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Autore: Jareth01    24/05/2016    2 recensioni
«Se solo… li avessi io, i tuoi dannati poteri! Vorrei controllare il tempo, vorrei mettere sottosopra il mondo intero! Così capir…» non fece in tempo a finire la frase, che la vista le si appannò; si sentì cadere, sprofondare sempre più in basso, finchè non perdette completamente i sensi.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah, Toby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP. 5
 

Allucinazione


 
 
“One day I will find the right words, and they will be simple.”
Jack Kerouac 


 
 
Jareth entrò nella magnifica sala da ballo, candida e scintillante, gremita di ospiti in maschera dai vestiti pomposi. Era molto simile all’allucinazione che, una volta, fu lui a creare per Sarah, dove tutto era composto da sogni –il fantastico nell’irreale, una sorta di matrioska agli occhi di qualsiasi essere dell’Aboveground-  e dove non avrebbe esitato a farla rimanere per sempre, al suo fianco, ignara di tutte le sofferenze e le preoccupazioni del mondo esterno.
Notò, con immenso piacere, di aver ripreso il suo aspetto da fae: i biondi capelli lunghi e scompigliati incorniciavano di nuovo il suo viso e l’abbigliamento era consono all’occasione: aveva addosso un completo da cerimonia bianco, che di certo gli rendeva giustizia, senza farsi mancare gli adorati colletti, pantaloni attillati, guanti e stivali. Ringraziò mentalmente Sarah per la cortesia. Ora era il momento di cercarla, di sapere perché si trovava lì. Percorse la sala, notandone i particolari elegantemente sfarzosi e facendosi largo tra gli ospiti, che anche questa volta indossavano maschere da goblin e si divertivano di cuore; ma lei dov’era? Il suo respiro, nell’attesa, divenne nervoso e irregolare.
Eccola, finalmente - un fremito improvviso - apparire improvvisamente in mezzo alla folla: lui cercò di raggiungerla, ma la perse di vista più volte, vedendola riapparire ogni volta in un angolo diverso della stanza. Giocava letteralmente a nascondino tra la folla e la cosa non potè che far sorridere il re.
Si fece vedere, infine, in cima alla lunga scalinata, ancora una volta in tutta la sua regale bellezza: lungo abito nero, fiori rosa tra i capelli ed una maschera bianca a coprirle il volto, che lentamente spostò, lasciando spazio ai brillanti occhi verdi e alla curva di un dolce sorriso. Il fae, rallegrato, lentamente la raggiunse e, senza dire una parola, gentilmente le porse una mano: Sarah, dopo un attimo di esitazione, docilmente accettò. Iniziarono le danze. Ora i corpi dei due erano vicini come non lo furono da anni; entrambi non riuscirono a nascondere una certa emozione al contatto, una sensazione di elettricità mista ad imbarazzo, che si manifestava con sorrisi forse fuori luogo, per due avversari che si trovano a faccia a faccia.
«Sei bellissima, Sarah» sussurrò Jareth, rompendo per primo il silenzio tra i due.
Lei avvampò, prendendo fiato. Un inizio che non si aspettava. «…Grazie. Questo ballo sta succedendo perché ho delle domande da farti» disse, in apprensione.
Jareth, sorridendo, la strinse a sé: «fai pure» rispose, sussurrandole all’orecchio. Sarah tremò leggermente sentendo il suo fiato sulla pelle. «Ma, questa volta, fai attenzione a cosa chiedi» continuò.
Ci furono dei momenti di silenzio, misurati dal puntuale cadenzare del ballo.
«Tornerò mai a casa?»
Jareth, improvvisamente serio, sospirò. «…Non lo so».
Sarah non riuscì a mantenere l’aria sorniona e leggermente maliziosa che aveva avuto all’inizio: il suo viso divenne triste, ferita dalla verità che quelle parole, dette così di getto e in tono rassegnato, rivelavano. Il suo sguardo era ormai lontano e perso nel vuoto. Jareth non rimase indifferente alla sua reazione, facile da cogliere per lui, che aveva sempre avuto a che fare con i desideri. Soffriva nel vederla desiderare così tanto il suo ritorno, perché significava non solo non averla più accanto, ma anche non essere nelle cose che aveva a cuore. E, nonostante tutto, la stava aiutando ad andare via, semplicemente perché era ciò che voleva. Sarah, in preda ad uno straziante sconforto, affilato come denti di vampiro, poggiò delicatamente il viso al petto del fae, d’istinto, per cercare una qualche consolazione. Lui, con altrettanta delicatezza, le accarezzò i capelli, quasi di riflesso, continuando lentamente quella strana, dolce, pericolosa danza allucinata e fuori dal mondo.
«Chi è l’essere che…? E’ Ar…?» fece la ragazza, ricomponendosi.
«Sì, è lui» rispose sbrigativo.
«Perché dovrebbe farlo?»
«E’ la rivoluzione. Vuole stravolgere un mondo sotterraneo, il nostro, rimasto sempre uguale per migliaia di anni, con istituzioni che voi definireste “medioevali” – ma che sono le uniche a poter funzionare per la maggior parte del Piccolo Popolo».
Sarah era confusa. «E’ la tua guerra, quindi. Qual è il problema nell’avere qualche re in meno?» rispose con una punta di amarezza.
Jareth scrollò la testa, mantenendo un atteggiamento imperscrutabile.
«Sarah» ribattè calmo, fissandola. «Credi davvero che senza il mio intervento i goblin ti avrebbero dato anche solo una chance di riavere Toby?» fece, accennando il classico sorrisetto di chi la sa lunga.
Sarah ammutolì. Effettivamente aveva ragione. E dire che nei suoi libri aveva sempre tifato per i rivoltosi… ma la confusione non cessò. «Se pur tutto ciò fosse vero» continuò, poco convinta «cosa c’entrerei io in questa storia?»
Che Sarah cominciasse ad ascoltarlo sul serio? Il re cercò di chiarirle le idee, mentre continuavano a ballare. «Sei un’umana iniziata alla magia, giovane per giunta, e con una vittoria su un certo re alle spalle –il che ti rende molto potente, qui nell’Underground. Se stessi dalla sua parte –o se almeno rimanessi nella tua posizione, a ricoprire le tue attuali cariche al posto degli Aes Sidhe, lui riuscirebbe a mettere in seria difficoltà la Loggia Reale. Cosa che potrebbe facilmente costringerti a fare, essendo colui che ha esaudito il tuo desiderio. E’ un tuo simile, sai –fu un umano, una volta, e nacque da famiglia umana. Uno di quei pochi della tua specie capaci di affrontare enormi imprese, sofferenze e quant’altro per arrivare a ciò che anelava di più: la conoscenza dell’ignoto, la scoperta del completamente sconosciuto. Un intento nobile, finché non l’ha portato ad unirsi a noi. E’ l’unico umano che sia mai riuscito a scoprire il nostro regno da solo – e per questo ha un enorme potere. La magia, delle volte, decide di appiccicartisi addosso…»
Sarah era rapita dal racconto del re, tanto da sentire un forte senso di estraniazione. Perché avrebbe dovuto mentire? Sembrava non ricordare più perché si era ostinata tanto ad essere contro di lui, quando ormai non c’era più nessuno da salvare – se non se stessa. In  quel momento non vedeva che la sala girare, girare senza mai fermarsi così come quel pazzo mondo, e non trovava appiglio se non negli occhi del fae, che non riusciva a fissare per più di qualche istante; ma quel viso era l’unica certezza, l’unica cosa che le sembrasse davvero viva in mezzo a tutte quelle maschere. Nostalgia fu la parola che le affiorò in mente, quella nostalgia che lui stesso aveva nominato – e nostalgia era la parola che fece riemergere il ricordo delle visioni che Jareth le aveva mostrato quando entrò in camera sua. Ma cos’era che le faceva provare nostalgia? – fu in quel momento che Sarah ebbe paura, non riconoscendosi in pensieri che affioravano da abissi lontani, oscuri, e che aveva sempre cacciato con forza dalla mente. Si rifiutò di riconoscere quel groviglio di sensazioni che le laceravano lo stomaco, non volle dar loro la dignità di associarle a dei nomi noti, ignorandole completamente. Decise, senza logica alcuna, di non potersele permettere, nonostante rimanessero sempre lì, pesanti tentazioni impossibili da cancellare. Se nell’Underground i regnanti cercavano di evitare cambiamenti drastici, Sarah cercava di sedare le rivoluzioni della sua anima.
«Perché dovrei crederti, Jareth?» disse, in tono accusatorio.
Il re abbandonò il suo fare spavaldo. Perché i fae non mentono sarebbe stata una risposta logica. Perché non sono cattivo come credi sarebbe stata una risposta altrettanto valida, anche se difficile da supportare. Perché sto attraversando questo labirinto solo per salvarti, dato che per te sarei disposto a morire – e l’ho già fatto una volta sarebbe stata la vera risposta. Ma non riuscì a dire nulla di tutto questo.
«Puoi non credermi Sarah, puoi continuare a non farlo, ma è la verità».
Si tolse il medaglione dal collo, posandolo su quello della ragazza. «Questo dovrebbe essere indossato da te, finché il mio destino non sarà deciso. So che sarà in buone mani». Lei rimase senza parole, quasi come se fosse pietrificata, mentre lo vide abbandonarla in mezzo alla sala da ballo e, voltandole le spalle, andare via.
«Jareth, aspetta!» urlò poi, d’istinto. Il fae si girò verso di lei, in silenzio, aspettando. Lei abbassò lo sguardo, in colpa. Poi, in tono sommesso, continuò: «alla tredicesima ora sarai al mio castello, e mi affronterai. Non… non troverai altri ostacoli». Detto ciò, fece apparire l’Orologio delle Tredici Ore, facendo scorrere le lancette tre ore in avanti. Jareth la guardò, sorpreso, con espressione interrogatoria. Cosa diamine stava facendo?
La bolla si ruppe, risucchiando tutti gli ospiti, i mobili, i tendaggi; Jareth cominciò a cadere nel vuoto, circondato da milioni di innocue schegge di vetro. Presto si sarebbe trovato di nuovo sulla terraferma, in chissà quale parte del labirinto. Quello che il fae non sapeva, però, era che la ragazza aveva deciso di lasciarsi sconfiggere, facendolo precipitare alle porte della città di Goblin, poco distante dal Castello. Non aveva nemmeno più ripreso quel bizzarro aspetto da umano: era semplicemente Jareth, il re decaduto, che si addentrava in una cittadina all’apparenza deserta e priva di protezione alcuna.
 
***
 
«Ascoltate me!» urlò uno di loro. «Dobbiamo andare ad avvertirlo!»
I goblin, come usavano fare, si erano riuniti, chiassosi e scalmanati come loro solito.
«Ma non possiamo salire! Nessuno ci ha chiamati!» osservò un secondo.
«Oh, ma per favore» rispose un altro, tirandogli un ceffone. «In migliaia di anni abbiamo sempre fatto a modo nostro!»
Molti furono d’accordo. «Non siamo mica famosi per nulla, eh!»
«Non so, non è corretto» rispose il secondo. «Non sono affari nostri!»
«Oh, stai zitto!» fecero in coro. «La situazione è alquanto strana, sento puzza di bruciato! Dobbiamo intervenire!» continuò il primo. «Abbiamo forse bisogno che arrivi qualche elfo a decidere per noi?»
«Dite che ci aiuterà?»
«Certo, lui è sempre stato dei nostri!» esclamò quello, deciso. «Sì, è un tipo giusto!» aggiunse, con tanto di pollicione all’insù, un goblin che fin’ora era rimasto in disparte. «Oh, ti prego, smettila!» fece un suo compare.
«Quindi che si fa? Saliamo?»
«Saliamo e troviamolo!»

 
***
 
NdA: bentornati, visitatori del Sopramondo! Ecco, finalmente, pronto anche questo capitolo (la cui nascita è stata un po’ sofferta – ma cerco di continuare con determinazione)!Che dite, Sarah sta cambiando idea sul re di Goblin? La situazione si sta risolvendo o ingarbugliando? Cosa tramano i goblin?
Grazie infinite, come sempre, a chi presta attenzione a questa storia e a chi continua a tenerla d’occhio.
A presto!
Giusi 
   
 
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