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Autore: BrideOfTheWind    12/04/2009    4 recensioni
“Partecipante al contest “Elementi e Catene” indetto da Hika_chan” “Non ti preoccupare, Sasuke: dimenticheremo queste notti. Persi nei sogni del nostro futuro, ci sembreranno lontane, evanescenti, e non potremo rimpiangerne l’assenza, né maledirne il ricordo. Rimarrà, la nostra storia, ma fra queste mura vuote: tu avrai tua moglie e la tua famiglia a cui pensare, io riprenderò la mia vita, forse tornerò da mia cugina, a fare la levatrice. Quello che abbiamo ora si concluderà in queste notti. Finirà, e dimenticheremo.”
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Terza classificata a parimerito al contest “Elementi e Catene” indetto da Hika_chan.

 

Empty Memories

 

Furishikiru ame no ne ni shizumi sou na
Sono yakusoku wa dare no yume de dare no tame no yume darou
(Mi sembra di affondare nel suono della pioggia che cade
Questa promessa è il sogno di chi, per chi è questo sogno?)
[Calm Envy- The Gazette]

 
“Italia.”
Una parola musicale, esotica per lei; eppure, ancora una volta, crudele.
All’inizio, quando l’incubo era cominciato, “Italia” aveva significato “guerra”; come “Germania”, del resto. Aveva significato dolore, lutti, povertà. L’aveva sentita nominare quando avevano reclutato i suoi vicini di casa, e quando suo cugino si era unito ai partigiani, appena diciottenne. Aveva odiato quel suono straniero. Con l’arrivo di lui, affidatole da un parente dopo l’armistizio italiano affinché lo nascondesse dagli ex-alleati tedeschi, “Italia” era diventato il nome del male che porta del bene: un uomo in casa, compagnia, aiuto. Qualcosa di simile alla serenità.
E a Sakura non importava che fosse sposato, nel suo Paese di là dal mare che lo aveva mandato da lei: ora era là, e sarebbe certamente rimasto ancora qualche mese, prima di ripartire. Ora era con lei.
Però quel nome, “Italia”, era la parola delle sue notti, quella che lo allontanava dalle sue braccia più di quanto non avesse potuto, a suo tempo, la diffidenza data dall’incontro di culture.
Perché quella era stata sconfitta, giorno dopo giorno, dalla conoscenza degli individui, e ormai Sasuke non temeva più di essere consegnato, non rifuggiva più la conversazione con quella strana donna che lo aveva nascosto.
Ma l’Italia, Karin…quelle non erano bastati i molti mesi e la lontananza per lasciarsele alle spalle, e a Sakura pareva di annegare nel suono della pioggia scrosciante sul tetto, ogni volta che nel sonno le nominava.
Di chi è questo sogno, Sasuke? Non dell’uomo che vive con me, di certo. Questo è il sogno di un uomo che non mi appartiene.
Sasuke, per chi è questo sogno?

 
“Devo partire, lo sai.”
Sakura alzò mestamente lo sguardo sul giovane uomo in piedi davanti a lei nella penombra del primo mattino, e gli sorrise pacata. Ovvio che alla fine avesse deciso così: le aveva già detto di sentirsi inutile, lì; del presunto dovere di tornare sul campo di battaglia; della volontà di tornare in Italia e partecipare alla “decisone delle sorti della sua patria”. Lei lo aveva convinto ad attendere, ad informarsi prima sulla situazione, a riflettere, prima di rigettarsi nella battaglia, ma sapeva comunque che quel giorno sarebbe arrivato, e, anche se questo non le aveva impedito di sperare, si era preparata.
Mise giù l’abito che stava aggiustando e si alzò, scuotendosi i rimasugli di filo dalla gonna logora.
“Ti serviranno dei vestiti nuovi.” Osservò critica, scrutando con scetticismo i pantaloni consunti e le scarpe ormai quasi inutilizzabili. “Domani vedo di farmi dare qualcosa giù in paese.”
E non pianse, Sakura, non mostrò disperazione, perché se da una parte aveva messo in conto fin dall’inizio che prima o poi lui se ne sarebbe andato, e aveva preso contatti con persone che lo avrebbero potuto aiutare a lasciare l’isola senza essere catturato, dall’altra aveva approntato la facciata pragmatica e anaffettiva, preparandosi all’abbandono.
Non importavano la tristezza, la paura, lo smarrimento e la nostalgia che già l’assordavano col loro battere incessante sul suo petto, non importava la solitudine, che già le faceva riassaporare il suo gusto amaro sulla lingua. I suoi sentimenti avrebbero avuto tempo dopo per fuoriuscire e abbatterla. Ora, importava solo che Sasuke tornasse a casa, a Roma, e lei lo avrebbe aiutato con ogni mezzo a raggiungere quell’obiettivo che per lui significava tanto.
“Non ti preoccupare, Sasuke: dimenticheremo queste notti. Persi nei sogni del nostro futuro, ci sembreranno lontane, evanescenti, e non potremo rimpiangerne l’assenza, né maledirne il ricordo.
Rimarrà, la nostra storia, ma fra queste mura vuote: tu avrai tua moglie e la tua famiglia a cui pensare, io riprenderò la mia vita, forse tornerò da mia cugina, a fare la levatrice.
Quello che abbiamo ora si concluderà in queste notti. Finirà, e dimenticheremo.”
Lo disse sapendo di mentire; lo disse per trattenerlo su quel letto una notte ancora, rubandolo ai suoi doveri verso la patria e la moglie, rapendolo e riportandolo nell’oblio del regno del Momento, in cui il domani non importava; ammaliandolo; avviluppandolo nella coltre calda e liquida del loro peccato.
E non disse altro, nascondendo il desiderio di piangere dietro la malizia dello sguardo, perché di una cosa era dolorosamente certa, ed era che lei no, non avrebbe dimenticato. Non avrebbe potuto.
Poteva solo averlo, e nascondere le ferite con l’intreccio dei respiri e i gemiti, ancora una volta. Poteva, e voleva, avvolgerlo in quel caldo tessuto di tenebra accogliente, e rubargli dolcemente i respiri di altre ore prima che lui tornasse a casa, senza di lei.
Dopo, avrebbe potuto abbeverarsi alla sorgente di quei ricordi consapevole di averlo amato, e di non avergli mai, in nome di quell’amore, serbato rancore per le sue scelte.
Sei Ulisse, ed io sono un’illusa: non potrò mai farti dimenticare Itaca.
Sakura passò le braccia attorno al collo di lui, intrecciando le dita ai suoi capelli d’oscurità, sorridendo contro il suo petto, e sperò soltanto che il mattino li trovasse ancora abbracciati nel sonno.

 
Non si voltò.
Camminò celere e deciso verso il mare, sotto quel cielo blu zaffiro che faceva risplendere ogni cosa, nel nuovo nascere della primavera, e non si guardò alle spalle, non agitò la mano per lei, malgrado la donna lo sperasse con ogni fibra del suo essere.
Fin sulla porta Sakura lo aveva istruito sulla strada da prendere, aveva controllato che avesse con sé tutto il necessario, che fosse sufficientemente riposato e che i suoi abiti fossero adatti. Aveva riversato su di lui l’ondata calda del suo affetto sotto forma di premure, gli ultimi gesti d’amore che le erano permessi.
Non aveva parlato del “dopo”, non aveva fatto trapelare nulla delle sue reali emozioni, limitandosi ad avvolgere Sasuke negli abiti che gli aveva procurato, a dargli il cibo che aveva messo da parte, a preoccuparsi per lui, perché era consapevole di non potergli più donare nient’altro. Lui aveva deciso, e lei non poteva che rispettare la sua scelta, malgrado il dolore.
Sasuke l’aveva guardata in silenzio, lasciandola fare, ignorando l’abitudine che gli diceva di allontanare quella donna affannata che gli stava troppo vicina. Aveva cercato di imprimere nella memoria i lineamenti, la voce, il taglio degli occhi di lei e l’assurda tonalità dei suoi capelli; conscio che non li avrebbe più rivisti.
L’aveva amata, a modo suo. Non glielo aveva mai detto, ovviamente, e non l’aveva neppure consolata, quando l’aveva sentita piangere di nascosto da lui, nella stanza attigua. Non era stato amabile con lei, perché non era nel suo carattere, ma senza dubbio l’aveva amata, con infinitesimali gesti e parole che non aveva donato a nessun altro, mai. Non alle tante ragazze avute, non alla moglie, sposata per volere della famiglia, per far confluire ulteriori sostanze nella grande industria tessile che avrebbe ereditato insieme al fratello.
Ma non le aveva fatto promesse: sapeva di non poterselo permettere, perché quei mesi non erano stati di vita, ne era conscio. Era stato un periodo di limbo, una stagione rubata, in attesa che l’inverno finisse, e con lui, si sperava, la guerra.
Dio, sì, sapeva che avrebbe dovuto andare avanti e lasciarsi alle spalle Sakura e tutti i ricordi a lei legati. Per questo aveva goduto in silenzio della sua compagnia, fino alla porta.
Per questo, da lì non aveva più potuto voltarsi, non aveva guardato indietro.
L’aveva ringraziata e se n’era andato, fingendo di non sentire il proprio nome ripetuto all’infinito da quelle labbra, in un lungo sussurro quasi a voler trattenere più a lungo in quella povera casa di campagna la presenza di lui.
E non aveva visto le lacrime della donna che lo aveva salvato e amato per tutto quel tempo, non aveva sentito come le sue parole fossero gradualmente diventate singhiozzi.
Non avrebbe mai saputo della catena del pozzo, quella catena sottile e resistente che aveva tante volte cigolato tra le sue mani, e che fu trascinata fino alla strada e legata a un albero da alcuni compaesani, qualche settimana dopo.
Ultimo abbraccio per colei che si era donata all’invasore italiano.

 

 

Probabilmente avrei dovuto specificarlo anche nell'inviare la storia: sia Sakura che Sasuke sono adulti, e sono la sitazione nella qule li ho inseriti e la consapevolezza di non poterlo strappare al mondo al quale appartiene che portano Sakura a lasciare, seppure con dolore, che lui se ne vada. Pertanto, la scelta del comportamento di Sakura, per quanto possa essere considerata OOC, è stata deliberata dopo una breve riflessione sull'ambientazione della storia e il tipo di rapporto instauratopsi fra i due protagonisti.
Detto questo.

Questa è probabilmente una delle ultime fanfiction che pubblicherò su questo sito, forse una delle ultime che scriverò per questo fandom, che pure mi ha dato tantissimo, a livello umano (ho incontrato persone splendide che rimarranno anche dopo che questa esperienza sarà finita), e a livello più prettamente letterario: il confronto con alcune autrici bravissime che ho incontrato mi ha aiutata a superare abitudini errate e a maturare soprattutto una coscienza delle mie capacità e dei miei difetti che prima mi mancava.
Per questo devo ringraziare autrici del calibro di ragazza_innamorata, Revan, Arwen5786, Bambi88 e Chimera in blue jeans, e le ragazze e i ragazzi del NejiTen forum, come sempre.
Ancora una volta, questa storia è per voi.
Dicevo, questa è una delle mie ultime esperienze riguardo a questo pairing, fandom e sito, e per questo è curioso che proprio un contest, un’opportunità per migliorarsi e confrontarsi in sana competizione, abbia decretato il mio totale abbandono.
Semplicemente, non voglio più.
E, non me lo sarei nemmeno aspettato, non mi fa nemmeno male andarmene dall’ambiente nel quale, dopotutto, sono nata come fanwriter.
Non voglio che questo suoni come un atto di accusa alla giudice di questo contest, che è stata rapidissima nel consegnare i risultati e sempre disponibile a dare chiarimenti, sia prima della consegna che poi, né alle partecipanti, ognuna delle quali ha messo nel proprio lavoro impegno e passione. Semplicemente, guardandomi intorno, mi sono chiesta ancora una volta che cosa ci faccio qui. E ho pensato che forse era il caso di smettere di chiedermelo.
Non è un quarto posto a demoralizzarmi: so di non essere un genio. Sono gli errori di valutazione, ammessi in privato, e quindi ufficialmente inesistenti. È l’ambiente, dove le lotte fra pairing uccidono la creatività e la passione.
Non ce l’ho con nessuno: è semplicemente che con questa fanfiction ho trovato l’occasione per annunciare quello che già da tanto (forse troppo) tempo avevo deciso di fare: a fine aprile pubblicherò le fanfiction partecipanti ai contest ancora in corso, e mi ritirerò dal sito.
Mi dedicherò ad altro e certamente pubblicherò ancora, ma probabilmente non in questa sede e non in questo fandom.
Mi dispiace solo per coloro che mi hanno sinceramente seguita. Mi siete stati di grande aiuto. ^^
Con questo concludo. Scusate lo sfogo e scusate il tono. Non era mia intenzione offendere nessuno, e spero che nessuno si senta accusato o insultato da ciò che ho scritto.
Il mio solo fine nella pubblicazione è sempre stato di migliorarmi attraverso il confronto e la competizione.

 

  
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