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Autore: Newtmasinmyveins    20/05/2016    6 recensioni
Il principe non indietreggiò, le bloccò i polsi, lei continuava a divincolarsi, sferrando pugni innocui. Gridava, mentre tutti guardavano, Richard era appena sceso, fissava la scena con sguardo inespressivo.
«La colpa è vostra! Siete un essere insensibile, » le sue grida agonizzanti, il suo pianto irreparabile, la stanchezza di lottare, ma il coraggio di continuare a sferrare pugni, la rendevano più forte di quanto credeva.
Alfred lasciò la presa, la fissò mortificato, spalancò le braccia,
«Colpite, vi aspetto » il viso piangente di Elena lo rendeva così debole, perché quella donna aveva una tale influenza su lui? «lasciate che paghi per questa colpa che ho»
* PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE*
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il mio unico amore spunta dal mio unico odio ora so chi sei e non posso tornare indietro…
 Mostruoso la nascita di questo amore proprio per il nemico più odiato.

William Shakespeare

Diciassettesimo Capitolo



Elena si alzò concitatamente, Alfred dov’era andato? Appena l’aveva cacciato, non aveva opposto resistenza né l’aveva trattata male. A mente e a sangue freddo non credeva di averlo fatto. E’ vero, era sempre stata ribelle ma forse la rabbia non le aveva consigliato la scelta giusta; Sebbene se ne pentisse giacché non solo aveva violato una delle prime regole dell’etichetta ma anche perché lui fosse più grande e, non meno importante, era il padrone di casa, non gli avrebbe mai chiesto perdono. Alfred Grayson non era Dio né tantomeno meritava le sue scuse.
Tentò di calmarsi sentendosi mortificata come una bambina dopo aver rotto un vaso prezioso.

«Sì … ho sbagliato, - ammise discolpandosi – avrei dovuto … - s’innervosì ulteriormente non trovando il termine adatto, si avvicinò alla porta e, con un’occhiata fugace, si affrettò a chiudere la stanza- Ma anche lui ha le sue colpe, con quella femmina … Un uomo così non può essere mio marito, mai! » digrignò a denti stretti adirata più di sempre.

Camminava spedita per la stanza, incurante che i suoi piedi, -seppure il camino fosse acceso - erano ancora freddi. Il suo problema da quando era arrivata in Scozia era quell’uomo; appena messo piede al castello, l’aveva esasperata con la sua prepotenza e il suo carattere bipolare, ora, invece, nonostante lei continuasse a trattarlo male, lui si preoccupava se saltasse i pasti, se sentisse freddo e le rivolgeva attenzioni che a qualsiasi donna fanno piacere. Sopraffatta dalla rabbia, iniziò a spazzolarsi i capelli o meglio, il gesto, violento com’era, sembrava proprio che li stesse estirpando dalla radice. Travolta dalla collera, le scappò un urlo che pensò subito di soccombere giacché avrebbe catturato l’attenzione dei servi del piano, facendoli accorrere. Si lasciò cadere, come petali appassiti, sulla poltrona dinanzi al camino. Se odiava Alfred, perché quella reazione di gelosia? Le parole di Marco tanto dolci quanto confusionali l’avevano portata a un bivio: cosa avrebbe dovuto scegliere?Il suo cuore non lo sapeva. E ciò voleva dire soltanto una cosa: il Principe donnaiolo e prepotente non le era del tutto indifferente.

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Continuava a fissare passivamente le fiamme che divampavano nel camino. Per un attimo staccò lo sguardo dal fuoco portandolo alla clessidra sullo scrittoio. Decise di alzarsi e giocarci per un po’.
“Il tempo sta per scadere” pensò afflitta. Alzò gli occhi castani a un cielo tanto triste: il chiarore della luna più pallido di sempre era ostacolato da qualche nuvola guastafeste.
Pensò alla sua vita e a come sarebbe stato il suo futuro.

Una vita che non puoi decidere tu, che vita è?

Il tempo scorreva, l’orologio appeso alla parete indicava le 11:50 p.m, altri dieci minuti e avrebbe incontrato Marco nella scuderia … Doveva andarci, ma non sapeva ancora cosa avrebbe fatto.
Si sentiva abbandonata al suo triste destino, minuscola in un mondo immenso e governato dall’ingiustizia. Era certa di trovarsi in una gabbia di matti, in una società dove la donna non deve fare altro che assecondare le pazzie di un uomo folle. Lei avrebbe dovuto sposare il principe, un animale,  anche se ultimamente aveva un effetto strano su lei. Chi era davvero Grayson? Che ci fosse una parte che non aveva ancora rivelato? 

Dopo aver cacciato la viscida baronessa, infatti, Alfred era passato nel suo studio per prendere una piccola pergamena, dirigendosi poi al piano di Elena.
Come si era prefissato, la porta della stanza era chiusa e ciò gli aveva semplificato il lavoro; accovacciandosi, aveva depositato il foglietto sotto la porta augurandosi che un servo curiosone non avrebbe rovinato la sorpresa; mentre si alzava, aveva poggiato l’orecchio alla porta speranzoso di sentire Elena, gli sarebbe bastata anche un’imprecazione ma nulla.
“Starà dormendo” sibilò dispiaciuto, immaginando il corpo minuto della giovane in un letto tanto grande quanto freddo.  

Era bella anche quando dormiva. Lei lo era sempre.

Accennò un riso nervoso, scosse a destra e sinistra il capo, quasi per allontanare pensieri perversi che mai come quella volta, non gli avevano sfiorato il pensiero.
Non sapeva da cosa Elena si caratterizzasse, ma era diversa dalle altre. Occupava sempre la sua mente ma non per pensieri depravati anzi, per vere e proprie riflessioni di vita.
Come aveva fatto una ragazzina insopportabile quanto ribelle a cambiarlo? Era così strano che non riusciva a capacitarsene. Tutte le certezze erano crollate, sapeva solo che da quando l’aveva incontrata, inevitabilmente, si era fatto una promessa: la avrebbe protetta ovunque, da lontano, in silenzio. E se stesso lui fosse stato un pericolo, l’avrebbe difesa anche da se stesso.
«Buona notte- sussurrò amorevole.- mio sole … » accennò un nuovo sorriso e silenzioso andò.

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Era notte e, le campane vicine, rimbombanti, indicavano la mezzanotte. Marco era pronto. Silenzioso si era diretto nella stalla sul retro, prendendo con sé lo stallone più energico e veloce, poteva immaginare i tanti pericoli ma di certo non sapeva cosa sarebbe accaduto quindi «Meglio munirsi bene …» si era detto. Aveva preso l’indispensabile: abiti per ripararsi dal freddo, nutrimento per il cavallo, viveri per lui ed Elena tra cui fette di torta alla frutta che aveva rubato dalla cucina del palazzo.

Vicino al traguardo, fiero del suo piano, aspettava Elena. A breve quella ragazza avrebbe sceso le scale e insieme sarebbero fuggiti coronando il loro sogno d’amore o meglio dire “il piano che Marco stava progettato da anni senza avere il modo di attuarlo”. Ebbene sì, Elena era il modo, l’oggetto di vendetta.
Marco non la amava, ma ciò non voleva dire che non aveva tenuto a lei. Durante la rivolta, quando si videro per la prima volta, lui restò stregato dal concentrato di bellezza e dolcezza di Elena al punto da definire “Beatrice” un tramite tra l’uomo e Dio.

Col tempo le cose cambiarono, scoperta la vera identità della giovane, i suoi sentimenti svanirono, continuando a essere galante con la ragazza ma soltanto per uno scopo personale. Lui bramava una vera e profonda rivincita, come Alfred aveva privato a Mira di vivere, così avrebbe fatto lui con Elena.

Una vita per una vita.

Avrebbe portato la ragazza con sé, e il sovrano pensando che Elena l’avesse abbandonato per sempre, sarebbe impazzito. Doveva marcire nell’angoscia, provando il medesimo dolore di quando il cadetto, trovando il corpo senza vita di sua sorella, morì dal dispiacere.

«A breve sarà qui … me lo sento …» si rincuorò  vedendo il tempo scorrere e nessuno apparire sulle lunghe scale. Inspirò ed espirò. Aveva organizzato tutto, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinare i suoi piani.


E così fu. La figura di Elena apparve all’atrio, avanzando incerta sulle grandi scalinate di marmo che la dividevano dal cadetto.
Un sorriso spontaneo nacque sul volto del  cadetto, ma quando le lanterne che illuminavano fiocamente misero a fuoco la figura di Elena, Marco constatò che ella era in vestaglia e senza calzature.
Era scalza per evitare che la servitù si svegliasse? No, nessuno l’avrebbe sentita, le stanze distavano kilometri. Era forse un rifiuto? Rabbrividì al solo pensiero. Non aspettò neanche che gli arrivasse vicino che domandò come un fiume in piena;

«Cosa mi significa?  Perché siete in vestaglia?- camminava circolare - Non siete sicura? Che cosa credete ci sia di sbagliato?» sgranò gli occhi, stravolto dall’incredulità e dalla rabbia.
Elena si sentì assalita da quelle innumerevoli domande, respirò a pieno, non aveva intenzione di ferirlo, ma doveva riferire ciò che sentiva in quel momento.
«Tutto, tutto è sbagliato.» rispose cercando di assumere coraggio. Era assurdo, aveva tentennato diversi minuti cercando di mettere in piedi un discorso con senso logico e che non ferisse tanto e, invece, era lì, in silenzio. Era complicato far coincidere entrambe le cose. Sapeva che quella scelta avrebbe stravolto tutto allontanandosi definitivamente dal cadetto.

«Elena, io non capisco … Cosa vi trattiene qui? Non avete nessuno e peraltro siete costretta a sposare...  una bestia.» Aleksej era inferocito, cercava di non urlare ma l’ira aveva già preso il sopravvento. Le lacrime scendevano incontrollabili sulle guance di Elena che cominciava a odiarsi, si era promessa di non piangere e, invece, per l’ennesima volta aveva assunto un comportamento infantile.

«E’ il mio destino, milite, - balbettò asciugandosi le lacrime con i polpastrelli. Sospirò - e poi … anche se vi seguissi la mia anima e il mio cuore, non sarebbero con voi …» dichiarò inaspettatamente.

«Come potete essere tanto corta di mente?- sbuffò il cadetto mettendosi la testa tra le mani, stremato.-In che senso la vostra anima rimarrebbe qui?Lo amate? – spalancò le orbite e accennò una risata nervosa. Si fece serio, constatando la gravità della situazione.- Elena rispondete. »

«Io … non sono innamorata di lui …» rispose tremante dopo lunghi attimi di silenzio.

«E allora perché tremate? Perché non mi guardate negli occhi?- le alzò il mento, costringendola a fissarlo.- Non vi è indifferente, lo leggo nel vostro sguardo.»

Elena si allontanò dalla presa, infastidita.

«Io non lo so, è crudele … ma mia madre non avrebbe voluto una cosa del genere. Sono sempre stata la figlia rispettosa, con un certo autocontrollo e già con la rivolta, ho mandato all’aria tutta la mia buona condotta e, infatti, sul mio conto girano cattive voci.  Tutti mi considerano una matta.» specificò disgustata di se stessa.

Marco dovette fingersi premuroso e a malavoglia la rassicurarò.

«Se è questa la vostra decisione, non la contesto. Resterò qui con voi...» enunciò lui con un nodo in gola.

«Grazie … - proferì lei abbattuta, gli accarezzò le mani in segno d’affetto e le strinse dolcemente.-perdonatemi ancora …» lo guardò ancora una volta e lasciando la presa si voltò per salire le scale.

Era quella la scelta giusta? Trascorrere una vita intera con un Principe senza amore e sicuramente essere la sovrana più raggirata di tutti i secoli?

Salì il primo scalino poi si arrestò.

Si girò verso Marco che aveva preso le redini del cavallo per riportarlo in scuderia.

«Marco … - proferì con un filo di voce, lui rimase inerme leggermente speranzoso che avesse cambiato idea.-Perdonatemi ma ho un dubbio che mi affligge … -proferì titubante.

Lui fece spallucce e le chiese di continuare.

«Avete scritto voi la poesia che ho trovato poco fa sotto la porta della mia stanza? »

Il cadetto spalancò gli occhi, confuso. Si guardò intorno indeciso su cosa dire e su cosa fare. Non aveva scritto niente di niente, ma Elena sembrava curiosa. Chi le aveva potuto scrivere una lettera? Chi era così romantico? Grayson? Impossibile, uno come lui non aveva mai ricorso a tale romanticheria.

«Pensavo che sarebbe stato un ottimo metodo per convincervi … -Mentì fingendosi imbarazzato - ma è stato tutto futile …»

Elena abbozzò un flebile sorriso, si avvicinò per accarezzargli le guance rosee e dolcemente gli spostò una ciocca di riccioli biondi che gli coprivano lo sguardo smeraldo, illuminato a intermittenza da una lanterna lì poco vicina che si muoveva in base alla rotta del vento.

«Che ne direste di recitarmela? E’ così bella … »

Per interminabili secondi il ragazzo restò in silenzio, inerme.

«Beh … temo di confondermi, è anche abbastanza lunga, sono più bravo a scriverle che a recitarle …» rispose poi balbettando, cercando di arrampicarsi sugli specchi.

«Che io ricordi è breve …» sostenne Elena perplessa.

«Anch'io rimembro lo stesso …» sopraggiunse una terza voce, impossibile non riconoscerla.

La giovane si voltò lentamente e il suo cuore smise di battere per qualche secondo. Alle sue spalle c’era il temibile Alfred. Era arrivato senza fare rumore e l’espressione sul suo volto era apparentemente rilassata.
«Vostra altezza!»  esclamò Elena impaurita.

«Si Elena, ottima intuizione, sono io, disturbo?» rispose ironico Alfred scendendo le scale che lo dividevano dai due.

Rivolse un’occhiata ai due e avvicinandosi al cavallo, prese il sacco poggiato sul torso dell’animale; con un’occhiata fugace guardò il contenuto. Accennò un ghigno.

«No...stavo andando via, cioè nelle nostre corrispettive stanze. » enunciò Elena in preda al panico.

«No no, continuate pure. Ero soltanto curioso. E si sa, il desiderio di sapere è uno dei peccati più gravi dell’uomo, lo conduce alla rovina …»

La contessa deglutì spaventata, Alfred, però si mostrava rilassato. – Voi Elena, cosa ne pensate?- domandò sereno accennando un lieve sorriso.

Quella ragazza gli avrebbe potuto puntare anche un pugnale dritto al cuore, ma lui l’avrebbe guardata sempre come se dinanzi avesse un angelo.

Elena respirò faticosamente, quella notte era maledetta, lo sentiva dall’aria che in quell’istante era divenuta ancora più greve.

«La curiosità rende l’uomo vivo- farfugliò spaventata - un uomo senza interesse è un uomo inutile.»

Il nobile rivolse a Elena uno dei suoi soliti sguardi di ammirazione, anche in quella situazione la sua promessa sposa era stata esaustiva.«Ottima osservazione, ora che anche la Contessa ha appurato che la curiosità è legittima, cadetto ti esorto a dire ciò che devi senza alcun timore.»

Marco abbassò lentamente lo sguardo irrigidendo la mascella.

«Non ho nulla da dire, vostra Altezza. » pronunciò sicuro.

«Ma come? Sono curioso di sapere il componimento tanto apprezzato dalla contessa.- scoppiò in una risata finta. Quando si fu calmato,  esplicitamente proferì- Non sei stato tu. –Elena si voltò verso Marco, confusa. – Elena, siete delusa? Già … che scempio approfittarsi della dolcezza e inesperienza di una povera donna, a quale scopo, milite?E me? Non eravamo amici un tempo? Dovreste sapere che un sentimento profondo come l’amicizia non si fonda sulle menzogne né sui segreti. Non sono un moralista, quindi lasciarmi la paternale non è il massimo ma permettetemi di dirvi, caro soldato, che avete agito alle mie spalle e non so quanto può essere positivo... – accennò un sorriso umoristico e dando un leggero calcio a un sassolino continuò -perché agire in modo così villano?- guardò Marco per tutto il tempo con espressione piena di astio - Per amore o egoismo? »

 Il biondo lo fissava con sguardo di sfida e non osò abbassare il capo.

Elena, avvertendo la tensione che si andava a creare a ogni minuto, si augurava dal profondo dell’animo che la situazione non sarebbe sfociata in un conflitto all’ultimo sangue.

«E’ tarda notte, siamo tutti molto stanchi, è meglio andare a dormire.»suggerì, sperando che la sua benevolenza avrebbero allontanato il Principe da pensieri negativi.

«No, no, anche se volessi, non riuscirei. Sarebbe atroce tentare di dormire mentre un martello continua a battere nella testa, qui precisamente- indicò il centro della tempia- sempre più forte, al punto da farmi impazzire. Mi sono state nascoste non poche cose e ho il diritto di scoprirle.» appurò Alfred senza scomporsi né alterarsi. La sua tranquillità infastidiva ulteriormente il cadetto.

«Non c’è nulla da scoprire …» sussurrò la contessa discolpandosi.

«Ah no, Elena? Credete sia così stupido?-le urlò contro e anche stavolta la loro vicinanza si era azzerata.-Perché stare a quest’ora, qui fuori, con quest’uomo? » nella voce di Alfred si avvertì qualcosa di rotto, non un semplice nervosismo bensì qualcosa travolto dai sentimenti.

Elena lo fissò attentamente e fu in quel momento che capì: Alfred era orgoglioso, uno stupido provocatore e debole di donne, ma sotto strati di insolenza ed effimeri desideri aveva un cuore, un cuore che aveva cominciato a palpitare da poco.

Qualcosa cambiò. Dai piedi infreddoliti sino al capo, Elena si sentì invasa da migliaia di particelle che erano entrate in funzione solo in quell’istante, mai aveva provato tale reazione. La temperatura della notte era bassa eppure si era surriscaldata tanto da paragonarsi a un camino in cui il fuoco divampa sempre di più. Alfred era ferito. Alfred soffriva come qualsiasi altro umano e chissà, forse non era la bestia che tutti credevano.

 
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A Elena mancò il fiato e per secondi interminabili restò immobile, con la bocca leggermente socchiusa e gli occhi fissi sul Principe.

Perché nonostante il male che le aveva fatto non riusciva a odiarlo?

«E’ ora di giocare a carte scoperte. Hai tramato fin troppo alle mie spalle. – il sovrano si privò della maschera della tranquillità, mostrandosi innervosito. Lanciò un’occhiata scadente al biondo, il suo tono era paragonabile a un tuono in un cielo visibilmente calmo ma che a breve sarebbe stato squartato dai lampi. - Elena, vi esorto a recarvi in camera vostra. –la giovane si mostrò ostile- Non succederà nulla … rassicurò lui guardandola dritto negli occhi, lei rivolse un’occhiata indecifrabile a Marco.

«Se anche il milite è d’accordo, vado. » A ciò, Alfred fissò Marco e indirettamente con i suoi occhi azzurri magnetici esortò il cadetto in silenzio ad acconsentire.

«Sì … andate lady Elena.» rispose Marco con angoscia. Irrigidì la mascella, ulteriormente agitato .

La contessina si voltò e senza accennare alcuna riverenza, salì il primo scalino e poi il secondo fino a sparire dietro il portone del grande atrio.

Nella mente di Marco viaggiavano immagini e frasi piene di rancore. Ora che era da solo con Alfred, al buio, il desiderio di ucciderlo era più acceso di sempre. Ma per il momento, il Principe con la sua calma, era stato capace di far saltare un intero piano progettato da mesi e quindi gli conveniva restare calmo.

«Cerca di riposare, all’alba, sulla collina del fiume. Non farmi aspettare. » proferì chiaro Alfred e con non-chalance salì lentamente le scale.

Quello di Alfred non era l’invito a un allenamento, bensì a un duello all’ultimo sangue.

 
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L’alba era quasi sorta e, i due sfidanti, sotto l’albero dai fiori rosei, attendevano lo sparo che avrebbe segnato l’inizio della sfida mortale. Marco, non avrebbe voluto presentarsi all’incontro ma ciò che lo aveva spinto a non tirarsi indietro era la sua preparazione militare. Contro Alfred avrebbe sicuramente vinto.
Per volontà del Nobile lo scontro si sarebbe basato sul combattimento medievale: armi pari, difendersi e attaccare con la propria spada senza ricorrere a vigliaccherie del tipo nascondere armi da sparo negli stivali o nella tasca di camicia di lino bianca. Tutto doveva essere legale.

Il sole, incerto e ostacolato dalla foschia, tentava di sorgere prima del dovuto. Intanto, anche quella mattina di fine Febbraio come le altre, il freddo batteva forte contro i ramoscelli delle flessibili piante.
Il bavero di Alfred continuava a sventolare, spazientito, il nobile lo sistemò per l’ennesima volta. Si augurò che il vento di lì a poco avrebbe smesso, poiché se fosse stato il contrario, assieme alla nebbia avrebbe impedito una limpida visibilità e quindi schivare i colpi in tempo, sarebbe stato impossibile.

Maurice, lo sparviero, stringeva la pistola in un pugno mentre avvicinava l’indice al grilletto. Tutto era anomalo: Marco e Alfred avevano condiviso tanti momenti, gioie e dolori, erano stati seduti allo stesso tavolo mandando all’aria le regole dell’etichetta, si sborniavano assieme e … tutto di un tratto erano lì, l’uno contro l’altro in un duello, dove solo il più forte l’avrebbe spuntata.

 Uno vince e vive, l’altro perde e muore.

E’ la legge della vita. E’ la legge del più forte.

Il moro fissò il suo ex compagno con uno sguardo colmo di odio, non avrebbe avuto nessuna pietà, anche se forse sarebbe stato proprio lui a salutare il mondo.  Alfred lo aveva messo in conto ma non sembrava spaventato anzi, al suo fedele servitore Lorry aveva detto «Non temo la morte perché mi batto per la mia vita. » Una frase apparentemente innocua e incognita ma se ben capita, si manifestava come una vera e propria dichiarazione: Alfred reputava Elena la sua vita.

La felicità di Lorry era evidente, finalmente quel Principe avido riscopriva i veri valori ... ma era in tempo?

Il cadetto guardava restio l’avversario, accennando di tanto in tanto sorrisi istigatori, cantando vittoria prima del previsto.

Alfred si schiarì la voce, timoroso che quella che stava per dire si sarebbe avverato.

«E’ probabile che mi batterai, quale onore uccidere un uomo illustre come me … - fissò la spada assicurandosi che la lama fosse ben affilata- la tua vittoria è più che certa, sono anni che non mi alleno come si dovrebbe, ma non m’importa, forse... se tu ed Elena mi aveste detto quello che c’era tra voi, vi avrei lasciato liberi  senza problemi. » enunciò d’un tratto, Marco restò basito. Alfred Alexander David Grayson aveva davvero detto quelle parole.


«Ma per favore!- sbraitò Marco dopo essersi ripreso - non rendetevi ridicolo, vi conosco, con me non c’è bisogno di maschere. So la vostra vera natura. » digrignò, estraendo la spada dal fodero.

Il principe lo fissò ulteriormente innervosito.«E quale sarebbe la mia natura, dottore? Certamente migliore della vostra, non siete altro un vigliacco che ha tramato tutto alle mie spalle! Ora non voglio sapere niente, dimostrate tutto nel combattimento e, se…»

Marco lo interruppe con una determinazione mai presente come allora,«Non c’è nessun se Alfred, io ti batterò.» omise il titolo e altre cortesie per pura volontà, ora erano al medesimo livello.

«Bene. » fu l’unica cosa che il nobile riuscì a dire, guardò Maurice dandogli il segnale di sparare.

Lo sparviero fece cenno di sì col capo, impugnò l’arma e la sollevò al cielo.

Uno sparo rimbombante fece sollevare in volo gli uccelli che attimi prima erano posati sul ramo dell’albero.

L’inizio della fine era cominciato.

 
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La contessa, come Alfred le aveva chiesto, era ritornata nelle sue stanze; chiudere occhio era stato impossibile e quindi aveva trascorso quelle ore di agitazione aggirando per la stanza, spiegando le tende, controllando abiti e mettendo a posto ogni piccola cosa che fosse in disordine. Doveva distrarsi, i cattivi pensieri le avrebbero causato incubi a occhi aperti. Si diede una ripulita autonomamente senza ricorrere alle vallette, indossò un abito bianco che scendeva lineare permettendole così facili movimenti. Doveva parlare con il Principe. Non importava l'ora che fosse.
In cuor suo continuava a credere che ci fosse qualcosa di sbagliato, che non era come dovrebbe.

Si fissò allo specchio, chiuse gli occhi inspirando ed espirando. Li riaprì solo quando si sentì sicura. Aprì la porta titubante.

La sua meta era lo studio di Grayson. Non le sarebbe importato se questi stesse ancora dormendo, lo avrebbe aspettato lì, con la faccia insonnolita risultato di una notte insonne  e preoccupata.

Fu sorpresa nel vedere che a pochi passi dalla sua stanza vi erano Lorry e altri due servi che discutevano accesamente. Si avvicinò lentamente e quando questi si accorsero della sua presenza, si zittirono improvvisamente.

« Anche qui sono l’oggetto di conversazione, il giudizio di Herthford era troppo poco, non è così?» sbottò delusa.

Lorry gonfiò il petto, s’inchinò dispiaciuto balbettando «Vostra Grazia, non parlavamo di voi, non ci permetteremo mai.» gli altri a mo’ di robot acconsentivano con il capo.

Elena abbassò il capo,  mortificata per la sua acidità.


«Perdonate me Lorry, -fece una pausa- avrei bisogno di parlare con il Principe, che lei sa, è ancora nelle sue camere? » domandò con tono pacato sistemandosi la ciocca di capelli che le era caduta dinanzi lo sguardo.

Il maggiordomo fece segni ai colleghi di allontanarsi, Elena strabuzzò gli occhi sospettosa.

«Non credo che abbia avuto il tempo di riposare contessina, si è allenato tutta la notte. »

«Allenato? » chiese Elena scettica.

«Non sapete nulla vero, vostra Grazia? »chiese a sua volta il valletto, sentendosi profondamente amareggiato, non era mai stato bravo a dare brutte notizie.

«Che cosa dovrei sapere Lorry?» Elena restò ferma, immobile. Le iniziò a girare vertiginosamente la testa preparandosi al peggio.

«E’ in corso un duello tra il Principe e il cadetto Marco. » specificò deglutendo.

In quell’istante ciò che era più nitido divenne velato, anche la constatazione più ovvia diveniva dubbia. Una vampata di calore le salì alla testa facendole perdere per un attimo l’equilibrio, Lorry si avvicinò, le tenne i fianchi per evitare che cadesse. Fu un istante che durò un’eternità. Quando aprì lentamente gli occhi, teneva la bocca leggermente socchiusa come se fosse l’unico organo con cui potesse respirare. Era in piedi, anche se si sentiva sprofondare nelle stesse gambe. Le girava la testa e istintivamente la toccò come se il contatto con questa avesse potesse alleggerire il dolore.

«Vostra grazia … ora vi accompagneranno in camera vostra …» disse indicando due servitori.

«No, no! – proruppe- io … sto bene. - proferì, anche se non sembrava, intanto, una lacrima le rigò la guancia.- E’ uno sciocco …» pensò a voce alta. Elena cercò di non mostrare la sua sofferenza, teneva il piccolo viso fanciullesco nascosto tra i folti capelli che cadendo scompigliati davanti, le coprivano gran parte del volto. Aveva il capo abbassato ed era profondamente abbattuta.

«Beh … almeno non è fuggito. E’ un cadetto degno di essere tale. » considerò il valletto cercando di tranquillizzarla.

 «Mi riferivo al Principe, avrà fatto anche tanti errori ma la Scozia ha bisogno di lui. » enunciò con voce rotta dal pianto.

« E voi? Avete bisogno del Principe?» domandò spontaneo pentendosene subito dopo.

Elena si schiarì la voce, rispondendo con un'altra domanda«Dov' è il combattimento? » domandò determinata fissando gli occhi piccoli e vecchi del maggiordomo .

«E’ una collina qui vicino, riconoscibile perché è l’unica ad avere un corso fluviale ma con questo freddo sarà di sicuro ghiacciato. Gli zoccoli di cavalli scivolano agevolmente, è impossibile andarvi con una carrozza. » informò intristito.

«Bisogna fermarli prima che sia troppo tardi. » dichiarò sicura di sé.

«Se solo fosse possibile, vostra grazia … c’è una tempesta in arrivo, dobbiamo solo sperare che vinca il migliore. » Lorry aveva voglia di manifestare la sua tristezza in un pianto di sfogo, conosceva il Principe più d chiunque altro, l’aveva visto nascere e mostrare la sua vera natura debole e profonda e non meritava di morire in quel modo, lui doveva vivere.

«La vera tempesta ci sarà se lui non tornerà. - disse Elena, si asciugò rapidamente le lacrime e fissò l’uomo che aveva dinanzi-Andrò personalmente, senza nessun cocchiere. »

Il paggio non ebbe tempo di controbattere che Elena era già lontana, si era affrettata a raggiungere il grande atrio per poi dirigersi verso la stalla.

Lorry ordinò alle guardie di fermarla ma in quanto servo non era suo compito dettare ordini e di certo non poteva e non voleva ostacolare la forza dell’amore.

Elena raggiunse la scuderia e ignorando lo stalliere, prese un cavallo bianco, era un purosangue arabo dotato di una velocità superiore ad altre razze di equini. Montò in sella e ignorando il vento forte che a cavallo aumentava maggiormente, partì.

Nella vita le erano stati imposti molti limiti, per la sua nobiltà era necessaria la razionalità, la scienza era giusta, la fantasia, una finzione.  La mente conduceva sulla retta via, il cuore era solo l’organo che pulsava sangue e di un tratto decideva di spegnersi segnando così la fine. Ora, cavalcando quel purosangue arabo, stava superando la linea di ciò che doveva fare e raggiungere ciò che voleva.

Il vento soffiava forte rendendo ardua la cavalcata, a ogni passo in avanti sembrava che ve ne fossero due all’indietro. Il tempo scorreva e pareva di essere sempre allo stesso posto, ma nonostante ciò Elena non si perse d’animo e continuando a incitare il cavallo a correre più veloce, sperava di trovare in tempo i due combattenti.

Pregando il Cielo, chiedeva che la pioggia sarebbe venuta giù quando tutto sarebbe finito. Cercando di avere un senso dell’orientamento, pensò a dove potesse trovarsi la famosa collina, l’istinto suggerì verso nord e così fece. Indirizzò il cavallo avanzando in quella direzione.

 
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Il duello era iniziato da un bel pezzo ma né Marco né Alfred riportavano ferite gravi. Il cadetto si gettava spesso sul sovrano per annientarlo ma questi parava con la spada tutti gli affondi. Si muoveva rapido e, invece, di difendersi e basta, si lanciava  anche egli all’attacco, rischiando. Marco non se la aspettava e spesso era costretto a indietreggiare agitando scompostamente la spada. Con consumata sicurezza, Alfred continuò ad attaccare. Non si trattava degli eleganti movimenti che aveva praticato tempo addietro quando si recava per tenersi in esercizio, bensì per quel sentimento che provava per la contessa di Herthford. Cercare le debolezze dell’altro, difendersi, essere veloce, incalzante, spietato. Il duello si faceva sempre più accesso e Marco sapeva rispondere ai colpi in modo migliore rispetto ad Alfred che nonostante cercava di mettercela tutta, era visibile che non era più portato per le armi.

«Fermatevi! » urlò una voce femminile. Marco l’aveva vista ma Alfred no; si voltò felice, si domandò se fosse morto ed Elena nelle vesti di un angelo fosse andata a prenderlo. Quell’istante di distrazione bastò per sentire la lama della spada che gli lacerava il polso, facendo scaturire un fiotto di sangue. Alla vista del sangue, la ragazza capì che tutto sarebbe degenerato e sentiva il bisogno di intromettersi.
Si avvicinò per fare da scudo, ma a chi? Marco o Alfred? Il primo era sicuramente più forte, non aveva bisogno di protezione tantomeno da una giovane donna inesperta, era lì proprio per il sovrano che aveva odiato da sempre? Era preoccupata per la ferita che Alfred riportava al polso, sebbene fosse superficiale, ne fuoriusciva una gran quantità di sangue.

«Smettetela vi prego, è una sciocchezza! » proferiva tremante immettendosi tra loro, non temeva l’incontro delle due lame sopra la sua testa o vicino al suo fianco, dovevano fermarsi. Non potevano combattere con lei in mezzo.

«Elena non dovreste essere qui. » pronunciò Alfred  allontanandola leggermente, Alfred riportava diverse ferite ed era ancora molto lucido. Perché Marco non si fermava?

«Neanche voi, Principe- sbottò ritornando tra i due-Marco smettetela! » metà ordine e metà consiglio, Elena si avvicinò al cadetto che non distoglieva lo sguardo dall’avversario, pareva come ipnotizzato. Si sentiva invincibile. Lei lo fermò tenendogli le spalle con aria docile.

«Togliti dai piedi, sgualdrina. » digrignò questi spingendola fino a farla cadere. Elena lo guardò confusa, che il mostro fosse lui? Alfred, non riuscendo a sopportare ciò che aveva fatto il rivale, impugnò saldamente la spada e con una rincorsa inveì contro il rivale.  Il vento gli batteva sul viso, chiuse gli occhi, sdegnato, avrebbe colpito con tutto il rancore e il disgusto, gustando la fine della sua vita e la fine di altre vigliaccherie.

Elena non distava molto dal biondo e continuava a sperare che i due si fermassero in tempo «Vi prego, smettetela …» quando Marco vide la lama avvicinarsi al suo petto, pensò a qualcosa di crudele ma funzionante.

Alfred sempre più deciso avanzava.

A Marco bastarono pochi secondi che con il suo braccio tirò Elena portandola davanti al suo corpo.

Fu così che la spada trafisse la carne.

Un fulmine illuminò il cielo  e subito seguì un tuono capace di far tremare la terra.

L’abito bianco di Elena si tinse di rosso, una chiazza di sangue iniziò a propagarsi per tutte la schiena.

Il peccato colpiva la purezza macchiandola per sempre

Alfred spalancò gli occhi e ciò che trovò dinanzi lo distrusse: Elena era ferita e la cosa peggiore è che l’aveva colpita lui. Il rivale non aveva nessuna ferita mortale.

Il principe capì che dinanzi aveva un essere riluttante e approfittatore,  che era stato capace di usare il corpo di Elena per schivare l’attacco.

La  giovane emise un gemito soffuso. Piano spalancò gli occhi e la bocca, fissò Marco quasi come se volesse dirgli «Perché? » e debole crollò nelle sue stesse gambe, la sua veste si macchiava sempre più di rosso. Alfred fissava senza espressione la spada e le sue mani.

Gettò subito l’arma e con Elena a terra, sanguinante, sofferente, si accasciò e inevitabile urlò il suo nome a squarciagola.

«Sono stato io … - ripeté guardando un vuoto inesistente. I suoi occhi sgranati fissavano la figura di Elena, era diversa da sempre: l’aveva sempre vista combattiva e, invece, ora era sull’erba di un prato qualsiasi spendeva i suoi ultimi istanti, tutto per colpa sua. - Bastardo, vigliacco … sparisci! »si alzò intenzionato a riversare colpi di grazia al suo rivale vigliacco.

«Cosa c’è? Vuoi uccidere anche me, bestia? Per oggi ti basta un morto sulla coscienza … la donna cui diceva di tenere puoi considerla all'altro mondo. » enunciò determinato e con sicurezza si avvicinò al cavallo, lo montò fino a scomparire tra i monti.

Alfred rimase in silenzio, c’erano soltanto lui, Elena e la pioggia. Non riscendo a sopportare tale situazione si accovacciò di fianco ad Elena e una lacrima gli bagnò le guance. Dopo anni Alfred Grayson piangeva.

«Io ho sfidato quel bastardo, io vi ho colpito … sono capace di distrugge qualunque cosa tocchi … Persino il cielo piange per voi … Elena … - le baciò le mani fredde poi con coraggio la sollevò lievemente, poggiando la testa di Elena sulle sue gambe. Il corpo di Elena era sempre più freddo, lei batteva i denti, tremante e sicura di morire. Neanche il cielo fu clemente con i due, quell’istante di profonda angoscia fu segnato da una grandine violenta che si abbatteva su loro. Col dolore in gola, Alfred gridava aiuto, pregando che lo sparviero Maurice fosse apparso da un momento all’altro; in quell’attesa infinita si privò del cappotto per coprire Elena il cui corpo secondo dopo secondo, era più pallido e freddo.La stringeva forte al suo petto, canticchiando la ninna nanna che la vecchia sovrana, sua madre Elizabeth, gli cantava quando faceva incubi.

Elena, serena ascoltava quella bella melodia assieme al rumore della pioggia , aprì gli occhi, frastornata.«Alfred … »  frusciò, era la prima volta che aveva omesso il titolo.

«Elena, non sforzatevi … andrà tutto bene.» cercò di calmarla, accarezzandole i capelli. Nonostante facesse freddo,era sudata.

Lei gli sorrise e con un filo di voce sibilò «Ricordate quando a palazzo, in uno dei nostri primi incontri, diceste che vi sarebbe piaciuto morire vedendo il mio volto? » cominciò a respirare affannata.

Lui fece col capo di sì.

«Non avevamo messo in conto che ero io... »

Alfred la interruppe rimproverandola «Non continuate, tutto si risolverà.» le accarezzava le guance stringendola sempre più forte al suo petto.

« Non siete il mostro che dicono tutti, dimostrate chi siete … dimostratelo al vostro popolo. Sarete un bravo re. »

«No, Elena! Io non  vivrò questa vita senza di voi, non potrei vivere con la consapevolezza di avervi indotto alla morte. » Elena lo fermò,

Elena sorrise e flebilmente dichiarò «E io non avrei potuto vivere facendovi morire in un duello …»

Lui restò spiazzato, per la prima volta si sentiva amato, per la prima volta provava calore in quel cuore composto di ghiaccio.

«Il vostro polso e il vostro braccio sanguinano molto …-informò lei, una lacrima di Alfred le cadde sul viso,-Piangete per me?» sorrise sorpresa

«Sì...Non pensate alle mie ferite non sono nulla di grave e neanche le vostre ricordate: noi sopravviviamo Elena, noi siamo forti...»

«Insieme...» continuò lei socchiudendo gli occhi. La pioggia sembrò calmarsi e una striscia di vari colori segnava il cielo, era l’arcobaleno. 

Il cielo era l'unico testimone di quella tragedia.

Alfred fissò Elena dormiente, strinse le mani alle sue e continuò a lasciarvi piccoli baci pieni d'amore. Alzò lo sguardo e come un miraggio intravide una sagoma avvicinarsi.

Appena questa si avvicinava, constatò che era Maurice lo sparviero con un cavallo, senza raccontare l’accaduto Alfred prese in braccio Elena e la sistemò sul torso del cavallo tra le sue braccia.

La piccola Hemsworth aveva perso molto sangue, era svenuta, ma il suo cuore batteva ancora.

C’era ancora una speranza.

Una speranza che Alfred non avrebbe perso mai: Elena era un fiore di ciliegio ma uno speciale, un fiore che non appassisce.


 
Spazio Autrice: Uccidetemi, ammazzatemi, toglietemi la vita me lo merito!
Dopo quattro mesi torno con il diciassettesimo capitolo e diciamolo: non è dei più allegri. Tralasciando che non scrivo mai nulla di allegro ma okay.
Vi avevo promesso che stasera avrei pubblicato e quindi anche se fa un po' pena, questo è! Vorrei sentirvi, mi mancate davvero tanto.
Vi lascio qualche domandina: cosa avreste voluto che accadesse? cosa vi  è piaciuto, cosa no?
cosa vi ha lasciato di sasso? Elena ce la farà? Avrei voluto continuare a scrivere ma sapete avete letto 17 pagine, non volevo annoiarvi, mancava un pelo per andare a 18.
Nuovo banner, nuovo separatore e non potevano mancare nuovi video.
Credevate che avessi dimenticato i nostri amori? Beh no... cliccate e  vedeteli su youtube! https://www.youtube.com/watch?v=HuIEhDqJqSE 
https://www.youtube.com/watch?v=17Bl9h4_QYE
 
Beh che dire, fatevi sentire e mi riferisco soprattutto a quelli che non ho mai visto!
Grazie ancora a chi segue questa storia e chiedo ancora venia per il ritardo e gli orrori!
VI AMO!
   
 
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