- Oco, oco…
Piagnucolò Joel, osservando incuriosito i gemelli che si agitavano nello loro culle colorate e indicandoli alla madre, che sorrise divertita.
- Gioco? Vuoi giocare con loro? No amore, purtroppo non è possibile, sono ancora troppo piccoli per giocare con te. Però puoi aiutarmi a preparargli il biberon. Su, vieni con me.
- Bibeon!
Esclamò, battendo le manine felice prima di affannarsi a seguirla in cucina. Aveva da poco imparato a camminare, ed era così buffo guardarlo barcollare per casa per poi rialzarsi pian piano e ricominciare da capo con grande gioia di tutti gli altri, che non smettevano di guardarlo inteneriti da tanta intraprendenza.
- Ehi giovanotto, dove vai così di fretta?
Gli chiese Christian, passandogli accanto e strizzandogli giocosamente l’occhio per poi sfiorare la sua testa con una lieve carezza.
- Bibeon!
Ripetè lui, indicandogli più volte la cucina e Benedicte, che si chinò per prenderlo in braccio stampandogli un bacio sulla guancia paffuta.
- Prepariamo la pappa ai tuoi bambini, vero Joel?
Disse, incrociando lo sguardo dell’uomo che ora sembrava via via incupirsi, quasi si trovasse improvvisamente a disagio.
- Grazie per quello che stai facendo per i gemelli, significa davvero molto per me.
- Non c’è bisogno di ringraziarmi, lo sai bene, e poi Shane e Hope sono così dolci e teneri che sarebbe impossibile non innamorarsi di loro all’istante!
Rispose alzando le spalle, come se per lei fosse la cosa più naturale del mondo occuparsi tutto il giorno di due bambini così piccoli che non erano nemmeno suoi, e con tutto quello che aveva già da fare durante il giorno. Ma Benedicte era fatta così, sempre gentile e disponibile verso tutti, ed era per questo che le avrebbe sempre riservato un posto speciale nel suo cuore.
- Sai, ha ragione, questi piccoli batuffoli sono così belli e irresistibili che mi meraviglia persino che siano figli tuoi!
Aggiunse Laly e lui le rivolse una smorfia, fingendosi indispettito.
- Ahah. Spiritosa.
La riprese e per tutta risposta lei gli fece una linguaccia, facendolo sorridere divertito. Con tutto ciò che stava affrontando in quel periodo la presenza e l’aiuto delle amiche gli era di grande conforto, non avrebbe davvero saputo come fare senza di loro. Le donne si informarono poi sulle condizioni di Johanna e lo videro scuotere tristemente la testa, l’aria affranta.
- Hèléne è di sopra con lei in questo momento, sta cercando di farle mangiare qualcosa. Sono giorni che non tocca quasi cibo.
Fu tutto ciò che disse, abbassando lo sguardo. Aveva provato di tutto per metterla il più possibile a proprio agio e per aiutarla, ma invano. Le cose parevano decisamente essergli sfuggite di mano. In quei giorni Johanna non aveva fatto che peggiorare, chiudendosi a riccio in un mondo tutto suo e smettendo persino di parlare, preoccupandolo non poco. L’unica cosa che sapeva fare ormai era restarsene chiusa in camera per tutto il giorno, rifiutando qualunque contatto con l’esterno e persino con i bambini, che aveva sostituito con due minuscoli pelouches che teneva sempre stretti al petto e che non permetteva a nessuno di toccare. Nemmeno a lui, che si impegnava a fuggire con tutte le sue forze ogni volta che provava anche solo ad avvicinarsi. Christian soffriva terribilmente per questo suo comportamento apparentemente incomprensibile, ma si era ripromesso di non mollare con lei. Sapeva già che sarebbe stato difficile, lui stesso ci era passato ma doveva essere forte ora, doveva farlo per tutti e due. Sfiorò delicatamente le manine strette a pugno di uno dei suoi figli.
Anzi, per tutti e quattro.
- Torna subito qui, dove stai andando?
La voce di Hèléne lo distrasse dai suoi pensieri e si voltò di colpo giusto in tempo per accorgersi di Johanna che, i pelouches ancora stretti al petto, aveva appena raggiunto il piano di sotto per poi rifugiarsi velocemente dietro allo schienale del divano, finalmente lontana da occhi indiscreti. Aveva incrociato il suo sguardo vitreo e pauroso per una frazione di secondo, rendendosi conto ancora una volta di quanto quella donna, scalza e scarmigliata, non assomigliasse ormai neppure lontanamente alla Johanna a cui era abituato, invece solare e sorridente praticamente da che aveva memoria. Quel mostro sembrava aver spazzato via per sempre la parte migliore di lei, restituendo al mondo solo ciò che restava di un cuore calpestato e infranto che adesso stentava quasi a riconoscere. Si chiese se sarebbe mai tornata come prima, e di nuovo si sentì morire dentro.
- Johanna, che cosa credi di fare? Non hai ancora finito di mangiare, se continui così ti ammalerai!
Hèléne tentò di attirare la sua attenzione, ma inutilmente poiché a quelle parole Johanna strinse forte le palpebre, raggomitolandosi ancora di più su se stessa come un animale ferito e indifeso.
- Ehi, esci da lì tesoro, coraggio. Perché fa così?
Chiese Laly costeggiando il divano per avvicinarsi di più e chinarsi su di lei, che voltò subito la testa dall’altra parte per evitare di incrociare il suo sguardo curioso.
- Le luci le danno fastidio – spiegò Christian – cerca solo un posto dove poter stare più tranquilla.
L’amica sbuffò, passandosi stancamente le mani tra i capelli.
- Non sopporto più di vederla in questo stato, ha chiaramente bisogno di essere aiutata e a questo punto credo anche che rinchiuderla in una comunità per tossicodipendenti sia inutile. Considerato come si comporta, forse sarebbe meglio prendere in considerazione l’idea di un ospedale psichiatrico…
- Smettila di parlare così in sua presenza – la riprese Hèléne – finirai per spaventarla ancora di più.
- Come puoi essere sicura che capisca davvero ciò che stiamo dicendo? Insomma…guardala! È totalmente assente e crede che quegli stupidi pupazzi siano i gemelli, non riesce più a distinguere la fantasia dalla realtà.
Christian la fissò con infinita pena e quando provò ad avvicinarsi la vide correre via di nuovo, terrorizzata mentre raggiungeva in fretta le scale…