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Autore: ThestralDawn    19/05/2016    2 recensioni
In una casa buia, troppo grande per una persona sola, una donna, un'amante, un'assassina, deve affrontare il peso insostenibile dell'Oscurità, che avvolge non solo l'intera dimora ma opprime inevitabilmente anche il suo cuore.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton | Coppie: Severus/Narcissa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La pozione brilla alla luce della luna, uno spiraglio riesce a far breccia tra le tende tirate dell’immenso salone. L’uomo agita la fiala, increspando lievemente il liquido ambrato; rimango a guardarlo per diversi secondi, immersa nei miei pensieri, lontana da ciò che mi circonda.

Alzo lo sguardo, lui mi sta fissando; lo ha intuito, lui ha capito che ho perso troppo tempo a rimuginare su me stessa. Sono una stupida, non ho sentito una singola parola uscita dalla sua bocca e ciò lo infastidisce. Si avvicina, io con le braccia conserte in un angolo, gli occhi lucidi, l’espressione stordita, lui immancabilmente fasciato in una veste nera, spalle rigide, sguardo penetrante, mi porge la fiala sulla quale mi ero soffermata. “Due volte al giorno, a stomaco pieno se le è possibile. Se non vuole mangiare, forzala, maledicila se sei costretta”.
Vago con lo sguardo oltre la sua figura, posando gli occhi sulla poltrona accanto al camino, diversi metri da noi. Un braccio pendente fa capolino dal bracciolo, la pelle diafana spicca sul nero del tessuto, il calore proveniente dalle braci non sembra riscaldarla affatto. Provo disprezzo per la proprietaria di quella mano e posando lo sguardo sull’interlocutore difronte a me, tento di trasmettergli il medesimo sentimento rivolto alla sua persona, verso quest’uomo che ora è dubbioso.

Non sono nata per essere una badante, non gradisco essere una serva in casa mia; provengo da una nobile famiglia, i maghi e le streghe s’inchinano al mio passaggio, fremono per avere miei consigli, temono una reazione negativa nei miei confronti. No, io non voglio essere degradata a questo ruolo infimo, non me lo posso permettere.
“Mi hai sentito?”
“Non sono sorda”.
“A me sembra il contrario”. Affronto il suo sguardo, due occhi ricolmi di nero mi scrutano, tentano di leggermi dentro, mi giudicano.
“Non osare parlarmi così in casa mia”. Un singolo passo nella mia direzione, un piccolo passo più accanto a me, mi provoca un sussulto. Devo tranquillizzarmi, lui non mi farebbe mai del male.
“Da quanto tempo non dormi?” Sospiro, non c’è riposo per i malvagi. Gli strappo la fiala dalle mani; scostandomi da lui, percorro l’intero salone senza guardarlo, senza voltarmi per congedarlo. Non ho il coraggio di mandarlo via, non voglio che se ne vada, questo posto è troppo grande e silenzioso, io non voglio stare sola con Lei.

Con le mani tremanti, verso la pozione in un calice, la diluisco con dell’acqua e la porgo alla donna accovacciata sulla poltrona, lo sguardo vacuo, perso nel vuoto. È incosciente, la sua mente corre frenetica alla ricerca di un ricordo, un minuscolo appiglio che le permetta di continuare a vivere senza avere Lui accanto. Quando mi scosto da quel giaciglio, non è rimasto nessuno nel salone all’infuori di noi due, nessuno più a farmi compagnia; Severus se n’è andato, troppo indaffarato per curarsi di una donna malata, troppo indifferente per potersi occupare, ancora per qualche istante, di una donna alla quale non deve nulla.

*

Vengo riscossa nel cuore della notte dalle urla assordanti della donna. Scorro lentamente il palmo della mano lungo l’altra sponda del letto. Non c’è nessuno. Le lenzuola gelide mi causano un brivido sulla schiena; mio marito non è tornato, l’ennesima settimana ma non tremo per questo, vorrei aver trattenuto Severus più a lungo.

Altre urla riecheggiano nella stanza; accorrere al suo capezzale sarebbe ingiusto, la donna pervasa dal dolore è mia sorella, sangue del mio sangue ma quello che prova, la sua pena, non è condivisa. Strilla e si contorce per un uomo che umano non lo è mai stato, per un essere che non le ha mai rivolto attenzioni, per un mostro che ci ha condotti solo nel buio delle tenebre e alla morte. Per quale motivo dovrei sottostare ai suoi capricci se non posso e non desidero rassicurarla del ritorno alla gloria della causa di così tanto dolore? Stringo i pugni e serro la mascella, imponendo lo sguardo sulle crepe del muro sopra di me, mentre le urla continuano incessanti. La pozione da somministrarle richiama la mia attenzione, il pensiero di berla io stessa fa strada nella mia testa; potrei porre fine a tutto questo rumore fastidioso usando un semplice Silencio ma ormai non mi resta più nulla per la quale continuare a vivere. Pochi secondi per pensare a Draco e senza indugiare oltre, ingerisco la sostanza ambrata; l’effetto è immediato, il mio corpo reagisce subito, i muscoli s’irrigidiscono, la testa pesante appiattita al cuscino. La mia mente continua a lavorare per qualche istante ancora, finché gli occhi non si chiudono e perdo i sensi mentre alle mie orecchie riecheggia l’urlo straziante di Bellatrix.

*

Severus è tornato a farmi visita dopo diversi mesi d’assenza e ora che lo vedo da cima a fondo, nella sua interezza, mi rendo conto di tutta la stanchezza che quest’uomo si porta appresso, lui che ha tentato di sopravvivere come meglio poteva ma che ormai non ce la fa più. Gli vado incontro titubante, sul suo viso un’espressione mortificata; china la testa in avanti, un cenno di diniego m’inchioda dove sono. Schiudo le labbra, il mio respiro si fa più affannato quando da dietro l’uomo che ora ha lo sguardo puntato su di me, scorgo mio marito. Nel suo portamento regale, nei suoi abiti curati, nel suo aspetto saccente, Lucius si avvicina a me compostamente. Il suo sorriso mi blocca il respiro, ciò che mi sussurra all’orecchio poi, poche parole, mi congelano il cuore. “Il Signore Oscuro, il Nostro Signore, è tornato”.

Soffro, come se una maledizione si fosse abbattuta su me, come se Lucius stesso mi avesse inferto una ferita mortale. Quale ingiustizia ho commesso per ottenere in cambio questo dolore, quale errore ho compiuto per meritarmi questa disgrazia? Non è forse insito in ognuno di noi, sperare in una vita all’insegna della tranquillità, della pace, credere che un giorno le cose andranno bene a discapito degli avvenimenti del passato? Certo è possibile sperarlo, vederlo accadere è purtroppo fortuna di pochi.

Assumo la migliore espressione stupefatta ed estasiata che posso permettermi, mentre sposto lo sguardo da mio marito al mio amante. Non ha mai smesso di scrutarmi; posso percepire ciò che prova, si sente colpevole per quello che è accaduto, si stente in colpa per averlo fatto tornare.
“Severus puoi andare, sarò io stesso a dare la lieta notizia a mia cognata. I tuoi servigi non son più necessari”. Lui china il capo in segno di saluto, restando immobile con gli occhi puntati su di me, preoccupandosi di me e non dell’uomo al mio fianco, trascurando quello che è a tutti gli effetti mio marito. Entrambi consapevoli che questa sarà l’ultima volta a nostra disposizione per essere nella stessa stanza, per poterci vedere, indugiamo troppo a lungo l’uno perso nell’altra.
“Dobby, scorta fuori Piton”. Poco gentilmente, la presa sul mio braccio si rafforza e mentre Severus viene allontanato dalla tenuta contro la sua volontà, io vengo segregata nella stanza da letto. Quelle che fino un secondo prima erano urla insopportabili di una donna impazzita dal dolore, si placano improvvisamente, lasciando spazio a una risata sguaiata, ossessionata dalla speranza ben riposta di riavere con sé un pezzo della propria anima, la sua parte più oscura, che ora vincente, le permette di continuare a vivere.
  
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