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Autore: summers001    20/05/2016    3 recensioni
CaptainSwan | AU | Multicapitolo breve
Dal testo:
Le cheerleader erano appene scese in campo, la musica stava risuonando da uno stereo sull'erba ed i giocatori si allontanavano sudati, lasciando spazio alle ragazze. Qualcosa le toccò la spalla. Si girò e vide il professor Jones accanto a lei."Sono venuto a chiederti scusa." cominciò lui.
"Come?" chiese lei. Si chiuse l'altro orecchio con un dito per sentire meglio.
"Avrei dovuto chiederti quali fossero le tue intenzioni" continuò lui. Emma cercava di seguire il discorso. Di tutto aveva capito solo che le chiedeva scusa. Le sfuggivano le parole precise, ma non era importante.
"E' stato gentile."
"No, non lo è stato. Il fatto è che, Emma, speravo di allontanarti da qui, da me."
Di nuovo non capì molto, ma era sicura di aver sentito "allontanarti da me". Lo guardò, non capì, il cuore accellerò di brutto, riusciva a sentirselo fino in gola. Ingoiò quel groppo pesante, chiuse gli occhi. "Perché?" chiese.
Il professor Jones non disse niente. Quando non diceva niente, di solito poi le sorrideva. Ma rimase serio. La guardò negli occhi fisso ed Emma guardò lui. Si perse nel mare blu delle sue iridi e di mille pensieri.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un giorno era successo per sbaglio che Killian Jones s'era imbattuto in Emma Swan.
Si era appena trasferito a malincuore in America, nello stato del Massachusetts, l'ultima possibilità che gli era rimasta. Quando se n'era andato da Cambridge ci aveva lasciato dentro troppi ricordi. Aveva deciso di abbandonarli tutti però e voltare pagina. Suo fratello Liam ce l'aveva anche un po' costretto, ma faceva di tutto per sentire la scelta come sua, per nascondere la vera ragione.
S'era appena trasferito, prima ancora di insegnare, che incontrò Emma Swan.
Lei era alta, snella, con dei lunghissimi capelli biondi, il viso poco innocente e quasi sempre arrabbiato. Le persone arrabbiate hanno un certo non so che di speciale. E' come se ne sapessero più degli altri, come se avessero più da nascondere e più da darti. Avrebbe potuto giurare allora che di anni ne aveva almeno venti.
S'era fermato al centro commerciale, aveva comprato vestiti nuovi, s'era sbarazzato di quelli che puzzavano d'inglese e s'era seduto al bar con un frappé. Fragola e banana, come i bambini. Liam gli avrebbe ripetuto quella battuta che faceva da secoli: "tieni a bada la tua sindrome di Peter Pan, caro il mio bimbo sperduto!". Come se facesse ridere poi. Aveva smesso di farla da quando era successo il fattaccio però.
La notò mentre discuteva con qualcuno appena fuori da un negozio, che urlava insulti probabilmente mentre veniva accompagnata fuori. Non aveva sacchetti in mano, non aveva comprato niente. A Killian Jones scappò un sorriso. Osservò la commessa uscire con un dito sulla bocca e avvicinarsi alla ragazza bionda, discutere ancora finché lei non se ne andò con una mano alzata a mezz'aria. Americani!, pensò Killian.
Gli camminò proprio affianco quando un pacchetto di gomme le cadde dalla tasca, giusto a una spanna dai suoi piedi. Killian Jones lo raccolse. "Signorina!" la chiamò. Quella si girò, glielo strappò di mano senza di dire niente e se ne andò. I capelli volteggiarono per aria. La rinotò più tardi, seduta su una panchina di fronte alla fontana, con lo sguardo truce e tanti grilli per la testa.
Due settimane dopo la conobbe. Era una sua allieva. Si sentì strano nello scoprirlo.
Era distratta, intelligente, coraggiosa, non si teneva niente in bocca se credeva che ne valeva la pena. All'inizio gli faceva tenerezza, gli ammorbidiva il cuore, ma allo stesso tempo rabbia. Era stato cresciuto da sua madre con l'idea che il duro lavoro avrebbe ricompensato. Credeva fortemente nella forza di volontà, nella disciplina. Ed Emma era così svogliata. A volte però ce la metteva tutta. Un'analisi su Shakespeare l'aveva colpito.
Shakespeare... Era l'autore preferito di...
E ad Emma non piaceva. Non era romantica, non era una sognatrice.
Era seria. Non rideva mai. Eccetto con una persona, August Booth. Aveva verificato, seguiva con lei chimica, francese e matematica. Pranzavano assieme, studiavano assieme, andavano alle partite assieme e si vedevano sempre negli intervalli.
In pochissimo tempo era diventato ossessionato da quella ragazza: l'odore del suo shampoo era la vaniglia, non usava profumi, le piaceva vestirsi di nero, di rosso ed occasionalmente di blu. Aveva un cellulare con la fotocamera e lo usava con la mano sinistra e non con la destra, ma scriveva sempre con la destra. Mangiava sempre un dolce ad ora di pranzo, non l'aveva mai vista con un ciuffo d'insalata e non si sgranocchiava mai le unghie. Era curioso quando c'era di mezzo lei. Sul registro la cercava sempre quando faceva l'appello, sperava che ci fosse ogni giorno.



Chiamava spesso la sua famiglia in Inghilterra. Quello che gli interessava di più sentire era suo fratello. Quando Killian si metteva in testa un progetto, se sua madre da un lato prima lo incitava e poi gli mostrava le falle delle sue folli idee, suo fratello era schietto fin da subito. Se voleva la verità nuda e cruda era da suo fratello che doveva andare.Quindi lo chiamava quando qualche malsana idea gli pizzicava il cervello.
"Ho un'allieva molto talentuosa." gli disse una volta "E' sveglia, originale, dice sempre la sua... è fuori dagli schemi ed ha un caretterino..."
"Killian." cominciò dall'altro lato del ricevitore suo fratello. Sentiva già rimprovero nella sua voce.
"Cosa?" chiese lui innocentemente.
"Di nuovo?"
"Non è come credi. Non è come a Cambridge." cercò di rassicurarlo.
"Ah no?" chiese scettico e retorico. "E allora perché mi hai chiamato?"
Killian strinse i denti.
Doveva allontanare Emma Swan, non c'era altra soluzione.
Alla fine non c'era riuscito.
Ci aveva provato, non si poteva dire che non l'avesse fatto. Anzi. Aveva chiamato tutti i college dell'altra costa, aveva cercato online la lista di tutti i professori di tutti i campus che si trovavano come minimo a cinquecento chilometri di distanza. Si ricordava di una sfilza di ragazzi che s'erano laureati con lui ed erano andati ad insegnare negli Stati Uniti. Se continuava a cercare prima o poi qualcuno l'avrebbe trovato.
Ce n'era uno in particolare che gli venne in mente: gli passava i compiti di latino e si prendeva quelli di greco, non l'aveva trattato neanche troppo male. E poi tra colleghi ci si scambia favori! Lavorava a Stanford. Era una buona scuola, un programma di studi completo, insegnanti niente male e un non basso numero di laureati celebri. Si chiese se Emma predilisse di più le materie classiche o quelle scientifiche. Aveva sempre dato per scontato che gli interessasse di più la sua materia. Ma chissà, magari era appassionata di cinema.
Si ricordò di averla vista più di una volta scattare fotografie. Forse era quella la sua strada? Gli si accese un lampo dentro, una voglia di aiutarla a trovare la sua via, spronarla passo passo, vederla diventare una donna di successo.
Ma non poteva.
O sì?
Dio, era così pazzo di lei.
Chiamò Liam e poi il suo amico a Stanford.



Sarebbe andato tutto liscio se la voce della sua coscienza non avesse deciso di essere troppo impegnato per rispondere al telefono per più di due giorni.
E allora Killian si disse, che male poteva fargli andare al ballo? Incontrarla? Fare l'amore con lei nel suo studio?
Se avesse voluto metterla dal punto di vista della polizia, degli studenti e del preside, allora sì, Killian si era scopato una studentessa: l'aveva sedotta, le aveva fatto delle promesse, l'aveva convinta con l'inganno a seguirla e l'aveva... Cosa? Stuprata? Ma conoscevano davvero Emma? Gli sembrava realmente plausibile che lei tra tutti potesse farsi stuprare così, senza neanche un calcio nelle palle o quant'altro?
Sembrava che la sua vita si ripetesse ciclicamente: si innamorava di una studentessa, lei si innamorava di lui, passavano del tempo insieme, poi la sospensione, genitori arrabbiati, un processo, un'accusa, l'obbligo a consegnare le dimissioni. Poteva anche non dimettersi, ovviamente. A meno che non volesse che la scuola raccontasse tutto al suo prossimo dirigente scolastico, si fa per dire. Però, siccome gli americani sono più plateali degli inglesi, a tutto quel ciclo infinito di eventi si era aggiunto anche il divieto di avvicinarsi alla struttura.
E cosa poteva fare allora per incontrare Emma senza sembrare uno stupratore seriale? Aspettarla fuori dalla scuola? A dieci metri? Venti? Vicino casa?
Si disse però che la scuola era autorizzata a fornire i recapiti dei suoi insegnanti ed ex insegnanti agli allievi. L'avrebbe trovato lei. Era sveglia, era certo che l'avrebbe fatto. Così passò i giorni a leggere libri, fare una selezione di qualcosa che magari a lei sarebbe piaciuto. Forse Sulla strada o i racconti di Edgar Allan Poe. Emma era così tenace, ed indipendente, e forte.
Ed aveva ragione ad aspettare, se non per l'unico fatto che non fu Emma a presentarsi alla sua porta, ma il ragazzino di cui era stato geloso per diverso tempo: August Booth. Quando aprì la porta lui gli disse solo "La deve aiutare.". E così venne a sapere del terribile ed inutile interrogatorio al quale era stata sottoposta, alla visita medica umiliante, al panico nello scoprire la sua gravidanza (notizia alla quale non potevano non ammorbidirglisi gli occhi) ed alla fuga.
Si presentò alla sua porta di casa.
Ci voleva coraggio.
La signorina Swan, Mary Margaret, gli aprì la porta con le lacrime agli occhi ed in mano un fazzoletto. C'era silenzio dentro. Ebbe giusto il tempo di notare un paio di persone nel salotto tra cui lo sceriffo, l'amico August ed il preside, che gli venne subito scagliato uno schiaffo in piena faccia.
"Come si permette?" chiese Mary Margaret sconvolta.
"Mary," disse August che la raggiunse alla porta. Doveva conoscerla da molto per chiamarla per nome "l'ho chiamato io."
Sul volto della donna comparve un'espressione di disgusto e disprezzo. Sapeva benissimo quello che lei pensava: i ragazzi non capiscono ancora certe cose, non capiscono ancora quanto quest'uomo faccia schifo.
"La prego," cominciò a supplicarla "amo sua figlia, voglio aiutare a cercarla, voglio aiutarla, stare con lei." ammise. La vide afferrare la maniglia della porta e prepararsi per sbattergliela in faccia, ma la fermò con un piede sull'uscio e una mano sul legno. "Dico davvero!"
Ma non ci fu storia.
La porta si chiuse. Non era ammesso nel gruppo. Rimaneva sempre lo schifoso porco che aveva sedotto e messo incinta una diciottenne, abusando della sua posizione di educatore.
E adesso?



Trovarla non fu facile. Per niente.
Sapevano soltanto che si trovava a New York e che ormai erano passati otto mesi dalla sua fuga.
Killian non si diede per vinto neanche per un secondo. Si trasferì lì, ogni giorno girava per le strade con una foto di Emma che aveva preso dall'annuario. Non le avava scattato neanche una foto. Partì dagli ospedali, ma non gli dissero niente, non potevano dirgli niente. Valeva la pena però controllare almeno una volta al mese. Quindi cominciò a pattugliare le strade, non sapendo assolutamente da che parte cominciare.
Non era facile. Ed in più tutti i soldi che aveva messo da parte si stavano pian piano esaurendo. Presto o tardi avrebbe dovuto cercarsi un lavoro se avesse voluto continuare.
Per una volta però, il tre di dicembre, la fortuna fu dalla sua parte. Un'infermiera in un piccolo ospedale gli disse che sì, forse era passata una ragazza incinta da quelle parti e che poteva somigliare alla ragazza nella foto. Non manca molto, lo avvisò. Allora tutti i giorni passò di lì a chiedere se Emma c'era.
Il quattro dicembre, no. Il cinque, nemmeno. Il sei, neanche. Il sette, neppure. L'otto, mancava l'infermiera che lo stava aiutando e gli altri non erano poi così gentili. Il giorno nove, Ollie l'infermiera lo avvisò che erano là. Erano, al plurale!
Killian scattò per i corridoi, prese le scale e salì al quarto piano a piedi. Il reparto maternità era vuoto. Girò un angolo e poi la vide. Fu così sorpreso che neanche ci credeva. Era in piedi, di profilo, i capelli sciolti, un camice bianco e due gambe magre come un chiodo che spuntavano da sotto. Era ferma davanti ad un vetro spesso. Killian si avvicinò cauto, non voleva spaventarla. Lei era presa comunque da qualunque cosa stesse guardando e non ci fece neanche caso.
Cosa doveva dirle? Ciao? Scusa, mi dispiace? E' solo colpa mia?
Poi s'affacciò anche lui a spiare una nursery. Qualunque cosa stesse pensando fino a poco fa sparì. Si fece più vicino fino quasi a spiaccicare il naso sul vetro. Non s'accorse neanche della reazione che poteva aver avuto Emma. Forse aveva sussultato, ma non avrebbe potuto affermarlo con certezza in futuro. Si sentiva non di meno di un papà che aveva aspettato tutta la notte fuori in sala parto. Era solo una la cosa che riusciva a pensare in quell'istante: "E' sano? E' un maschio o una femmina? Quale..."
Si rese conto troppo tardi di aver parlato ad alta voce. Si ricordò che Emma non sapeva neanche che lui era lì fino ad un secondo prima. Si girò verso di lei. Si stringeva un braccio attorno al petto e con l'altro si torturava un'unghia. Non l'aveva mai fatto. Poi lei alzò un dito, indicò verso una unica culletta occupata, circondata da diverse altre vuote. Il nome Henry figurava scritto in blu su di un cuoricino bianco di tessuto appeso. Rimase imbambolato a fissarlo per non saprebbe dire quanto tempo.
"Potete tornare. Entrambi." precisò. Non avrebbe lasciato quel piccolo batuffolo di carne neanche per un secondo. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Tutto quello che avrebbe voluto fare era stringere Emma, abbracciarla e guardare insieme loro figlio oltre il vetro. Loro figlio. Wow, sembrava così strano.
"Non lo terrò." disse lei. E tirò su col naso. Poi si passò il dito sul viso colante di muco e cercò di nascondere la sua espressione. Ci si aggiunsero presto le lacrime. Killian si girò verso di lei e capì che non aveva fatto altro che piangere tutto il giorno.
"Lo farò io." disse. E sperò che questo potesse consolarla, che l'idea di non dover lasciare suo figlio la aiutasse. "Devo solo trovare un lavoro qui. Puoi venire anche tu. Potresti... Potremmo..." Che le stava proponendo?
Aspettava con trepidazione una sua risposta, il cuore gli batteva a mille. Poi lei fece un'espressione di sprezzo e solo quel mezzo sorriso, che non aveva niente di piacevole o divertente, lo ferì più di ogni altra cosa che venne dopo. "E vuoi che parli alla polizia in cambio, giusto?"
Come poteva Emma pensare una cosa del genere? Anche lei? "No, se non vuoi." cominciò, ma si rese conto di essersi espresso male fin da subito "Non te lo sto chiedendo, né voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi." Era sicuro poi di aver visto altre lacrime che scendevano seguendo quelle prima, creando una unica sottile e traballante linea sul suo viso stanco.
"Vuoi solo aiutarmi per fare il buon samaritano? Non ne abbiamo bisogno."
Killian si rese conto sin da subito che anche lei aveva usato il plurale. Sorrise a pensarci. Non poteva farci niente, era troppo commosso. "Voglio farne parte, non aiutare." disse. E quello che intendeva era che voleva esserci, voleva essere parte di quella cosa, in qualunque modo avesse voluto chiamarla, famiglia o cos'altro. Voleva aver bisogno di aiuto, di chiedere consigli a qualcuno che di figli già ne avesse, telefonare sua madre e farsi raccontare qualche modo per far addormentare quel bambino. Voleva essere suo padre. E voleva essere l'uomo che Emma avrebbe voluto. "Ascolta," cominciò e le prese le spalle. In realtà cercava di prendere tempo per organizzarsi un discorso che non sapeva neanche che capo e che coda avesse. "terrò io Henry nel pomeriggio, di mattina può stare con tua madre se hai voglia di tornare a casa, o posso trascinare la mia qui a New York se vuoi restare, o possiamo assumere qualcuno se ti fidi abbastanza. E tu potrai continuare a studiare. Al college o dove vuoi. Trovare la tua strada, quello che vuoi.. io.." si rese conto di farneticare. Parlava così spedito che neanche lui capiva le parole che gli uscivano dalla bocca e sulla sua faccia c'era una espressione indecifrabile, che a mala pena riusciva a stare dietro al suo filo di parole.
"Che cavolo stai dicendo?" gli domandò alla fine lei. "Mi hai vista? Sono troppo giovane, sono io, sono... Non sono la sua migliore opportunità! Non merita di.." Sulle guance di Emma caddero altre lacrime.
"Ma io no. Ed insieme possiamo essere quella opportunità."
Emma alzò gli occhi. Guardò prima verso di lui. Mandò giù un groppo di lacrime ed aria. Poi si girò, fissò verso il vetro ed allungò una mano. 


 




Angolo dell'autore.
Ehm... coff coff... scusate il ritardo? No, eh? Okay, me lo sono meritato! Non dico niente che è meglio!
Solo che manca l'epilogo :) ed io sono felice come una pasqua perché riesco a pubblicarvi tante belle cosine :) 
Ve piaze?

  
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