra scelta! –
sbuffò – Però tra la scuola e il lavoro
al
Brew, non potrò cercarmi un lavoro mio e di conseguenza non
potrò aiutare mia
madre.”
L’altro
gli mise una mano sulla spalla: “Dai, tanto tuo padre torna
alla fine di questa
settimana, no?”
“Si,
per fortuna…” si consolò.
“Ma
quanto ci mettono Sam e Nathaniel ad arrivare?” si
inspazientì.
“Scusa,
ma non puoi dire già a me quello hai scoperto?”
“No,
dobbiamo esserci tutti!” insistè.
Eric,
mettendo un piccolo broncio, cambiò discorso, tirando fuori
il telefono:
“…Comunque ho visto e sentito tutto il materiale
che mi hai inviato e… - gli
mostrò l’inquadratura che l’aveva
colpito di più, indicandogli qualcosa con il
dito – Vedi questo qui sotto? Sotto la scrivania?
E’ il mio zaino! L’ultima
volta che lo usai, uscì di notte per andare a bruciare gli
abiti che Anthony mi
aveva prestato. Sentì di non essere solo, quella notte,
così rimontai subito in
bici e abbandonai lì quello zaino.”
“E
allora?” non capì cosa c’era di
importante per soffermarsi a parlarne.
“Allora,
niente! E’ solo che…Cosa diavolo se ne fa A
del mio zaino? Perché rubarmelo?”
“Forse
lo tiene come trofeo, Eric. Hai visto la panic room, no? Ci sono tante
nostre
foto. Brakner è una persona malata, non
dimenticartelo!”
“Già,
su questo non c’è dubbio. –
rabbrividì - E quella panic room è
così
inquietante!”
“Non
dirlo a me che ci sono entrato e ci sono quasi morto… -
notò, poi, i loro amici
in lontananza – Eccoli che arrivano… Ah, a
proposito, A ha fatto assumere a
Nat una terapia ormonale a sua insaputa. Sam
ci ha detto di non esagerare con la nostra reazione!”
“COSA???
Ormoni?” non credette alle sue orecchie.
Finalmente
quelli giunsero davanti a loro, mentre Eric fissava ancora Rider,
completamente
sotto shock.
“Ehi,
Eric, che hai?” gli domandò Nat, subito.
Quello
si voltò, cercando di rilassare il viso: “Ehm,
niente, è solo che Rider mi ha
raccontato quello che è successo nella panic room
e…”
“Sì,
tutto questo è terrificante…E non avete idea di
cosa sta succedendo a me!”
Eric
deglutì, fingendo di non sapere nulla: “Ah, a
proposito, come sono andate le
analisi?”
“E’
uscito che sto assumendo estrogeni, ragazzi. –
raccontò, ancora incredulo – A
mi sta facendo prendere queste pillole
per il cambio di sesso da almeno un mese e non mi sono accorto di
nulla!”
“M-ma,
non è grave se te ne sei accorto dopo un mese,
vero?” gli domandò Eric.
“No,
sono ancora in tempo per fermare tutto, ma se A
continua a somministrarmi queste pillole…dopo sei mesi, per
me
non sarà più possibile tornare come prima. Per
ora il cambiamento non è
evidente, ma tra un po’ potrebbe esserlo.”
Rider
ed Eric si mostrarono basiti, mentre Sam era particolarmente nervoso.
“Ehi,
tutto bene?” gli domandò Rider, spostando lo
sguardo di tutti su di lui.
“E’
così da quando siamo usciti da scuola, ma non ha voluto
dirmi niente durante il
tragitto!”
Sam
non riusciva a trovare le parole: “Ragazzi, io non so come
dirvelo, ma forse ci
siamo sbagliati di nuovo sull’identità di A!”
“Spiegati…”
ribattè Eric, sgranando leggermente gli occhi.
Quello
mostrò il suo telefono: “Queste le ho scattate
nello spogliatoio, c’era il
borsone di Morgan!”
“Ma
quelle sono pillole!” notò Nathaniel.
Dopodichè,
fu Rider a commentare, inquietato: “E’ quella
è la stessa tigre disegnata sulla
felpa di A, quando ci è
sputanto
davanti la scorsa volta!”
“Perché
non me l’hai detto subito?” Nat
rimproverò Sam.
“Perché
l’avresti ucciso, Nat! E’ evidente che quelle sono
le pillole che stai
assumendo!”
Rider,
intanto, non riusciva a metabolizzare la cosa: “No, mi
rifiuto. Non può essere
Morgan. Non può aver allestito quella panic room e averci
fatto passare tutto
quello che abbiamo passato!”
“Un
momento! – Eric era confuso – Perché non
stiamo prendendo in considerazione il
fatto che Morgan possa essere il complice di A?”
“Te
lo spiego io! – esclamò Sam –
Nell’audio che abbiamo ascoltato nella panic
room, Lindsay confida a Chloe che, secondo
lei, Albert ha
finto la sua scomparsa e
che potrebbe essere l’assassino di Anthony e suo padre:
Perché dire una cosa
del genere a Chloe? Che senso ha? A
non è nato per sporcare il nome di Albert, ma per sporcare
il nostro. In più,
perché A dovrebbe spiare
la loro
conversazione, quando si suppone che Lindsay sia il suo braccio
destro?”
“Questo
non solo scagionerebbe mia sorella, ma anche Brakner. Erano insieme
quella
sera, perciò Brakner non avrebbe potuto fare nulla senza che
lei lo vedesse o
partecipasse alla cosa.” pensò, iniziando a
credere alle motivazioni di Sam.
Nathaniel
disse la sua: “Si, ma non è un po’
strano che Lindsay pensi questo? Di
quell’omicidio è già stato accusato
Jasper. Dubito che non abbia visto un
telegiornale, nell’ultimo mese!”
“Forse
mia sorella sa qualcosa che noi non sappiamo…”
“O
forse… - Sam prese il telefono, utilizzando maps –
Lindsay e Brakner hanno
incrociato Jasper quella notte. – mostrò loro il
telefono – Lui era al Ginseng,
un locale gay che è proprio vicino alla zona in cui eravamo,
quando abbiamo
investito Albert.”
Eric
stranì assieme a Rider, mentre Nathaniel sbiancò:
“E tu come fai a sapere che
Jasper era in quel locale?”
Sam
non badò alle sue parole, uscite senza pensare:
“Ehm…Me l’ha detto mio padre,
ovviamente.”
“Nel
dettaglio?” anche Rider lo trovò strano.
“Beh,
- Nathaniel intervenne per aiutare Sam - non eri tu che gli dicevi di
sfruttare
il suo padre poliziotto?”
“Già,
l’ho tartassato molto!” aggiunse Sam, calmando
finalmente gli altri due, che si
guardarono apparentemente più convinti.
Eric,
a quel punto, fece il punto della situazione: “Ok, la
faccenda non sembra molto
chiara, potrebbero esserci molte teorie dietro. Perciò, o
Morgan gioca da solo
o va ad aggiungersi alla squadra Brakner-Lindsay!”
“Se
mia sorella e Brakner hanno davvero visto Jasper, non
l’avranno detto per paura
di esporsi troppo. La polizia avrebbe arrestato lui come minimo per la
loro
relazione!”
“E
se fosse una messa in scena per metterci il dubbio? –
pensò Nathaniel – A
sapeva che sareste entrati nella
panic room, perciò quello che avete trovato nel suo computer
è ciò che voleva
che voi guardaste. Magari la registrazione di quella conversazione
è stata
fatta apposta come precauzione, in modo che, ascoltandola, avremmo
annullato i
nostri sospetti su lei e lui.”
Rider
decise di tagliare corto allora: “Se scopriamo che mia
sorella e Brakner magari
non c’entrano nulla, questo significherebbe che Morgan era
nella macchina
dietro di loro. Le telecamere di sorveglianza erano fuori posizione, ma
dalle
foto che abbiamo del fascicolo si vede chiaramente che c’era
un'altra auto.
L’unico modo che abbiamo per scoprire chi è
davvero A tra loro tre o se lo sono
tutti e tre è scoprire cosa c’è nella
vera panic room!”
Tutti
si guardarono, confusi. Sam fu il primo a prendere parola.
“Che
intendi dire con la vera panic room?”
Rider
si avvicinò al cofano della sua auto, srotolando i due fogli
che aveva e
posizionandoli lì sopra.
I
ragazzi si raccolsero intorno a lui.
“Ho
recuperato un mio vecchio saggio sugli edifici storici di Rosewood.
Questa è la
cianografia del seminterrato del Wailord Sanitarium nel 36’.
– indicò un punto
del foglio, dove quelli guardarono con attenzione – Vedete
qui? Non c’è nulla!
– spostò il dito sull’altro foglio, poi
– Invece qui, un anno dopo,
c’è questo quadratino. L’unica cosa che
può
essere stata aggiunta in quel punto è la panic
room!”
Nathaniel,
però, non capì dove voleva arrivare:
“Ok, ma… Quale sarebbe la scoperta?”
Prima
che Rider potesse spiegarlo, Sam intuì immediatamente quale
fosse: “E’ più
grande!”
“Esatto!
– confermò Rider – Quella in cui siamo
entrati noi è almeno 1/3 della stanza.”
“Quindi
che significa? – chiese Eric, confuso -
Dov’è il resto della stanza?”
Rider
tirò fuori un pennarello rosso dalla tasca del suo cappotto,
dividendo il
quadrato in due: “E’ semplicemente
dall’altra parte del muro. La panic room è
divisa in due da una parete!”
“Ok,
ma non c’erano altre porte nella panic room. –
puntualizzò Sam - In che modo
accederebbe all’altra metà della panic
room?”
“O
c’è una botola anche lì e quindi ci
passa risalendo dalle fogne o c’è un altro
passaggio che non abbiamo visto!” spiegò Rider.
Improvvisamente,
lo sguardo di Nathaniel cadde sul polso di Eric. Dopo averlo fissato a
lungo,
si accorse che qualcosa mancava: “Dov’è
il tuo bracciale?”
Eric
ci fece caso, sgranando gli occhi: “Ma
che…???”
Rider
si rivolse a lui abbastanza disorientato: “Come hai fatto a
toglierlo?”
“Non
l’ho tolto io!” esclamò con foga.
Sam
fece una smorfia confusa: “Come sarebbe che non
l’hai tolto tu?”
Eric
allora riflettè, concretizzando un dubbio che ebbe:
“Credo che A sia entrato
in casa mia mentre
dormivo…”
“E
ce lo dici solo ora?” sobbalzò Nathaniel,
sbigottito.
“Ho
trovato la porta aperta, ma non ci ho pensato più di tanto.
– cercò di
giustificarsi, attaccato – Scusate se non ci sto con la testa
dopo l’incidente
di Alexis!”
Tutti
si calmarono un attimo, poi.
“Ok,
ma come ha fatto A a toglierlo?
–
domandò Sam, guardando tutti -
Julie ha
cambiato la frequenza del suono di sblocco, no?”
Rider
imbronciò, intuendolo: “Accidenti, deve aver
recuperato la valigetta di Julie
nel seminterrato. Dentro c’era l’apparecchio che
sblocca i nostri bracciali.”
“Non
ha ascoltato quello che ci siamo appena detti, vero? – chiese
Sam, nel panico –
Insomma, anche se avesse messo un microfono su Eric, i nostri bracciali
sono in
grado di disattivarlo. Giusto?”
Rider
annuì, dopo qualche secondo di staticità nella
sua espressione.
“Penso
di sì!”
Improvvisamente,
un messaggio arrivò a tutti e quattro.
Quelli
si guardarono tra loro, prima di aprirlo.
“Vi
sono mancato?”
-A
Eric andò subito nel pallone: “Che significa? Che
ci ha ascoltati? Che non
siamo più protetti?”
Rider
scosse la testa, guardandosi attorno: “No,
dev’essere qui intorno. Vuole farci
credere che può ascoltarci, ma sappiamo benissimo che non
può!”
Anche
gli altri si guardarono intorno, mentre Sam arrancava verso le portiere.
“Sentite,
andiamocene da qui!”
Dopo
un’altra occhiata intorno, i tre lo raggiunsero, salendo in
macchina.
SCENA
FINALE
A
era
all’interno della panic room, il bracciale di Eric che girava
intorno al suo
dito, come se ci stesse giocherellando. Lo poggiò accanto al
computer, subito
dopo, poi si avvicinò all’armadio, che
iniziò a spostare dalla parete con
forza.
Dietro,
c’era una porta d’acciao con una tastiera nera
sopra; si trattava di un
passaggio segreto. Quando digitò la password, essa si
aprì e lui entrò in
quella che era l’altra metà della panic room.
All’interno,
c’era un’altra scrivania con sopra un altro
computer, una telecamera sopra un
treppiedi al centro della stanza, mentre in un altro angolo
c’era un lungo
congelatore di forma rettangolare in funzione. Infine, in quella stanza
del
tutto vuota, c’era una bacheca di vetro appesa alla parete;
il vetro, però, era
oscurato e al lato di questa bacheca c’era un tasto on/off
per poterla
illuminare.
A
si
sedette
al computer, avviando un video: mostrava una persona con la testa
coperta da un
sacco per patate, seduta a gambe aperte sul pavimento, la schiena
poggiata
contro la parete di quella stessa stanza, le mani legate.
Si
sentiva il suo respiro soffocato, mentre muoveva la testa dentro quel
sacco,
probabilmente disorientata. A avvicinò
la mano, liberando chi c’era sotto: si trattava di Anthony,
che lo guardò
dritto in faccia, spaventato a morte.
“Ti
prego, non farmi del male! – pianse disperato, una ferita
sanguinante sulla
testa - Farò tutto quello che vuoi, per favore!”
Subito
dopo, volse lo sguardo alla destra di A.
Sembrava guardare più verso terra che in alto, e sconvolto
in maniera
esagerata, tornò a fissare il suo rapitore: “C-chi
è quello?”
A
si
limitò
solo a fare un suono con la bocca:
“Shhhh…”
Preso
dal panico, il petto che si gonfiava e sgonfiava, Anthony lo fissava
terrorizzato, perdendo la ragione: “AIUTOOO! –
urlò a squarciagola, sbattendo
più volte la testa contro la parete per fare rumore
– AIUTATEMI, VI PREGOOO!”
A
si
avvicinò, pronto a rimettergli il sacco in testa, mentre lui
urlava ancora. Il
video si interruppe.
CONTINUA
NEL NONO CAPITOLO…