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Autore: barbaramente    24/05/2016    3 recensioni
Sansa e Sandor hanno vissuto nella loro vita orrori che avrebbero voluto dimenticare ma che invece hanno distrutto la loro anima e li hanno spinti a rinnegare la loro natura. Il Mastino per anni si è alimentato con l'odio nei confronti di suo fratello, ma ad un passo dalla morte qualcosa lo cambia profondamente. Per Sansa invece il dolore è troppo vivido per permetterle di voltare pagina, tuttavia le permetterà di riscoprire una forza e una maturità che non pensava di avere e di riconquistare la propria libertà. Entrambi disillusi e abbandonati da tutti si sono rifiutati di cadere e di arrendersi e hanno continuato a vivere nutrendosi di odio e solitudine, ma forse scopriranno che ognuno può offrire qualcosa all'altra.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Nord
 
Il sole era sorto e tramontato sei volte da quando aveva lasciato il monastero, i paesaggi erano cambiati lentamente sotto i suoi occhi attenti e alla umida pianura dei fiumi si stavano sostituendo le fredde terre del nord. Superare il Guado non era stato difficile, anche se lui non era certo un uomo che potesse passare inosservato. Alle due torri c’erano ancora dei soldati Lannister, tutti freschi di leva per sua fortuna e nessuno lo riconobbe. La parte più difficile della traversata fu posare di nuovo gli occhi su quelle maledette mura, il ricordo delle Nozze Rosse lo disgustava. «Fanculo i Frey» sibilò digrignando i denti, nella sua ritrovata umanità non c’era posto per un tradimento così vile. Mentre percorreva il ponte a piedi sentì le urla di quella notte vivide nella sua mente, uccidere era un conto, massacrare con l’inganno un altro. “Tu non sei meglio di loro” la vocina nella sua testa non smetteva mai di ricordarglielo, anche lui era stato un mostro, aveva nuove cicatrici, aveva cambiato armatura e impugnava una nuova spada, ma le mani erano sempre le stesse e quelle mani avevano ucciso tante, troppe volte. Gli zoccoli di Brusco risuonavano sulle assi di legno, l’aveva chiamato così il secondo giorno di viaggio, gli aveva piantato i talloni nel ventre per spronarlo al galoppo e lui in risposta si era fermato all’improvviso e dopo aver morso le redini aveva dato un brusco strattone che per poco non lo fece cadere da sella e che gli fece dolere la spalla sinistra per il resto della giornata, a volte quel dannato cavallo era anche peggio di Straniero. Superò il Guado senza intoppi, decine di carri con le scorte per l’inverno andavano avanti e dietro per la strada e nessuno aveva fatto caso a lui.
Stava per farsi buio e si trovava a poche miglia dal confine nord dell’Incollatura, viaggiando da solo riusciva ad essere molto veloce e Brusco sembrava instancabile, ogni notte la passava però all’addiaccio, non si sentiva sicuro in quelle terre e non voleva rischiare di incontrare qualcuno di scomodo in una locanda. Le scorte di cibo che gli avevano dato erano più che sufficienti a farlo arrivare fin dopo Grande Inverno, tuttavia già sentiva la mancanza di un pasto caldo. Come le notti precedenti si accampò all’aperto, stavolta ebbe la fortuna di trovare uno sperone di roccia che lo proteggesse dal vento del Nord, da quando era partito non aveva smesso un solo giorno si sferzare gelido sul suo volto. Oltre al freddo aveva anche la continua sensazione di essere osservato, da quando aveva lasciato il Guado non aveva mai smesso di voltarsi indietro pensando di essere seguito. Mentre sistemava le coperte sentì degli occhi addosso e decise di andare a fare un giro di perlustrazione a piedi, legò Brusco ad un ramo e si avventurò tra gli alberi. Finse di cercare della legna per il fuoco ma era pronto a tirare fuori la spada a qualsiasi rumore, tuttavia non trovò nessun uomo che lo stesse pedinando e non c’era nessuna orma di zoccoli a parte quelle del suo cavallo. Tornò al suo giaciglio improvvisato e si distese a guardare le stelle, nuvolette di vapore si formavano ogni volta che respirava, anche l’autunno stava per finire e il freddo iniziava a diventare difficile da sopportare, «E più andremo a Nord più farà freddo» ogni sera finiva col chiacchierare col cavallo, «L’uccellino non poteva certo farsi rapire da qualche idiota di Dorne» la sua voce era carica di sarcasmo ma dentro di sé si sentiva morire al pensiero che qualcuno le stesse facendo del male. Si alzò e prese del cibo, non aveva fame ma non mangiare non sarebbe stata una grande idea, prese anche una mela e la diede a Brusco, se l’era meritata. Srotolò una delle coperte e la mise sul dorso del cavallo, non poteva rischiare che morisse per il freddo, «Superata l’incollatura troviamo una bella locanda per la notte» promise al suo destriero, «e magari anche qualcuno da montare» aggiunse con un ghigno e andò a dormire.

Si svegliò all’alba, tuttavia aveva la sensazione di aver dormito troppo e sistemò in fretta la sua roba e si mise in sella. Da quando aveva lasciato il monastero aveva sì dormito all’aperto ma i suoi fantasmi non erano più venuti a tormentarlo, erano le notti più tranquille che avesse avuto negli ultimi vent’anni. Arrivò al Moat Cailin prima di mezzogiorno, degli uomini erano accampati all’interno delle rovine ma lo fecero passare senza chiedergli niente e lui continuò a cavalcare senza guardarli. Si era lasciato le rovine alle spalle quando iniziò a sentire dei guaiti da dove era venuto. Delle risate riecheggiavano tra le rovine mentre i latrati si facevano sempre più disperati. Senza pensare spronò Brusco nella direzione opposta e galoppò fino all’origine delle terribili urla. Tre ragazzi in armatura stavano lanciando pietre ad una cane, l’avevano preso già molte volte perché il suo mantello era ricoperto di sangue e ora guaiva con la coda tra le zampe mentre i soldati la chiudevano contro un muro. Le risate diventavano sempre più forti e maligne e contro ogni suo istinto di sopravvivenza il Mastino scese da cavallo, «Fermi» urlò mettendo la mano sull’elsa della spada, i tre si girarono e smisero di ridere. «Cosa vuoi?» chiese quello più vicino a lui, «Lasciate il cane» ringhiò a denti stretti, i tre ricominciarono a ridere e il primo mise la mano sulla spada, prima che potesse estrarla dal fodero, però, un profondo squarcio si aprì alla base del collo e cadde in ginocchio mentre un fiume di sangue gli inondava l’armatura. Il Mastino guardò gli altri brandendo la spada ricoperta del sangue del loro amico, un ghigno disumano si fece largo sul suo volto e gli altri due invece di attaccarlo se ne andarono come se niente fosse accaduto. «Codardi» rise loro dietro, ma quelli non si voltarono per combattere e lui tornò al cavallo. Pulì la lama mentre un brivido di piacere gli attraversava la schiena e la infilò di nuovo nel suo fodero. Rimontò in sella e si voltò a guardare l’uomo mezzo decapitato che era caduto nel suo sangue, “Questo non era necessario” ammise e spronò Brusco al galoppo.
Superò una locanda quando il sole ancora era già tramontato ma non si fermò, dopo aver ucciso quell’idiota al Moat Cailin voleva mettere più miglia possibile tra lui e l’Incollatura. Cavalcò anche per una buona parte della notte finché non fu talmente stanco da rischiare di cadere dalla sella e si fermò in una radura. Stavolta non trovò nessuna roccia che lo riparasse dal vento e si maledisse di nuovo per quello che aveva fatto, non era stata una cosa intelligente. Andò a dormire senza mangiare, lo stomaco gli si era chiuso nel momento in cui aveva dovuto pulire la sua spada da del sangue che non era necessario versare. “Sono un assassino” pensò prima di addormentarsi.

Gli alberi si muovono velocemente attorno a lui, Straniero sta galoppando, sente i suoi muscoli sotto di lui. Davanti a lui un ragazzo corre disperato. Una risata diabolica echeggia tra gli alberi che da verdi stanno diventando rossi. Sguaina la spada mentre il ragazzo diventa sempre più vicino. La risata continua a diffondersi orribile in quel bosco dal colore strano, si guarda intorno e capisce che attorno a lui non ci sono alberi ma decine di corpi straziati. Smette di ridere, quel terribile suono era stato lui a produrlo mentre dava la caccia al ragazzo. Ora lui lo guardava dalla fine di quel corridoio di corpi, il volto scavato della morte, le orbite vuote dell’oblio. “Assassino” tutte le voci tuonano all’unisono e i corpi mangiati dai vermi si lanciano su di lui. Decine di mani gelide gli afferrano le gambe cercando di trascinarlo giù. Spronò Straniero ma non si mosse. Una mano lo agguanta per il braccio e lo tira verso il basso, urla svuotandosi i polmoni ma non produce nessun suono, riesce solo a sentire “Assassino”. Qualcuno lo afferra per i capelli e lo trascina verso qualcosa di terribile che non può vedere, ma sa che c’è. Urla, tenta di divincolarsi, prende a pugni il braccio che lo sta trascinando via ma quello procede a passo sicuro. Delle mani iniziano a premere sul suo volto e lui urla di nuovo la sua disperazione, poi il buio e le stelle.

Si svegliò di colpo, ansimava, era sudato, ricordava troppo bene quel sogno e la sensazione delle mani sulla sua faccia. Si guardò intorno e vide la cagna dal manto grigio, nonostante il buio gli occhi verdi risplendevano. Si passò una mano sul volto, era ricoperto di bava, era stato lei a svegliarlo. «Stupida cagna» d’istinto si alzò e assesto un calcio nel ventre dell’animale, un guaito di dolore si disperse tra le foglie prima che la cagna scappasse con la coda tra le gambe. «E’ colpa tua se ho ucciso quell’idiota oggi» urlò la sua frustrazione mentre lei si allontanava zoppicando per il colpo ricevuto, ma quando scomparì tra gli alberi si dispiacque più per il calcio che per il corpo mezzo decapitato che si era lasciato dietro quella mattina. Si lasciò cadere sul suo giaciglio, affondò la faccia nei palmi delle mani e urlò, il suo ruggito ferale parve risvegliare il bosco. L’alba era ancora lontana ma non aveva intenzione di rimanere lì. Sistemò tutta la sua roba ma quando tentò di salire sulla sella Brusco si scansò di colpo emettendo un nitrito minaccioso, «Ho capito» ringhiò al cavallo «Vado a piedi» e esasperato si incamminò verso nord seguito dalla bestia cocciuta. «Sei un cavallo terribile» disse con sarcasmo al suo unico compagno di viaggio e quello sbuffò in risposta. Il silenzio era tornato nel bosco, fatta eccezione per i loro respiri e il rumore degli zoccoli attutiti dalle foglie sul terreno. In quell’atmosfera ovattata e gelida vedeva ancora vivide le immagini dell’incubo che aveva appena fatto e continuò a guardarsi intorno sperando che stavolta gli alberi non diventassero le persone a cui aveva tolto la vita. “Assassino” era l’unica parola a cui riusciva a pensare. Desiderò di essere ancora in compagnia del vecchio Tolen, per quando fosse stato insopportabile era riuscito a farlo stare meglio, anche se non per molto. “Sono un assassino, è la mia natura. Doveva succedere” non gli dispiaceva di aver ucciso il soldato, probabilmente avrebbe provato ad attaccarlo e si sarebbe dovuto difendere, ciò che lo faceva stare male era il fatto di aver goduto nel farlo, anche se per poco. “Avrei ucciso anche gli altri due, se solo me ne avessero dato l’occasione” la sete di sangue iniziava a crescere e gli sembrava di sentire l’acciaio di Valyria vibrare dello stesso bisogno. Un fruscio alle sue spalle lo fece fermare, si girò con calma e non si stupì di vedere la cagna che ancora lo seguiva, ma quando si avvicinò a lei minacciando un altro calcio quella scappò di nuovo tra l’oscurità degli alberi.
 La luce iniziava lentamente a diffondersi nel cielo e il freddo sembrava stesse diventando meno pungente. Aveva deciso di spostarsi sulla strada del re, nel Nord non aveva nemici diretti e dentro di sé sentiva di dover fare presto, non aveva tempo per nascondere le proprie tracce come aveva fatto fino a quel momento. Quando il sole iniziò ad illuminare la strada Brusco lo fece salire in sella, le gambe gli dolevano per tutta la strada fatta e iniziava a sentire la stanchezza della notte insonne. «Dovremmo metterci quattro giorni per arrivare a Grande Inverno» disse ad alta voce mentre dava un colpo leggero al collo del cavallo, eppure ebbe la sensazione che fosse comunque troppo tardi.

Aveva camminato e cavalcato tutto il giorno, probabilmente aveva fatto più strada di quello che aveva programmato e si sentì rincuorato. Si fermò ad una locanda sulla strada, non era un granché ma almeno avrebbe avuto un tetto sopra la testa. L’oste era un uomo muscoloso e dalle braccia forti, un tipico uomo del Nord, e fu contento di vedere che non faceva troppe cerimonie né domande, ordinò una birra e un pasto caldo e dopo avergli annuito andò a prenderli. Si sistemò ad un tavolo vicino ad al grande camino, aveva bisogno di far tornare il calore nelle proprie vene e cercò di non pensare alle fiamme che danzavano alle sue spalle. Poco dopo arrivò l’oste, la birra era scura e aveva un buon sapore, non poteva dire lo stesso della zuppa di carote e manzo, ma era pur sempre meglio della carne salata che aveva mangiato negli ultimi giorni. L’oste gli riempì il bicchiere due volte, ma alla terza lo fermò, l’alcol nella birra iniziava a fare effetto e per quanto avesse paura di non riuscire a dormire decise che era meglio rimanere lucido. «Preparami una camera per la notte» disse all’uomo e poi si avviò fuori per andare a svuotare la vescica. Mentre attraversava la sala della locanda alcuni uomini lo guardarono in modo sospettoso ma lui li ignorò, iniziare una rissa non gli avrebbe certo fatto comodo. Notò che tre uomini seduti ad un altro tavolo avevano sul petto l’uomo scuoiato dei Bolton e la furia omicida tornò nelle sue mani più forte che mai, tuttavia si trattenne di nuovo e uscì fuori. Il cielo del Nord era immenso e maestoso, era una notte senza luna e migliaia di stelle splendevano lontane, una folata di vento gli ricordò quanto facesse freddo in quelle terre e si diresse tra gli alberi con passo veloce. Mentre si svuotava dietro un albero sentì di nuovo di essere osservato e vide il luccichio verde degli occhi della cagna, “Mi ha seguito fin qui” non poté fare a meno di essere sorpreso, ma non aveva nessuna intenzione di occuparsi anche di un’altra bestia e tornò nella locanda senza avvicinarla. Al suo tavolo trovò una donna, era seduta di fronte al posto che aveva occupato prima, lunghi capelli mori le scendevano sulla schiena mentre uno corpetto verde scuro le fasciava stretto la vita. Tornò a sedersi al suo posto e rimase in silenzio ad osservare la donna di fronte a lui, i seni strizzati nel corpetto ed erano in bella mostra, le labbra carnose di rosso scuro, il naso piccolo e dritto, gli occhi neri lo fissavano come se avessero fame. Era davvero una bella donna, e in più aveva la sicurezza e determinazione delle donne del Nord che in qualche modo lo faceva eccitare. «Ti offro una birra, cavaliere?» fu lei a parlare per prima, continuando a tenere gli occhi piantati nei suoi, «Non sono un cavaliere» puntualizzò lui come suo solito, ma lei in risposta sorrise e mostrò una fila di denti bianchissimi, era davvero troppo bella per essere una puttana. «Cosa vuoi?» ringhiò lui cercando di distogliere lo sguardo, «Oh, niente» rispose lei con una risatina «Non ti ho mai visto da queste parti», ma prima che potesse continuare l’oste la interruppe per dire al Mastino che la sua camera era pronta. «Accompagno io il nuovo ospite, Oliver» disse la donna e si fece dare le chiavi della camera. Si avviò al piano di sopra a passo svelto, la seguì riluttante, difficilmente si fidava delle persone ma dopo Luann era ancora più sospettoso. Arrivata in camera con un gesto veloce sganciò il corpetto e tutto il vestito cadde a terra, lei rimase nuda in mezzo alla stanza a guardarlo e la sua eccitazione lo tradì, “Sono pur sempre un uomo” cercò di giustificarsi anche se non sapeva bene perché ne sentisse il bisogno. «Sei una puttana?» tagliò corto lui, la donna dai lunghi capelli scuri annuì un po’ interdetta, «Bene» ringhiò e si avviò verso di lei con le sue lunghe falcate. La pelle di lei e le lenzuola sapevano di pulito e quell’odore gli piacque molto, soprattutto perché era in netto contrasto col suo che sapeva di ferro e sudore. Lei sorrise mentre la prendeva e poggiava sul letto, con una mano gli slacciò le brache mentre con l’altra gli artigliava il braccio per non cadere, non era affatto delicata come poteva tradire il suo aspetto. I suoi occhi neri scrutavano le molteplici cicatrici, eppure non sembrò minimamente inorridita da quella visione, “E’ una donna del Nord” pensò, quella determinazione gli piaceva. La prese e la fece sua, fu brutale come al solito ma le puttane erano abituate a ben altro e non si era mai fatto scrupoli. Ogni volta però tutte evitavano di guardarlo, chiudevano gli occhi e aspettavano che avesse finito, ma lei no, lei lo guardava e sembrava stesse godendo, “Ricordati di pagarla dopo” pensò per tornare alla realtà mentre lei urlava di nuovo per il piacere. Quando ebbe finito uscì da lei e si rotolò sul fianco per mettersi supino sul letto, aveva il respiro affannato e lei forse anche più di lui. «Quanto ti devo?» chiese, voleva rimanere solo e cercare di dormire, «Offre la casa» disse lei con un occhiolino, si infilò veloce il vestito e lo lasciò solo. Sentiva il respiro tornare regolare, si chiese come mai non volesse essere pagata ma era troppo stanco per darsi una risposta. Ripensò ai suoi occhi neri che lo fissavano senza disgusto, era bello essere guardato così, era bello non doversi nascondere. “Lei non ti ha mai guardato così, lei non lo farà mai” era ben consapevole di ciò che era per Sansa, eppure non aveva nessuna intenzione di abbandonarla. “Lei è una bambina dell’estate, non una donna del Nord. Ha bisogno di essere salvata, non ha bisogno di un uomo” il suo corpo acerbo si delineò nella sua memoria e si maledisse perché non poteva sopportare l’idea di essere attratto da una ragazzina. Pensò a ciò che aveva fatto alla donna dai capelli mori, lei aveva goduto, ma ad una bimba innocente non sarebbe certo piaciuto una cosa del genere. Si addormentò pensando a Sansa “Lei ha bisogno di me, ma non vuole me”.

Si svegliò all’alba contento nel rendersi conto che i suoi fantasmi non erano venuti a tormentarlo, scese nella sala e chiese all’oste del pane e delle uova allungandogli delle monete per la cena della sera prima e la camera. Mangiò velocemente e poi senza salutare si diresse alla stalla a sellare Brusco che lo stava aspettando scalpitante, anche lui aveva gradito aver avuto un tetto sulla testa quella notte. Partì dopo pochi minuti, ripensò alla sera prima e si rese conto di non sapere nemmeno il nome della donna con cui era stato, si erano scambiati meno di dieci parole e non aveva certo avuto il tempo di chiederle il nome. Mentre si allontanava si girò per cercarla con gli occhi ma non la vide, spronò Brusco al trotto e continuò il suo viaggio.
 


Nota:
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ho avuto qualche problema con la scelta dei giorni di viaggio perché, purtroppo, non ho idea di quanto possa metterci un uomo a cavallo.
Un ringraziamento a chi sta seguendo la storia e a chi l’ha messa tra le preferite, spero che questo nuovo capitolo sia valso l’attesa.
Fatemi sapere cosa ne pensate, si in positivo che in negativo, ogni tipo di commento è più che gradito.
Al prossimo aggiornamento.
BarB
   
 
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