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Autore: suni    12/04/2009    21 recensioni
Sequel di "Balena".
Itachi rimase impalato mentre il cucchiaio di legno che aveva immaginato essere uno shuriken, da lui appena lanciato per colpire il suo avversario, atterrava rimbalzando ai piedi di suo padre. Il bambino non trovò niente di meglio da fare che nascondere semplicemente la mano dietro la schiena, come se così nulla avesse potuto essergli imputato, spalancando con innocenza i grandi occhi neri.
“Ciao, papà,” cinguettò come se niente fosse, senza nemmeno rendersi conto di quanto la sua voce suonasse colpevole e contrita.
Sasuke sbatté le palpebre con perplessità, interdetto, osservando inespressivo le penose condizioni in cui versava la cucina.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Balena'
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Era estremamente divertente

Una sciocchezzuola leggera per Pasqua, tanto per passare il tempo.

E’ il sequel di quell’altra sciocchezzuola, Balena. Vogliate gentilmente non lanciare ortaggi troppo duri, ché i bernoccoli fanno male, e sopportare le mie inutili storielle.

E buon cioccolato a tutti, quest’oggi.

 

suni

 

 

Casa Uchiha, cucina

 

 

 

Era estremamente divertente.

La mamma era in giardino a stendere e a giudicare dal quantitativo di panni lavati ci sarebbe rimasta per un bel po’, quindi aveva il campo libero. Era una fortuna che i suoi genitori fossero persone molto impegnate – papà era uno dei consiglieri dell’Hokage, che poi era lo zio Naruto, e la mamma faceva qualcosa d’importante in ospedale – così poteva spesso agire liberamente nella grande, grandissima casa di famiglia, che un giorno sarebbe stata tutta sua perché, gli aveva detto suo padre con voce grave e sguardo serio, lui era l’erede di un grandissimo clan. Itachi non sapeva bene cosa fosse un erede, ma riteneva si trattasse di qualcosa di estremamente importante.

Comunque, siccome la mamma era fuori, aveva ritenuto che nessuno avrebbe potuto impedirgli di preparare la cena per i suoi genitori nella sua personalissima maniera. Qualcosa era andato storto, perché la grossa ciotola di vetro in cui aveva progettato di preparare la torta era caduta e la farina si era sparsa ovunque come una neve sottile e persistente. A quel punto Itachi aveva starnutito e gli era venuto in mente che la cucina di casa, in quella maniera, sembrava una valle d’alta montagna gelida e inesplorata, irta di ostacoli come lo scivolosissimo uovo che si era spaccato sul pavimento e su cui lui era capitombolato inzaccherandosi i calzoni. Dimenticando la sua precedente missione culinaria, aveva quindi deciso di tracciare un sentiero in quella landa ignota e inospitale, e al momento stava accoccolato per terra, intento a spostare la farina – pardon, la neve – dal piccolo camminamento che l’avrebbe condotto, una volta ultimato, al lavabo.

Le cose si stavano facendo difficili, perché uno sconosciuto shinobi straniero gli stava tendendo un agguato – ma Itachi, essendo un grandissimo guerriero, aveva già individuato la sua posizione – quando, inaspettatamente e del tutto in contrasto con le tempistiche a lui consuete, la porta della cucina si spalancò.

Itachi rimase impalato mentre il cucchiaio di legno che aveva immaginato essere uno shuriken, da lui appena lanciato per colpire il suo avversario, atterrava rimbalzando ai piedi di suo padre. Il bambino non trovò niente di meglio da fare che nascondere semplicemente la mano dietro la schiena, come se così nulla avesse potuto essergli imputato, spalancando con innocenza i grandi occhi neri.

“Ciao, papà,” cinguettò come se niente fosse, senza nemmeno rendersi conto di quanto la sua voce suonasse colpevole e contrita.

Sasuke sbatté le palpebre con perplessità, interdetto, osservando inespressivo le penose condizioni in cui versava la cucina. Socchiuse le labbra sul punto di parlare ma dovette mancargliene la capacità, perché restò soltanto con la bocca semiaperta e una curiosa espressione di sbigottimento che, poco a poco, si mutò in gelida collera. Itachi, che ben conosceva quel bagliore minaccioso già visto in altre occasioni, sebbene quasi mai riguardanti lui in prima persona, arretrò involontariamente d’un passo. Quell’inconsapevole ammissione di colpevolezza sancì la sua condanna, perché le labbra di Sasuke si assottigliarono truci.

“Itachi,” scandì, feroce. “Cos’è questo?”

Il bambino si torse istintivamente le mani, inquieto. Sasuke non muoveva un muscolo e il suo viso rimaneva di pietra, senza tradire le sue intenzioni, ma c’erano quegli occhi allarmanti e per giunta lui sapeva, per esperienza diretta, che suo padre era proprio come le montagne: sono immobili e silenziose e poi d’improvviso scatenano la frana, esplodendo, ed è la fine del mondo.

Deglutì pesantemente, lanciando un’occhiata veloce alla porta sul cortile: troppo lontana. Serviva una scappatoia.

Accennò un sorriso angelico che poco si addiceva al suo visetto spigoloso, ma che pure sapeva risultare d’una bellezza straordinariamente accattivante – proprio come papà, diceva sempre la mamma.

“Faccio una torta,” annunciò compreso.

Sasuke sollevò appena un sopracciglio, neutro.

“Una torta,” ripeté, la voce bassa e atona.

Itachi annuì ripetutamente, allontanando discretamente col piede il mestolo che stava usando come pala per spostare la neve.

“C’è stato un incidente,” spiegò, compito.

Sasuke si fece, se possibile, ancor più immobile e austero.

“Un incidente,” ribadì, sordo. Era il quarto incidente domestico provocato da suo figlio, quella settimana: Itachi, che del suo sventurato predecessore aveva soltanto il nome e un certo non so che, negli occhi, di profondamente riflessivo, era un Uchiha atipico e una miniatura di energia, dinamismo e buonumore. Evidentemente trascorreva troppo tempo con Naruto, e le conseguenze erano quel che erano.

“Sì,” confermò Itachi, serio. Gli parve che non fosse sufficiente, sicché pensò di dover scendere nei dettagli. “La ciotola ha fatto pum.”

Sasuke strinse ulteriormente le labbra, tanto da farle sparire, e serrò i pugni. Lui non ebbe nemmeno il tempo di allontanarsi un po’ di più per limitare i danni.

“ITACHI!” tuonò suo padre inviperito. Lui fece un gran balzo e si ritrasse di scatto, terrorizzato da quella voce rauca e violenta. Sasuke si mosse verso di lui, livido di collera, e Itachi ebbe per un secondo la certezza che l’avrebbe ucciso seduta stante. Con un mugolio disperato sgusciò indietro e scartò a lato, per mettere almeno il tavolo tra sé e il genitore.

“Credi che non abbiamo di meglio da fare che pulire questo schifo, piccolo piantagrane?” stava ruggendo Sasuke, furioso. “E vieni qui anziché fare il vigliacco!” intimò irato, dopo aver invano allungato il braccio per arpionare il suo sgusciante figlioletto.

“Non volevo” guaì Itachi angosciato, scapicollandosi verso la porta.

Pallista!” ringhiò Sasuke incollerito, fronteggiandolo dall’altro lato del tavolo. “Ti sembra questo il comportamento da tenere? E tu dovresti essere un Uchiha, razza di…” continuò, apprestandosi ad acciuffarlo una volta per tutte. Itachi schizzò a destra e Sasuke gli si lanciò contro, ma il pidocchio fece uno scarto a sinistra inaspettato e lui lo mancò d’un soffio. Itachi si tuffò verso la porta del cortile, ora libera, alla disperata. Il tentativo non aveva la minima possibilità di riuscire e avrebbe ritardato di appena qualche secondo la cattura, se non che, proprio mentre lui si buttava fuori col padre alle calcagna, sua madre rientrò nella direzione opposta.

Itachi, sottile com’era, sgusciò a lato delle gambe di Sakura, ma suo padre non ebbe la stessa opportunità: il bambino si voltò indietro giusto in tempo per vedere Sasuke atterrare, con precisione ineccepibile, dritto tra le braccia della moglie. Il cesto vuoto dei panni volò in aria e Sakura finì scaraventata a terra sotto il dolce peso del marito, mentre il figlio osservava la scena con la curiosa attenzione che si riserva normalmente a uno spettacolo di saltimbanchi.

“Sas’ke!” trillò severamente Sakura, boccheggiando, mentre Sasuke si sollevava sulle ginocchia torvo e lei riusciva a mettersi a sedere. “Ti sembra il caso di giocare a prendere col bambino dentro cas..?” E s’interruppe di botto, esterrefatta, scrutando allibita il piccolo diastro farinoso allestito dal figlioletto. “Ma che avete combinato?” sbottò, quasi stridula.

“E’ quel dannatissimo moccioso!” inveì Sasuke ferocemente, senza smettere di occhieggiarlo  minaccioso, mentre si rimetteva in piedi – e Itachi, allarmato, rinculava verso l’esterno. “Adesso ti spac…”

“Fermo lì, tu,” scandì Sakura afferrando il suo avambraccio nella morsa che era la sua mano. Sasuke la guardò storto, indignato e sommamente incazzato, ma Sakura non parve registrarlo. “Itachi?” interpellò, grave.

Il bambino si mordicchiò le labbra, dondolando mogio.

“Mi è caduta la farina,” mugolò, affranto.

“L’ha sparpagliata ovunque!” sibilò Sasuke irato.

“U, ti vuoi dare una calmata?” lo apostrofò Sakura con leggera durezza, ma la sua mano ancora stretta sul braccio di lui si mosse in una carezza.

“E’ Naruto che mi ha fatto incazzare tutta la giornata,” brontolò lui, sostenuto. Itachi fu sul punto di esclamare che papà aveva detto di nuovo quella parola davanti a lui, ma si trattenne saggiamente: Sasuke era già abbastanza incazzato così.

“Che strano,” commentò ironicamente Sakura. “E tu ora vieni qui e mi aiuti a pulire. Subito, Itachi,” ordinò ferma, con un’occhiata eloquente al figlioletto.

Itachi pensò bene di accontentarla istantaneamente, per far sì che almeno lei non gli diventasse nemica: oltretutto, la mamma arrabbiata poteva essere anche più dannosa di papà. L’ultima volta che i suoi genitori avevano bisticciato, la loro stanza da letto era rimasta senza porta perché lei l’aveva fatta a pezzi con un pugno. Sasuke aveva osservato il danno con stoica calma e aveva sbuffato, prima di dire a Sakura che certe volte era ancora seriamente insopportabile. Itachi aveva pensato che la mamma allora avrebbe fatto a pezzi anche lui, invece era scoppiata a ridere, e papà le aveva dato un pizzicotto sul fianco.

“Sì, mamma,” affermò dunque coscienziosamente Itachi ritornando verso casa. Si premurò di fare un giro largo per non arrivare a portata di mano del padre, che seguì astiosamente il suo spostamento con uno sguardo temibile.

Il bambino non disse più una parola per tutto il tempo in cui rigovernò la cucina con sua madre, mentre Sasuke era sparito nel suo studio per ultimare alcune questioni di lavoro. Itachi riordinò con cura, avvilito, sperando di vederlo ricomparire da un momento all’altro come se niente fosse accaduto, come succedeva di solito. Invece Sasuke non arrivava e lui si sentiva sempre più smarrito.

Il suo papà non era un papà divertente, non giocava spesso con lui, scherzava poco e rideva ancor meno. Ma lo ascoltava sempre attentamente quando lui parlava, anche per ore intere, e continuava a rispondere alle sue domande a catena persino quando tutti gli altri non ne potevano più. Era severo, collerico e intransigente, ma quando Itachi aveva avuto la febbre alta era rimasto seduto vicino al suo letto per due giorni, leggendogli un vecchio libro di favole che, gli aveva assicurato, la nonna Mikoto aveva letto a lui in un’occasione analoga. E quando lui si faceva male, dopo avergli rimproverato la disattenzione, lo prendeva in braccio – aveva le braccia grandi ed un torace in cui si poteva affondare - ed aspettava in silenzio che smettesse di frignare.

Per Itachi, suo padre era assolutamente un mito.

 

 

“Si getterà dalla finestra se non ti fai vedere di sotto, signor U.”

Sasuke storse ironicamente le labbra, sollevando appena lo sguardo dal foglio.

“Così impara, il pidocchio,” sentenziò beffardo. “E comunque, a piano terra non dovrebbe farsi molto male.”

Sakura sbuffò pazientemente, avvicinandosi alla sua sedia con una mano poggiata sul fianco.

“Non voleva, credo. Gli è caduta la farina,” osservò con  un mezzo sorriso.

“E’ un imbranato.”

Sakura gli rifilò un leggerissimo scappellotto, prima di poggiare la mano sulla sua spalla. Secondo Sasuke, Itachi era il bambino più intelligente, più forte, più sveglio, più capace, più talentuoso e più grazioso di tutta Konoha. Le sue cicliche sparate lamentose, dunque, le risultavano unicamente comiche.

“Almeno ci ha provato. Tu sai a malapena riscaldare il riso, in cucina,” commentò con scherno.

Suo marito le scagliò uno sguardo indignato, abbandonando la penna sullo scrittoio.

“Io sono un ottimo cuoco. Ma non spreco il mio talento per niente,” commentò altezzoso.

“Come no…” borbottò Sakura, indulgente.

“E’ la pura verità,” insistette lui, petulante. “Quando si presenterà un’occasione degna…” aggiunse, interrompendosi solenne.

Sakura annuì, comprensiva, poggiando pensosamente il dito sul mento. Poi distolse lo sguardo, tormentandosi le dita della mano abbandonata lungo il fianco, e dondolò lievemente sui piedi.

“Stiamo per diventare quattro,” annunciò quasi timidamente.

Sasuke spalancò gli occhi, pietrificato.

“Eh?” guaì flebilmente.

Sakura si schiarì la gola, inquieta.

“Sono incinta di nuovo. Itachi avrà un fratello o una sorella minore,” ribadì, con tono calmo e solare, incoraggiante.

Sasuke restò fermo, fulminato, per qualche altro secondo. Aprì e richiuse la bocca, mosse nervosamente una mano e poi puntò uno sguardo vitreo sulla parete, pallido e fremente. A Sakura sembrò di vedere le rotelle nel suo cervello che giravano furiosamente urlando alla futura tragedia.

“Sas’ke..?”

“Non lo senti anche…tu questo…presagio di sventura?” chiese lui, faticosamente.

Sakura sospirò profondamente, chinandosi verso di lui.

“Non c’è nessuna sventura, zuccone. Avremo un altro bambino e Itachi sarà felice. Non succederà nulla di male a nessuno di noi,” affermò sicura, affondando le dita nei capelli del marito.

Sasuke prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi per qualche secondo. Ne prese un secondo, un terzo e infine annuì risoluto.

“Sì.”

“Non si ripeterà niente. Siamo una famiglia felice. Te l’avevo promesso, Sas’ke, che ti avrei reso felice,” continuò lei, sussurrando contro il suo orecchio.

Sasuke annuì ancora in silenzio. Infine si risolse a voltare la testa verso di lei ed accennò un sorriso, facendo per parlare.

“Posso?” pigolò in quel momento Itachi, fermo sulla porta con espressione speranzosa.

Sakura sorrise dolcemente, raddrizzando la schiena.

“Certo, tesoro. Vieni, ti dobbiamo dire una cosa importante,” lo invitò, bonaria.

“Mi volete cacciare via?” squittì lui allarmato.

“Sì. Ti manderemo a vivere dallo zio e sarai costretto a mangiare solo ed esclusivamente ramen,” confermò Sasuke, grave, ricevendo un lieve cazzotto dalla moglie. Itachi la guardò preoccupato e Sakura gli sorrise, accoccolandosi alla sua altezza.

“Vieni qui, Itachi,” ripeté, attendendo che lui l’avesse raggiunta per posargli la mano sulla testa, affettuosa. “Ti dobbiamo dare una bellissima notizia. Ricordi che l’anno scorso il piccolo Hiashi ha avuto una sorellina, vero?” iniziò, e il bambino annuì attento. “Ecco, anche tu in estate avrai un fratellino o una sorellina.”

Itachi spalancò gli occhioni neri, sorpreso.

“Io?” trillò stupefatto, e Sasuke ruotò rumorosamente la sedia verso di lui e si chinò in avanti, osservandolo febbrilmente.

Suo figlio rimase immobile, lo sguardo rarefatto, per parecchi secondi. Poi, lentamente, un sorriso prese a disegnarsi ai lati della sua bocca, dapprima timido e poi sempre più aperto e disarmante, fino a trasformarsi in una risata di puro entusiasmo.

“SIIIII!” strillò euforico, saltando a piè pari sul pavimento come una trottola. “Evvai! Può arrivare subito? Possiamo giocare? Mamma, quand’è che arriva? Posso scegliere come si chiama? Papà, io e il fratellino possiamo costruire un fortino in giardino per giocare?”

Sasuke boccheggiò senza parole e Sakura ridacchiò ilare, cercando invano di bloccare al volo il suo esagitatissimo figlioletto che, invece, si scagliò sulle ginocchia del padre facendo quasi ribaltare la sua sedia.

“Magari sarà una sorellina,” gli fece notare, bonaria.

“Fa niente! Lei farà la principessa del fortino e io il generale che la difende. Papà, possiamo? Giuro che andrò bene in accademia!” continuò, dondolando sulle gambe di Sasuke.

“Ah…ah….s-sì,” biascicò lui, smarrito.

“Subito, papà! Facciamolo subito, così quando arriva il fratellino o la sorellina sarà già pronto! Ci penso io!” insistette Itachi, strattonando il suo braccio.

Sasuke boccheggiò ancora per qualche secondo e scrollò la testa, riscuotendosi.

“Lo farete insieme, non devi lavorare per due,” blaterò, stordito.

“Ma io sono più grosso, e più forte!” commentò Itachi, sottolineando l’ovvio. “Facciamolo ora, dai,” continuò, con atteggiamento molto adulto.

Sakura rise apertamente, esilarata da quel fare importante.

“Adesso no, Itachi,” commentò sorniona. “Papà ci prepara la cena, oggi,” aggiunse, con una smorfia vittoriosa in direzione del marito.

Sasuke la guardò male, mentre Itachi gli saltava sulle ginocchia rischiando di spezzarle.

“Wow! Ti posso aiutare? La farina non la tocco più,” terminò pigolante, con i grandi occhi adoranti.

“Che nido di serpi,” commentò Sasuke rassegnato, alzandosi e facendolo ruzzolare a terra.

Si diresse verso la soglia con fare maestoso, quasi sprezzante, ed Itachi gli si mise alle calcagna.

“Gli insegnerò un sacco di cose,” borbottò tra sé, trepidante.

“Insegnagli a fare la torta,” suggerì suo padre, asciutto.

Sakura scoppiò a ridere di getto, mentre Itachi aggrottava il viso in una smorfia risentita prima di rivolgere al papà una linguaccia.

“Gli insegnerò un sacco di altre cose,” affermò risentito.

“Certo, a cucinare glielo insegna papà,” commentò Sakura beffarda.

Sasuke tornò sui propri passi, truce e minaccioso, mentre lei ancora ridacchiava. Le passò il braccio intorno alla vita e se la caricò in spalle incurante delle sue gaie proteste, afferrando Itachi per la collottola con la mano libera.

“Siete veramente…insopportabili,” sentenziò sprezzante, caracollando verso le scale per raggiungere la cucina.

 

 

 

 

   
 
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