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Autore: rossella0806    21/05/2016    2 recensioni
Il commissario Alessandro Terenzi è ormai alla sua terza indagine letteraria: un lunedì mattina di inizio novembre, viene ritrovato cadavere il noto imprenditore delle ceramiche torinesi Giorgio Appiani Uzia, ucciso nell'ufficio della sua fabbrica e, così, per il poliziotto, si apre un nuovo rompicapo da risolvere il prima possibile.
Ghirodelli, il fedele collega ed ispettore, sarà sempre al suo fianco, così come Ginevra, la simpatica ed impicciona archeologa ormai diventata la fidanzata ufficiale del commissario, la cui unica compagnia, fino ad allora, era stata Miss Marple, la tartaruga di terra.
Tra malanni di stagione, ex mogli, segretarie eccentriche, vecchiette diffidenti e figli ambigui, accompagneremo Terenzi in questa nuova avventura dai risvolti, man mano, sempre più oscuri.
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per quel giorno, Terenzi non mise più piede in centrale: lasciò Ghirodelli all’entrata del commissariato e, sgommando sulla sua Panda azzurra, fece marcia indietro.
Abbassò la visiera per proteggersi gli occhi dagli abbacinanti quanto inaspettati raggi del sole al tramonto, ritrovandosi a zigzagare nel traffico sul lungo Po, colmo di autobus, motorini guizzanti come anguille e automobili che credevano di essere sul circuito del Gran Premio di Monza.
Quando c’è bisogno dei colleghi vigili, puoi scommetterci che non ne trovi uno neppure a cercarlo con il lanternino o a pagarlo d’oro!
Già, l’oro: a chi poteva appartenere quella scheggia rinvenuta dalla Scientifica? Era stata davvero una donna ad averla perduta?
In quell’indagine, il poliziotto aveva conosciuto quattro esponenti del gentil sesso: la vedova Clelia Camoletti, la figlia di Appiani, Anita, l’ex compagna ed ormai anche ex amica dell’uomo assassinato, Agnese Rampi, e la svampita segretaria del defunto, Sabrina Pellini.
In realtà, se si contavano anche le due socie di maggioranza della fabbrica, le sospettate salivano a sei e, se proprio voleva fare la parte del genietto in matematica, non poteva escludere Svetlana Brekovska, in quel momento la ricercata Numero Uno, la misteriosa donna dal tatuaggio a forma di geco.
Il suo sesto senso da commissario, infatti, lo induceva a credere che la ragazza bielorussa avrebbe potuto aiutarli anche nella risoluzione del caso dell’imprenditore: non sapeva fornire una spiegazione razionale a questo strano impulso mentale che gli stava vorticando nel cervello, ma era una sensazione che non lo abbandonava da un paio di giorni, da quando era
ancora a commiserarsi a casa, atterrito da quella stramaledetta febbre.   
Non mi rimane che contattare l’amica di Ginevra, rifletté sconsolato,
mentre si stava avviando proprio a casa della fidanzata.
Auspicò di non doversi pentire della scelta che sarà costretto a fare, di lì a breve: temeva, infatti, che le amiche dell'archeologa fossero impiccione alla stregua della sua dolce metà, se non di più, ma ormai non poteva evitare di arrampicarsi sugli specchi, doveva semplicemente tentare il tutto per tutto.
Prima, però, faccio un salto a sentire la fiorista.
Si infilò gli auricolari sempre a portata di mano, arrotolati in una tasca del cappotto color cammello, e compose il numero di Ghirodelli, che era ancora in ufficio a sbrigare delle pratiche arretrate.
Si fece spiegare l’indirizzo esatto in cui si trovava il negozio della donna, l’unica che sembrava avesse avuto a che fare con Svetlana, per poi rigettarsi a capofitto nel traffico di fine pomeriggio.
Erano quasi le cinque e quaranta, infatti, il buio era calato da un pezzo, e Terenzi cominciava ad avvertire un certo languorino, che subito mise a tacere.
Una decina di minuti più tardi, dopo che aveva mentalmente benedetto uno dei folli automobilisti che gli aveva tagliato la strada, passando saggiamente con il rosso a ben due semafori di fila, il poliziotto aprì la porta dell’esercizio, mentre il suono di un campanello avvisava dell’entrata del nuovo cliente.
-Buonasera, avrei necessità di parlare con la proprietaria. E' lei, signora?-
Una donna sui sessant’anni, i capelli grigi tagliati corti, era seduta su di uno sgabello all’altro lato del bancone, intenta a sfogliare una rivista patinata: indossava un’ampia maglia di crinolina turchese su dei pantaloni cinerini, come si poteva intravedere dalle fessure dello scrittoio color noce.
-Sì, sono io- lo salutò cordialmente, sfoggiando un sorriso educato, per poi accomodare la catenina degli occhiali rossi sul collo.
-Sono il commissario Terenzi, molto lieto. I miei uomini sono venuti da lei qualche giorno fa, per rivolgerle delle domande a proposito di una ragazza dai capelli rossi. Si ricorda?-
-Certo, ma ho già detto tutto ai suoi colleghi … -
-Questo lo so, signora. Quello che mi interessa sapere è se lei conferma di averla già vista, se saprebbe riconoscerla ... -
La proprietaria aggrottò le sopracciglia ed assunse un’espressione poco convinta, la stessa che aveva caratterizzato il suo volto dall'inizio della conversazione con l'uomo.
-Beh, non posso dire di conoscerla, però, un paio di mesi fa, è venuta nel mio negozio: me la ricordo abbastanza bene perché aveva dei bellissimi capelli rossi e parlava con un leggero accento dell’Est Europa, qualcosa come russo, credo. Ma non sono sicura che fosse la donna della foto, perché da allora non si è più fatta vedere-
-Capisco. E quante volte è venuta da lei?-
-Almeno tre o quattro volte, di questo sono certa-
-Non le viene in mente nessun altro particolare?- la spronò l’uomo, incrociando le dita sommerse nelle tasche felpate del cappotto.
-Purtroppo no: quello che sapevo l’ho già raccontato ai suoi colleghi … -
Terenzi annuì deluso e si guardò intorno: il negozio era un locale quadrangolare non molto grande, ma dall’aspetto curato e famigliare.
La carta da parati bianca a righe rosa gli trasmetteva un senso di tranquillità, accentuato dalla sapiente miscela cromatica derivante dalla disposizione di fiori e piante, equilibratamente adagiati su delle costruzioni piramidali composte da cubi altrettanto colorati.
Al commissario sembrava di essere in un locale alla moda parigino, traboccante di atmosfera retrò e carico di ricordi nostalgici.
-Va bene. Allora se non sa dirmi altro, ne approfitterei per fare un acquisto: mi prepara un mazzo di rose rosse, per favore?-
-Quante ne vuole?-
La donna si alzò dallo sgabello, felice di potergli essere utile: aggirò con leggiadria il bancone, ritrovandosi vicino al registratore di cassa, dove cominciò ad armeggiare con gli arnesi del mestiere.
Tirò fuori un involucro di plastica trasparente, delle forbici particolarmente grandi ed una sorta di bobina su cui era arrotolato del nastro dorato:
con la coda dell’occhio, non poteva evitare di notare il leggero imbarazzo che trapelava dal nuovo arrivato.
-Non saprei… dieci potrebbero andare?-
-Di solito si regalano dispari, commissario-
-Ah, allora facciamo undici …?-
Lei sorrise compiaciuta e, quando terminò di scegliere i fiori e di incartarli, gli domandò se volesse allegare anche un bigliettino.
-Sì, un biglietto andrà benissimo- farfugliò sempre più paonazzo l'altro.
Ne scelse uno bianco e rettangolare, con la greca gialla: un po’ impacciato, la mano sinistra titubante, scribacchiò semplicemente “A Ginevra, il mio amore”.
Dopo che pagò ed uscì dal negozio, il bottino sotto braccio, si accorse che
. con un tempismo perfetto, aveva ricominciato ad alzarsi il vento: il poliziotto si sistemò meglio il bavero del cappotto e la sciarpa blu notte, per poi scivolare nel freddo della sua automobile.


Ore 18.30

Fatto trenta facciamo trentuno, proferì saggiamente Terenzi, una volta in macchina.
Così, prima di andare a casa di Ginevra, si concesse una capatina in pasticceria, per comprare la crostata di cioccolato e pere, uno dei dolci preferiti della fidanzata.
Mi sento davvero infantile: non ho mai fatto tutte queste smancerie per nessuna … ma d’altronde, come dice il proverbio, c’è sempre una prima volta.
All'improvviso, tutta la dose di coraggio di cui era certo si fosse rifornito, lasciò il posto ad un'amarezza che mai avrebbe pensato di provare: non era pronto per affrontare quel discorso con Ginevra, aveva paura di poter compiere qualche brutta figura, di apparire insicuro e sciocco.
Non posso permettermi di improvvisare, non sarebbe giusto, né per lei, né per me: verrà il momento adatto in cui parlarle, arriverà da sé, senza forzare i tempi.
Si riflesse nello specchietto retrovisore, sistemandosi i capelli scuri tagliati corti, e passandosi una mano tra i peli della barba, incolta ma curatissima.
Quando suonò al citofono, però, nessuno gli rispose: al terzo tentativo, in piedi davanti al portone del palazzo nei pressi del Valentino e con il cielo plumbeo come non lo vedeva da giorni, compose il numero di cellulare della ragazza.
-Pronto?-
-Gin, sono sotto casa. Ma dove sei?-
-Amore scusa, sono qui al museo, ma sono un po’ incasinata: lo sai, no? È per il fatto della mostra. Cavoli, aspetta che mi sta cadendo il telefono. Cosa stavo dicendo? Ah, sì, sono presa dall’allestimento e non penso che finirò prima di mezz’ora. Ma è successo qualcosa?-
-No, niente, volevo semplicemente farti una sorpresa. Allora ti aspetto qui, va bene?-
-E se mi venissi a prendere tra mezz'ora? Mi risparmieresti di aspettare l’autobus- lo supplicò, già sapendo la risposta affermativa che ne sarebbe derivata.
-D’accordo, ci vediamo dopo-


Una volta tornata a casa e passata l’euforia del momento –composta da gridolini, baci e sorrisi di giubilo- Ginevra ripose il mazzo di rose rosse in un vaso di cristallo, sopra uno dei mobili del soggiorno, con la stessa cura riservata ad una reliquia trecentesca.
Sbirciò dalla confezione di cartone la torta cioccolato e pere e, pregustando le due fette di cui già sapeva si sarebbe ingozzata, la adagiò in bellavista al centro del tavolo della cucina.
-Hai avuto proprio un pensiero carino, sai?- rincarò la dose, abbracciandolo per l’ennesima volta.
-Lo so, quando mi vengono queste idee sono a dir poco imbattibile-
Terenzi gongolava come un bambino il giorno del suo compleanno: la forza che, nemmeno un'ora prima, era convinto lo avesse definitivamente abbandonato, era tornata preponderante a tormentarlo in maniera inaspettata e piacevole.
O glielo dici adesso, oppure passerà chissà quanto altro tempo prima che trovi il coraggio per parlarle e chiarirle quello che provi
-Senti, ti va se mangiamo un paio di pizze surgelate? Sono stanchissima e non ho molta voglia di cucinare-
Ginevra che non cucinava era come il Natale senza l’albero addobbato e le luci colorate appese per la città, ovvero un autentico ed inimmaginabile sacrilegio.
-Per me va bene. Altrimenti, se vuoi, ti porto fuori a cena. Anzi, preferisci che cucini qualcosa io?-
Lei si sedette su una delle sedie bianche laccate che accerchiavano il tavolo quadrangolare della cucina, guardandolo con un’espressione mista tra la compassione e la riconoscenza.
-Mi piacerebbe, ma non ce la faccio, e la sola idea di uscire mi fa venire i brividi. E poi il frigo è quasi vuoto: se non avessi finito così tardi, sarei andata a fare la spesa, ma l’allestimento non ci lascia un attimo di tregua. A volte, mi sembra di essere uno di quegli schiavi costretti a trasportare i mattoni d’argilla per costruire le piramidi ... -
Il poliziotto fece spallucce, levando gli occhi al cielo per quei soliti paragoni egiziani, assicurandole che, per una sera, una cena a base di pizza surgelata non le avrebbe di certo rovinato la reputazione di Cuoca Più Brava Che Abbia Mai conosciuto.
Eccetto sua madre, ovviamente.
-A proposito, come stanno i tuoi?- s’informò lei, con un barlume di entusiasmo negli occhi color ambra.
La giovane archeologa, infatti, aveva un ottimo rapporto con i suoceri, due sessantenni che trascorrevano metà dell’anno a viaggiare in località esotiche e del Nord Europa: in quei mesi, ad esempio, si trovavano in Australia, poi avrebbero fatto una capatina in Nuova Zelanda e, infine, per la vigilia di Natale, sarebbero rientrati alla base, in modo da trascorrere un paio di giorni in compagnia dei due figli, Alessandro e Giulia.
-Bene, sono sempre in giro come dei vagabondi. Che dici, metto tavola?- tagliò corto lui, che non condivideva lo stile di vita che, da qualche anno a quella parte, avevano assunto i genitori.
-Vorrei invitarli, appena rientrano: è da tanto che non li vediamo-
-Ne parleremo a tempo debito, Gin. Allora? Apparecchio?-
Quando fa così, è meglio lasciarlo perdere ...
-Certo. Io intanto vado a farmi una doccia-
Una decina di minuti più tardi, Ginevra ritornò in cucina avvolta nell’accappatoio arancione che, solo qualche sera prima, aveva fatto fare la sua bella figura da pagliaccio a Terenzi, il giorno avanti che cadesse a letto, preda dell’influenza.
-Adesso mi sento quasi come nuova!-
Il commissario, nel frattempo, aveva acceso il forno, tirato fuori le pizze dal freezer, e adesso era seduto su di una sedia, intento a sfogliare un giornale di, nemmeno a dubitarne la natura, storia antica.
-Senti, ti ricordi che ti avevo chiesto che mi avrebbe fatto piacere parlare con la tua amica per quel caso che sto seguendo?- esordì con finta noncuranza, gli occhi nocciola fintamente concentrati su un articolo relativo ai Sumeri.
-Non vedevo l’ora che me lo chiedessi! Vuoi che la chiami?-
-Purtroppo, se non fosse così importante, non te lo avrei chiesto. Anzi, adesso che ci penso, è meglio se le parlo io: intanto che si riscalda il forno, passami il telefono ... -
Allungò una mano, convinto della docilità della ragazza.
-Lo so bene che mi consideri solo una ruota di scorta per i tuoi casi, però, dal momento che mi hai regalato fiori e dolce, per questa sera farò finta di niente, nemmeno della tua scarsa fiducia nelle mie doti di telefonista-
-Non volevo dire questo- cercò di farle cambiare idea, baciucchiandola su una guancia.
-Guarda che con me le smancerie non attaccano-
Lo respinse riluttante, un gesto necessario a salvare il suo onore di donna ferita.
-Intanto che metti dentro le pizze, vado a chiamare Anna. Ah, confermo la cena per sabato, va bene?- continuò la ragazza, agguantando il cordless, in carica su un ripiano della mensola.
Il malcapitato si arrese all'evidenza di non poter competere con miss Furbetta, quindi annuì.
-Sì, però dille che mi farebbe un grande favore se riuscisse a venire in commissariato domani, nel primo pomeriggio: verso le quattordici sarebbe perfetto-
-Agli ordini, capo!-
Qualche minuto più tardi, la sedicente e di nuovo allegra segretaria di Terenzi, fece il suo ingresso vittorioso in cucina.
-Fatto! Mi ha detto che domani alle due verrà da te, e che per sabato sera l’invito è ancora valido-
-Brava. A proposito, ai fini della cronaca, cosa le hai detto?- indagò sospettoso, mentre si curvava per verificare la cottura della loro cena.
-Mah, le solite cose, niente di che. Le ho semplicemente detto che stavi seguendo un caso di ricatto e… -
-Non è proprio un caso di ricatto-
-Quello che è, Ale, non fare il pignolo come al solito-
-Uhm, continua ... -
-E che forse lei potrebbe esserti d’aiuto a scovare una pericolosissima latitante… -
-Oh, Gin, ma quanto hai esagerato?!-
-Ho detto la verità, scusa! Insomma, mi fai finire oppure no? Allora, per farla breve, ha accettato e non vede l’ora di parlare con te. Ecco tutto!-
-Non ti credo molto ... - cercò di farle confessare, piantandosi davanti all'archeologa, le mani sui fianchi e l'espressione aggrottata.
-L’importante è che venga, no?-
-L’importante è che mi sappia dire qualcosa in più su questa donna misteriosa. Adesso non pensiamoci più: mangiamo, prima che quelle pizze si brucino-



Martedì 18 novembre, ore 14.00, Torino, commissariato “L’Aquila”


Agnese Rampi, che Di Biase aveva contattato il giorno prima per interrogarla nuovamente, era a letto con l'influenza, circostanza assai sospetta, dal momento che, il pomeriggio precedente, presenziava al funerale di Appiani. In compenso, l’amica di Ginevra si era rivelata puntualissima.
Una giovane poco più che trentenne, i capelli castani mossi fino alle spalle, gli occhiali da vista e un tailleur blu notte, entrò tutta sorridente nell’ufficio di Terenzi.
Ghirodelli si accomodò sulla sedia, dietro la scrivania che ospitava il computer per registrare gli interrogatori.
-Buongiorno, signorina-
-Buongiorno, commissario-
-Prego, si accomodi. Grazie per essere venuta-
-Si immagini. Allora, mi dica, cosa vuole sapere? Ginevra mi ha fatto venire una curiosità, mi ha detto che forse potrei esserle d’aiuto per risolvere un caso internazionale! E’ davvero così?-
Il poliziotto abbassò lo sguardo, reprimendo un desolante scuotimento del capo, quindi, la Bic nera tra le mani, precisò:
-Ginevra è la solita esagerata. La situazione non è esattamente quella che immagino le abbia descritto. Comunque sia, so che si è trasferita da poco nella zona del parco della Pellerina.
Se non vado errato, da un paio di settimane, è corretto?-
-Sì, infatti: per la precisione saranno tre settimane lunedì prossimo-
-Molto bene. E, in questo periodo, da quando si è trasferita, intendo, ha per caso visto o conosciuto una ragazza dell’Est Europa, con i capelli rossi lunghi fino alle spalle e un tatuaggio a forma di geco sulla spalla sinistra?-
Anna si illuminò d’immenso, confermando
con un evidente assenso le parole che avrebbe da lì a poco pronunciato .
-Si tratta di Katiuscia, non ho quasi dubbi! Voglio dire, il tatuaggio non gliel’ho mai visto, però il resto della descrizione coincide! Sa, mi ha aiutato con parte del trasloco, appena arrivata, poi non l’ho più vista-
Terenzi indirizzò un’occhiata speranzosa all’ispettore, indaffarato a battere sui tasti, quindi si accomodò meglio sulla poltrona, smettendo di giocherellare con la Bic.
-Le ha detto lei di chiamarsi Katiuscia?-
-Esatto-
-Ed era straniera?-
-Almeno così mi sembrava: parlava bene la nostra lingua, ma aveva un leggero accento quando pronunciava certe parole, per questo ho pensato fosse straniera- cercò di ricordare con precisione Anna, arricciandosi le labbra.
-Da quello che ho capito abita nel suo stesso palazzo. Me lo conferma?-
-Due piani sopra di me, all’attico: ma non la vedo da due settimane. Mi ha aiutata i primi due, tre giorni con il trasloco, poi è stata via per altrettanto tempo-
-E poi? L'ha rivista ancora?-
-Poi è venuta di nuovo a darmi una mano nel fine settimana, di domenica, dopodiché non ci siamo più incontrate-
-Non l’ha nemmeno incrociata?-
-No- spiegò categorica, con una punta di delusione nella voce.
-E non le ha detto dove sarebbe andata?-
-Purtroppo no, mi dispiace. Come le ho appena detto, in tutto l’ho vista davvero poche volte-
-Avete un portinaio nel vostro palazzo?-
-No-
-Mi può dare l’indirizzo?-
-Certamente: corso Garibaldi 36- gongolò, felice di essere utile.
-Va bene, signorina Anna, mi è stata di grande aiuto-
L’uomo si alzò e le strinse la mano, abbozzando un sorriso di riconoscenza: avrebbe voluto abbracciarla, stritolarla per la riconoscenza. Almeno, avevano una nuova pista da cui ripartire, un posto preciso da sorvegliare.
-E’ stato un piacere, commissario. Ci vediamo sabato a cena, ci conto, eh!-
Gli mosse l'indice davanti agli occhi, come a sottolineare l'importanza di quell'invito, quindi gli strinse entusiasta la mano: dopotutto, era una testimone a tutti gli effetti, chissà mai che il suo nome non sarebbe apparso sui giornali e alla televisione.
-Non vedo l’ora. Venga, l’ispettore ed io l’accompagneremo all’uscita-

 
   
 
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