Terza
classificata a parimerito
al contest “Elementi e
Catene” indetto
da Hika_chan.
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Memories
Furishikiru
ame no ne
ni shizumi sou na
Sono yakusoku wa dare
no yume de dare no tame no yume darou
(Mi sembra di
affondare nel suono della pioggia che cade
Questa promessa è il
sogno di chi, per chi è questo sogno?)
[Calm Envy- The
Gazette]
“Italia.”
Una parola musicale, esotica per lei; eppure, ancora una
volta, crudele.
All’inizio, quando l’incubo era cominciato,
“Italia” aveva
significato “guerra”; come
“Germania”, del resto. Aveva significato dolore,
lutti, povertà. L’aveva sentita nominare quando
avevano reclutato i suoi vicini
di casa, e quando suo cugino si era unito ai partigiani, appena
diciottenne.
Aveva odiato quel suono straniero. Con l’arrivo di lui,
affidatole da un
parente dopo l’armistizio italiano affinché lo
nascondesse dagli ex-alleati
tedeschi, “Italia” era diventato il nome del male
che porta del bene: un uomo
in casa, compagnia, aiuto. Qualcosa di simile alla serenità.
E a Sakura non importava che fosse sposato, nel suo Paese di
là dal mare che lo aveva mandato da lei: ora era
là, e sarebbe certamente
rimasto ancora qualche mese, prima di ripartire. Ora era con lei.
Però quel nome, “Italia”, era la parola delle sue
notti,
quella che lo allontanava dalle sue braccia più di quanto
non avesse potuto, a
suo tempo, la diffidenza data dall’incontro di culture.
Perché quella era stata sconfitta, giorno dopo giorno, dalla
conoscenza degli individui, e ormai Sasuke non temeva più di
essere consegnato,
non rifuggiva più la conversazione con quella strana donna
che lo aveva
nascosto.
Ma l’Italia, Karin…quelle non erano bastati i
molti mesi e
la lontananza per lasciarsele alle spalle, e a Sakura pareva di
annegare nel
suono della pioggia scrosciante sul tetto, ogni volta che nel sonno le
nominava.
Di chi è questo sogno,
Sasuke? Non dell’uomo che vive con me, di certo. Questo
è il sogno di un uomo
che non mi appartiene.
Sasuke, per chi è questo
sogno?
“Devo partire, lo sai.”
Sakura alzò mestamente lo sguardo sul giovane uomo in piedi
davanti a lei nella penombra del primo mattino, e gli sorrise pacata.
Ovvio che
alla fine avesse deciso così: le aveva già detto
di sentirsi inutile, lì; del
presunto dovere di tornare sul campo di battaglia; della
volontà di tornare in
Italia e partecipare alla “decisone delle sorti della sua
patria”. Lei lo aveva
convinto ad attendere, ad informarsi prima sulla situazione, a
riflettere,
prima di rigettarsi nella battaglia, ma sapeva comunque che quel giorno
sarebbe
arrivato, e, anche se questo non le aveva impedito di sperare, si era
preparata.
Mise giù l’abito che stava aggiustando e si
alzò,
scuotendosi i rimasugli di filo dalla gonna logora.
“Ti serviranno dei vestiti nuovi.”
Osservò critica,
scrutando con scetticismo i pantaloni consunti e le scarpe ormai quasi
inutilizzabili. “Domani vedo di farmi dare qualcosa
giù in paese.”
E non pianse, Sakura, non mostrò disperazione,
perché se da
una parte aveva messo in conto fin dall’inizio che prima o
poi lui se ne
sarebbe andato, e aveva preso contatti con persone che lo avrebbero
potuto
aiutare a lasciare l’isola senza essere catturato,
dall’altra aveva approntato
la facciata pragmatica e anaffettiva, preparandosi
all’abbandono.
Non importavano la tristezza, la paura, lo smarrimento e la
nostalgia che già l’assordavano col loro battere
incessante sul suo petto, non
importava la solitudine, che già le faceva riassaporare il
suo gusto amaro
sulla lingua. I suoi sentimenti avrebbero avuto tempo dopo per
fuoriuscire e
abbatterla. Ora, importava solo che Sasuke tornasse a casa, a Roma, e
lei lo
avrebbe aiutato con ogni mezzo a raggiungere quell’obiettivo
che per lui
significava tanto.
Rimarrà, la nostra storia, ma fra queste mura vuote: tu
avrai tua moglie e la tua famiglia a cui pensare, io
riprenderò la mia vita,
forse tornerò da mia cugina, a fare la levatrice.
Quello che abbiamo ora si concluderà in queste notti.
Finirà, e dimenticheremo.”
Lo disse sapendo di mentire; lo disse per trattenerlo su
quel letto una notte ancora, rubandolo ai suoi doveri verso la patria e
la
moglie, rapendolo e riportandolo nell’oblio del regno del
Momento, in cui il
domani non importava; ammaliandolo; avviluppandolo nella coltre calda e
liquida
del loro peccato.
E non disse altro, nascondendo il desiderio di piangere
dietro la malizia dello sguardo, perché di una cosa era
dolorosamente certa, ed
era che lei no, non avrebbe
dimenticato. Non avrebbe potuto.
Poteva solo averlo, e nascondere le ferite con l’intreccio
dei respiri e i gemiti, ancora una volta. Poteva, e voleva, avvolgerlo
in quel
caldo tessuto di tenebra accogliente, e rubargli dolcemente i respiri
di altre
ore prima che lui tornasse a casa, senza di lei.
Dopo, avrebbe potuto abbeverarsi alla sorgente di quei
ricordi consapevole di averlo amato, e di non avergli mai, in nome di
quell’amore, serbato rancore per le sue scelte.
Sei Ulisse, ed io sono
un’illusa: non potrò mai farti dimenticare Itaca.
Sakura passò le braccia attorno al collo di lui,
intrecciando le dita ai suoi capelli d’oscurità,
sorridendo contro il suo
petto, e sperò soltanto che il mattino li trovasse ancora
abbracciati nel
sonno.
Non si voltò.
Camminò celere e deciso verso il mare, sotto quel cielo blu
zaffiro che faceva risplendere ogni cosa, nel nuovo nascere della
primavera, e
non si guardò alle spalle, non agitò la mano per
lei, malgrado la donna lo
sperasse con ogni fibra del suo essere.
Fin sulla porta Sakura lo aveva istruito sulla strada da
prendere, aveva controllato che avesse con sé tutto il
necessario, che fosse
sufficientemente riposato e che i suoi abiti fossero adatti. Aveva
riversato su
di lui l’ondata calda del suo affetto sotto forma di premure,
gli ultimi gesti
d’amore che le erano permessi.
Non aveva parlato del “dopo”, non aveva fatto
trapelare
nulla delle sue reali emozioni, limitandosi ad avvolgere Sasuke negli
abiti che
gli aveva procurato, a dargli il cibo che aveva messo da parte, a
preoccuparsi
per lui, perché era consapevole di non potergli
più donare nient’altro. Lui
aveva deciso, e lei non poteva che rispettare la sua scelta, malgrado
il
dolore.
Sasuke l’aveva guardata in silenzio, lasciandola fare,
ignorando l’abitudine che gli diceva di allontanare quella
donna affannata che
gli stava troppo vicina. Aveva cercato di imprimere nella memoria i
lineamenti,
la voce, il taglio degli occhi di lei e l’assurda
tonalità dei suoi capelli;
conscio che non li avrebbe più rivisti.
L’aveva amata, a modo suo. Non glielo aveva mai detto,
ovviamente, e non l’aveva neppure consolata, quando
l’aveva sentita piangere di
nascosto da lui, nella stanza attigua. Non era stato amabile con lei,
perché
non era nel suo carattere, ma senza dubbio l’aveva amata, con
infinitesimali
gesti e parole che non aveva donato a nessun altro, mai. Non alle tante
ragazze
avute, non alla moglie, sposata per volere della famiglia, per far
confluire
ulteriori sostanze nella grande industria tessile che avrebbe ereditato
insieme
al fratello.
Ma non le aveva fatto promesse: sapeva di non poterselo
permettere, perché quei mesi non erano stati di vita, ne era
conscio. Era stato
un periodo di limbo, una stagione rubata, in attesa che
l’inverno finisse, e
con lui, si sperava, la guerra.
Dio, sì, sapeva che avrebbe dovuto andare avanti e lasciarsi
alle spalle Sakura e tutti i ricordi a lei legati. Per questo aveva
goduto in
silenzio della sua compagnia, fino alla porta.
Per questo, da lì non aveva più potuto voltarsi,
non aveva
guardato indietro.
L’aveva ringraziata e se n’era andato, fingendo di
non
sentire il proprio nome ripetuto all’infinito da quelle
labbra, in un lungo
sussurro quasi a voler trattenere più a lungo in quella
povera casa di campagna
la presenza di lui.
E non aveva visto le lacrime della donna che lo aveva
salvato e amato per tutto quel tempo, non aveva sentito come le sue
parole
fossero gradualmente diventate singhiozzi.
Non avrebbe mai saputo della catena del pozzo, quella catena
sottile e resistente che aveva tante volte cigolato tra le sue mani, e
che fu
trascinata fino alla strada e legata a un albero da alcuni compaesani,
qualche
settimana dopo.
Ultimo abbraccio per colei che si era donata all’invasore
italiano.
Detto questo.
Questa è probabilmente una
delle ultime fanfiction che
pubblicherò su questo sito, forse una delle ultime che
scriverò per questo
fandom, che pure mi ha dato tantissimo, a livello umano (ho incontrato
persone splendide
che rimarranno anche dopo che questa esperienza sarà
finita), e a livello più
prettamente letterario: il confronto con alcune autrici bravissime che
ho
incontrato mi ha aiutata a superare abitudini errate e a maturare
soprattutto
una coscienza delle mie capacità e dei miei difetti che
prima mi mancava.
Per questo devo ringraziare autrici del calibro di
ragazza_innamorata, Revan, Arwen5786, Bambi88 e Chimera in blue jeans,
e le
ragazze e i ragazzi del NejiTen forum, come sempre.
Ancora una volta, questa storia è per voi.
Dicevo, questa è una delle mie ultime esperienze riguardo a
questo
pairing, fandom e sito, e per questo è curioso che proprio
un contest, un’opportunità
per migliorarsi e confrontarsi in sana competizione, abbia decretato il
mio
totale abbandono.
Semplicemente, non voglio più.
E, non me lo sarei nemmeno aspettato, non mi fa nemmeno male
andarmene dall’ambiente nel quale, dopotutto, sono nata come
fanwriter.
Non voglio che questo suoni come un atto di accusa alla
giudice di questo contest, che è stata rapidissima nel
consegnare i risultati e
sempre disponibile a dare chiarimenti, sia prima della consegna che
poi, né alle
partecipanti, ognuna delle quali ha messo nel proprio lavoro impegno e
passione. Semplicemente, guardandomi intorno, mi sono chiesta ancora
una volta
che cosa ci faccio qui. E ho pensato che forse era il caso di smettere
di
chiedermelo.
Non è un quarto posto a demoralizzarmi: so di non essere un
genio. Sono gli errori di valutazione, ammessi in privato, e quindi
ufficialmente inesistenti. È l’ambiente, dove le
lotte fra pairing uccidono la
creatività e la passione.
Non ce l’ho con nessuno: è semplicemente che con
questa
fanfiction ho trovato l’occasione per annunciare quello che
già da tanto (forse
troppo) tempo avevo deciso di fare: a fine aprile
pubblicherò le fanfiction
partecipanti ai contest ancora in corso, e mi ritirerò dal
sito.
Mi dedicherò ad altro e certamente pubblicherò
ancora, ma
probabilmente non in questa sede e non in questo fandom.
Mi dispiace solo per coloro che mi hanno sinceramente
seguita. Mi siete stati di grande aiuto. ^^
Con questo concludo. Scusate lo sfogo e scusate il tono. Non
era mia intenzione offendere nessuno, e spero che nessuno si senta
accusato o
insultato da ciò che ho scritto.
Il mio solo fine nella pubblicazione è sempre stato di
migliorarmi attraverso il confronto e la competizione.