Una sciocchezzuola leggera per Pasqua, tanto per passare il
tempo.
E’ il sequel di quell’altra sciocchezzuola, Balena. Vogliate gentilmente non
lanciare ortaggi troppo duri, ché i bernoccoli fanno male, e sopportare
le mie inutili storielle.
E buon cioccolato a tutti, quest’oggi.
suni
Casa Uchiha, cucina
Era
estremamente divertente.
La mamma era in giardino a stendere e a giudicare dal
quantitativo di panni lavati ci sarebbe rimasta per un bel po’, quindi
aveva il campo libero. Era una fortuna che i suoi genitori fossero persone
molto impegnate – papà era uno dei consiglieri dell’Hokage,
che poi era lo zio Naruto, e la mamma faceva qualcosa d’importante in
ospedale – così poteva spesso agire liberamente nella grande,
grandissima casa di famiglia, che un giorno sarebbe stata tutta sua
perché, gli aveva detto suo padre con voce grave e sguardo serio, lui
era l’erede di un grandissimo clan. Itachi non sapeva bene cosa fosse un
erede, ma riteneva si trattasse di qualcosa di estremamente importante.
Comunque, siccome la mamma era fuori, aveva ritenuto che nessuno
avrebbe potuto impedirgli di preparare la cena per i suoi genitori nella sua
personalissima maniera. Qualcosa era andato storto, perché la grossa
ciotola di vetro in cui aveva progettato di preparare la torta era caduta e la
farina si era sparsa ovunque come una neve sottile e persistente. A quel punto
Itachi aveva starnutito e gli era venuto in mente che la cucina di casa, in
quella maniera, sembrava una valle d’alta montagna gelida e inesplorata,
irta di ostacoli come lo scivolosissimo uovo che si era spaccato sul pavimento
e su cui lui era capitombolato inzaccherandosi i calzoni. Dimenticando la sua
precedente missione culinaria, aveva quindi deciso di tracciare un sentiero in
quella landa ignota e inospitale, e al momento stava accoccolato per terra, intento
a spostare la farina – pardon, la neve –
dal piccolo camminamento che l’avrebbe condotto, una volta ultimato, al
lavabo.
Le cose si stavano facendo difficili, perché uno
sconosciuto shinobi straniero gli stava tendendo un agguato – ma Itachi,
essendo un grandissimo guerriero, aveva già individuato la sua posizione
– quando, inaspettatamente e del tutto in contrasto con le tempistiche a
lui consuete, la porta della cucina si spalancò.
Itachi rimase impalato mentre il cucchiaio di legno che
aveva immaginato essere uno shuriken, da lui appena
lanciato per colpire il suo avversario, atterrava rimbalzando ai piedi di suo
padre. Il bambino non trovò niente di meglio da fare che nascondere
semplicemente la mano dietro la schiena, come se così nulla avesse potuto
essergli imputato, spalancando con innocenza i grandi occhi neri.
“Ciao, papà,” cinguettò come se
niente fosse, senza nemmeno rendersi conto di quanto la sua voce suonasse
colpevole e contrita.
Sasuke sbatté le palpebre con perplessità,
interdetto, osservando inespressivo le penose condizioni in cui versava la
cucina. Socchiuse le labbra sul punto di parlare ma dovette mancargliene la
capacità, perché restò soltanto con la bocca semiaperta e
una curiosa espressione di sbigottimento che, poco a poco, si mutò in
gelida collera. Itachi, che ben conosceva quel bagliore minaccioso già
visto in altre occasioni, sebbene quasi mai riguardanti lui in prima persona,
arretrò involontariamente d’un passo. Quell’inconsapevole
ammissione di colpevolezza sancì la sua condanna, perché le
labbra di Sasuke si assottigliarono truci.
“Itachi,” scandì, feroce.
“Cos’è questo?”
Il bambino si torse istintivamente le mani, inquieto.
Sasuke non muoveva un muscolo e il suo viso rimaneva di pietra, senza tradire
le sue intenzioni, ma c’erano quegli occhi allarmanti e per giunta lui
sapeva, per esperienza diretta, che suo padre era proprio come le montagne:
sono immobili e silenziose e poi d’improvviso scatenano la frana,
esplodendo, ed è la fine del mondo.
Deglutì pesantemente, lanciando un’occhiata
veloce alla porta sul cortile: troppo lontana. Serviva una scappatoia.
Accennò un sorriso angelico che poco si addiceva al
suo visetto spigoloso, ma che pure sapeva risultare d’una bellezza
straordinariamente accattivante – proprio
come papà, diceva sempre la mamma.
“Faccio una torta,” annunciò compreso.
Sasuke sollevò appena un sopracciglio, neutro.
“Una torta,” ripeté, la voce bassa e
atona.
Itachi annuì ripetutamente, allontanando
discretamente col piede il mestolo che stava usando come pala per spostare la
neve.
“C’è stato un incidente,”
spiegò, compito.
Sasuke si fece, se possibile, ancor più immobile e
austero.
“Un incidente,” ribadì, sordo. Era il
quarto incidente domestico provocato
da suo figlio, quella settimana: Itachi, che del suo sventurato predecessore
aveva soltanto il nome e un certo non so che, negli occhi, di profondamente
riflessivo, era un Uchiha atipico e una miniatura di energia, dinamismo e
buonumore. Evidentemente trascorreva troppo tempo con Naruto, e le conseguenze
erano quel che erano.
“Sì,” confermò Itachi, serio. Gli
parve che non fosse sufficiente, sicché pensò di dover scendere
nei dettagli. “La ciotola ha fatto pum.”
Sasuke strinse ulteriormente le labbra, tanto da farle
sparire, e serrò i pugni. Lui non ebbe nemmeno il tempo di allontanarsi
un po’ di più per limitare i danni.
“ITACHI!” tuonò suo padre inviperito.
Lui fece un gran balzo e si ritrasse di scatto, terrorizzato da quella voce
rauca e violenta. Sasuke si mosse verso di lui, livido di collera, e Itachi
ebbe per un secondo la certezza che l’avrebbe ucciso seduta stante. Con
un mugolio disperato sgusciò indietro e scartò a lato, per
mettere almeno il tavolo tra sé e il genitore.
“Credi che non abbiamo di meglio da fare che pulire
questo schifo, piccolo piantagrane?” stava ruggendo Sasuke, furioso.
“E vieni qui anziché fare il vigliacco!” intimò
irato, dopo aver invano allungato il braccio per arpionare il suo sgusciante
figlioletto.
“Non volevo” guaì Itachi angosciato,
scapicollandosi verso la porta.
“Pallista!”
ringhiò Sasuke incollerito, fronteggiandolo dall’altro lato del
tavolo. “Ti sembra questo il comportamento da tenere? E tu dovresti
essere un Uchiha, razza di…” continuò, apprestandosi ad
acciuffarlo una volta per tutte. Itachi schizzò a destra e Sasuke gli si
lanciò contro, ma il pidocchio fece uno scarto a sinistra inaspettato e
lui lo mancò d’un soffio. Itachi si tuffò verso la porta
del cortile, ora libera, alla disperata. Il tentativo non aveva la minima
possibilità di riuscire e avrebbe ritardato di appena qualche secondo la
cattura, se non che, proprio mentre lui si buttava fuori col padre alle
calcagna, sua madre rientrò nella direzione opposta.
Itachi, sottile com’era, sgusciò a lato delle
gambe di Sakura, ma suo padre non ebbe la stessa opportunità: il bambino
si voltò indietro giusto in tempo per vedere Sasuke atterrare, con
precisione ineccepibile, dritto tra le braccia della moglie. Il cesto vuoto dei
panni volò in aria e Sakura finì scaraventata a terra sotto il
dolce peso del marito, mentre il figlio osservava la scena con la curiosa
attenzione che si riserva normalmente a uno spettacolo di saltimbanchi.
“Sas’ke!” trillò severamente
Sakura, boccheggiando, mentre Sasuke si sollevava sulle ginocchia torvo e lei
riusciva a mettersi a sedere. “Ti sembra il caso di giocare a prendere
col bambino dentro cas..?” E s’interruppe
di botto, esterrefatta, scrutando allibita il piccolo diastro farinoso
allestito dal figlioletto. “Ma che avete combinato?” sbottò,
quasi stridula.
“E’ quel dannatissimo moccioso!”
inveì Sasuke ferocemente, senza smettere di occhieggiarlo minaccioso, mentre si rimetteva in piedi
– e Itachi, allarmato, rinculava verso l’esterno. “Adesso ti spac…”
“Fermo lì, tu,” scandì Sakura
afferrando il suo avambraccio nella morsa che era la sua mano. Sasuke la
guardò storto, indignato e sommamente incazzato, ma Sakura non parve
registrarlo. “Itachi?” interpellò, grave.
Il bambino si mordicchiò le labbra, dondolando
mogio.
“Mi è caduta la farina,” mugolò,
affranto.
“L’ha sparpagliata ovunque!”
sibilò Sasuke irato.
“U, ti vuoi dare una calmata?” lo
apostrofò Sakura con leggera durezza, ma la sua mano ancora stretta sul
braccio di lui si mosse in una carezza.
“E’ Naruto che mi ha fatto incazzare tutta la
giornata,” brontolò lui, sostenuto. Itachi fu sul punto di
esclamare che papà aveva detto di nuovo quella parola davanti a lui, ma si trattenne saggiamente: Sasuke
era già abbastanza incazzato
così.
“Che strano,” commentò ironicamente
Sakura. “E tu ora vieni qui e mi aiuti a pulire. Subito, Itachi,” ordinò ferma, con un’occhiata
eloquente al figlioletto.
Itachi pensò bene di accontentarla istantaneamente,
per far sì che almeno lei non gli diventasse nemica: oltretutto, la
mamma arrabbiata poteva essere anche più dannosa di papà. L’ultima
volta che i suoi genitori avevano bisticciato, la loro stanza da letto era
rimasta senza porta perché lei l’aveva fatta a pezzi con un pugno.
Sasuke aveva osservato il danno con stoica calma e aveva sbuffato, prima di
dire a Sakura che certe volte era ancora seriamente insopportabile. Itachi aveva
pensato che la mamma allora avrebbe fatto a pezzi anche lui, invece era
scoppiata a ridere, e papà le aveva dato un pizzicotto sul fianco.
“Sì, mamma,” affermò dunque coscienziosamente
Itachi ritornando verso casa. Si premurò di fare un giro largo per non
arrivare a portata di mano del padre, che seguì astiosamente il suo
spostamento con uno sguardo temibile.
Il bambino non disse più una parola per tutto il
tempo in cui rigovernò la cucina con sua madre, mentre Sasuke era
sparito nel suo studio per ultimare alcune questioni di lavoro. Itachi riordinò
con cura, avvilito, sperando di vederlo ricomparire da un momento all’altro
come se niente fosse accaduto, come succedeva di solito. Invece Sasuke non
arrivava e lui si sentiva sempre più smarrito.
Il suo papà non era un papà divertente, non
giocava spesso con lui, scherzava poco e rideva ancor meno. Ma lo ascoltava
sempre attentamente quando lui parlava, anche per ore intere, e continuava a
rispondere alle sue domande a catena persino quando tutti gli altri non ne
potevano più. Era severo, collerico e intransigente, ma quando Itachi
aveva avuto la febbre alta era rimasto seduto vicino al suo letto per due
giorni, leggendogli un vecchio libro di favole che, gli aveva assicurato, la
nonna Mikoto aveva letto a lui in un’occasione
analoga. E quando lui si faceva male, dopo avergli rimproverato la
disattenzione, lo prendeva in braccio – aveva le braccia grandi ed un
torace in cui si poteva affondare - ed aspettava in silenzio che smettesse di
frignare.
Per Itachi, suo padre era assolutamente un mito.
“Si getterà dalla finestra se non ti fai
vedere di sotto, signor U.”
Sasuke storse ironicamente le labbra, sollevando appena lo
sguardo dal foglio.
“Così impara, il pidocchio,”
sentenziò beffardo. “E comunque, a piano terra non dovrebbe farsi
molto male.”
Sakura sbuffò pazientemente, avvicinandosi alla sua
sedia con una mano poggiata sul fianco.
“Non voleva, credo. Gli è caduta la farina,”
osservò con un mezzo
sorriso.
“E’ un imbranato.”
Sakura gli rifilò un leggerissimo scappellotto,
prima di poggiare la mano sulla sua spalla. Secondo Sasuke, Itachi era il
bambino più intelligente, più forte, più sveglio,
più capace, più talentuoso e più grazioso di tutta Konoha.
Le sue cicliche sparate lamentose, dunque, le risultavano unicamente comiche.
“Almeno ci ha provato. Tu sai a malapena riscaldare
il riso, in cucina,” commentò con scherno.
Suo marito le scagliò uno sguardo indignato,
abbandonando la penna sullo scrittoio.
“Io sono un ottimo cuoco. Ma non spreco il mio
talento per niente,” commentò altezzoso.
“Come no…” borbottò Sakura,
indulgente.
“E’ la pura verità,” insistette
lui, petulante. “Quando si presenterà un’occasione degna…”
aggiunse, interrompendosi solenne.
Sakura annuì, comprensiva, poggiando pensosamente il
dito sul mento. Poi distolse lo sguardo, tormentandosi le dita della mano
abbandonata lungo il fianco, e dondolò lievemente sui piedi.
“Stiamo per diventare quattro,” annunciò
quasi timidamente.
Sasuke spalancò gli occhi, pietrificato.
“Eh?” guaì flebilmente.
Sakura si schiarì la gola, inquieta.
“Sono incinta di nuovo. Itachi avrà un
fratello o una sorella minore,” ribadì, con tono calmo e solare,
incoraggiante.
Sasuke restò fermo, fulminato, per qualche altro
secondo. Aprì e richiuse la bocca, mosse nervosamente una mano e poi
puntò uno sguardo vitreo sulla parete, pallido e fremente. A Sakura
sembrò di vedere le rotelle nel suo cervello che giravano furiosamente urlando
alla futura tragedia.
“Sas’ke..?”
“Non lo senti anche…tu questo…presagio di
sventura?” chiese lui, faticosamente.
Sakura sospirò profondamente, chinandosi verso di
lui.
“Non c’è nessuna sventura, zuccone. Avremo
un altro bambino e Itachi sarà felice. Non succederà nulla di
male a nessuno di noi,” affermò sicura, affondando le dita nei
capelli del marito.
Sasuke prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi per
qualche secondo. Ne prese un secondo, un terzo e infine annuì risoluto.
“Sì.”
“Non si ripeterà niente. Siamo una famiglia
felice. Te l’avevo promesso, Sas’ke, che ti avrei reso felice,”
continuò lei, sussurrando contro il suo orecchio.
Sasuke annuì ancora in silenzio. Infine si risolse a
voltare la testa verso di lei ed accennò un sorriso, facendo per
parlare.
“Posso?” pigolò in quel momento Itachi,
fermo sulla porta con espressione speranzosa.
Sakura sorrise dolcemente, raddrizzando la schiena.
“Certo, tesoro. Vieni, ti dobbiamo dire una cosa
importante,” lo invitò, bonaria.
“Mi volete cacciare via?” squittì lui
allarmato.
“Sì. Ti manderemo a vivere dallo zio e sarai
costretto a mangiare solo ed esclusivamente ramen,” confermò
Sasuke, grave, ricevendo un lieve cazzotto dalla moglie. Itachi la
guardò preoccupato e Sakura gli sorrise, accoccolandosi alla sua
altezza.
“Vieni qui, Itachi,” ripeté, attendendo
che lui l’avesse raggiunta per posargli la mano sulla testa, affettuosa. “Ti
dobbiamo dare una bellissima notizia. Ricordi che l’anno scorso il
piccolo Hiashi ha avuto una sorellina, vero?” iniziò,
e il bambino annuì attento. “Ecco, anche tu in estate avrai un
fratellino o una sorellina.”
Itachi spalancò gli occhioni
neri, sorpreso.
“Io?” trillò stupefatto, e Sasuke
ruotò rumorosamente la sedia verso di lui e si chinò in avanti,
osservandolo febbrilmente.
Suo figlio rimase immobile, lo sguardo rarefatto, per
parecchi secondi. Poi, lentamente, un sorriso prese a disegnarsi ai lati della
sua bocca, dapprima timido e poi sempre più aperto e disarmante, fino a
trasformarsi in una risata di puro entusiasmo.
“SIIIII!” strillò euforico, saltando a
piè pari sul pavimento come una trottola. “Evvai!
Può arrivare subito? Possiamo giocare? Mamma, quand’è che
arriva? Posso scegliere come si chiama? Papà, io e il fratellino
possiamo costruire un fortino in giardino per giocare?”
Sasuke boccheggiò senza parole e Sakura
ridacchiò ilare, cercando invano di bloccare al volo il suo esagitatissimo figlioletto che, invece, si scagliò
sulle ginocchia del padre facendo quasi ribaltare la sua sedia.
“Magari sarà una sorellina,” gli fece
notare, bonaria.
“Fa niente! Lei farà la principessa del
fortino e io il generale che la difende. Papà, possiamo? Giuro che
andrò bene in accademia!” continuò, dondolando sulle gambe
di Sasuke.
“Ah…ah….s-sì,”
biascicò lui, smarrito.
“Subito, papà! Facciamolo subito, così
quando arriva il fratellino o la sorellina sarà già pronto! Ci
penso io!” insistette Itachi, strattonando il suo braccio.
Sasuke boccheggiò ancora per qualche secondo e
scrollò la testa, riscuotendosi.
“Lo farete insieme, non devi lavorare per due,”
blaterò, stordito.
“Ma io sono più grosso, e più forte!”
commentò Itachi, sottolineando l’ovvio. “Facciamolo ora,
dai,” continuò, con atteggiamento molto adulto.
Sakura rise apertamente, esilarata da quel fare importante.
“Adesso no, Itachi,” commentò sorniona. “Papà
ci prepara la cena, oggi,” aggiunse, con una smorfia vittoriosa in
direzione del marito.
Sasuke la guardò male, mentre Itachi gli saltava
sulle ginocchia rischiando di spezzarle.
“Wow! Ti posso aiutare? La farina non la tocco
più,” terminò pigolante, con i grandi occhi adoranti.
“Che nido di serpi,” commentò Sasuke
rassegnato, alzandosi e facendolo ruzzolare a terra.
Si diresse verso la soglia con fare maestoso, quasi
sprezzante, ed Itachi gli si mise alle calcagna.
“Gli insegnerò un sacco di cose,”
borbottò tra sé, trepidante.
“Insegnagli a fare la torta,” suggerì
suo padre, asciutto.
Sakura scoppiò a ridere di getto, mentre Itachi
aggrottava il viso in una smorfia risentita prima di rivolgere al papà
una linguaccia.
“Gli insegnerò un sacco di altre cose,”
affermò risentito.
“Certo, a cucinare glielo insegna papà,”
commentò Sakura beffarda.
Sasuke tornò sui propri passi, truce e minaccioso,
mentre lei ancora ridacchiava. Le passò il braccio intorno alla vita e
se la caricò in spalle incurante delle sue gaie proteste, afferrando
Itachi per la collottola con la mano libera.
“Siete veramente…insopportabili,” sentenziò sprezzante, caracollando
verso le scale per raggiungere la cucina.